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Alessandra Quattrocchi: "Jane Austen e l'eredità delle Lunàdigas"
Alessandra Quattrocchi
Cagliari 2016 lug. 29 Archivio Vivo Lunàdigas MPEG colour sonoro



La famiglia d'origine start 00:01:39end 00:05:32 Alessandra Quattrocchi racconta della sua storia familiare: avere un fratello con disabilità degenerativa è stata causa di una iper-responsabilizzazione del suo ruolo fin dall'infanzia, condizione che l'ha portata a scegliere di non avere figli.trascrizione ALESSANDRA QUATTROCCHI: "La mia storia è un po' particolare, anche se non è l'unica e non credo che quello che ho detto si applichi solo alla mia storia. In famiglia eravamo in due: mio fratello era più grande di me, adesso non c'è più. Aveva una forma di disabilità, una malattia genetica progressiva di cui è morto a quarantotto anni. Quando ti trovi a crescere in una famiglia dove c'è una persona con una disabilità, e credo, in realtà, anche se questa disabilità è fisica e soprattutto una malattia genetica progressiva, gli altri fratelli - in questo caso c'ero solo io - si trovano in una situazione particolare, una situazione di iper-responsabilizzazione fin dall'infanzia.
È una cosa che viene sempre più studiata col passare degli anni, adesso c'è sempre maggiore attenzione su questo. Però insomma questi fratelli o sorelle di persone con disabilità - ed è anche la mia storia - si trovano in una situazione di genitorialità, cioè si trovano a fare da genitori fin da molto molto piccoli. Quindi in un certo senso non è proprio come avere un figlio, però è come avere le responsabilità di un figlio: nel senso che non sei mai solo, non sei mai autonomo e indipendente, hai sempre l'ombra, la presenza di un altro fratello che ti è accanto e che fa parte di te, un po' come se fosse un figlio, fin da quando sei molto piccolo. Sai che avrai la responsabilità di una persona, ecco, a un certo punto.
Allora, poi si possono fare figli per tanti motivi. Però chi è nella mia situazione, chi è stato nella mia situazione non ha scelto di avere un figlio: si trova fin da quando è piccolo ad avere un'altra persona che in qualche modo è anche tua responsabilità. E allora si può reagire in tanti modi. Io conosco persone che hanno reagito facendosi una famiglia propria fin da piccoli perché volevano, invece, avere un nucleo familiare loro, in cui erano prioritari e primari, oppure si può reagire come ho fatto io, in qualche modo scegliendo di non uscire mai dalla famiglia d'origine, di restarci dentro, anche perché uscire dalla famiglia d'origine diventa un tradimento, diventa crearsi delle priorità che sono esterne a quella famiglia.
Poi ad un certo punto, l'età avanzando, mi sono detta: "Lo voglio davvero un figlio?". Mi sono proprio posta la domanda in termini molto più diretti e a un certo punto ho cominciato a pensarci sul serio e poi alla fine, soprattutto dopo che mio fratello se ne è andato, la risposta finale è stata: "Sì, io un figlio lo vorrei, però adesso che, finalmente, non sono più responsabile di nessuno, adesso che sono libera e che posso pensare solo a me stessa, non me la sento. Non me la sento di rientrare in una condizione in cui - poi a un'età abbastanza avanzata - dovrei mettermi di nuovo a fare una scelta di occuparmi di qualcuno e di sapere che c'è qualcuno che è totalmente dipendente da me. Non ce la faccio, non voglio. L'ho fatto tutta la vita". E questa è una cosa che spesso chi sceglie di fare un figlio in età adulta, non riesce a capire, assolutamente."
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