Chiara: "Penso di avere le energie per fare qualcosa più di un figlio"
Vienna 2018 nov. 30 Archivio Vivo Lunàdigas MPEG colorato sonoro
Il lavoro start 00:08:10end 00:16:08 Chiara parla della sua esperienza di ricercatrice come scelta lavorativa e sociale che non combacia con le possibilità offerte dalle istituzioni né con la sua vocazione a dedicarsi agli altri.trascrizione CHIARA: "Appunto una delle motivazioni per cui forse deciderò di essere una Lunàdiga è anche il fatto che come principio in questo mondo la mia vita è dedicata a cercare di lasciare in questo mondo qualcosa che faccia diventare questo mondo un poco migliore. In parte anche penso di avere le energie per fare qualcosa di più di un figlio. Penso di avere le energie per effettivamente lottare su alcuni temi che mi stanno a cuore e avere un impatto che possa influenzare magari migliaia o milioni di persone, mentre se tutte o molte delle mie energie devono concentrarsi su una persona sola o dei figli, in qualche modo mi sento anche in colpa verso questa mia vocazione.
Dopo questa mia iniziale carriera come scienziata, in realtà mi sono resa conto che la mia vera passione è cercare di portare un impatto positivo nel mondo e quindi mi piacerebbe proprio cercare di sfruttare un po' le mie skills, quello che so, quello che ho imparato come scienziata, per fare questo. Perché mi sono resa conto che l'accademia per me era un po' troppo stretta, mi sono resa conto che l'impatto che potevo avere con il mio lavoro da accademica non era quello che vorrei avere e quindi mi piacerebbe più lavorare in temi come l'educazione, l'educazione della scienza, oppure per esempio l'acqua, che è un tema molto importante e che sarà sempre più importante con i cambiamenti climatici, e mi piacerebbe lavorare, per esempio, nella depurazione delle acque o nel monitoraggio della qualità delle acque, soprattutto in quei paesi dove il problema è molto più forte che qui.
Quindi mi piacerebbe molto dedicare la mia vita a un impegno forte che abbia un impatto su molte persone, e la maternità ho anche la paura che mi porti via da questo impegno, ho paura che sia una scelta in qualche modo egoista, che dedicandomi a una o poche persone, mi porti via energie da poter usare per avere un impatto molto più forte su, in realtà, più persone nel mondo.
Quindi mi sembra proprio un gesto egoistico e penso: "cavolo, se io scelgo una persona sola o due, significa che non potrò impegnarmi nello stesso modo per cercare di raggiungere gli obiettivi che voglio e per, effettivamente, far sì che questo mondo sia un pochino migliore quando me ne andrò.
In questi anni come dottoranda nell'accademia, mi sono resa conto anche delle forti problematiche che ci sono ancora nel rapporto tra la maternità e fare questo lavoro, effettivamente. Immagino che questo sia un problema che non è solo nell'accademia ma anche in tutti i lavori in cui c'è un alto grado di competitività, perché i posti sono pochi, i soldi sono pochi e le persone che lo vogliono fare sono di più. Quindi c'è veramente altissima competizione. Quindi in questi anni mi sono resa che conto che il rapporto della maternità con l'accademia è proprio un problema ancora molto aperto, perché le donne che decidono di fare questa scelta della maternità... c'è quasi una scelta nell'essere Lunàdigas in parte forzata se si vuole fare questa scelta di carriera. Mi sono resa conto in questi anni, facendo il mio dottorato qui a Vienna, che il problema del rapporto tra la maternità e il lavorare come ricercatori nell'accademia, all'università, è ancora molto aperto ed è ancora veramente molto in discussione. Il motivo è che è un ambiente molto competitivo, come possono essere forse altri ambienti di lavoro, ambiente molto competitivo in cui i posti sono pochi, i soldi sono pochi e le persone sono di più di questi posti. E quindi le donne spesso forse si trovano a dover fare questa scelta forzata di essere o meno Lunàdigas e questo è perché - diciamo - le donne che si ritrovano a fare questa scelta di maternità, ma vogliono anche continuare a portare avanti le loro passioni, e quindi fare questo lavoro, devono trovarsi ogni giorno, continuamente e costantemente, a dimostrare che il loro essere donna, e anche soltanto la funzione biologica di dover andare in ospedale per partorire, in nessun modo ha un'influenza sul loro lavoro.
Quindi ci si trova in delle situazioni assurde in cui se c'è un meeting tra group leaders, tra ricercatori, se uno si è rotto una gamba o ha la febbre non è un problema, ma se tu hai partorito ieri l'altro... ci sono sempre queste storie di donne che ce l'hanno fatta, che sono diventate, nonostante la maternità, professoresse che raccontano queste storie di eroine e di sofferenza in cui loro, due giorni dopo aver partorito, ancora con il figlio addosso, attaccato al cordone ombelicale... legato... non lo so... vengono a queste riunioni e subito sono di nuovo a lavorare perché devi dimostrare che il fatto di essere donna, e anche soltanto la parte biologica della maternità, non ti rende in alcun modo differente. Quindi c'è proprio questa contraddizione, in cui si va verso l'uguaglianza, ma non è veramente inclusione, perché bisogna tener conto anche che nel periodo di carriera all'interno dell'accademia in cui una donna, in cui tutti, devono dare, sono proprio nel momento dello sprint, perché devono dare il massimo per riuscire a trovare una posizione fissa, perché questo nell'accademia succede molto tardi, tra i trenta e i quaranta, è anche il momento in cui uno decide o meno se fare figli.
Quindi si va verso un'uguaglianza solo teorica, perché nella pratica forse dovrebbe esserci proprio invece una maggiore possibilità, forse un avanzamento di carriera pensato qualche anno prima forse per le donne, perché molte si ritrovano a fare questa scelta e decidere di lasciare l'accademia perché pensano che non sia possibile unire questi due ruoli, di madre e ricercatrice.
Nonostante ci siano anche gli uomini dall'altra parte, questo non è mai un problema, nel senso che gli uomini ricercatori magari hanno la moglie a casa con i figli che gli prepara il pranzo, eccetera. Una volta abbiamo fatto un simposio di discussione sulle donne nella scienza e mi ha colpito molto quello che ha detto una ragazza, che ha detto: "si pensa sempre alle forme di discriminazione che si vedono, ma in realtà c'è anche un gender gap, c'è anche una forma di discriminazione nascosta, che è il fatto che i miei colleghi hanno la moglie a casa con i figli che gli fa il pranzo, pulisce la casa, eccetera e io devo fare tutte queste cose da sola".
Io sono io e, oltre a essere scienziata, devo anche pensare a me stessa e molti dei miei colleghi non lo fanno perché hanno qualcun altro che pensa a loro, quindi per loro la carriera è più facile, perché hanno più tempo, effettivamente, per potersi dedicare completamente alla scienza.
Questo è quello che viene richiesto agli scienziati. Siccome è così competitivo, ti viene richiesto che tu viva solo per quello, ti viene richiesto che quella sia la tua massima aspirazione, la tua unica passione. Avere altre cose che ti interessano non è ben visto, perché è proprio richiesto questo spirito di sacrificio, quasi di vocazione sacra.
Infatti, tutti gli scienziati che vengono intervistati e gli viene chiesto com'è che hanno deciso di essere scienziati, s'inventano e si autoconvincono di queste storie di vocazione che avevano fin da quando erano bambini e nessuno dice mai "ho deciso perché mi piaceva quando avevo vent'anni". Tutti dicono "quando avevo tre anni già guardavo le stelle". Ci vuole proprio questo senso di abnegazione totale e ti convincono proprio che c'è la necessità di lasciar perdere tutto il resto.
Quindi è ancora veramente un grosso problema e uno dei motivi principali per cui le donne dicono "io lascio l'accademia, perché qui non posso fare figli".
English version:
CHIARA: Precisely, one of the reasons why I may decide to be a Lunàdiga, is that as a matter of principle in this world
I want to dedicate my life to trying and leave something that would make this world a slightly better place.
Partly, I think I have the energy to do something more than a child. I think I have the energy to fight on some issues close to my heart, and have an impact on maybe thousands, or even a million people.
Whereas if all of my energies or most of my energies have to be focused on one person only or on children, somehow I also feel guilty toward this vocation of mine. After my initial career as a scientist, I actually realized that my real passion is to try to make a positive impact on this world. So, I would really like to try to exploit my skills, what I know, what I've learned as a scientist to do that. I realised the academic world was a little too tight for me. I realised that the impact I could make with my work as an academic was not what I had in mind. And so I would like to work more with issues like science vocations, or for example water, which is a very important issue and that will be more and more because of climate change. I would like to work, for example, in water purification or water quality monitoring, especially in those countries where the problem is much stronger than here.
So, I'd really like to dedicate my life to a strong commitment that has an impact on many people.
And I fear motherhood could be an obstacle towards this commitment, I fear it may be a selfish choice to dedicate myself to one or just a few people.
This could take away energies I could use to have a stronger impact on actually more people in the world.
So, it seems to me just a selfish gesture, and I think: "If I choose just one person or two, it means that I won't be able to commit myself in the same way to try and achieve my goals to actually make this world a slightly better place when I leave.
As a doctoral student in the Academia, I have also realised the strong issues that there are still present
in the relationship between motherhood and actually doing this work.
I imagine that his is a problem is not limited to the academic world, but also in other highly competitive jobs,
where there are few places, money is tight, and people who want to do it are more, so the competition is fierce.
So, I've realised that the relationship between motherhood to academia is really still a very open issue,
because women who decide to make this choice of motherhood... Somehow, being Lunàdigas is partly a forced choice if you want to make this career. I've realised over these years, doing my doctorate here in Vienna, that the problem with being a mother and working as a researcher it is still very much an open debate.
The reason is that it's a very competitive environment, as other work environments can be, very competitive because there are few positions, money is tight, and the applications exceed the positions available.
So, women often find themselves having to make this forced choice to be or not to be Lunàdigas,
and this is because women who choose motherhood, but also want to pursue their passions, and do this profession,
find themselves constantly proving that their being a woman, even the very biological function
of having to go to the hospital to give birth, in no way has an impact on their work.
So you find yourself in absurd situations where if there's a meeting with group leaders and researchers,
if one has a broken leg or has fever, it's not a problem, but if you just gave birth...
You hear these stories of women who have made it, who in spite of becoming mothers, they have become professors,
who tell these stories of heroines and suffering, where two days after giving birth,
still with their child on, attached, with the umbilical cord, they come to these meetings and immediately they are back to work because you has to prove that being a woman and even just the biological part of motherhood,
doesn't make you different in any way.
So, there's this contradiction where we are moving toward equality but it's not really inclusion, because you have to take into account that to start an academic career, where for a woman or anybody it is the most demanding time as they have to give their best to be able to find a permanent position, which in Academia happens very late, between 30 and 40, it's also the time when one decides whether to have children.
Basically, we go toward equality only theoretically, because in practice maybe there should be instead a greater possibility, maybe an earlier career advancement for women.
Many find themselves making this choice and deciding to leave the academy, because they think it is not possible to combine these two roles of mother and researcher.
Although there are also men on the other side, this is never a problem. I mean, male researchers maybe have their wives at home with their children making them lunch and so on.
We once had a discussion symposium on women in science, and I was really struck by what one girl said: "You always think about the forms of discrimination that you see, but in fact there is also a gender gap,
there is also a hidden form of discrimination as my male colleagues have their wives at home with their children,
making lunch, cleaning the house, and so on". I have to do all these things by myself. I am just me, and besides being a scientist I also have to think about myself. Many of my colleagues don't, as someone else think about them, so it's easier for them to have a career because they do have more time to devote themselves fully to science. That's what's required of scientists.
Since it's so competitive, you're required to live just for that. That must be your highest aspiration, your only passion. Having other things that you're interested in is frowned upon, because what's required is this spirit of sacrifice, almost of sacred vocation. In fact, all the scientists who are interviewed, when asked how they decided to become scientists, they convince themselves of these stories of vocation they had since they were children, and no one ever says: "I decided as I liked it when I was 20." They all say: "At the age of three, I was already looking at the stars."
It really takes this sense of total self-denial, and they really convince you you need to let everything else go.
So, it's still really a big problem, and one of the main reasons why women say: "I'm leaving the Academia, as I can't have children here."soggetto gender gap sacrificio altruismo lavoro egoismo carriera