Francesca N: "Ho bisogno di essere contenta delle mie giornate, una ad una"
Roma 2012 set. 21 Archivio Vivo Lunàdigas MPEG colour sonoro
L'esperienza della gravidanza start 00:00:00end 00:09:07 Francesca parla della sua esperienza di gravidanza non andata a termine e dell'esperienza ospedaliera vissuta in quella occasione, di come questo l'abbia fatta soffrire ma l'abbia anche arricchita.trascrizione FRANCESCA N: "Io non posso dire di avere preso proprio una decisione in materia nella mia vita, o meglio tutti i tempi della vita mi hanno portata a pensarla un po' diversamente. Quando avevo vent'anni ne volevo sette di figli. A trent'anni non ne volevo neanche uno. A quantant'anni ho pensato che forse sì, ci potevano anche stare e ho provato anche a farli con vicende che mi han fatto presto capire che forse non era proprio la strada giusta per me.
Adesso sono, non so se dire contenta che alla fine questi figli non siano venuti ma sollevata, sollevata perché non so quanta voglia avrei avuto effettivamente di mettermi in gioco nella vita per un'altra persona, nel rapporto con la società, nel rapporto con la politica, per esempio quando sono rimasta incinta, in quei mesi in cui comunque contemplavo l'idea di non essere più da sola al mondo, ero arrabbiata, ero arrabbiata perché mi dovevo rimettere a ragionare per esempio proprio sulla politica e sul modo di procedere del mondo in relazione per esempio alla scuola, ed ero così, mi sentivo un po' obbligata ad occuparmi di cose di cui non sapevo se avevo effettivamente più tanta voglia di occuparmi.
Adesso se devo pensare ai pro e i contro di questa realtà che alla fine credo sia ormai definitiva del non avere figli penso, magari sì con qualche preoccupazione alla mia terza età, nel senso che comunque pensi "sì vabbè, poi sarai sola"... però credo che tutto abbia preso un po' un'altra strada; adesso so di dover pensare solo al mio di futuro, non ho bisogno di costruire chissà cosa per qualcun altro, ho bisogno di essere contenta delle mie giornate una a una perché comunque è solo rispetto a me stessa che sento di avere un dovere di benessere, di serenità, verso me stessa e naturalmente verso anche tutta la società che frequento, la mia comunità; io in realtà sono una tipa materna, a me piace mettere a tavola le persone, mi piace occuparmi delle persone a cui voglio bene, di figliolini forse ne ho anche tanti nel mondo di cui mi occupo con un'attenzione che forse da parte di un'amica è anche eccessiva.
I tre-quattro mesi che è durata la mia gravidanza sono stati tre-quattro mesi di profonda incazzatura: uno perché trovavo che le donne con figli fossero false perché dicevano tutte: "ah è fantastico dal primo momento che aspetti hai tutta un'altra cosa", io ero furibonda, furibonda perché non riuscivo assolutamente a prendere le misure con questa cosa che cresceva dentro di me, che non capivo che peso avrebbe avuto poi sulla mia vita e poi con le cose del mondo; io dovevo tornare a confrontarmi con cose che avevo allontanato da me, per esempio la Gelmini e le leggi che stavano uscendo all'epoca sulla Pubblica Istruzione, improvvisamente dovevo tornare ad occuparmi di cose che non mi piacevano per niente e... poi non me ne sono più occupata!
Allora i miei "dintorni" naturalmente non mi hanno giudicato per il fatto che io non abbia figli. Non mi sento giudicata come un nido vuoto o di aver scelto una strada egoista, di aver scelto per me stessa e basta, perché appunto la mia comunità comunque ha nella memoria il fatto che io, in qualche modo, ci abbia provato. Verso me stessa, io ho, invece, una sensazione che non voglio assolutamente chiamare di fallimento, ma è improvvisamente non essendo io riuscita a portare avanti quelle gravidanze, ho rivalutato me stessa, nel senso che ho capito di non essere Wonder Woman. Ma perché anche aspettavo da me stessa di essere Wonder Woman perché avrei dovuto, nella mia testa, fare un figlio come se niente fosse, cioè ritrovarmi il giorno dopo con una creaturina che mi girava intorno, ma possibilmente avendola partorita in due ore, senza avere mai avuto nausee e senza avere una vera modificazione del mio vivere a causa di un figlio.
Adesso mi è rimasta appunto questa idea di essere fallibile ma non fallita, cioè di essere comunque vulnerabile perché il mio fisico non mi ha sostenuta in un momento in cui comunque gli accadevano delle cose dentro. Ma mi ha dato anche molta più un'idea di un confine, mi sta dando in realtà una maggiore coscienza di chi sono io e delle forze che ho e delle forze su cui posso contare.
Nel percorso ospedaliero ho avuto alcuni incontri, la mia ginecologa che sosteneva che comunque come in passato le donne facevano magari sì nove figli ma con almeno quattordici-quindici gravidanze; lei tendeva a darmi speranze e dire "si riprova, è solo che adesso sappiamo molto prima che aspettiamo un figlio quindi ci rendiamo conto di perderlo anche, cosa che prima non accadeva". Questa da un lato la parte più accuditiva della medicina in un fatto come quello che è accaduto a me; in realtà poi infermiere e altri medici che ho incontrato poi in occasione del mio aborto, me l'hanno fatto vivere con grandissima naturalezza, cioè poteva essere, poteva non essere, oltretutto nella mia stessa corsia c'erano donne che avevano perso il loro figlio molto più avanti di me nella gravidanza per cui comunque ti senti parte semplicemente di un gruppo diverso di donne da quelle che vedi passare sotto casa per andare al parco dei bambini qui dietro, insomma, mah..."
English:
FRANCESCA N: "I cannot say that I made a firm decision on this matter, or rather in each phase of my life I had a different thought about it. When I was 20, I wanted seven children, at 30, I didn't want any, when I reached 40, I thought that maybe yes, it could be something I wanted and I also gave it a try, but a sequence of events soon made me realise that maybe it was not the right path for me. Today I am... maybe not exactly happy that in the end children did not come, but somehow relieved, relieved because I don't know to what extent I wanted to put myself out there for another person, in relation with society, in relation with politics, for example. When I got pregnant, in those months when I was contemplating the idea of no longer being alone in the world anymore, I was angry, I was angry because I had to think again, for example, about politics and the way the world works in relation, for example to school. And I felt kind of obliged to take care of things that I didn't know whether I really wanted to deal with anymore.
Now if I have to think about the pros and cons of this situation, which I think by now it is pretty much definitive, of being childfree; maybe sometimes I am a bit concerned about my old age, because you start thinking that you will end up alone. At the same time I think that everything, everything has taken a different path now, I know I have to think only about my own future, I don't need to build something extraordinary for someone else, I need to be happy about each and every day of my life, because I feel I have a duty towards myself only, to ensure myself well-being and peace of mind. Towards myself and of course also towards the others close to me, my own community.
I am actually very maternal, I like to invite people over for a meal, I like to take care of people I love, somehow I have many 'children' scattered around, whom I take care of with great care which may seem overwhelming coming from a friend.
During the three, four months my pregnancy lasted, I was always pissed off: first, because I thought women with children were liars, because they all said: "ah it's great"! From the first moment you expect a child, you feel a whole new being'. I was furious, furious because I absolutely could not come to terms with this thing growing inside me, and I could not understand the weight it could have on my life, also in relation with the outside world. All of a sudden, I had to to face things I had removed from my life, such as Minister Gelmini and the laws they were introducing at the time on public education. Suddenly I had to find myself dealing again with things I did not like at all. Then, I no longer needed to deal with them. My "community" of course did not judge me for not having children. I don't feel judged as an empty nest or as having chosen a selfish path, choosing for myself only, because of course my people remember that I have tried it, at least. I have, however, towards myself, a feeling that I absolutely do not want to call failure, but it is... suddenly not being able to carry on those pregnancies, I saw myself from a different light, as I realised that I was not Wonder Woman. Because I expected myself to be Wonder Woman: in my head, I had to have a child as if nothing had happened, that is finding myself the next day with a tiny creature running around me, possibly giving birth in just a couple of hours, without having any nausea and without a real revolution of my life because of the child.
Now I have this idea of being fallible but not failing, of being vulnerable anyway because my body did not support me at a time when things were happening inside it anyway. But it made me see that there are boundaries, which is actually giving me a greater awareness of who I am, of my own strength, and of the strengths I can count on.
When I was in hospital I had some meetings, with my gynecologist who claimed that in any case, as in the past, women could have 9 children but with at least 14, 15 pregnancies; she tended to give me hope, encouraging me to try again. It's just that now we learn we are expecting a child much earlier, therefore we also realise when we loose them, which did not happen before. On the one hand, this is the caring part of medicine for an event like the one that happened to me. In reality, then nurses and other doctors, whom I met when I went for my abortion, helped experience it in a very naturally way, as if could equally happen or not. Moreover, in my same ward there were women who had lost their child at a much later stage in their pregnancy. Anyway, you fell you belong to a different group of women from those you see walking to the children's park round the corner."soggetto gravidanza aborto maternità sofferenza comunità ginecologia