Nella primavera del 2015, l’Associazione Orlando di Bologna, associazione femminista di promozione sociale, invita Lunàdigas per riflettere in forma di cerchio sui diritti riproduttivi nell’Italia contemporanea e sulla necessità di legittimare la posizione delle donne senza figli.
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Ecco la trascrizione completa del video:
GIULIA: «Quando abbiamo letto del progetto Lunàdigas si è sentita subito l’esigenza di portare a Bologna questo progetto perché è un tema fondamentale di cui si sentiva l’esigenza di affrontare insieme ma in maniera sicuramente il più possibile trasversale, che poi rappresenta anche l’approccio che Lunàdigas sta portando avanti nel suo percorso.»
FRANCA: «Io sono qua e sono estremamente grata alle Lunàdigas, che trovo abbiano intrapreso un percorso estremamente utile perché molto di rado si ha occasione di parlare sulle scelte di non maternità, e siccome per me è una scelta fortemente radicata, avere l’occasione soprattutto di dar voce a questa scelta mi sembra assolutamente apprezzabile per cui vengo qua per condividere i miei argomenti con le altre perché spesso, pur all’interno di ambienti femministi, che io transito da anni e anni, non è un argomento che scivola facilmente ma che trova delle resistenze perché a volte si pensa che necessariamente quando una esprime gli argomenti… io ho sempre molto piacere di parlarne, anche perché tutte le volte che chiedo ad una mia amica, una compagna il perché fa una scelta di maternità non ho mai una risposta, quindi ritengo che abbia senso parlarne. Tra l’altro io ho una storia anche particolare, nel senso che ho due sorelle, noi siamo tre sorelle e tutte e tre abbiamo fatto una scelta di non maternità con argomenti di vario tipo per cui sono molto felice che siate qua e vi incito ad essere sempre più sfacciate e sempre più esplicite su questo argomento e a raccogliere le voci delle donne perché sono numerose e vale la pena ascoltarle.»
ELIA: «Effettivamente anch’io trovo che ci sia una ricchezza nelle narrazioni delle scelte non riproduttive che non riesco a ritrovare nelle narrazioni delle scelte riproduttive. Adesso non so se sono io che ho questo pregiudizio per cui non mi arriva quel tipo di ragionamento che ti fa dire “sì” a quell’opzione di vita o se semplicemente in qualche modo questa, in parte anche necessità, di giustificare questo tipo di scelta biografica in realtà ti costringa in qualche modo a una maggiore riflessività sul tema che poi appunto ti fa produrre delle narrazioni in più, più complesse che non sono solo: “lo volevo, mi andava, ho sentito il bisogno, eccetera…”
E rispetto al progetto in particolare, niente, sono venuta perché mi incuriosiva anche proprio il metodo con cui l’avete costruito. Sì, mi incuriosiva questa narrazione appunto collettiva, aperta, ricorsiva, eccetera, che mi sembra anche – come dire – adatta al tipo di tema che si affronta, ecco adatta appunto a tenere insieme questa complessità di narrazione. Poi non lo so, io di mio – in realtà – forse ho sempre frequentato ambienti in cui in realtà la scelta non riproduttiva era più la norma che non l’eccezione, per cui questo ha sempre aumentato questo mio senso di estraneamento rispetto a quelle donne, compagne, amiche che invece facevano quel tipo di scelta, rispetto alla quale, nonostante i loro tentativi di spiegazione, diciamo non sono mai riuscita a capire fino in fondo. E quindi forse anche uno dei motivi per cui sono qui stasera è ascoltare anche delle narrazioni che presumo di poter capire, con cui potermi relazionare, ecco.»
SHAKTI: «Io sono una studentessa. Arrivata qui a Bologna, mi si è aperto praticamente un mondo in quanto arrivo dalle campagne marchigiane, di conseguenza mi sono ritrovata a confrontarmi con tantissime tematiche che non avevo neanche mai sentito nominare. In particolare, questa: appena mi è stato proposto di partecipare a questo evento, ho avuto modo per la prima volta di ragionare veramente su questi temi, e sono molto incuriosita da quello che vedrò e sentirò questa sera. Devo ammettere di non avere avuto l’occasione di documentarmi particolarmente. So che per me è un argomento abbastanza tabù, in quanto, vengo da una famiglia numerosa. Ho tre sorelle. Mia madre nella sua vita ha scelto di dedicare la maggior parte della sua vita a noi, mentre ora che ha una certa età, comincia a dedicarsi ad altre cose che ha. Non lo so, la vedo come se le avesse scelte di più, con più consapevolezza, però allo stesso tempo vedo che non potrebbe vivere senza di noi e mi è venuto da proporle questo argomento, dopo aver ricevuto questo invito. Lei è tedesca e mi ha raccontato – io le stavo parlando di come magari dal mio punto di vista una donna che sceglie appunto di non riprodursi, di non avere figli, possa essere oggetto di tabù, possa essere oggetto di discriminazione da certi punti di vista, eccetera – e lei invece mi parlava di come dal suo punto di vista arrivare in Italia le avesse fatto… cioè si era sentita bene arrivando qui, circa quarant’anni fa, con una bambina piccola e di come in Italia fosse vista bene questa maternità, era bello essere madre, era lo scopo della vita, mentre dal suo punto di vista, nel suo crescere in Germania si era sentita come se una donna non fosse realizzata se non attraverso la scelta lavorativa piuttosto che quella familiare, quindi mi ha fatto un po’… poi è ovvio ci sono trascorsi, la storia di una vita intera, il punto di vista eccetera, quindi non so effettivamente come fosse la Germania del tempo, come sia la Germania di ora, però questa cosa mi ha incuriosito perché avevo subito la mia storia familiare, il punto di vista di mia madre, e però mi mancava qualcosa dall’altra parte. Per questo sono venuta anche per vedere, per poter farmi io un’idea personale, in quanto, per ora, sono ancora un po’ giovane e un po’ che non ci sto neanche pensando, e quindi mi piacerebbe captare opinioni e cose del genere.»
GIOIA: «Il tema mi ha interessato molto perché è un tema tabù, non se ne parla mai; e quindi, come tutte le cose che… invece la maternità è un tema molto complesso. Ed è vero quello che hanno detto anche altre, che, in realtà, nessuno ti dice perché ha fatto dei figli. È comunque un tema che è difficile da esprimere, però dei punti sicuri, secondo me, ci sono.
La donna che non fa dei figli è vista come una persona strana, forse anche la pecora che non fa dei figli è lunatica, non so perché mi viene la parola lunatica, forse è collegato: sei strana, sei una donna mancante, ecco. E allora, di fronte a questa cosa, io non mi sono mai sentita strana, io ho scelto di non fare dei figli ma come me c’erano tantissime donne in quel periodo. Non so se anche adesso vale questo discorso… quindi io non mi sentivo anormale. Addirittura, come dicevo a Franca, a me m’ha sfiorato tardissimo, avevo talmente scelto a quattordici anni, credo, e la scelta era che non volevo fare la casalinga. Non so perché io, questo è un tema molto forte, non so perché la casalinga io la attaccavo e chiaramente la spinta a far della carriera, io riuscivo bene negli studi, dicevo: “perché io non devo lavorare come un uomo, guadagnare come un uomo, far carriera come un uomo?”
È chiaro che tutto quello oscurava… col senno di poi ho visto tante, tante donne che hanno fatto una splendida carriera e che hanno dei bellissimi figli; quindi, il discorso non torna poi tanto, però il fatto che ci fossero altre mie amiche che non hanno fatto dei figli e che incontro ancora, ripeto della mia generazione… e vi dico che il primo documento che io ho fatto con le donne, le prime femministe, il primo volantino che abbiamo fatto era sulla non maternità. È una cosa che a me colpì molto, quindi già ebbi subito questo impatto con pensieri che avevo fatto da sola: “non voglio fare la mamma, non voglio fare la casalinga”, e queste qui che anche loro discutevano. E discutevano perché la critica era “non è naturale fare dei figli”. Il fatto che io… solo a trentacinque anni vagamente mi è sfiorata l’idea che forse potevo fare un figlio, forse avevo censurato prima questo desiderio o non desiderio, non so neanche come definirlo… però mi ha fatto capire che non è poi tanto così naturale, non c’è una naturalità del desiderio di voler essere mamma. Io non sento mai nessuna che mi dice: “voglio un figlio per questo e per questo e per questo”. Càpita, oppure come vedo al cinema o alla televisione: “decidiamo di fare un figlio”. Cose molto banali, ecco. Su un tema così complesso c’è sempre banalità per questo è interessante il vostro lavoro, il vostro progetto, perché una si deve interrogare, insomma, sia sul perché non lo fai che… le motivazioni possono essere tantissime e la casualità di chi decide di fare un figlio… quindi secondo me interrogarsi fa solo bene, ecco; e soprattutto evitare questi giudizi che vengono dati.
Devo dire che io non ho mai sentito… non mi sono mai sentita menomata perché non ho fatto un figlio rispetto ad un’altra che ha dei figli, però sicuramente delle differenze ci sono, nella vita sociale, perché anche sul lavoro c’è la differenza!
Noi – mi ricordo – si chiamava la “sindrome di Cenerentola”: quando si faceva le riunioni – io lavoro in un ente pubblico – alle quattro e mezza le donne schizzavano via. Io che non avevo figli mi inventai che avevo una madre malata perché volevo schizzare via anche io, perché dopo rimanevo lì… per dirti che ci sono dei condizionamenti, anche se io mi sentivo tranquilla perché tante mie amiche non lo avevano fatto, però nelle circostanze poi pagavo il fatto che ero diversa dalle altre.
Oppure, se tu vedi, non so: non ti puoi azzardare a fare un giudizio su dei bambini che vengono educati male che ti dicono: “Tu non hai figli non lo sai”. Oppure l’altro aspetto, quello dell’invidia, alle volte sei anche invidiata, delle volte fai un po’ compassione, non so una che mi diceva: “ah, tu non sai, la cosa più bella del mondo è fare dei figli”. Io dicevo: “ma io ho viaggiato tanto!” mi difendevo, e il fatto che mi dovevo difendere, evidentemente non è tanto accettato. Nello stesso tempo venivo invidiata e venivo invidiata quando i figli sono in adolescenza, che danno dei problemi bestiali, quasi tutti, allora tutte mi dicono: “beata te che non hai dei figli, che non hai questi problemi”. Quindi è sempre duplice la cosa, è un aspetto di contraddizione che secondo me è interessante studiare. Ecco questo è un po’ quello che volevo lanciare, ecco.»
VALENTINA: «Allora, negli ultimi anni, soprattutto probabilmente per la facoltà che faccio cioè Antropologia, ho sviluppato un grandissimo interesse per tutte quelle tematiche che – parlo ovviamente della nostra cultura qui in Italia – vengono naturalizzate. Avere figli: mentre sentivo tutte le vostre testimonianze stavo pensando a quando ero bambina ed effettivamente per me era ovvio e scontato che una donna dovesse essere madre. Ed è assurdo questo. Come diceva giustamente la signora io penso che essere madre o non essere madre dovrebbe realmente essere una scelta personale, personale nel senso: non è questione di senso materno perché il senso materno che cosa è? Il senso materno a mia modesta opinione è semplicemente qualcosa che ci viene insegnato. A trent’anni è giusto essere madri perché si è donne, perché abbiamo un apparato riproduttivo che quindi dovrebbe portarci ad avere figlie, figli, le donne della cura? Quindi penso che tutto questo sia molto particolare ma anche per le varie prospettive che si impongono anche verso gli altri.
Volevo raccontarvi un aneddoto divertente: la mia famiglia mi vede come la pecora nera. Mia madre mi dice sempre: “Tu non avrai mai figli, a te i bambini non piacciono, tu farai tutta la vita a viaggiare, a fare carriera”. Invece mia sorella è il mio esatto opposto: sta studiando, è bravissima però lei pensa sempre ad avere dei figli, quello di cui parliamo sempre è come lei chiamerà i suoi bambini. Invece le mie amiche, al contrario, proprio qua ce ne è una, mi stavano dicendo che qualche sera fa stavano parlando di aneddoti divertenti della nostra vita universitaria da raccontare ai loro figli, poi parlando tra di loro si dicono: “no, no aspetta ma noi non avremo dei figli, vabbè li racconteremo ai figli di Vale”. Quindi vedete la differenza di prospettiva. In quale prospettiva una donna dovrebbe essere madre? Qual è il comportamento di base di una donna che è giusto abbia dei figli, oppure che non è giusto, non sarebbe una buona madre? Dipende dal fatto che non ti piacciono i bambini?
Io penso che tutta questa tematica sia un tabù: lo scegliere liberamente, una scelta non riproduttiva perché è un tabù? Perché è così naturalizzato che la donna è madre che è scontato ed è impensabile che una donna, anche a ventidue anni, dica “boh, io non lo so se voglio fare la mamma perché voglio fare talmente tanto altro che non lo so se dopo vorrò fare anche la mamma, magari no o magari sì”… e a me non sembra qualche cosa di così speciale o di così improbabile, è una scelta libera, semplice.
Quindi penso che tutte queste tematiche… e ringrazio voi per tutto quello che state facendo: perché ancora una volta si parla di qualche cosa che è naturalizzato e non dovrebbe esserlo, perché dovrebbe essere dettato semplicemente da una libera scelta ma la cultura, tutto quello che ci sta intorno è così pregnante… ci viene insegnato ad essere madri perché siamo donne che davvero io penso che tante tante ragazze anche molto molto giovani non si rendono conto di come non è naturale, non è normale voler fare la mamma: è una scelta, semplicemente.
Quindi grazie per quello che state facendo perché così potrete aprire gli occhi anche a tante altre persone su una libera scelta.»
EMILIA: «Io sono venuta qui di gran corsa quando ho scoperto l’esistenza di questa piattaforma, l’esistenza di questo progetto e la possibilità di incontrarci, di parlare di questo tema perché per la prima volta c’è un nome. Io credo molto nel fatto che il nome ci dia la possibilità di identificare un problema, una tematica, di metterla davanti agli occhi e credo che una delle conquiste, a mio avviso, più forti che questo progetto ha è che questo nome ha una risonanza, è un nome vero, è un nome che sentiamo, è un nome che ci dice immediatamente qualche cosa, un nome di cui sentivamo il bisogno, un nome di cui io sentivo il bisogno. Ne sentivo il bisogno senza sapere esattamente perché, perché io non ho ancora compiuto una scelta, quindi non so come andranno le cose e non riesco neanche ad immaginarlo. Da parte mia ho una madre che mi dice: “Qualunque tipo di scelta tu farai, io sarò accanto a te, sarò contenta, sarò soddisfatta, ti appoggerò”. Una madre che ha vissuto in pieno gli anni ’70 e gli anni ’80, una madre che mi sostiene, mi sta accanto e che quindi rimette a me interamente la libertà di compiere questa scelta. E questa cosa qui mi mette un’angoscia atroce.
Mi mette un’angoscia atroce perché da un lato ho come la sensazione di un compito, di dover dare compimento a quello che lei avrebbe magari voluto fare se solo alcune cose fossero andate diversamente, se solo avesse avuto più soldi, se solo non avesse vinto il concorso a scuola, se avesse insistito magari nel tentativo di una carriera universitaria, se solo non avesse avuto una madre sola che non poteva abbandonare, e quindi quando di corsa dalla Germania è dovuta tornare indietro, lì ha deciso poi di stabilizzarsi. Però quello che vedo è che lei avrebbe avuto anche la forza vera per fare una scelta del genere. Non l’ha fatto per una serie di contingenze che hanno reso molto più semplice e giusto per lei in quel momento fare queste cose qui. Io adesso ho la possibilità di fare davvero sinceramente e intimamente tutto… ho davanti tutte le possibilità e questa cosa qui mi fa sentire estremamente sola. Mi dà la sensazione di avere un peso, un macigno, un qualche cosa da realizzare e di non avere in realtà gli strumenti, di non poter mai fare una scelta adeguata a quello che magari lei si aspetterebbe che io facessi… perché intorno a me quelle che sono le mie compagne di classe, le persone con cui ho fatto le scuole, non sono mai andate via dalle loro città – io vengo dalla Sicilia, da Catania – , studiano tutte medicina, ingegneria, sono tutte fidanzate da dieci anni – ne abbiamo ventiquattro – , stanno già pensando alla casa, parlano di matrimonio. Succede questo. Sento un profondo senso di isolamento e l’dea che ci sia comunque l’approvazione da parte del mio background familiare da una parte mi conforta ma solo in teoria perché non c’è un nome, perché non c’è il senso, la possibilità di fare parte di un’altra comunità. E con questo nome, io ho capito che è la forza di un progetto del genere. La forza che dà a noi, che dà a me, è la possibilità di intravedere l’orizzonte di una comunità e di una messa in dialogo, per cui una scelta del genere non è soltanto la dimensione più radicale di un certo pensiero femminista, che nasce da una realtà che non è quella in cui io sono cresciuta, ma che viene da almeno due decenni precedenti, e che risuona dentro di me per le parole materne, per gli studi che faccio ma non direttamente, comunque è stata filtrata, molto filtrata e per forza di cose si è trasmutata e fa altre richieste, vedo questa cosa qui; e vedo però la possibilità di affrontarla eliminando questo senso di solitudine e di fatica e di tristezza e di impossibilità di essere adeguate qualunque sia la scelta che alla fine faremo. La vedo proprio in questo, nella possibilità di parlarne, nella possibilità di avere tante testimonianze, tante esperienze, nella possibilità del fare di ciò che è più intimo e privato, un qualcosa di comune. Questa secondo me è proprio la perla di questo progetto e io vi ringrazio infinitamente per essere qua.»
MARIAROSA: «Beh, in realtà non so come cominciare perché io devo andare con la mia memoria molto molto, ma molto indietro, perché i miei problemi sono incominciati quando io avevo vent’anni; quindi, avendone adesso ottanta, io debbo andare con la mia memoria molto indietro. Inquadratemi in un tipo di società che non penso non riusciate nemmeno ad immaginare perché quando io avevo trent’anni e decisi con il mio fidanzato, chiamiamolo così, di sposarmi solo in civile – lavoravo a quella che era allora la Telecom -, mi sentii dire: “stai attenta a quello che fai perché potrebbero anche licenziarti”. Arrivando a dire questo riguardo alla scelta di due persone potete avere idea delle limitazioni che venivano fatte.
Comunque, la nostra scelta è stata fatta di comune accordo e io non ho avuto figli, e quello che mi fa piacere: non ho mai avuto il rammarico, un dispiacere per aver fatto la scelta che io ho fatto. Perché io nella vita sono riuscita a fare molte cose che non sarei riuscita a fare con dei figli, perché quando il figlio è con te deve venire per primo perché non ti ha chiesto di essere generato e quindi hai dei doveri che ti legano sempre e costantemente.
Certo che è stato abbastanza difficile perché nel giudizio comune io ero una mosca bianca, per non dire una pecora nera, perché tutte le mie amiche, quelle della mia età, in gran parte hanno avuto dei figli. Ho avuto una grossissima fortuna che attraverso la famiglia di mio marito io ho frequentato persone, come lei anche perché ci conosciamo da tantissimi anni, che non avevano figli, e allora questo mi confortava, perché dicevo: “Non sono un’eccezione, è la norma”.
Comunque, a volte rifletto e nelle mie scelte debbono aver avuto incidenza anche delle vicende familiari perché mio fratello quando nacque dalla seconda moglie di mio padre… lei aveva quarant’anni e nella difficoltà di partorire, mio fratello venne estratto con il forcipe e gli provocarono una lesione per cui ebbe… per tanti anni fu epilettico. Credetemi la convivenza con una persona, da bambino piccolo ad adulto – fortunatamente sta benissimo adesso, voglio dire che le cose possono anche risolversi molto bene -, comunque la presenza di questa persona malata che limitava tutta la famiglia (non so se abbiate visto di Bellocchio “I pugni in tasca” che dà una pallida idea di quello che succede in una famiglia con una persona malata di quel tipo di malattia così plateale), penso possa anche quello ad avermi influito nel senso che io ho sempre riflettuto molto: “e se mi nasce un figlio malato?” »
TESTIMONE: «Comincio subito dicendo che io non ho figli e anche io non ho rimpianto, cioè questa cosa non è venuta, non si è data, non l’ho cercata, mi sono adoperata perché non succedesse… da questo però parlare di scelta di non maternità così come di scelta di maternità, credo che già questo sia una tema di discussione. Questa scelta, la scelta di maternità o non maternità, veramente dall’età in cui il corpo ti consentirebbe di farlo in poi, ma fino alla fine, perchè è vero che tu potresti anche… io ci ho anche pensato di adottare dei figli, quando non sono stata più in grado di farli, mi sono posta anche il problema del perché non ne adottavo, se era opportuno adottarne, così come credo che sia anche importante che c’è da una parte il problema di non vivere l’isolamento, cioè in un qualche modo il figlio di farlo assieme ad altri, ma è anche vero che oggi questa cosa è consentito farla anche da sole, perché oggi i tempi sono cambiati e in questo, secondo me, c’è un riproporsi di questa che… ecco non mi piace la parola scelta. Trovo difficile parlare di scelta di una cosa in cui potresti cambiare improvvisamente l’opzione.»
FRANCA: «Io sono un’insegnante, insegno alla scuola dell’infanzia. Ho un rapporto quotidiano con bambini e bambine, ho un ottimo rapporto. Li preferisco e le preferisco molto di frequente agli adulti, li trovo e le trovo molto più autentiche, sono molto soddisfatta in questo rapporto quotidiano, mi nutro molto di questo rapporto quotidiano. Non mi sono mai trovata davanti a genitori che mi abbiano detto: “tu non ne capisci niente di bambini perché non hai figli”. D’altro canto, invece, pur non avendo figli ed essendo un’insegnante, sono stata in grado di individuare una incapacità genitoriale che a volte è piuttosto diffusa, a volte no, insomma… però questo anche per sfatare un mito, al di là del fatto che non è detto che una donna che non vuole figli debba sempre anticipare, iniziare dicendo: “però i bambini mi piacciono”. E ci sono svariatissimi motivi per cui ho fatto una scelta, io invece credo consapevole, relativa al fatto di non volere dei figli ed è relativa a vari piani. Il primo piano è quello relativo alla libertà individuale, nel senso che so che si paga un caro prezzo sulla libertà individuale nell’avere figli. Io dico che i figli sono prole inetta per tutta la vita, perché in realtà è molto difficile liberare la testa dall’impegno dei figli, anche quando sono maturi, anche quando crescono, anche quando dovrebbero aver raggiunto la piena autonomia. E il mio obiettivo nella vita è la cura della libertà, la ricerca della libertà, per cui non sono disposta a pagare questo prezzo in merito alla mia libertà individuale.
Un altro ordine di motivi è relativo invece alla situazione oggettiva geopolitica mondiale, nel senso che, forse avrò una visione apocalittica, ma oggettivamente ritengo che viviamo in un mondo fortemente squilibrato, dove nascere da una parte o dall’altra del pianeta fa la differenza e non vedo perché io dovrei riprodurmi qua e spiegare a mio figlio o a mia figlia che ha avuto semplicemente il culo di nascere in Europa e non nei Paesi africani che io frequento. Perché di fortuna si tratta, di niente altro.
Per cui ritengo che la situazione catastrofica mondiale, principalmente la catastrofe ambientale che è irreversibile a mio avviso… non… o anche il sovrappopolamento mondiale… ci sono sempre queste ansie relative alle tabelle demografiche, alle nascite, ci terrorizzano sempre, sembra che se non ci si riproduca, si vada all’estinzione. Oltre al fatto che per me è anche lineare che ci si estingua visto i danni che abbiamo fatto, ad ogni modo abbiamo il problema opposto, del sovrappopolamento mondiale, non dell’estinzione, nonostante se ne parli molto di rado, insomma, da un po’ di tempo.
E soprattutto, ad un certo punto oltre a questi argomenti, per me non fare figli è stata proprio una scelta politica, perché in quanto femminista, avendo allenato insomma un occhio critico sul mondo e su come il mondo va, mi sono sempre chiesta perché le donne non si siano rese conto del grandissimo potere contrattuale che avrebbero potuto avere nel dire: “Noi per un mondo che fa così schifo, che non ci riconosce, che non ci rispetta, che non ci accoglie, che non ci riconosce principalmente, dobbiamo invece continuare a fare dei figli per un mondo che fa così schifo. Ma io non li faccio figli per un mondo che fa così schifo, io non creo braccia per forza lavoro in un mondo che non riconosce dignità, o niente, alle donne”! Per cui, per me non fare figli è anche una scelta politica: per tantissimi anni ho proposto alle donne di usarlo come strumento politico anche questo, però è un argomento troppo forte evidentemente, che tira in ballo un’intimità tale per cui le donne non si sentono ancora pronte a fare un discorso di questo tipo, quanto meno in questa parte del mondo. In altre parti del mondo lo hanno fatto. Queste, insomma, alcune delle cose che mi viene da dire.»
ANGELA: «Io prima di tutto voglio ringraziare le registe e tutte voi per aver preso parola in un modo così ricco e diversificato, perché se avevo un’idea all’inizio, l’ho anche probabilmente cambiata nel corso dell’ascolto, e questo intanto credo sia una delle cose più belle per cui volevo dire grazie. E poi, invece, per rimanere un attimino sul punto, sono molto d’accordo con quello che diceva Emilia: riuscire a nominarsi è una cosa fantastica. Dopo aver detto per anni “non voglio essere madre o non sarò mai madre”, poter dire oggi “sono lunadigas”, è già qualche cosa. Poi magari avremo una smentita, potremo smentirci nel tempo, ma questo non è importante, secondo me è importante mettere a fuoco il mio desiderio oggi. Perché è stato (importante) per me, per Giulia, che abbiamo pensato ad avere lunàdigas oggi qui a Bologna? cioè da che cosa è nato? Sicuramente Giulia ha raccontato un po’ dei motivi non molto personali ecco, io ci metto una nota personale, poi probabilmente lo farà anche lei dopo. Non siamo nate a Bologna, forse si sente dagli accenti, e non siamo neppure cresciute in delle famiglie completamente emancipate, in cui la donna aveva già un ruolo nello spazio pubblico o magari aveva addirittura già un lavoro. Anzi, io vengo da un paesino in provincia di Napoli, mia madre ci ha messo anni per potersi trovare un lavoro e anche per raggiungere un minimo di autonomia dalla sfera maschile. Adesso, forse, a sessant’anni si affaccia alla sfera pubblica. Sono stata circondata, sono cresciuta in uno stuolo di donne che ho stimato e per le quali nutro tantissimo affetto, ma che, sicuramente, hanno rappresentato un modello a senso unico. E questo lo dico perché credo che le nostre scelte di vita le facciamo soprattutto basandoci sui modelli, sulle parole chiave, sulle abitudini, le trasmissioni di saperi, le vicinanze nelle quali ci siamo mosse e siamo cresciute. Qualche filosofo direbbe in maniera complicata che i comportamenti sono apparati disciplinari, io l’ho vissuto sulla mia pelle e probabilmente molte di voi, e molti altri qui oggi lo hanno vissuto, che tutta una serie di regole ti portavano a comportarti, ad agire in un certo modo. Perché dico questo? Perché credo che per arrivare a dire “sono lunàdigas, non voglio essere madre”, ci sia anche però da fare un piccolo lavoro, che questo non sia scontato. Per quanto non consideri un tabù oggi, non riuscirei a dire “oggi, nel 2015 in Occidente la non maternità è un tabù”, non mi sentirei mai di poterlo dire perché è davvero cambiato molto, però, allo stesso tempo non posso negare che c’è un percorso, anche tutto un percorso di identificazione dei propri desideri da fare, perché altrimenti si può nascere e rimanere in un certo modello di donna o di uomo. Questa era una prima cosa che volevo dire.
La seconda è: uomo. Ci vorrei ragionare un attimo sopra, non solo perché sembra l’assente dalla discussione oggi, ma anche perché mi è capitato di avere soprattutto dei partners maschi, e quindi di dovermi confrontare costantemente con questo loro desiderio, che invece, ahimè, era quasi sempre presente nel partner con cui ero, no? E addirittura, ahimè, ma questo proprio “che sfiga”, pensavano potessi essere una buona madre, non so come mai… quindi dovevo anche combattere con “guarda ti sbagli, ma non solo ti sbagli ma non ho proprio voglia, non rientra nelle mie”… Per cui, insomma, questo rapporto rapporto col maschile ho cercato di indagarlo e chiaramente chiedevo a questi compagni:
“ma scusa, ma tu perché lo vuoi un figlio? Qual è il tuo desiderio?” e mi son sentita rispondere più e più volte – ma poi anche nel corso di ricerche che ho fatto per altri motivi dopo ho trovato questa risposta, insomma – : “devo lasciare qualche cosa di mio in questo mondo”… che è una risposta che ho visto anche in alcune testimonianze del webdoc, data proprio da uomini tra l’altro, che dicevano: “devo trasmettere, devo lasciare qualche cosa in questo mondo”. Ed è come se quello che tu puoi trasmettere passa attraverso la tua biologia? Non so, a me questo pensiero mi ha sempre inquietato tantissimo, cioè il fatto che se dovevo lasciare… Prima di tutto: devo lasciare qualcosa davvero? Ma perché? Potrei anche esserci e sparire, cioè non la sento come una cosa obbligata. Ma se proprio dovessi lasciare qualche cosa, dev’essere per forza un figlio che mi somiglia, con il mio dna? E questa cosa è poi andata,
ho continuato a lavorarci sopra, a ragionarci sopra perché ho cercato di mettere a fuoco che cosa è la maternità nell’era contemporanea e quindi con le nuove tecnologie, che è una cosa che stasera anche ci siamo un po’ ripetute, no? Perché prima ci dovevi pensare entro i trentacinque anni, adesso magari a quaranta sei ancora in tempo. O addirittura prima eri eterosessuale, in coppia, certo, in realtà tutti hanno sempre i loro metodi eh, non credo che tra l’altro prima della PMA una lesbica non sapesse come fare a diventare madre, in qualche modo c’erano degli escamotage, però diciamo che la cosa è diventata scientificamente praticabile, riproducibile dovunque, ecco. Beh, io continuo ad interrogarmi su questa cosa, dico: ma è davvero così necessario? Per carità sosterrò sempre le nuove tecnologie ma io vedo l’accanimento in corso sulla scelta riproduttiva e vedo la negazione della scelta non riproduttiva, soprattutto là dove per non riprodurti devi far qualche cosa, perché non è solo “non faccio sesso, per non riprodurmi”, ma è anche: “o uso un certo tipo di contraccezione, oppure, ahimé se son rimasta incinta, devo abortire”. E qui magari possono iniziare, se non voglio chiaramente fare un figlio… e qui inizia tutto un iter per cui tu diventi veramente diversa dalla donna che figli ne vuole, soprattutto in questo Paese, dove l’aborto è circondato dalla retorica del dolore, del sacrificio, della donna mancata, eccetera, eccetera. Per cui ecco tutta una serie di discorsi al negativo sul non voler essere madre, scegliere un’altra strada, continuo purtroppo a vederli e vorrei anche riuscire, ma questo succede in altri luoghi, succede in altro modo, cioè… uno dei miei più forti desideri non è solo non riprodurmi, ma anche trovare delle strategie per cui la non riproduzione diventi una cosa normale, non sia più questa sorta di abominio soprattutto quando devi praticarla, cioè quando appunto, ti serve una pillola del giorno dopo, piuttosto che devi ricorrere all’IVG che in questo paese mi sembra una cosa …
Chiudo su un ultimo passaggio: l’eccesso di produzione e riproduzione che anche mi sembra molto attuale. Una delle industrie più fiorenti oggi è l’industria delle cellule staminali e l’industria del cordone ombelicale. Ora, in alcune inchieste che sono state fatte in quest’ambito si vede bene che alcune cellule staminali possono essere prese anche da feti abortiti. Purtroppo le donne i figli abortiti non li vogliono regalare, perché giustamente dice “forse, ho finito quella esperienza lì, non è che proprio te lo regalo, al massimo te lo vendo”.
Nelle interviste che leggevo, una cosa veramente assurda è che a queste donne veniva detto: “hai già sprecato te stessa, perché hai scelto di abortire” – venivano proprio chiamate donne sprecate – “tu hai già sprecato te stessa perché hai scelto di abortire e adesso non doni neanche alla ricerca, cioè è una cosa produttiva, potresti essere produttiva”.
Allora la mia scelta che è politica, anche io uso questo… per ora la mia scelta di non riprodurmi è una scelta politica ed è una scelta che però non è solo “non voglio prendermi cura di questo mondo” ma anche, in qualche misura, “non voglio riprodurre la nazione, questa nazione e non voglio riprodurre un certo ordine del discorso che è capitalista”. Punto e basta. Scusate se sono stata lunga.»
ELIA: «Intanto volevo ringraziare tutte per le condivisioni di questa sera che sono state molto interessanti, intime, con un impatto affettivo forte. E devo dire che io mi ci sono riconosciuta solo in parte, nel senso che questo filo rosso del legame tra essere donna ed essere madre, sul fatto che la scelta non riproduttiva in qualche modo vada a squalificare la propria soggettività di donna e che sia quindi insomma difficile da sostenere, come lesbica non mi funziona, nel senso che io prima di scegliere di non riprodurmi, per tante ragioni, ho scelto di essere lesbica. E quindi questo mi ha posto al di fuori non solo dell’economia eterosessuale ma anche dell’economia riproduttiva. E quindi è una posizione soggettiva particolare, perché, secondo me, poi ti mette di fronte in qualche modo a… quasi al problema opposto. Questo discorso è molto complesso. Lo spiegherò con un aneddoto: io vengo da famiglia medio borghese del Nord Italia, presso la quale mi sono sempre trovato bene anche rispetto alle mie scelte identitarie, e poi a un certo punto a mia madre è scattato quello che… non mi ricordo chi lo diceva prima, quel desiderio di “nonnismo”, quindi dovevo riprodurmi. E mia madre mi ha proposto un piano strategico di riproduzione eccellente, nel senso che io avrei dovuto riprodurmi con la collaborazione di questo mio caro amico gay, che insomma è ben noto in famiglia, e insomma creare questa forma di genitorialità complessa per cui in qualche modo poi ‘sto bambino un po’ lo tenevano loro, un po’ lo tenevo io, un po’ lo teneva mia madre, insomma si creava questa forma di parentela piuttosto queer effettivamente, tanto che appunto quando mamma mi spiegò sta cosa, dicevo: “ma mamma ma che è? una queerrata pazzesca! Però no grazie, cioè grazie ma non grazie, cioè capisco che sia appunto un…” E mi aveva colpito come questo desiderio di “nonnismo” fosse stato tale dal consentirle di immaginare una forma di relazione, una forma di parentela così poco normativa. E però, nonostante questa offerta di collaborazione alla riproduzione io ho continuato a non desiderare di riprodurmi, un po’ appunto per ragioni politiche, perché insomma stiamo attenti a quanto consumiamo mezza giornata, ma insomma abbiamo idea di quanto consuma un bambino in termini di impronta ecologica è veramente disastroso; un po’ perché sento questa forma, come lesbica, sento questa forma di ricatto per cui in qualche modo il riconoscimento della tua soggettività deve passare dal riconoscimento della tua genitorialità, e questo vale molto soprattutto per le coppie, quindi in qualche modo soprattutto nei luoghi come in Italia dove non ci sono forme di riconoscimento istituzionale dell’essere in coppia, allora l’essere comunque genitori in qualche modo ti qualifica e ti consente di rivendicarti l’essere coppia. Quindi già ho problemi con la coppia, già ho problemi con la riproduzione, un disastro. Quindi sì, per me non riprodurmi è stato anche, appunto, una scelta contro questa forma di validazione che dovrebbe passare dal riprodurmi.
Poi infine in realtà, e con questo chiudo, per me la ragione più profonda che ha informato la mia scelta non riproduttiva è stata in realtà veramente molto intima e personale, cioè il fatto che io non tollero l’idea di amore incondizionato. Io l’amore lo voglio scegliere, negoziare sempre, tutti i giorni con le persone con cui sto. Dai racconti che sento mi pare che invece il rapporto con il figlio o la figlia ti installi questa forma di amore incondizionato, che per me è una coercizione che non posso scegliere.»
FEDERICA: «Io innanzitutto ho sempre trovato molto interessante questa cosa di non dialettizzare la scelta della non maternità come invece voi in questo importantissimo documentario, che è proprio un atto politico fondamentale in questo Paese, state facendo. Primo perché il non dialettizzare l’esistenza e la legittimità di individui del genere permette di escludere dal discorso, dalla norma tutti coloro che prendono questa scelta, o meglio questa non scelta, che è già di per sé abbastanza interessante. Poi un’altra cosa che ho trovato sempre molto svilente, nei termini proprio della mia individualità, della mia soggettività, è sempre stato il fatto di sentirmi dire “tu non vuoi figli perché sei egoista”. Trovo molto più egoista il fatto di voler fare dei figli per lasciare qualche cosa di proprio al mondo, se dobbiamo porla su questo piano. “Perché non hai voglia di prenderti cura di qualcun altro”: non credo di dover avere questa responsabilità onestamente nei confronti di nessuno, tra l’altro abbiamo già abbastanza cose di cui doverci preoccupare nei termini di ciò che ci circonda. E poi un’altra cosa che mi ha sempre molto, molto colpita in negativo è quest’idea di dover lasciare qualche cosa di proprio, biologico, al mondo, come se noi fossimo questo insieme di cellule, come un apparato, un organo fatto appositamente per riprodursi e per lasciare qualcosa d’altro che sia uguale a sé. Io ritengo molto interessante fare qualche cosa che possa esplodere in mille possibili sensi, non per forza un individuo; quindi, questa è una cosa che mi ha sempre molto molto colpita. Un altro punto molto importante è quello che si diceva prima riguardo al fatto di: “tu non vuoi figli perché non ti piacciono i bambini”; assolutamente no, io non voglio curarmi di qualcuno per uno, due, tre, quattro, quindici, venti, trent’anni, finché appunto spero ci sarò io e finché ci sarà lui, perché nel momento in cui una madre perde un figlio io non riesco nemmeno ad immaginare un dolore del genere, quindi non voglio proprio prendermi il carico di una tale preoccupazione nei confronti di individuo che dovrà vivere in un mondo ingiusto in cui succede qualunque cosa, molto spesso le più sbagliate in cui io stessa non riesco ad avere le mie soddisfazioni per quello che dovremmo meritare tutti quanti, quindi non vedo perché dovrei mettere al mondo qualcun altro che dovrebbe vivere in una realtà così ingiusta quale è quella che appunto viviamo.
Quindi è innanzi tutto anche un atto politico.
Anche questo ipercontrollo che mi verrebbe imposto sulla mia esperienza… cioè una madre si trova proprio a essere investita da uno spazio, cioè a diventare spazio pubblico, nel momento in cui le viene riconosciuto il fatto che “ok, tu sei incinta, da questo momento in poi tutto ciò che succede al tuo bambino, tutto ciò che tu farai al tuo bambino, sarò monitorato dall’esterno”; l’ho sempre trovato abbastanza pesante da vivere proprio a livello di libertà individuale, cioè il continuo giudizio che si perpetua nei confronti di una madre, il modo in cui cresce o non cresce il figlio, magari una madre vegana, ad esempio che si trova a dare questo tipo di alimentazione al figlio, si trova a sentirsi dire di tutto di più come se non si trattasse del proprio figlio ma del figlio di qualcun altro, di qualcos’altro… cioè ritengo che sinché l’intera scelta di maternità non sarà appunto del tutto autonoma, sarà importante non sottoporcisi per il fatto che qualcun altro se lo aspetta da noi. Perché, appunto, nessuno deve imporre a nessun altro alcuna scelta compresa appunto quella di non maternità, che è appunto quella di essere lunàdigas, che lo trovo veramente importante e pregnante come termine, quindi vi ringrazio per averlo dialettizzato, e per aver dato un nome alla nostra esistenza ed esperienza.»
MARIAROSA: «Non mi è mai successo di dovere abortire perché ritengo che sia un’esperienza traumatizzante.»
FRANCA: «Io invece dico il contrario. Assolutamente, nel senso che per me l’aborto non è per niente esperienza traumatica, affatto e l’ho sempre dichiarato anche in ambito pubblico. Nel senso: non ritengo affatto l’aborto un’esperienza traumatica e ritengo che nella misura in cui tutti e tutte continuano a sostenere che lo sia, inevitabilmente lo sarà perché i margini per vivere questa esperienza… cioè se tutti, e questo succede anche nel movimento delle donne, ti dicono continuamente che abortire è un’esperienza traumaticissima. Quindi se tu vivi questa esperienza inevitabilmente ti troverai a dire, a convincerti del fatto che hai vissuto un’esperienza traumatica. Fortunatamente io quando mi sono trovata a viverla ero già abbastanza radicata in me stessa per cui non è stata affatto un’esperienza traumatica, è stata un’esperienza liberatoria, per niente traumatica, l’ho fatto per due volte. Cioè è un intervento che come non hai piacere di toglierti il dente del giudizio, ovviamente non hai piacere di finire sotto i ferri, di fare un raschiamento, ma tutto quel contorno di cose che ci sono attorno… è l’induzione al vivere. Io ho fatto parte di un collettivo femminista che ha fatto manifesti dicendo “l’aborto non è un dramma, non è necessariamente un dramma”, assolutamente. Questo deve essere detto!»
FEDERICA: «Io ho due amiche, abbastanza strette; quindi, non sono esperienze dirette ma indirette, che dopo anni e anni di amicizia e comunque di estrema intimità, mi hanno confessato di aver abortito.
L’esperienza di una in particolare mi ha colpita perché praticamente mi ha raccontato che ad abortire quel giorno in questa clinica privata ovviamente, erano in sei. Una di loro, all’ultimo momento, ha cambiato idea, ha detto: “non voglio abortire più”. È scattato l’applauso generale da parte delle altre ragazze, da parte dei medici, degli infermieri; è anche questa idea comunque di dire “ho il coraggio di farlo comunque”, come se la maternità fosse una questione di coraggio, come se fosse una questione di dire: “sì, mi prendo in carico ciò che mi è capitato biologicamente e lo porto a termine perché è giusto che sia così in base ad una struttura storica, culturale che me lo sta imponendo e io addirittura ricevo degli applausi per sottoporre la mia esistenza a questo tipo di schema, a questa formula”.»
ANGELA: «Io trovo che la cosa più allucinante, prima di tutto, sia essere in un paese dove ci sono stati almeno – io non ero manco nata -, otto-nove anni di lotte per avere una legge che almeno facesse uscire l’aborto dalla clandestinità e che questa legge dopo trent’anni sia quasi completamente disapplicata per un motivo che si chiama “obiezione di coscienza”, e che dà un potere enorme a persone che sono medici, che possono essere uomini o donne tra l’altro, che sono medici e che in questo hanno un’enorme voce in capitolo perché loro possono dire che il nostro gesto, la nostra scelta di non diventare madri è sbagliata. Già su questo io rifletterei molto perché anche se abbiamo detto “la non maternità non è più un tabù”, dall’altro lato però noi abbiamo una serie norme che, volendo, la rendono impraticabile, perché tu puoi essere incappata in una gravidanza, davvero perché appunto incappata, era tutto ma non quello che volevi ottenere, potresti fare un intervento che oggi è semplicissimo perché volendo preso in tempo oggi c’è l’aborto farmacologico, che non è neanche invasivo e doloroso come era l’aborto chirurgico, e in realtà dall’altro lato ti trovi uno, una che è stato intitolato dalla legge a dirti “la tua scelta per me è inaccettabile, tu non puoi abortire, diventa madre”. Perché l’obiezione di coscienza significa questo in ultima istanza o al limite addirittura distingue tra donne ricche e donne non ricche perché se te lo puoi permettere magari vai all’estero o in una clinica privata e puoi comunque ottenere il tuo aborto; ma quello che sta alla base è il fatto che c’è qualche cosa ancora nel nostro sistema culturale, legale, economico che la non maternità la dequalifica completamente, addirittuta toglie a te il potere di decidere su questa cosa. Poi su quello che è il vissuto di una donna durante prima o dopo l’intervento effettivamente io non mi permetto di generalizzare ma cerco di notare almeno le grosse contraddizioni che ci sono, perché se da un lato c’è questo accento su l’intervento medico pericoloso dell’interruzione volontaria, che tra l’altro è ascientifico, perché secondo me non ha alcuna base scientifica, – non è pericoloso oggi, è pericoloso se eseguito alla venticinquesima settimana clandestinamente, ma non se lo prendi (in tempo), no? – , ma mettiamo questo un attimo da parte. Prendiamo la fecondazione assistita: quanto ci vuole per ottenere una gravidanza con la fecondazione assistita? Ci vogliono tre, quattro mesi e ci vuole soprattutto un’altra donna che presta il suo corpo con interventi medici molto invasivi che servono a produrre più ovociti da dare alla donna che vuole rimanere incinta. Di tutto questo nessuno parla mai, non esiste. La fecondazione assistita è una cosa bellissima, oggi possono fare bambini tutti, mica qualcuna soffre, che poi magari non è neanche la madre committente, quella che vuole rimane incinta, magari a soffrire è l’altra donna, quella che ti deve dare gli ovociti, ma di questo non ci racconta mai nulla nessuno, dobbiamo andarlo a ricercare noi perché magari abbiamo degli interessi da attiviste femministe. Per me questo è veramente un abisso enorme. Non è in questione, se devo io dall’esterno giudicare la sofferenza o il dolore di un’altra donna, ma per me in questione è il quadro che ci hanno preparato e il sistema in cui dobbiamo muoverci, insomma. Poi certo è vero che se io fossi lesbica, completamente lesbica, se non avessi alcuna tendenza bisessuale, io potrei saltare a piè pari la questione. Adesso farò un esempio che forse è al limite, e però è l’esempio che faceva già la Thomson negli anni ‘70, l’argomento scivoloso, lo stupro. Noi abbiamo comunque una base per cui dovrebbe essere il minimo comune denominatore quello che le donne possano decidere, “io interrompo questo processo biologico perché non lo voglio, semplicemente”, dovrebbe essere assolutamente scontato. Poi con Piera, con molte altre anche al centro delle donne ne parlavamo. L’altro lato è ricreiamo meccanismi di vicinanza, di solidarietà – poi solidarietà è una parola che neanche mi piace molto -, ma di complicità magari tra donne, sfere in cui effettivamente questi argomenti non siano più il privato da nominare a bassa voce, magari solo con l’amica del cuore, ma qualche cosa su cui possiamo ricominciare a prendere parola pubblicamente. È forse il periodo che noi non vissuto, che magari guardiamo quando guardiamo dei documentari sugli anni ‘70 però è un periodo che a me farebbe molto piacere far esplodere, rifar esplodere. Per chiudere, dovremmo rifar riesplodere tutto questo. Lunadigas è un ottimo enzima.»
GIULIA: «Sono molto contenta della discussione perché è stata veramente stimolante da tantissimi punti di vista. Dopo l’aver messo in discussione, nell’intervento precedente, la parola “scelta”, gli interventi che si sono susseguiti mi hanno portata a mettere in discussione la parola “maternità”, che cosa significa maternità stessa, perché stiamo parlando di maternità, non maternità… insomma, un discorso veramente complicato, un work in progress, dico proprio personalmente, di sentimenti rispetto a questo tema. Vi posso dire dove sono arrivata a oggi, 17 aprile 2015, aggiornamento al… quindi al momento è questo. Credo di essere abbastanza, no no sicura, sul fatto per quanto concerne il dato biologico. Mi sento di poter dire di sentirmi lunàdigas dal punto di vista biologico, cioè non sento l’esigenza di avere un’esperienza biologica e fisica di maternità, questo sicuramente. Sento anche di non escludere il fatto di vivere la maternità in un’altra forma, in un futuro, potrebbe essere, cioè potrebbe essere che ci sia un incontro con un altro essere umano di cui uno potrebbe avere voglia di curarsi, quindi questa è una cosa su cui non mi sento personalmente di escuderlo, quindi una sorta di posizione, per il momento per quello che è emersa, ibrida mi faceva piacere condividerla, cioè pensare alla maternità come, sicuramente non un’esigenza, almeno personalmente, non come un dato biologico, ma come il fatto proprio di… mi viene in mente sempre la parola “cura” sarà questa cura, prendersi cura, che è sempre questo legame con l’essere donna, magari ma non lo so. Ecco mi viene in mente molto la parola “cura” che non sento di escludere a priori, perché così come uno lo può poter fare con un compagno, una compagna, così vale anche con un essere, un individuo di età inferiore ai dieci anni, magari, quindi non mi sento sinceramente di escluderlo e su questo credo che, mi richiamo al discorso della scelta non definitiva, non poterlo sapere così a priori, non escludere a priori, almeno personalmente lo ritengo tale questo dato qua, cioè di non escluderlo a priori.
Per quanto riguarda… questo era un po’ l’aspetto fondamentale che mi sento di… questo appunto può valere, non è nemmeno così legato all’essere donna, lo potrebbe dire chiunque, anche un uomo in un certo senso, quindi è un discorso abbastanza generale, però, ripensando anche ai discorsi, anche sul dato politico, questo è importante come si richiamava prima: in che mondo faccio venire al mondo un essere umano? Quindi in questo senso pensavo veramente ai tantissimi individui che sono già in questo mondo, quindi questa è stata sempre una cosa molto presente. Anche quando nel nostro paese si è parlato molto della legge 40, uno dei miei primi moti, mi ricordo anni fa, poi per carità sono una persona estremamente diversa da anni fa, però questo è rimasto, questo moto di dire, questa esigenza di dover mettere al mondo, di dover dire la maternità, la genitorialità si esprimesse necessariamente con il dato biologico, e quindi questa rincorsa alla fecondazione e alla necessità di quel tipo di procedimento, piuttosto del vivere la genitorialità in un modo che non fosse legato al biologico ma fosse proprio legato alla cura, alla trasmissione di valori, di un modo di vedere il mondo, di educare, di accompagnare, di tutto questo processo complesso e difficilissimo che ritengo sia il lavoro più difficile al mondo che è quello di essere genitori, io lo dico sempre a mia mamma.
Però sul discorso comportamentale, per dire, mia mamma, che non è assolutamente, non si definirebbe mai una femminista, per quanto era ben cosciente ventenne all’inizio anni ’70, però so benissimo, perché ho sempre respirato, la sua aria e modo, che lei ha sempre puntato… il famoso “nonnismo” per fortuna lei non ce l’ha mai avuto e penso che sia uno dei gesti più femministi, cioè una sorta di femminista di fatto ma non di nome, che forse ben venga, piuttosto delle cinquanta, sessantenni che si definiscono femministe e poi molti loro atteggiamenti non corrispondono a quello che secondo me il termine femminista vuol dire, preferisco mia mamma che non si è mai definita tale che però in tante sue cose di fatto lo è, mi ha influenzata molto, cioè che è quello di dire: ‘”Mi interessa che tu in primis ti senta realizzata, qualsiasi cosa ti permetta di esserlo io sono felice”. Quindi non c’è mai stato in discorso del “questo processo per te di autorealizzazione sicuramente dovrà passare del fatto di avere un figlio o una figlia e quindi di rendermi nonna”, in un certo senso. E quindi aver sempre respirato questa atmosfera, questa sensazione del “sei tu libera di autodeterminarti e di capire quali siano le cose che ti rendono felice” ti fa crescere un po’ con questa libertà di poter vedere le cose in questo modo; su questo è stata determinante e non finirò mai di ringraziarla. Ed è il motivo per cui io dico sempre quando qualcuno mi dovesse chiedere: “qual è il tuo modello di donna, esempio da seguire e che ringrazi?”
“È mia mamma!”
Non vi direi nessun personaggio famoso, non c’è Rosa Parks del caso ma è mia mamma. Questo l’ho detto più per l’atmosfera di condivisione che non perché necessariamente servisse a voi, però ci tenevo e anche post tre quattro bicchieri di vino, o quelli che son stati…»
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