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Afra racconta la sua scelta di non avere figli e il suo rapporto con l’argomento da donna e da medico. Riflette sull’istinto materno e su come la sua realizzazione possa cambiare la vita e il carattere di una donna.

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Ecco la trascrizione completa del video:

AFRA: «Purtroppo è un argomento molto trascurato, se ne parla molto poco; finora per lo meno si è parlato molto poco della condizione delle donne senza figli. Delle donne senza figli che tra l’altro non sono più in un’età che permetta loro di, per questione di orologio biologico, avere figli.
Non so perché, probabilmente sarebbe da capire anche bene il motivo per cui questo argomento è così trascurato. Ne sto parlando, ultimamente mi è capitato di parlarne nell’ambito del collettivo femminista che frequento in cui è venuto fuori proprio questo argomento delle donne senza figli e del loro modo comunque di vivere la maternità in forme diverse. Però credo che senza un impegno e una decisione proprio soggettiva di chi vive questa condizione, tendenzialmente questo sarà ancora un argomento poco trattato, poco approfondito.
Verosimilmente è un argomento tabù perché è un fatto atipico, perché probabilmente crea dei problemi di comprensione da parte degli altri la realtà di una donna che ha deciso di non avere figli, perché si dà per scontato che una donna si senta realizzata solo se ha avuto figli, per cui una donna che non ha avuto figli è una donna per certi versi fallita, non realizzata e quindi c’è probabilmente anche un certo pudore nel trattare questo argomento. Sia da parte degli altri, del resto del mondo, sia probabilmente da parte delle donne stesse.

Mi è capitato diverse volte di avere amiche che erano così entusiaste della loro magari situazione di mamme neofite da chiedermi come mai non mi interessasse vivere questa esperienza. E poi addirittura una cosa che ritengo abbastanza singolare: ho subito quasi delle vere e proprie pressioni psicologiche da mia madre, che è una donna molto intelligente, molto emancipata, che addirittura era arrivata a dirmi: “non perdere l’esperienza della maternità, se non vuoi un marito fatti un figlio che magari te lo tengo io”. Lei era arrivata, mia madre, a proporsi come baby sitter pur di convincermi, pur di indurmi a non perdere l’esperienza della maternità. Però sono stata sorda anche a questi richiami.
Se ci sia una vera ragione, una sola ragione? Io so che praticamente io ho sentito, ho capito e sostanzialmente non deciso ma preso atto di questa mia decisone quasi karmica, quasi nata con me, di non avere figli. Un episodio: durante la mia adolescenza, intorno ai 16 anni circa, siccome avevo fatto delle analisi tra cui dei dosaggi ormonali, risultò che il ginecologo che guardò i dosaggi ormonali mi disse che avevo dei problemi e che verosimilmente io, in quella situazione, non avrei potuto avere… portare a termine una gravidanza. Mi diede una cura. Bene, io non feci mai quella cura. Dissi a mia madre che era andata in farmacia a comprarmi i farmaci che stavo prendendo le medicine, ma non le presi mai, considerando una bella notizia il fatto che io non avrei potuto avere figli, come se in qualche modo la natura mi avesse graziato. E poi feci successivamente degli altri dosaggi ormonali e la situazione si era spontaneamente corretta, quindi superata quella fase io avrei potuto avere dei figli ma non ne ebbi comunque. Quindi a quel punto era diventata realmente una scelta, non una semplice accettazione di una situazione.
Un’esperienza che per me probabilmente è stata fondamentale o che comunque ha contribuito a consolidare in me questa decisione: io sono medico e prima della laurea, intorno ai 23 anni così, feci, come tutti gli studenti di medicina di allora, il tirocinio pre-laurea nel reparto di ostetricia e ginecologia. Per me ogni ingresso in sala parto era traumatico. La scena del parto per me era di una… così truculenta, così violenta che veramente ogni volta che la vedevo pensavo: “a me questa esperienza non mi riguarda, questa cosa non mi riguarda, non fa parte della mia vita”. Poi non so, probabilmente sono sempre stata molto sensibile alle problematiche femminili, alle sofferenze femminili. E mi ha sempre toccato il vedere per esempio le donne indaffarate, con tanti figli, stressate, distrutte, devastate dallo stress, dalla fatica; ho sempre pensato appunto che la maternità fosse sì un privilegio, ma forse anche un’ingiustizia per le donne.

La mia relazione con le donne che hanno figli? Ovviamente sono circondata da donne che hanno figli, ma devo dire anche una cosa: man mano che le mie amiche, quelle più strette, quelle con cui ho condiviso per esempio gli anni della prima giovinezza, l’università eccetera, man mano che ognuna di loro diventava madre, il vedere il loro cambiamento non ha fatto altro che rafforzare la mia decisione, la mia decisione di non avere figli. Devo dire che mi infastidiva parecchio magari andare a trovare delle amiche con le quali ci eravamo fatte in passato delle lunghissime conversazioni, vedere che magari dovevano interrompere ogni cinque minuti perché il bambino si metteva a piangere, perché il bambino era da cambiare… mi sembravano snaturate, non erano più loro, come se la maternità avesse, in qualche modo, cambiato la loro identità. Come se la biologia avesse scalzato tutto quello che era il loro bagaglio culturale, tutto quello che era il loro modo di essere nella società, nel mondo. A quel punto si vedeva soltanto proprio l’aspetto biologico della necessità, chiaramente, di badare a questa vita di cui si era responsabili. Se vogliamo, appunto, bella ma che in realtà privava loro, e forse un po’ egoisticamente anche me, come loro amica, di tutta una serie di cose che per me erano state piacevoli.
C’è anche, ogni tanto ho avuto qualche piccolo raptus di invidia nei confronti delle madri, delle donne con figli, delle madri. Quello che ho un po’ invidiato a volte è il fatto che essere madre ti permette di utilizzare una potenzialità.
La donna ha la potenzialità di procreare: se diventa madre la utilizza, se non diventa madre questa potenzialità rimane una potenzialità. E poi il fatto che comunque la maternità un po’ legittima le scelte, tutte le scelte che riguardano la vita privata. Una madre è legittimata a rifiutare il suo impegno su altri versanti, o perlomeno a limitarlo, una donna senza figli deve assumersi, al 100%, la totale responsabilità della propria partecipazione o della propria non partecipazione: “non faccio questa cosa perché non ho voglia di farla, non mi interessa farla”, una madre può dire: “non lo faccio perché non me lo posso permettere, perché i miei impegni di madre me lo impediscono”. E questo a volte mi ha un po’ urtato da parte delle madri. L’ho visto a volte un po’ come un alibi, un modo per nascondere, per camuffare la propria voglia di chiudersi nel privato.

Cos’è l’istinto materno? Non lo so se esiste veramente, non lo so se esiste veramente perché verosimilmente è proprio qualcosa di non razionale, che nasce proprio dalla biologia, dagli ormoni insomma: è proprio il desiderio di utilizzare questa potenzialità, la potenzialità che il proprio corpo ha di creare, di produrre una nuova vita. Anche qui secondo me ci sono molte mistificazioni. A me è capitato per esempio di sentire delle mie amiche che magari avevano un semplice ritardo mestruale che erano già con gli occhi luccicanti, contente, e già in una dimensione di maternità e poi non erano incinte. Quindi mi chiedo quanto l’istinto materno sia una cosa reale o sia un prodotto culturale, sovrastrutturale.
Però è vero anche che in seguito io, analizzando una serie di miei comportamenti nei confronti degli altri, mi sono resa conto che forse l’istinto materno è anche quella spinta, appunto non razionale, a occuparsi di chi è più debole, di chi è più fragile, che hanno anche le donne senza figli o anche io e verosimilmente – e questo forse è un aspetto negativo del non aver avuto figli – non avendolo potuto incanalare attraverso quelli che sono i canali naturali di questo, chiamiamolo istinto – continuiamo a chiamarlo istinto tra virgolette – e quindi verso i miei figli, mi sono trovata molto spesso a spenderlo nei confronti degli altri, per esempio nel mio lavoro di medico con i pazienti, investendo forse troppo della mia emotività, del mio impegno, della mia carica affettiva verso obiettivi che erano diversi da quelli naturali.
Tra l’altro è una cosa anche bella, perché insomma in realtà si può essere madri in tanti modi, si può essere madre anche non dei propri figli biologici però bisogna anche saper dosare questa propria spinta a dare e forse il non avere vissuto l’esperienza della maternità biologica rende più difficile dosare questa cosa, cioè calibrare questa spinta.

Questo documentario potrebbe chiamarsi rami secchi e va beh, che la donna senza figli sia un ramo secco è un concetto comune. Questo del ramo secco mi ricordo che lo diceva una mia zia che diceva: “una donna senza figli è un ramo secco”. Un’immagine tristissima. No, non mi piace questa definizione perché comunque ancora una volta è una definizione che sottende un concetto della donna come sola fattrice. Mentre sono tanti i modi con cui si può creare, si può creare, si può dare vita anche nel senso proprio di sostenere la vita degli altri. Si può comunque lasciare qualcosa al mondo, anche se non si lascia un figlio.

Devo dire che quando ho superato i 50 anni ho dovuto per forza fare i conti con questa mia realtà di donna senza figli e ho fatto anche un bilancio di quelli che sono i risultati di questa mia scelta e mi sono resa conto che le cose più belle della mia vita, del mio percorso personale verosimilmente se avessi avuto dei figli non le avrei potute vivere. Quindi un bilancio positivo, non mi pento di questa mia scelta. Rimane però il fatto, appunto, del non essere rami secchi, cioè di volere dare comunque qualcosa, del voler comunque creare qualcosa che sia vita in ogni caso. Devo dire che da questo punto di vista mi ha aiutato molto la mia pratica buddista con l’acquisizione del concetto di compassione. Compassione è la capacità di essere tutt’uno con la sofferenza altrui che è qualcosa che si avvicina molto alla maternità, quindi diciamo che per me è stato un modo, uno strumento che mi ha permesso comunque di non sentirmi un ramo secco. Devo dire che quel bisogno di prendersi un po’ cura degli altri quotidianamente, anche nel dare da mangiare, nell’accudire qualche essere vivente… io ho tre cani, mi fa un po’ sorridere dirlo perché appunto un mio caro amico dice che proprio i tre cani sono il logo della donna single. E può darsi. Può darsi però devo dire che mi fa piacere, mi fa piacere anche avere qualcosa, qualcuno di cui preoccuparmi, qualcuno per cui a volte per esempio stare un po’ in apprensione. Senza esagerare. Cioè tra l’altro, dall’ansia che mi viene per esempio quando sospetto che qualche mio cane sia malato, mi rendo conto che probabilmente se fossi stata una madre, sarei stata una madre di quelle ansiose, iperprotettive assolutamente pessima, quindi va bene così. Non è una cosa triste, non è una cosa malinconica, sono comunque delle vite, delle vite che mi affiancano e che comunque movimentano un po’ la mia casa che sennò sarebbe troppo silenziosa.

Io ritengo che le donne senza figli siano in genere abbastanza riconoscibili: per esempio in un gruppo di donne dove alcune hanno figli e alcune no, le donne senza figli, secondo me, si distinguono spesso per la tendenza a essere più protettive, a preoccuparsi di più di malesseri, di problemi degli altri, delle amiche. Perlomeno nella mia esperienza, se io incontro delle persone, delle amiche e dico di stare male, chi magari vuole approfondire e capire meglio il mio malessere è quasi sempre una donna senza figli. Poi un’altra cosa che caratterizza in genere le donne senza figli è che hanno una vita meno organizzata: anche quelle che lavorano, che comunque sono delle persone che fanno una vita ordinata, hanno un margine di caos, di improvvisazione nella loro vita; hanno una vita un po’ più creativa, mentre le donne con figli, per forza di cose, hanno una vita sempre ultra programmata. Se oltre che madri sono anche lavoratrici poi hanno una vita estremamente, rigorosamente programmata, cosa che le donne senza figli non hanno e quindi è più facile che per esempio possano dare alle loro giornate una svolta non programmata, diversa dal previsto; possano seguire più facilmente un loro desiderio che sorge anche improvvisamente. Hanno un modo di organizzarsi la vita e quindi di porsi nei confronti degli altri forse più creativo, le donne senza figli.»

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