Lea Melandri: "Il femminismo è stato un atto straordinario di nascita"
Carloforte 2012 ago. 06 Archivio Vivo Lunàdigas colour sonoro
La decisione definitiva start 00:09:50end 00:22:23 Lea Melandri ripercorre i temi centrali della sua ricerca che affondano le origini nella sua autobiografia e sono alla base anche della sua scelta di non avere figli: la dualità dolorosa vissuta tra corpo e cultura, tra il corpo e lo spazio del suo pensiero, la dualità del rapporto madre-figlio, dove lei ha incarnato sia il figlio, come attesa di percorso, sia la figlia, come bambola tra le mani della madre; la ricerca sull'origine e sul sogno dell'amore, inteso come fusionalità e perfetta armonia tra anime, la condizione di singolitudine, condizione privilegiata di stare con sé stessi e non creare rapporti di dipendenza con terzi.trascrizione LEA MELANDRI: "Intanto, devo dire, sì, io non ho mai avuto l'idea della coppia, della famiglia, matrimonio, convivenza, eccetera. Mentre sicuramente molto presente nella mia vita è il sogno d'amore, la passione, l'amore come passione, come momento esaltante di fusione di anime. Che poi è tutta una vicenda che ho rivissuto un po' attraverso la lettura di Sibilla Aleramo, perché Sibilla Aleramo aveva duecento amanti, io pochissimi. Però la logica è la stessa ogni volta, cioè ogni volta ricostruire con l'altro questa fusione sublime, la fusionalità, il sogno d'amore come sogno di armonia, di composizione degli opposti, che è stato poi un tema ricorrente della mia riflessione. Negli anni 80 il mio libro "Come è nato il sogno d'amore", anche se non è un racconto di vita, non è un'autobiografia, però è il più autobiografico. Quindi la passione d'amore risponde a un'idea di eternità. È il "per sempre", no? è qualcosa di... è come dire un ideale di armonia perfetta fuori dal tempo. E' fuori dal tempo, fuori dalla costruzione della relazione. E quindi io attribuisco anche a questa continuità nella mia storia, il sogno d'amore, il fatto di non aver poi... ogni volta, anche quei pochi rapporti che ho avuto, non avevano la prospettiva né della convivenza né... l'unico momento in cui si è vagamente, ripeto proprio molto velatamente prospettato, è stato nel rapporto più importante forse, il primo e il più importante, con Elvio Fachinelli, lo psicanalista che è morto nel 89. Noi abbiamo avuto una relazione che era l'impegno, noi abbiamo messo in piedi la rivista "L'erba voglio", che è stata una rivista molto importante degli anni '70. E facevamo insieme la rivista e abbiamo avuto una relazione che è durata cinque anni. E lì vagamente, velatamente, [dicevo"si potrebbe avere un figlio". E lui mi ha detto: "sì, vi vengo a trovare". E io ho fatto così... ho capito. In realtà io volevo fare la rivista. La creatura vera era la rivista: cominciavo a scrivere, era l'inizio della mia scrittura pubblica, avevo cominciato, conosciuto il femminismo nel 71, quindi ero io che nascevo in quel momento. Ripeto, era stato così, un accenno velatissimo. Dopodiché non mi sono mai posta il problema, non c'era neanche l'idea del "faccio o non faccio un figlio", non si poneva nei termini di scelta. Probabilmente io credo proprio perché intanto perché mi sono vissuta come figlia e... mi chiedevo anche, pensando a questo incontro che avremmo avuto, mi chiedevo come mai io non mi sono... cioè la prima volta che mi sono posta in modo diretto, specifico, il problema dell'avere o non avere figli è stato quando Paola Leonardi e Ferdinanda Vigliani sono venute a intervistarmi.
Però poi ho pensato, pensavo in questi giorni, che indirettamente invece in realtà io ho affrontato questo tema mettendo al centro della mia ricerca, anche teorica, la questione dell'origine del rapporto tra i sessi, l'origine cioè, questa differenziazione così violenta tra natura e cultura: la donna relegata nel corpo e l'uomo legato alla storia. In realtà io ho messo sempre al centro la questione madre-figlio in particolare, più che figlia/figlio, perché nella coppia, nella mia ipotesi diciamo, c'è l'idea che la relazione madre-figlio sia l'impianto originario di questa differenziazione violenta, nel senso che è nello sguardo dell'uomo-figlio che si costruisce quest'idea di un corpo femminile potente, in un corpo che all'inizio è stato pensato come un corpo che genera da sé. C'è voluto molto tempo prima che gli uomini realizzassero la loro partecipazione al processo generativo. Questo corpo femminile con cui sei stato tutt'uno all'origine, nella fase iniziale della vita, questo corpo che ti nutre, che ti mette al mondo, ti nutre, ti dà le prime cure, ti dà anche le prime sollecitazioni sessuali... quindi intrigante, un corpo intrigante, potente, minaccioso e desiderato - quindi - è nello sguardo di un figlio. Io probabilmente mi sono pensata anche come figlio maschio. Per una femmina, figlia proveniente da una famiglia contadina, studiare era percorrere una strada che era quella prevista per il maschio semmai. Non è casuale la messa a tema, la centralità che ha preso la questione madre-figlio, anche nei miei studi, nelle mie riflessioni teoriche. Perché io, probabilmente, mi sono pensata come figlio. Inevitabilmente. Essendo, come dire, una figlia femmina, di famiglia contadina, che studia, ha davanti una prospettiva che storicamente è stata quella maschile. Fortuna volle che mia madre volesse una figlia invece, coi capelli rossi, che lei imbellettava. Lei mi pensava come una bambola. In realtà io avevo capelli già ricci, lei di notte mi faceva i boccoli. Non so, mi svegliavo la mattina coi pendolini, quindi ero una bambola. Mi vestiva con grandi sacrifici, mi vestiva molto bene, colorata. Ero già coloratissima ma insomma lei insisteva sul colore, quindi voleva una femmina. Questo, secondo me, mi ha trattenuta dal diventare una donna nell'assumere un tratto più decisamente da emancipata in chiave maschile - diciamo - questo dualismo è stato la mia dannazione e la mia fortuna. Il dualismo era tra la condizione contadina e la scuola. Io ho sofferto molto nel passaggio. Quando sono entrata in questo liceo, un buonissimo liceo, la cultura mi ha salvato, ovviamente, anche dagli aspetti più dolorosi e più violenti della condizione sociale di questa famiglia povera, ripeto, e dove la violenza c'era come in molte famiglie contadine allora: le donne venivano picchiate nonostante fossero, ripeto, molto forti. La cultura ha segnato uno stacco per me molto violento, una salvezza, perché mi ha aperto una prospettiva di mondo. Certo non era l'emancipazione, poi ho avuto modo di confrontarmi con donne che hanno avuto percorsi diversi dai miei nel femminismo, l'emancipazione è quella di donne che venivano da classi sociali già in parte emancipate, voleva dire viaggiare io ho avuto paura dei treni fino a vent'anni, non ho vergogna a dirlo. Il primo treno che ho preso con un'assoluta felicità è stato quello della fuga dal mio paese. Ma io ho avuto un'occasione per uscire dal paese a diciotto, diciannove anni. Avevo vinto la borsa di studio alla Scuola Normale di Pisa. E lì però, il primo distacco - probabilmente - dal paese, qualcosa lì è scattato. Tanto che dopo due anni sono ritornata, ho insegnato per altri quattro anni in supplenza del mio professore di filosofia al liceo. Quindi è stato molto duro questo percorso fino ai venticinque anni. E soprattutto non c'era l'emancipazione che molte altre donne hanno conosciuto. Cioè la cultura emancipa, certo, apre spazi nel pensiero, ma non ti emancipa i piedi. I piedi erano legati al mio paese, erano lì in quella terra, in quella famiglia contadina. Io ho vissuto con molto dolore negli anni del passaggio al liceo questa separazione, questa contrapposizione tra corpo e mente, tra condizione contadina e questa cultura alta. Io cominciavo... il tentativo mio era di tradurre questa esperienza di corpi, di fisicità, di natura, di terra, di tradurla nei termini alti della filosofia, della letteratura. E per fortuna avevo dieci chilometri in bicicletta tutte le mattine, venti andata e ritorno, in cui potevo smaltire anche il peso delle notti di questa fatica, di questo dolore, di questa violenza. Ma è stata molto combattuta questa dualità, ed è diventata il tema centrale di tutta la mia ricerca. Così come il tema dell'origine, perché questa violenta separazione tra corpo e pensiero... ecco, [è stato] molto faticoso - ovviamente - per me aprirmi uno spazio. Non c'era spazio fisico, eravamo stipati in due stanze, c'era una grande promiscuità. Per fortuna c'era la campagna, ecco, gli alberi per me - in realtà - non son secchi. Gli alberi sono pieni di foglie, perché mi nascondevano, mi permettevano di isolarmi, erano accoglienti. Come questo mandorlo. Ecco io adoro questo mandorlo, perché abbraccia questa casa. I primi anni, quando ero più agile, stavo sempre sul ramo del mandorlo. E ecco, quindi, vi erano gli alberi. E però - devo dire - poi dovevo studiare e preparare le lezioni, in questa casa, in mezzo a questi corpi. E quindi la prima stanza, io dico sempre, è stata il mio pensiero. Mi sono dovuta aprire uno spazio di solitudine e di riflessione nel pensiero. E questo anche ha segnato, a proposito dell'avere o non avere figli, ha segnato il mio percorso successivo, quest'elemento che io non chiamo di solitudine, chiamo di singolitudine nel senso che c'è l'essere soli ma non nel senso della solitudine. Io ero in compagnia, tutti i mille autori, le cose che leggevo, la scrittura è stata una grande compagnia. Quindi non era la solitudine, è un elemento di singolarità. Cioè io non ho avuto interlocutori in questa famiglia, non erano, non potevano essere interlocutori. Infatti credo di aver costruito poi, nel corso della mia vita, tanti paesi ogni volta. Quando ho insegnato nel 68 a Milano, ero già a Milano, ho insegnato per dieci anni in una scuola media a Melegnano, che era una cittadina a trenta chilometri da Milano, anche lì cultura contadina. Poi, dal 76 al '86, in un quartiere di Affori con Masina a Milano, di nuovo un altro... e poi qua. Questo però è il mio paese ideale, ecco, quindi devo dire qui è stato veramente l'approdo più importante, ma sempre con grande amore per il paese, per le tradizioni del paese. Evidentemente quest'origine ha lasciato un segno profondo ecco, e dove l'elemento della singolitudine, come lo chiamo io, è stato centrale, centrale per tutto il percorso della mia vita, cioè è lì, e in questo io dico sempre non c'è scelta, c'è un tratto di destino che viene dalla nostra storia d'infanzia e adolescenza e c'è - come dire - c'è poi un fare di necessità virtù, si dice banalmente. Ma è soprattutto stato col femminismo che io ho potuto dare un segno diverso a quello che era il destino anche doloroso, a caricarlo, a dargli - come dire - anche una prospettiva invece di grande novità, radicalità, originalità. Il poter vivere la singolarità, io lo considero un privilegio doloroso, con dei tratti dolorosi, ma un privilegio. Ma questo uscire dalla logica che se non sei in due, se non hai il figlio su cui riprodurti, se non hai la famiglia, ecco... quello che l'Aleramo chiama "il fastidioso obbligo di vivere per sé", io su quello ho davvero lavorato molto, su questo per riuscire ad avere, a vivere nella singolarità senza necessariamente... L'amore, se c'è, deve essere una cosa in più, che - detto così - uno dice: "ma come, l'amore è la cosa centrale della vita delle persone". Io ho lavorato molto su di me perché l'amore fosse, se c'è, una cosa in più, importante. Però l'essere con se stessi, con se stessi ovviamente per me è anche il punto di partenza indispensabile per creare delle relazioni d'amore, d'amicizia, che siano vere relazioni di reciprocità, non di aggrappamento reciproco."
English:
LEA MELANDRI: "I must admit I've never dreamt of being in a relationship having a family, getting married, living together. But what was always present was the dream of love and passion, love as passion, as an exciting moment of an intimate connection of souls.
It's something I tried to I've experienced these feelings through Sibilla Aleramo's books. Sibilla Aleramo had something like 200 lovers, I had just a few, but the pattern is the same every time. You build a sublime connection with another person. The dream of love as a dream of harmony, as a union of completely different people, was a main theme in my thinking, and in my book titled "How the dream of love is born", although it's not my autobiography, but it's my most autobiographic book.
The dream of love concerns the idea of eternity. It's the "forever" It's an ideal of endless harmony. It's eternal and it's not related to the relationship. I believe this timelessness of the dream of love contributed to my not having... In my few relationships, I didn't expect us to live together...
The only time we've vaguely talked about it was during my first and most important relationship with Elvio Fachinelli, the psychotherapist who died in 1989. We had a relationship that was a commitment to... We created the magazine "L'erba voglio", an important magazine in the 70s. We created the magazine together, and we've been together for five years. We vaguely talked about having a baby. He said: "I'll come visit you." So I said I said no. Actually my interest was on the magazine. The real creature was the magazine. I had just started writing, that was the beginning of my public writing, I had just encountered feminism in 1971. It was like I was born in that moment.
There wasn't I repeat, we vaguely talked about it. Then I've never thought about it again. I wasn't thinking whether to have a baby or not. It was not even a matter of choice. Probably, because
First of all because I've always seen myself as a daughter, all of my... I was wondering, before having this interview, why I haven't
The first time I've thought whether to have a child or not was when Paola Leonardi and Ferdinanda Vigliani interviewed me. And... over the last few days, I've thought that I indirectly I've actually dealt with this topic, focussing my theoretical investigations on the origin of the bond between the two sexes. This violent difference between nature and culture, women relegated to the body, while men to the history.
I've always put the focus on the mother-son relationship rather than on the daughter, because the couple, in my theory, let's say, the mother-son relationship is the origin of this violent separation.
The man-son develops the idea of a powerful female body, a body that was originally designated to create by itself.
It took a while before men recognised that they participate in the reproductive process. This female body that men experienced as a whole since their origin, since their first years of their life. A body that nourishes you, that brings you into the world, cares for you, and also gives you the first sexual solicitations. An intriguing, powerful, intimidating and also desired body. That's what it is for sons. I've thought of myself as a son too.
My destiny, the fact that I, a daughter from a peasant family, having the chance to study was a path intended for men only. It's not a coincidence that I focused my studies and my theoretical considerations on the mother and son relationship, because I've seen myself as a son, inevitably. A daughter of a peasant family studying, had a future intended for men. Luckily, my mum wanted a daughter. I had red hair, she put make up on me. She saw me as a doll. I had curly hair but every night she curled my hair. I used to wake up in the morning with spiral hair, just like a doll. She made sacrifices to dress me up and in a very colourful way. I was already colourful, but she insisted with colours. She wanted a girl. I think it kind of stopped me from becoming a woman... or from becoming more emancipated, with more masculine features.
This dualism was both my damnation and my luck. The dualism was between the peasant condition and the school.
I really suffered when I went to high school, an excellent high school. Culture saved me from the most painful and violent aspects of my family's poor condition, where there was violence, as in many peasant families back then.
Women were beaten even if they were very strong. Culture was a violent change for me, a lifesaver, because it opened a window on the world. But it was not like emancipation.
I had the chance to discuss with women who came from different paths within the feminist movement, emancipated women came from higher social classes. It meant travelling I was scared of trains until I was 20. I am not ashamed to say it. The first train I was happy to take was the one to run away from my village. I had the opportunity to run away from my village when I was 19. I got a scholarship at the Scuola Normale in Pisa, a great... So I distanced myself from my village for the first time, but then something happened in me. Two years later I came back
and I became a substitute teacher for my old high school philosophy teacher. It was a difficult moment until I turned 25. The emancipation many women know today didn't exist. Culture gives you more options but you're still attached to your past. My feet were tied to my village.
I was still in that land with my peasant family. I've lived in pain during my high school years because of the contrast between body and soul, between my peasant condition and higher culture. I started
I attempted to translate my experience with bodies, nature and land in terms of philosophy, of literature. Luckily, I cycled 10 km every morning, I cycled 20 km per day, so I had time to overcome challenges, pain and violence. Dealing with this duality was very difficult. It became the main theme of my investigation. Just as the origin issue.
Why does this violent separation between body and mind It was really hard to have a room just for myself. There was no physical space. We lived in two rooms, there was a lot of promiscuity. Luckily, we were in the countryside. I don't see dead branches, trees are full of leaves, I could hide behind them, I could isolate myself near them, they were welcoming, just as this almond tree. I love this tree because it's hugging the house.
The first years, when I was more agile, I used to climb on that branch. There were a lot of trees. I had to study and prepare my lessons in that house, surrounded by bodies. As I always say, my first room was my mind. I had to create a room in my mind just for myself to reflect. This has marked my decision to not have children. It has also marked my path, which was not of loneliness, but of singleness. Being alone but not lonely. Thousands of authors kept me company, all the things I read. Writing has ben a great companion.
Therefore, I was not lonely. I was just with myself. I didn't have someone to talk to in my family, they couldn't I had no one to talk to. I think I've created a lot of villages in my life.
When I taught in Milan in 1968, I've taught for ten years in a middle school in Melegnano, a peasant village about 30 km away from Milan. Then, ten years in the neighbourhoods of Affori and Comasina in Milan, then in another... And then here. But this is my ideal village. This was the most important haven for me. Always with great love for the village and its traditions. My origins left a mark on me.
The state of singleness was a central theme in my life path. I always say we can't choose. A part of our destiny comes from our childhood and adolescence. And, as they say, we make a virtue out of necessity.
Mainly it's thanks to feminism that I could turn around my destiny, also painful, giving it a new perspective, a greater radicalism, originality. Living with just yourself is a painful privilege, with some painful moments but it's still a privilege. We should stop thinking that you are not in a couple, if you don't have a child if we don't have a family, we should get rid of this logic. That's what Aleramo calls "the annoying duty of living for oneself".
I've really worked on this issue to... to live my individuality without necessarily... If there is love, it should be an additional element. Someone might say how's that? Love is central in people's lives.
I've really worked on myself so that love would be something more. Feeling good about ourselves it's obviously the essential starting point to create relationships, friendships, some real and mutual relationships and not mutual dependence."]]>soggetto amore scelta corpo madre figlio violenza scuola singolitudine solitudine lavoro femminismo famiglia d'origine persone citate Vigliani, Ferdinanda (autrice) [persona citata] Leonardi, Paola (sociologa) [persona citata] Fachinelli, Elio (psichiatra e psicanalista) [persona citata] Aleramo, Sibilla (scrittrice) [persona citata] Ente e ruolo Scuola Normale Superiore