Donata, Laura e Lorenza: "Essere donne e religiose è una sfida ulteriore"
Comunità Monastica di Tartiglia, Arezzo 2018 lug. 13 MPEG colour sonoro
Maternità e sororità start 00:34:28end 00:56:32 Le religiose si raccontano in maniera più personale confidando le motivazioni della loro scelta di vita che, in quanto lontana dalla società civile, le avvicina maggiormente alla sensibilità delle non-madri.trascrizione DONATA: "Io sono convinta di una cosa, che nella maturità di una persona interviene a un certo punto questo desiderio di maternità. Il problema è come uno lo vuole vivere, quando uno arriva a una certa maturità di vita, diciamo... il problema è come viverlo, quindi andare al senso di quello che è la maternità. Secondo me il senso della maternità come della paternità è di far crescere l'altro per quello che è. Quindi mettersi in ascolto, come dire... aprire alla libertà dell'altro, cose che non sono mai semplici! A mio parere ci può essere una maternità fisica che poi non approda alla vera maternità, come ci può essere una non maternità fisica che approda invece alla maternità, ecco. Quindi è in questo senso noi siamo celibi [nubiliabbiamo scelto di non avere figli però esercitiamo la maternità in altro modo. Ecco. Quindi, la nostra maternità si apre ad altre situazioni, che sono verso la vita comunitaria, verso quelli che incontriamo, non a caso nella vita religiosa è stato elaborato questo termine di "maternità e paternità spirituale", proprio perché c'è, si vive in altro modo questo tipo di maternità, pur facendo un'altra scelta, ecco. Questo è quello che penso."
NICOLETTA: "Tu, Donata, questa posizione l'hai potuta maturare nella tua vita o per esempio riconosci nella Donata piccola altri desideri...?"
DONATA: "No, io avevo davanti anche questa prospettiva, però.."
NICOLETTA: "Quella materna tradizionale, biologica?"
DONATA: "Però percepivo che non era la mia, non era quello che io volevo vivere nella vita, per cui quando ho percepito che... inizialmente l'ho percepita come fraternità da vivere, entrando in comunità eccetera, poi l'ho percepita anche come maternità, però vissuta in altro modo."
NICOLETTA: "Tu hai un pensiero riguardo alle donne laiche che non hanno avuto figli?"
DONATA: "Penso che sia una scelta possibile, sia che una persona scelga di non avere figli... Allora lì ci sono due cose: ci sono persone laiche che non possono avere figli, li vorrebbero ma non possono avere figli. Ecco, allora penso che questa riflessione che sto dicendo sulla maternità le possa aiutare, perché la maternità si può vivere anche in altro modo. Si può anche vivere in altro modo. Così per le persone però - penso anche - che scelgono proprio di non avere figli. Lo possono scegliere per dire a vent'anni, a trent'anni, a venticinque, a trent'anni. Penso che poi nella vita venga fuori quello che magari non chiamano desiderio di maternità, però si vede che si mettono a fare delle cose in cui esercitano una determinata cura, una determinata apertura, un ascolto dell'altro, un confronto che fa crescere l'altro per quello che è. Capito? Ecco: è questo un po' che io penso come riflessione, non è una riflessione che penso solo per quelli che scelgono la vita religiosa ma penso anche per quelli che fanno questa scelta, laici e laiche che fanno questa scelta."
LAURA: "Anche io sono abbastanza d'accordo con quello che diceva Donata. Aggiungerei solo a quello che lei definisce in questo modo "sentirsi madri", io lo chiamerei una fecondità. Io penso che ogni vita ha dentro questo desiderio di vivere e di donare vita, che, come diceva lei, non necessariamente perché il peso, il bagaglio culturale che noi ci portiamo è che per per essere donna tu devi generare e quindi essere madre biologica, confondendo la vita con la biologia. Ora si può essere feconde non solo di vita biologica, ma una cura, ma non solo dell'altro, lo dicevamo mentre discutevamo, anche nel lavoro, nelle proprie passioni, nel proprio modo di vivere, perché magari un medico possiamo capire che ma magari una conduce anche un lavoro più semplice, più da segretaria ma è materna nei confronti delle sue compagne di lavoro, è materna nei confronti delle amicizie che ha ecco dove per maternità io intenderei proprio questa capacità di... perché questo si penso sia insito in noi altrimenti moriamo, ci secchiamo, di donare vita, di donarsi all'altro. Anche qui senza snaturarsi perché anche questo è l'errore che abbiamo fatto, poi nel settore religioso ancora di più. "Tu ti devi dimenticare per servire l'altro", anche questo non è un insegnamento evangelico, tu ti devi donare all'altro, ma se hai qualche cosa da donare; se sei un sacco vuoto che doni? Frustrazione all'altro? Anche la fecondità di vita è questo quindi generare vita per l'altro, generare l'altro alla vita, anche questa è maternità. E io penso un po' quello che diceva lei, che arriva. Io perlomeno nella mia esperienza l'ho visto, arriva questo scatto, che non è matematico, che tu senti a un certo punto nella vita che sei chiamata nella vita a prenderti cura dell'altro, non ti basta solo vivere, essere felice te, fare le tue cosine, ma che la tua felicità è legata anche a quella di chi ti vive accanto. Quindi, per esempio, quello che dico anche a loro: in comunità non siamo solo sorelle le une delle altre ma siamo anche madri le une delle altre e questo, secondo me, dice la qualità di una comunità in cui non c'è una madre sola, la responsabile che è madre e le altre sono le sue piccoline, detto un po' banalmente; ma se noi siamo madri l'una dell'altra questo è molto più fecondo, più bello insomma, ti fa maturare di più. Non vuol dire essere sempre e solo madre. Per esempio, per me personalmente a volte è più imparare a fare la figlia che la madre, anche un po' per il mio carattere, cioè a dire "mi faccio accogliere dall'altra anche nella mia fragilità, nel mio dire : adesso portatemi voi perché io ho un momento che non ce la faccio". E' bello vivere queste due cose, maternità ma anche dire "adesso siate voi madri per me perché ho bisogno che voi mi aiutate a trovare un po' la vita che dentro in questo momento magari fatica". La chiamerei questa "fecondità di vita" che come diceva anche Donata, non è solo biologica, assolutamente. Forse l'ultima cosa: per esempio, anche venendo qua, noi abbiamo fatto esperienza di una coppia che ha addirittura perso un figlio, quindi, se vuoi, un'esperienza di maternità e paternità interrotta bruscamente, e che loro vivono in modo drammatico, ma che non li ha fatti chiudere a una paternità e a una maternità. Per noi loro sono come degli altri genitori, non solo con noi, hanno un sacco di relazioni. Loro si prendono cura, si può dire che loro sono padre e madre. Ripeto pur avendo la loro generazione biologica interrotta, era un figlio unico ed è morto, eppure loro cose che noi diciamo in punta di piedi e a loro lo facciamo sentire perché queste sono ferite della vita che non puoi andare a dirgli "non ti preoccupare, perché adesso sei mio padre e mia madre", è estremamente delicato, però di fatto loro vivono una maternità e una paternità, pur senza avere un figlio, che è veramente bella, che dà veramente tanta vita."
LORENZA: "Ci accomuna un po' questa riflessione, magari le sfaccettature e i punti di partenza sono magari differenti. In questo periodo mio personale di vita mi trovo a riflettere più sulla componente di "sororità" che di "maternità", nonostante il concetto di cura anche per me è molto importante soprattutto nella vita di comune ma penso anche nella vita di chiunque, però non lo vedo strettamente connesso al termine maternità. Si può avere molta cura anche semplicemente vivendo una sororità; maternità, un po' come diceva anche Donata, è questo generare vita ma generare vita non solo biologica; quindi anche quando tu facevi la domanda su persone laiche che decidono di non aver figli, sì, ecco è assolutamente possibile e anzi può essere anche uno stimolo di riflessione profonda, non solo consolatoria, anche per quelle persone, quelle donne che pensano che una realizzazione ci sia soltanto nella maternità. Ci può essere realizzazione dell'essere donna anche generando vita a livello lavorativo, a livello di pensiero anche politico, o di pensiero sociale. Mi trovavo anche a riflettere per quanto riguarda il nostro specifico stato di vita di "celibi" [nubili], noi viviamo un vuoto di un determinato tipo: questo vuoto purtroppo a livello religioso di solito è stato riempito soprattutto per noi donne, noi non eravamo sposate però eravamo le spose di Cristo. Siamo tuttora nella concezione attuale, anche nella comprensione popolare: "Tu sei la sposa di Cristo". No, se io ho fatto un certo tipo di scelta, se ho deciso di non sposarmi non vedo perché proprio Gesù Cristo deve per forza venire la rispetto più di tanti altri, quindi è un vuoto positivo, non negativo, un vuoto che non necessariamente deve essere riempito con le classiche frasi "ecco, tu ottieni un "di più", se scegli la vita per il Signore, otterrai un premio già adesso". No, perché questo ti mette nella condizione di quello che dicevamo anche prima, che allora c'è un di un "di più" rispetto a chi questo tipo di scelta di vita non l'ha fatta. Se davvero vogliamo essere onesti e quindi considerarci tutti sullo stesso piano, ma lo stesso piano di ricchezza a cui Dio ci chiama, forse anche noi che scegliamo un tipo di vita celibataria dovremmo conservarlo questo vuoto, un vuoto che non bisogna per forza riempire né con il "di più", né con il dire "in quanto sposa di Cristo hai scelto lo sposo migliore". Se tu mantieni questo vuoto, forse - penso - sei chiamato innanzitutto a riconoscere che sei in cammino, tu hai scelto di vivere un amore altro che ti porta a vivere l'amore in maniera diversa dall'amore coniugato e d'alta parte ti porta anche - custodendo un po' questo vuoto - a riconoscere la ricchezza che altri tipi d'amore possono comunicare, dalla ricchezza di un amore di coppia eterosessuale ma anche omosessuale. Tutti viviamo delle sfaccettature di quell'amore incomprensibile che è quello di Dio. Se noi davvero viviamo questo vuoto senza doverlo riempire con il "di più" forse saremo anche più in grado di ascoltare altri tipi di amore che ci possono comunicare tanta ricchezza. Mi piaceva riflettere un po' anche su questo anche nei termini di quel vuoto, che per noi cristiani rimane incomprensibile, che è il vuoto della tomba nel momento della morte di Gesù che però richiama una resurrezione. Se vogliamo credere alla resurrezione dobbiamo credere che quella tomba sia vuota, se vuoi credere ad un amore diverso devi credere che quel vuoto ti rimane dentro in quanto scelta di vita celibataria. Non puoi riempirlo, surrogarlo con altri tipi di amore, sublimando l'amore per Dio. Rimane un amore per Dio ma non è sublimato. E quindi un vuoto che rimane positivo, una tomba vuota che ti apre alla resurrezione, non una tomba vuota, quindi un vuoto su cui deprimersi, ma è chiamato a vita."
LAURA: "Che poi è anche un vuoto, mi veniva in mente mentre parlavi è anche un vuoto che ti rende attenta ad altri vuoti. Il fatto di non avere figli, tu puoi vivere - come dicevo - per una fecondità di vita, però è vero quello che diceva Lorenza, rimane questo vuoto del dire "io non ho un figlio mio, non ho un figlio biologico" e questo ti rende attenta ai vuoti che magari vivono altre persone, ti rende recettiva, perché se tu sei sempre piena come puoi capire; se tu non hai mai sentito la fame come puoi capire che l'altro ha fame? Gli puoi dire "sopporta la fame" però tu sei piena Se invece questo vuoto lo guardi in faccia in modo serio, bello come diceva lei, non per piangerti addosso, vivendo il tuo essere donna con questo vuoto, sapendo che c'è anche questa traccia di vuoto, sei più attenta al vuoto dell'altro, ti sintonizzi più facilmente."
LORENZA: "Forse puoi dire una parola più credibile a un laico. Perché poi, alla fin fine, ciascuno di noi, uomo o donna, dovrà fare i conti con un vuoto dentro, che si porterà dentro, nella solitudine profonda che vivremo anche nell'ultimo atto della nostra vita. Saremo chiamati tutti a vivere questa dimensione di vuoto, di solitudine. Forse in questo senso può essere una vita profetica nel senso che può dire qualcosa, come per noi celibi l'amore di vita coniugale può dirci qualcosa dell'amore di Dio, noi in questo senso possiamo dire qualcosa di quello che stiamo vivendo noi in quanto amore. Non è che con la morte finisce tutto ma c'è un tipo di relazione, quindi un amore più grande che trascende qualsiasi vuoto, qualsiasi solitudine e qualsiasi morte."
NICOLETTA: "Mia mamma diceva sempre la prossima volta che nasco invece di mettere al mondo dei figli, di badare al marito e così, farò la suora, diceva bene?"
LAURA: "Sì, perché c'è un po' questa idea nella nostra mente, nella mente comune, di dire "la suora si occupa di Dio e non ha da fare con tutte le beghe con cui una povera donna di famiglia" poi in realtà noi potremmo dire "quello che accomuna la tua mamma a noi, te, Gioia e per tutte noi è proprio il fatto di essere donne", di essere donne che cercano di vivere la loro femminilità costruendola giorno per giorno, negli incontri, nelle relazioni per quello che la vita gli mette davanti dal cucinare a stare dietro alla casa, al fare in modo che quelli che arrivano stiano bene, si sentano accolti, all'essere ascoltati perché non c'è solo il darsi ma c'è anche l'imparare a crescere ascoltando noi stesse e cercando che l'altro ci ascolti. Di fatto suore, madri di famiglia, la fatica, lavoro, la fatica è comune. Certo è significativa la battuta della tua mamma perché ancora adesso c'è un po' questo immaginario della suora che si occupa di cose altre, invece non è così, è una comune umanità, una comune femminilità quella che vive in queste forme diverse di vita. Quello che sarebbe sempre più bello, non solo uomini e donne, ma anche sempre di più ascoltarsi religiose, laiche, credenti, non credenti, perché dalla relazione viene la ricchezza più grande. Questo è di fatto il messaggio della Parola di Dio, però il messaggio direi dell'Umanità."]]>soggetto cura responsabilità maternità scelta desiderio soggetto donna comunità accoglienza maternità femminilità religione parità di genere Bibbia femminismo gerarchia ecclesiastica religione omosessualità Chiesa Battista amore Bibbia tabù religione Concilio Vaticano Secondo gerarchia ecclesiastica femminilità parità di genere laicità fondamentalismo stereotipi Chiesa cattolica religione desiderio scelta maternità responsabilità cura