Le testimonianze raccolte nel 2015 nella sede dell’associazione femminista Orlando che gestisce il Centro di Documentazione delle Donne di Bologna, danno vita a un incontro pieno di energia e passione. Le donne presenti si raccontano in prima persona e si ascoltano e si confrontano sul tema della maternità e della non maternità, riflettendo insieme anche con ironia. Il loro dialogo offre spunti importanti, a tratti inediti, sempre autentici e personali che ancora oggi ci portano a riflettere e parlarne insieme. Concedetevi il tempo per ascoltarle tutte.
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Ecco la trascrizione completa del video:
Giulia: «Quando abbiamo letto del progetto Lunàdigas si è sentita subito l’esigenza di portare a Bologna questo progetto perché è un tema fondamentale da affrontare insieme, ma in maniera sicuramente il più possibile trasversale, che poi rappresenta anche l’approccio che Lunàdigas sta portando avanti nel suo percorso».
Franca: «Io sono qua perché sono estremamente grata alle Lunadigas che trovo abbiano intrapreso un percorso estremamente utile perché molto di rado si ha occasione di parlare sulle scelte di “non maternità”, e, siccome per me è una scelta fortemente radicata, avere l’occasione soprattutto di dar voce a questa scelta mi sembra assolutamente apprezzabile. Per cui vengo qua per condividere miei argomenti con le altre dal momento che, pur essendo all’ interno di ambienti femministi che transito da anni e anni, non è un argomento che scivola facilmente, ma che trova delle resistenze perché a volte si pensa che necessariamente, quando una propone degli argomenti – ed io ho sempre molto piacere di parlarne, anche perché tutte le volte che chiedo ad una mia amica, una compagna il perché fa una scelta di maternità non ho mai una risposta – abbia senso parlarne. Tra l’altro io ho una storia anche particolare. Noi siamo tre sorelle e tutte e tre abbiamo fatto una scelta di non maternità con argomenti di vario tipo per cui sono molto felice che siate qua e vi incito a essere sempre più sfacciate e sempre più esplicite su questo argomento e a raccogliere le voci delle donne perchè sono numerose e vale la pena ascoltarle».
Donna friulana: «Effettivamente anch’io trovo che ci sia una ricchezza nelle narrazioni delle scelte non riproduttive che non riesco a ritrovare nelle scelte riproduttive. Non so se sono io che ho questo pregiudizio per cui non mi arriva quel tipo di ragionamento che ti fa dire “sì” a quell’opzione di vita o se, semplicemente in qualche modo questa, in parte anche necessità, di giustificare questo tipo di scelta biografica, in realtà ti costringa in qualche modo a una maggiore riflessività sul tema che poi appunto ti fa produrre delle narrazioni più complesse che non sono solo quelle del tipo “lo volevo, mi andava, ho sentito il bisogno, eccetera”.
E, rispetto al progetto in particolare, sono venuta perchè mi incuriosiva anche proprio il metodo con cui l’avete costruito. Sì, mi incuriosiva questa narrazione collettiva, aperta, ricorsiva che mi sembra anche adatta al tipo di tema che si affronta, adatta a tenere assieme questa complessità di narrazione. Poi non so, di mio ho sempre frequentato ambienti in cui, in realtà la scelta non riproduttiva era più la norma che non l’eccezione. E questo ha sempre aumentato il mio senso di estraniamento rispetto a quelle donne, compagne, amiche che invece facevano quel tipo di scelta e che nonostante i loro tentativi di spiegazione, non sono mai riuscita a capire fino in fondo. Quindi forse uno dei motivi per cui sono qui stasera è ascoltare anche delle narrazioni che presumo di poter capire e con le quali penso di potermi relazionare ».
Ishakti: «Io sono una studentessa. E quando sono arrivata qui a Bologna mi si è aperto praticamente un mondo perché provengo dalle campagne marchigiane e di conseguenza mi sono ritrovata a confrontarmi con tantissime tematiche che non avevo neanche mai sentito nominare prima. In particolare questa delle donne che scelgono di non avere figli. Appena mi è stato proposto di partecipare a questo evento, ho avuto modo per la prima volta di ragionare veramente su questi temi, e sono molto incuriosita da quello che vedrò e sentirò questa sera. Devo ammettere di non avere avuto l’occasione di documentarmi particolarmente. So che per me è un argomento abbastanza tabù in quanto vengo da una famiglia numerosa. Ho tre sorelle, mia madre nella sua vita ha scelto di dedicare la maggior parte della sua vita a noi. Mentre ora che ha una certa età, comincia a dedicarsi ad altre cose.
Non lo so, la vedo come se le avesse scelte con più consapevolezza, anche se allo stesso tempo vedo che non potrebbe vivere senza di noi e mi è venuto da proporle questo argomento, dopo aver ricevuto questo invito. Mia madre è tedesca e mentre le stavo parlando di come magari dal mio punto di vista una donna che sceglie di non riprodursi, di non avere figli, possa essere oggetto di tabù, oppure possa essere oggetto di discriminazione da certi punti di vista. Lei invece mi raccontava di come il suo arrivare in Italia, invece, l’avesse fatta sentire bene. E’arrivata qui circa 40 anni fa con una bambina piccola. Mi raccontava di come quella maternità fosse vista bene qui in Italia: era bello essere madre, era lo scopo della vita. Ma dal suo punto di vista nel suo crescere in Germania sentiva che una donna si realizzava sia attraverso la scelta lavorativa che quella famigliare. E questo mi ha fatto riflettere… poi ovvio ci sono trascorsi, la storia di una vita intera, il punto di vista, eccetera, quindi non so effettivamente, come fosse la Germania del tempo o come sia la Germania di ora. Però questa cosa mi ha incuriosito perché avevo subito la mia storia familiare, il punto di vista di mia madre e mi mancava qualche cosa dall’altra parte. Per questo sono venuta anche per vedere, per poter farmi un’idea personale, in quanto per ora, sono ancora un po’ giovane e non ci sto neanche pensando, e quindi mi piacerebbe captare opinioni diverse».
Gioia: «Il tema mi ha interessato molto perché è un tema tabù, non se ne parla mai. Invece la maternità è un tema molto complesso, ed è vero quello che hanno detto anche le altre. In realtà, nessuno ti dice perché ha fatto dei figli. E’ comunque un tema che è difficile da esprimere, però dei punti sicuri, secondo me, ci sono. La donna che non fa dei figli è vista come una persona strana, forse anche la pecora che non fa dei cuccioli è lunatica. Non so il motivo, ma mi viene la parola lunatica, forse perché è collegato a quel “sei strana”o “sei una donna mancante”. Di fronte a questa cosa, non mi sono mai sentita strana. Io ho scelto di non fare figli, ma come me c’erano tantissime donne. Non so se anche adesso vale questo discorso. Ma io non mi sentivo anormale, addirittura, come diceva Franca, a me ha sfiorato tardissimo l’idea. Infatti avevo talmente scelto, a 14 anni credo, che non volevo fare la casalinga, e non so perché, ma attaccavo questo ruolo per cui di converso c’era la spinta a fare carriera.
Riuscivo bene negli studi e mi dicevo perché non dovevo lavorare come un uomo, guadagnare come un uomo, far carriera come un uomo. E’ chiaro che tutto questo oscurava tutte quelle donne che hanno fatto una splendida carriera ed hanno dei bellissimi figli. E quindi il discorso non tornava poi tanto. Però il fatto che ci fossero altre mie amiche che non hanno fatto dei figli e che incontro ancora, ripeto della mia generazione, mi colpì molto. Vi dico anche che il primo documento che ho fatto con le donne femministe era sulla non maternità. Ecco, conoscere delle donne che la pensavano come me, mi colpì molto perché ebbi subito questo impatto con pensieri che avevo fatto da sola: non voglio fare la mamma e non voglio fare la casalinga. Anche loro ne discutevano perché la critica era che “non è naturale fare dei figli”. Il fatto che solo a 35 anni vagamente mi sfiorò l’idea che forse potevo fare un figlio, significava che forse avevo censurato prima questo desiderio o non desiderio, non so neanche come definirlo, però mi ha fatto capire che non era poi così naturale.
Non c’è una naturalità nel desiderio di voler essere mamma. Non sento mai nessuna che dice “voglio un figlio per questo o per quello”, sento dire che capita, oppure come vedo al cinema o sento dire alla televisione “decidiamo di fare un figlio”. Sono cose molto banali, dette su un tema così complesso. Per questo è interessante il vostro lavoro, il vostro progetto perché ci si deve interrogare sul motivo per il quale non fai un figlio e la casualità di chi decide di farlo invece. Quindi secondo me interrogarsi fa solo bene e soprattutto aiuta ad evitare quei giudizi che vengono dati. Io devo dire che non ho mai sentito, non mi sono mai sentita menomata rispetto ad una donna che aveva fatto un figlio, però sicuramente delle differenze ci sono nella vita sociale perché anche sul lavoro c’è la differenza.
Noi la chiamavamo “la sindrome di Cenerentola”, quando si facevano le riunioni di lavoro. Lavorando in un ente pubblico, alle 4 e mezza le donne schizzavano via, ed io che non avevo figli mi inventavo che avevo una madre malata perché volevo schizzare via anche io, perché altrimenti rimanevo lì. Questo per dire che ci sono dei condizionamenti, anche se io mi sentivo tranquilla perché tante mie amiche non lo avevano fatto, però nelle circostanze lavorative poi pagavo il fatto che ero diversa dalle altre. E non ti puoi azzardare a dare un giudizio su dei bambini che vengono educati male che subito ti dicono “tu non hai figli non lo sai”. A volte poi ci sono anche gli altri aspetti, come quello dell’invidia e quello della compassione. Sì, perché delle volte sei invidiata e compatita. Una donna una volta mi disse “tu non sai che la cosa più bella del mondo è fare figli” ed io risposi: “ma io ho viaggiato tanto!”. Mi difendevo e il fatto che mi dovevo difendere, evidentemente non è tanto accettato. E poi venivi invidiata soprattutto quando i figli sono adolescenti danno dei problemi bestiali, quasi tutte allora mi dicono “beata te che non hai dei figli, che non hai questi problemi”. Quindi è sempre duplice la cosa, è un aspetto di contraddizione che secondo me è interessante studiare. Ecco, questo è un po’ quello che volevo lanciare».
Valentina: «Negli ultimi anni, soprattutto probabilmente per la facoltà che frequento, cioè Antropologia, ho sviluppato un grandissimo interesse per tutte quelle tematiche che vengono naturalizzate e parlo ovviamente della nostra cultura qui in Italia. Mentre sentivo tutte le vostre testimonianze stavo pensando a quando ero bambina. Effettivamente per me era ovvio e scontato che una donna dovesse essere madre, ed è assurdo questo, come diceva giustamente la signora. Io penso che essere madre o non essere madre dovrebbe realmente essere una scelta personale nel senso che non è una questione di senso materno che a mio avviso è qualche cosa che ci viene insegnato. A 30 anni è giusto essere madri perchè si è donne, perchè abbiamo un apparato riproduttivo che quindi dovrebbe portarci ad avere figlie e figli. Quindi penso che tutto questo sia molto particolare, ma anche per le varie prospettive che si impongono anche verso gli altri.
Volevo raccontarvi un aneddoto divertente che mi riguarda. La mia famiglia mi vede come la pecora nera. Mia madre mi dice sempre “tu non avrai mai figli. A te i bambini non piacciono. Starai tutta la vita a viaggiare, a fare carriera”. Invece mia sorella è il mio esatto opposto. Lei sta studiando, è bravissima e pensa sempre ad avere dei figli. Infatti quello di cui parliamo sempre è come lei chiamerà i suoi bambini. Invece le mie amiche, al contrario – e proprio qua ce ne è una – mi stavano dicendo che qualche sera fa stavano parlando di aneddoti divertenti della nostra vita universitaria da raccontare ai loro figli, parlando tra loro si dicevano, scherzando “No, no, aspetta, ma noi non avremo dei figli, vabbè li racconteremo ai figli di Vale”. Quindi vedete la differenza di prospettiva? In quale prospettiva una donna dovrebbe essere madre? Qual è il pensiero di base per il quale è giusto che una donna abbia dei figli, oppure che non li abbia, oppure non sarebbe una buona madre? Dipende dal fatto che non ti piacciono i bambini… ?
Io penso che tutta questa tematica sia un tabù. Mi chiedo il motivo per il quale una scelta non riproduttiva è un tabù, perché è così naturalizzato che la donna debba essere madre. Perché non è scontato che una donna, anche a 22 anni, dica “Boh, io non lo so se voglio fare la mamma perché voglio fare talmente tanto altro che non lo so se dopo vorrò fare anche la mamma, magari no o magari sì”. A me non sembra qualche cosa di così speciale, di così probabile perché è una scelta libera e semplice. Ringrazio voi per quello che state facendo: ancora una volta si parla di qualche cosa che è naturalizzato e non dovrebbe esserlo, perché dovrebbe essere dettato semplicemente da una libera scelta, ma la cultura, tutto quello che ci sta intorno è così pregnante, ci viene insegnato ad essere madri perché siamo donne che davvero io penso che tante tante ragazze anche molto giovani non si rendono conto di come non sia naturale, non sia normale voler fare la mamma, ma è una scelta, semplicemente.Grazie per quello che state facendo, così potrete aprire gli occhi anche a tante altre persone su una libera scelta».
Emilia: «Son venuta di gran corsa quando ho scoperto l’esistenza di questa piattaforma, l’esistenza di questo progetto e la possibilità di incontrarci, di parlare di questo tema perché per la prima volta c’è un nome. Io credo molto nel fatto che il nome ci dia la possibilità di identificare un problema, una tematica, di metterla davanti agli occhi e credo che una delle conquiste a mio avviso di questo progetto è che questo nome ha una risonanza, è un nome vero, è un nome che sentiamo, che ci dice immediatamente qualche cosa, un nome di cui io sentivo il bisogno senza sapere esattamente il motivo. Io non ho ancora compiuto una scelta, quindi non so come andranno le cose e non riesco neanche ad immaginarlo. Da parte mia ho una madre che mi dice “Qualsiasi scelta farai io sarò accanto a te, sarò contenta, sarò soddisfatta, ti appoggerò”. E’ una madre che ha vissuto in pieno gli anni Settanta e gli anni Ottanta, una madre che mi sostiene, mi sta accanto e che quindi rimette a me interamente la libertà di compiere questa scelta.
E questa cosa qui mi mette un’angoscia atroce, in quanto da un lato ho come la sensazione di un compito, di dover dare compimento a quello che lei avrebbe magari voluto fare, se solo alcune cose fossero andate diversamente, se solo avesse avuto più soldi, se solo non avesse vinto il concorso a scuola, se avesse insistito nel tentativo di una carriera universitaria, se solo non avesse avuto una madre sola che non poteva abbandonare, e quindi quando di corsa dalla Germania è dovuta tornare indietro, lì ha deciso di stabilizzarsi.
Però quello che vedo è che lei avrebbe avuto anche la forza per fare una scelta del genere. Non l’ha fatta per una serie di motivi, di contingenze che hanno reso molto più semplice e giusto per lei in quel momento fare queste cose qui. Io adesso ho la possibilità di fare sinceramente e intimamente tutto… ho davanti tutte le possibilità e questa cosa qui mi fa sentire sola, mi da la sensazione di avere un peso, un macigno un qualche cosa da realizzare e di non avere in realtà gli strumenti adatti per farlo, di non poter fare una scelta adeguata a quello che magari lei si aspetterebbe che io facessi. Ho intorno a me quelle che sono le mie compagne di classe, le persone con cui ho fatto le scuole e che non sono mai andate via dalle loro città, io vengo dalla Sicilia, da Catania studiano tutte medicina, ingegneria, sono tutte fidanzate da 10 anni, e di anni ne abbiamo 24. Loro stanno già pensando alla casa, parlano di matrimonio, succede questo.
Sento un profondo senso di isolamento e l’idea comunque che ci sia l’approvazione da parte del mio background familiare da una parte mi conforta, ma solo in teoria perché non c’è un nome, non c’è il senso, la possibilità di fare parte di un’altra comunità e con il nome “lunàdigas” ho capito che è la forza di un progetto del genere, la forza che dà a noi, che dà a me, è la possibilità di intravedere l’orizzonte di una comunità e di una messa in dialogo, per cui una scelta del genere non è soltanto la dimensione più radicale di un certo pensiero femminista, che nasce da una realtà che non è quella in cui io sono cresciuta, ma che viene almeno da due decenni precedenti, e che risuona dentro di me per le parole materne, per gli studi che faccio, ma non direttamente, comunque è stata molto filtrata e per forza di cose si è trasmutata e fa altre richieste. Vedo la possibilità di affrontarla, eliminando questo senso di solitudine e di fatica e di tristezza e di impossibilità di essere adeguate qualunque sia la scelta che alla fine faremo, la vedo proprio in questo, nella possibilità di parlarne nella possibilità di avere tante testimonianze, tante esperienze, nella possibilità del fare di ciò che è più intimo e private, un qualcosa di comune. Questa secondo me è proprio la perla di questo progetto, e io vi ringrazio infinitamente per essere qua ».
Mariarosa «Beh, in realtà non so come cominciare perché io devo andare con la memoria molto indietro, perché i miei problemi sono incominciati quando avevo 20 anni, adesso ne ho 80, quindi inquadratemi in un certo tipo di società che non credo possiate riuscire ad immaginare. Quando avevo 30 anni e decisi con il mio fidanzato, chiamiamolo così, di sposarmi solo in civile, lavoravo a quella che era allora la Telecom, mi sentii dire “Stai attenta a quello che fai perché potrebbero anche licenziarti”. Arrivando a dire questo riguardo alla scelta di due persone, potete immaginare le limitazioni che venivano fatte. Comunque la scelta è stata fatta di comune accordo e io non ho mai avuto figli, e quello che mi fa piacere è che non ho mai avuto il rammarico, un dispiacere per aver fatto la scelta che avevo fatto. Perché io nella vita sono riuscita a fare molte cose che non sarei riuscita a fare con dei figli, perché quando il figlio è con te deve venire per primo perchè non ti ha chiesto di essere generato e quindi hai dei doveri che ti legano sempre e costantemente.
Certo è stato abbastanza difficile in quanto nel giudizio comune io ero la mosca bianca per non dire una pecora nera: tutte le mie amiche, quelle della mia età avevano avuto dei figli. Ho avuto la grandissima fortuna attraverso la famiglia di mio marito di frequentare persone che non avevano figli, e allora questo mi confortava, perché dicevo “non sono un’eccezione, è la norma”. Comunque a volte rifletto che nelle mie scelte debbono aver avuto incidenza anche delle vicende familiari perchè mio fratello, quando nacque dalla seconda moglie di mio padre, lei aveva 40 anni e nella difficoltà di partorire, mio fratello venne estratto con il forcipe e gli procurarono una lesione, per cui per tanti anni fu epilettico. Credetemi la convivenza con una persona con queste problematiche fin da bambino piccolo fin l’età adulta è stata difficile, fortunatamente sta benissimo adesso, voglio dire che le cose possono anche risolversi molto bene, e comunque la presenza di questa persona malata che limitava tutta la famiglia non è stata semplice. Non so se avete visto il film di Bellocchio “Pugni in tasca” che dà una pallida idea di quello che succede in una famiglia con una persona malata con quel tipo di malattia così plateale. Penso possa anche quello aver influito nel senso che ho sempre riflettuto molto, pensando “E se mi nasce un figlio malato?”».
Amica di Mariarosa: «Comincio subito dicendo che anche io non ho figli e anche io non ho rimpianti, cioè questa cosa non è venuta, non l’ho cercata, mi sono adoperata perché non succedesse. Parlare di scelta di maternità o di non maternità, credo che già comporti una discussione. Nel mio caso quando ho visto che non ero in grado di farli mi sono chiesta se fosse opportuno adottarne, così come credo che sia anche importante il problema di non vivere l’isolamento. In qualche modo oggi puoi fare un figlio con qualcuno, ma è consentito farlo anche da sole… i tempi sono cambiati e in questo c’è un riproporsi di questo tema… ecco non mi piace la parola scelta, trovo difficile parlare di scelta in merito ad una cosa nei confronti della quale potresti cambiare improvvisamente l’opzione».
Franca: «Io sono un’insegnante della scuola dell’infanzia, ho un rapporto quotidiano con le bambine e i bambini, ho un ottimo rapporto con loro, li e le preferisco molto agli adulti, mi piacciono molto. Li e le trovo molto più autentici. Sono molto soddisfatta, mi nutro molto di questo rapporto quotidiano, non mi sono mai trovata davanti a genitori che mi abbiano detto “Tu non ne capisci niente di bambini perché non hai figli’. D’altro canto non avendo figli, ma insegnando sono stata capace di individuare una incapacità genitoriale che a volte è piuttosto diffusa, a volte no, questo anche per sfatare un mito. Non è detto che una donna che non vuole figli debba sempre iniziare “Però i bambini mi piacciono”. Ci sono svariatissimi motivi per cui si fa una scelta consapevole rispetto al fatto di non volere dei figli ed è relativa a vari piani: il primo è quello relativo alla libertà individuale, nel senso che so che si paga un caro prezzo sulla libertà individuale, io dico che i figli sono la prole inetta per tutta la vita, perché in realtà è molto difficile liberare la testa dall’ impegno dei figli, anche quando maturano, quando crescono anche quando dovrebbero aver raggiunto la piena autonomia. Invece il mio obiettivo nella vita è la cura della libertà, la ricerca della libertà per cui non sono disposta a pagare questo prezzo in merito alla mia libertà individuale.
Un altro ordine di motivi è relativo invece alla situazione oggettiva della geopolitica mondiale, nel senso che, forse avrò una visione apocalittica, ma ritengo che viviamo in un mondo fortemente squilibrato, dove nascere da una parte o da un’altra del pianeta fa la differenza e non vedo perché dovrei riprodurmi qua e spiegare a mio figlio o a mia figlia che ha avuto semplicemente il culo di nascere in Europa e non nei Paesi africani che io frequento. Perché solo di fortuna si tratta, di niente altro. Oppure pensiamo al sovrappopolamento mondiale, abbiamo sempre queste ansie relative alle tabelle demografiche, alle nascite. Sembra sempre che se non ci si riproduca, si vada all’estinzione, oltre al fatto che per me è anche normale che ci si estingua visto i danni che abbiamo fatto. Il nostro problema è quello del sovrappopolamento e non quello dell’estinzione, nonostante se ne parli molto dirado da qualche tempo.
Per me non fare figli, è stata una scelta politica, perché in quanto femminista, avendo allenato un occhio critico sul mondo e su come questo va, mi sono sempre chiesta per quale motivo le donne non si siano rese conto del grandissimo potere contrattuale che avrebbero potuto avere nel dire “Noi per un mondo che fa così schifo, che non ci riconosce, che non ci rispetta, che non ci accoglie, non faccio figli, non creo braccia/ forza lavoro in un mondo così”. Per tantissimi anni, ho proposto alle donne di usarlo come strumento politico però è un argomento troppo forte evidentemente, che tira in ballo un’intimità tale per cui le donne non si sentono ancora pronte a fare un discorso di questo tipo, quanto meno in questa parte del mondo. In altre parti del mondo lo hanno fatto».
Angela: « Io prima di tutto volevo ringraziare le registe e tutte voi per aver preso parola in un modo così ricco e diversificato, perché se avevo un’idea all’ inizio, l’ho anche probabilmente cambiata nel corso dell’ascolto, e questo intanto credo sia una delle cose più belle per cui volevo dire grazie. E poi invece, per rimanere un attimino sul punto, sono molto d’accordo con quello che diceva Emilia riuscire a nominarsi è una cosa fantastica, dopo aver detto per anni non voglio essere madre o non sarò mai madre, poter dire oggi sono lunadigas, è già qualche cosa, poi magari avremo una smentita, potremo smentirci nel tempo, ma questo non è importante, secondo me è importante mettere a fuoco il mio desiderio oggi. E’ stato questo il motivo per il quale io e Giulia abbiamo pensato ad avere Lunàdigas oggi qui a Bologna. E se Giulia ha raccontato un po’ dei motivi non molto personali, io ci metto una nota personale, poi probabilmente lo farà anche lei dopo, non siamo nate a Bologna, forse si sente dagli accenti, e non siamo neppure cresciute in delle famiglie completamente emancipate, in cui la donna aveva già un ruolo nello spazio pubblico o magari aveva addirittura già un lavoro.
Io vengo da un paesino in provincia di Napoli. Mia madre ci ha messo anni per potersi trovare un lavoro e anche per raggiungere un minimo di autonomia dalla sfera maschile, adesso, forse, a 60 anni si affaccia alla sfera pubblica, sono stata circondata e sono cresciuta da uno stuolo di donne che ho stimato e per le quali nutro tantissimo affetto, ma che, sicuramente, hanno rappresentato un modello a senso unico. E questo lo dico perché credo che le nostre scelte di vita le facciamo soprattutto basandoci sui modelli, sulle parole chiave, sulle abitudini, le trasmissioni di saperi, le vicinanze nelle quali ci siamo mosse e siamo cresciute.
Qualche filosofo direbbe in maniera complicata che i comportamenti sono apparati disciplinari, io l’ho vissuto sulla mia pelle e probabilmente anche molte di voi, e molti altri qui oggi hanno vissuto tutta una serie di regole che ti portavano a comportarti, ad agire in un certo modo. E dico questo in quanto credo che per arrivare a dire “Sono lunàdigas, non voglio essere madre”, ci sia anche da fare un piccolo lavoro, che non è scontato. E per quanto la non maternità non sia più considerata oggi nel 2015 in Occidente un tabù, allo stesso tempo non posso negare che ci sia ancora un percorso da fare perché altrimenti si può nascere e poi rimanere in un certo modello di donna o di uomo. Questa è la prima cosa che volevo dire.
La seconda cosa di cui invece voglio parlare è quella del rapporto con il maschile. Ma ci vorrei ragionare un attimo sopra, non solo perché sembra l’assente dalla discussione oggi, ma perché mi è capitato di avere soprattutto dei patners maschi, e quindi di dovermi confrontare costantemente con questo loro desiderio, che aimè era quasi sempre presente nel partner con cui ero – e aimè, che sfiga!- Loro pensavano che potessi essere una buona madre, non so come mai… quindi dovevo anche combattere, dicendo “Guarda, non solo ti sbagli ma non ho proprio voglia, non rientra nelle mie… “ per cui questo rapporto col maschile ho cercato di indagarlo e chiaramente chiedevo a questi compagni “Scusa ma tu perchè lo vuoi un figlio, qual è il tuo desiderio?” e mi son sentita rispondere più volte, ma poi anche nel corso di ricerche che ho fatto per altri motivi dopo sempre in questo modo “Devo lasciare qualche cosa di mio in questo mondo” che è poi la risposta che ho sentito dire anche in alcune testimonianze del web doc proprio dagli uomini che tra l’altro dicevano “Devo trasmettere, devo lasciare qualche cosa in questo mondo”, ed è come se quello che puoi trasmettere passa attraverso la tua biologia. E non so, a me questo pensiero mi ha sempre inquietato tantissimo, cioè il fatto che se dovevo lasciare prima di tutto qualcosa, doveva essere un figlio.
Perchè? Potrei anche esserci e sparire, cioè non la sento come una cosa obbligata, ma se proprio dovessi lasciare qualche cosa, deve essere per forza un figlio che mi somiglia, con il mio Dna? Ho continuato a lavorare su questa cosa, a ragionarci sopra perché ho cercato di mettere a fuoco che cosa è la maternità nell’era contemporanea e quindi anche attraverso le nuove tecnologie, come poi abbiamo affrontato anche questa sera, perché prima ci dovevi pensare entro i 35 anni, adesso magari a 40 anni sei ancora in tempo o addirittura prima eri eterosessuale, in coppia, certo, in realtà tutti hanno sempre i loro metodi eh, non credo che tra l’altro prima della Procreazione Medicalmente Assistita, una lesbica non sapesse come fare a diventare madre, cioè in qualche modo c’erano degli escamotages, però diciamo che la cosa è diventata scientificamente praticabile, riproducibile comunque.
Ecco, io continuo ad interrogarmi su questa cosa, chiedendomi se sia davvero così necessario. Per carità sosterrò sempre le nuove tecnologie, ma vedo l’accanimento in corso sulla scelta riproduttiva e vedo la negazione della scelta non riproduttiva, soprattutto laddove per non riprodurti devi far qualche cosa, in quanto non è solo “non faccio sesso” per non riprodurmi, ma è anche l’uso un certo tipo di contraccezione, oppure, se son rimasta incinta, devo abortire, se non voglio fare un figlio rispetto alla donna che figli ne vuole, soprattutto in questo Paese, dove l’aborto è circondato dalla retorica del dolore, del sacrificio, della donna mancata, eccetera, eccetera. Per cui ecco tutta una serie di discorsi al negativo sul non voler essere madre, scegliere un’altra strada, continuo purtroppo a vederli e vorrei anche riuscire a vedere oltre. Ma questo succede in altri luoghi ed in un altro mondo. Uno dei miei più forti desideri non è solo non riprodurmi, ma anche trovare delle strategie per cui la non riproduzione diventi una cosa normale e non non sia più vista come una sorta di abominio soprattutto quando devi praticarla, cioè quando ti serve una pillola del giorno dopo, o devi ricorrere all’ Interruzione Volontaria di Gravidanza che in questo Paese mi sembra una cosa…
Chiudo su un ultimo passaggio, quello dell’eccesso di produzione e riproduzione che mi sembra molto attuale. Una delle industrie più fiorenti oggi è l’industria delle cellule staminali e l’industria del cordone ombelicale, ora in alcune inchieste che sono state fatte in quest’ambito si vede bene che alcune cellule staminali possono essere prese da feti abortiti. Le donne che abortiscono non vogliono regalare I feti abortiti perché dicono “Ho interrotto quell’ esperienza lì non è che proprio te lo regalo, al massimo te lo vendo”. Nelle interviste che leggevo, c’era una cosa assurda che queste donne si sentivano dire “Hai già sprecato te stessa, perchè hai scelto di abortire” – venivano proprio chiamate donne sprecate – per dire che tu hai già sprecato te stessa perchè hai scelto di abortire e adesso non doni neanche alla ricerca, potendo essere in questo modo produttiva.
Allora la mia scelta che è politica, anche io uso questo termine… per ora la mia scelta di non riprodurmi è una scelta politica ed è una scelta che però non è solo “non voglio prendermi cura di questo mondo” ma anche, in qualche misura, “non voglio riprodurre la nazione, questa nazione e non voglio riprodurre un certo ordine del discorso che è capitalista”. Punto e basta. Scusate se son stata lunga».
Signora Friulana: « Intanto volevo ringraziare tutte per le condivisioni di questa sera che sono state molto interessanti, intime, con un impatto affettivo forte. E devo dire che io mi ci sono riconosciuta solo in parte, nel senso che questo filo rosso del legame tra essere donna e essere madre, sul fatto che la scelta non riproduttiva in qualche modo vada a squalificare la propria soggettività di donna e che sia quindi difficile da sostenere, come lesbica non mi funziona. Lo dico nel senso che io prima di scegliere di non riprodurmi, per tante ragioni, ho scelto di essere lesbica. Questo mi ha posto al di fuori non solo dell’economia eterosessuale, ma anche dell’economia riproduttiva. E’ una posizione soggettiva particolare, perchè, secondo me, poi ti mette di fronte in qualche modo al problema opposto, questo discorso è molto complesso e lo spiegherò con un aneddoto.
Io vengo da famiglia medio borghese del Nord Italia, presso la quale mi sono sempre trovata bene anche rispetto alle mie scelte identitarie, e poi a un certo punto a mia madre è scattato quel, non mi ricordo chi lo diceva prima, quel desiderio di nonnismo, quindi dovevo riprodurmi. E mia madre mi ha proposto un piano strategico di riproduzione eccellente, nel senso che io avrei dovuto riprodurmi con la collaborazione di questo mio caro amico gay, ben noto in famiglia e creare questa forma di genitorialità complessa per la quale in qualche modo questo bambino un po’ lo tenevano loro, un po’ lo tenevo io, un po’ lo teneva mia madre, insomma si creava questa forma di parentela piuttosto Queer, tanto che quando mamma mi spiega questa cosa, io rispondo “Mamma ma è una queerrata pazzesca”, però no grazie, capendo che fosse appunto un suo desiderio.
Mi aveva colpito come quel suo desiderio di nonnismo fosse stato tale dal consentirle di immaginare una forma di relazione, una forma di parentela così poco normativa, anche se, nonostante questa offerta di collaborazione alla riproduzione, io ho continuato a non desiderare di riprodurmi, un po’ per ragioni politiche, perché insomma stiamo attenti a quanto consumiamo, ma abbiamo idea di quanto consuma un bambino in termini di impronta ecologica? E’ veramente disastroso. E ho deciso di non riprodurmi un po’ perché sento questo, come lesbica, come una forma di ricatto per cui in qualche modo il riconoscimento della tua soggettività deve passare dal riconoscimento dalla tua genitorialità. Questo vale molto soprattutto per le coppie, quindi in qualche modo soprattutto nei luoghi come in Italia dove non ci sono forme di riconoscimento istituzionale dell’essere in coppia, allora l’essere comunque genitori in qualche modo ti qualifica e ti consente di rivendicare l’essere coppia, quindi già ho problemi con la coppia, già ho problemi con la riproduzione… un disastro. Quindi per me non riprodurmi è stato anche, appunto, una scelta contro questa forma di validazione che dovrebbe invece passare dal riprodurmi.
Poi infine in realtà, e con questo chiudo, per me la ragione più profonda che ha formato la mia scelta non riproduttiva è stata in realtà veramente molto intima e personale, cioè il fatto che io non tollero l’idea di amore incondizionato. Io l’amore lo voglio scegliere, negoziare sempre, tutti i giorni con le persone con cui sto, dai racconti che sento mi pare che invece il rapporto con il figlio o la figlia ti installi questa forma di amore incondizionato, che per me è una coercizione che non posso scegliere».
Federica: «Io innanzitutto ho sempre trovato molto interessante questa cosa di non dialettizzare la scelta della non maternità, come invece voi in questo importantissimo documentario che è proprio un atto politico fondamentale in questo Paese state facendo. Primo perché il non dialettizzare l’esistenza e la legittimità di individui che scelgono di non riprodursi permette di escludere dal discorso dalla norma tutti coloro che prendono questa scelta, o meglio questa non scelta, che è già di per sé abbastanza interessante. Poi un’altra cosa ho trovato sempre molto svilente nei termini proprio della mia individualità, della mia soggettività, è sempre stato il fatto di sentirmi dire “Tu non vuoi figli perché sei egoista”. Trovo molto più egoista il fatto di voler fare dei figli per lasciare qualche cosa di proprio al mondo, se dobbiamo porla su questo piano. Oppure sentirmi dire “Perché non hai voglia di prenderti cura di qualcun altro”.
Non credo di dover avere questa responsabilità onestamente nei confronti di nessuno, che tra l’altro abbiamo già abbastanza cose di cui doverci preoccupare nei termini di ciò che ci circonda. Mi ha sempre anche molto colpita in negativo è quest’idea di dover lasciare qualche cosa di proprio, di biologico al mondo, come se noi fossimo questo insieme di cellule, come un apparato, un organo fatto appositamente per riprodursi e per lasciare qualche cosa d’altro che sia uguale a sé. Io ritengo molto interessante fare invece qualche cosa che possa esplodere in mille possibili sensi, non per forza in un individuo. Un altro aspetto molto importante è quello che si diceva prima “Tu non vuoi figli perché non ti piacciono i bambini’ assolutamente no, io non voglio curarmi di qualcuno per 1, 2, 3, 4, 15, 20, 30 anni, finchè appunto ci sarò io e fino a che ci sarà lui. Quando la madre perde un figlio, io non riesco nemmeno ad immaginare un dolore del genere, quindi non voglio proprio prendermi il carico di una tale preoccupazione nei confronti di individuo che dovrà vivere in un mondo ingiusto in cui succede qualsiasi cosa, soprattutto molto spesso le più sbagliate in cui io stessa non riesco ad avere le mie soddisfazioni per quello che dovremmo meritare tutti quanti. Quindi non vedo perché dovrei mettere al mondo qualcun altro che dovrebbe vivere in una realtà così ingiusta, quale è quella che appunto viviamo.
Quindi è innanzi tutto anche questo un atto politico. Anche questo iper-controllo che mi verrebbe imposto sulla mia esperienza di madre che si trova proprio a essere investita da uno spazio, cioè a diventare spazio pubblico, nel momento in cui viene riconosciuto il fatto che tu sei incinta e da questo momento in poi tutto ciò che succede al tuo bambino, tutto ciò che tu farai al tuo bambino, sarò monitorato dall’esterno. L’ho sempre trovato abbastanza pesante da vivere proprio a livello di libertà individuale, cioè il continuo giudizio nei confronti di una madre, il modo in cui cresce o non cresce il figlio, magari una madre vegana, ad esempio che si trova a dare questo tipo di alimentazione al figlio, si trova a sentirsi dire di tutto e di più, come se non si trattasse del proprio figlio, ma del figlio di qualcun altro, cioè ritengo che sinché l’intera scelta di maternità non sarà del tutto autonoma, sarà importante non sottoporcisi per il fatto che qualcun altro se lo aspetta da noi. Perché nessuno deve imporre a nessun altro una scelta, compresa appunto quella di non maternità, che è appunto quella di essere lunàdigas, che lo trovo veramente importante e pregnante come termine, quindi vi ringrazio per averlo dialettizzato, e per aver dato un nome alla nostra esistenza ed esperienza».
Si parla di aborto.
Mariarosa: «Non mi è mai successo di dovere abortire perché ritengo che sia un’esperienza traumatizzante».
Franca: « Io invece dico il contrario perché per me l’aborto non è per niente un’esperienza traumatica e l’ho sempre dichiarato anche in ambito pubblico, nel senso che non ritengo affatto l’aborto in questi termini e ritengo che nella misura in cui tutti e tutte continuino a sostenere che lo sia, inevitabilmente lo sarà in quanto i margini per vivere questa esperienza sono questi. E questo succede anche nel movimento delle donne, dove ti dicono continuamente che abortire è un’esperienza traumaticissima, quindi se tu vivi questa esperienza inevitabilmente ti troverai a dire, a convincerti del fatto che hai vissuto un’esperienza traumatica.
Fortunatamente io, quando mi sono trovata a viverla, ero già abbastanza radicata in me stessa per cui non è stata affatto un’esperienza traumatica, è stata un’esperienza liberatoria. L’ho fatto per due volte, cioè è un intervento che come non hai piacere di toglierti il dente del giudizio, ovviamente non hai piacere di finire sotto i ferri, di fare un raschiamento e tutto quel contorno di cose che ci sono… E’ l’induzione al vivere. Io ho fatto parte di un collettivo femminista che ha fatto manifesti, dicendo che l’aborto non è un dramma, non è necessariamente un dramma, assolutamente. Questo deve essere detto!».
Federica: «Io ho due amiche, abbastanza strette, quindi non sono esperienze dirette ma indirette, che dopo anni e anni di amicizia e di estrema intimità mi hanno confessato di aver abortito.L’esperienza di una in particolare mi ha colpita perché mi ha raccontato che ad abortire quel giorno in questa clinica privata, naturalmente, erano in sei ed una di loro ha cambiato idea, dicendo che non voleva più farlo, e si scatenò un applauso generale da parte delle altre ragazze, dei medici e degli infermieri.C’è questa idea del coraggio di farlo comunque, come se fosse un fatto di coraggio, o del mi prendo in carico ciò che mi è capitato biologicamente e lo porto a termine perché è giusto che sia così in base ad una struttura storica culturale che me lo sta imponendo e io addirittura ricevo degli applausi per sottoporre la mia esistenza a questo tipo di schema a questa formula».
Angela: «Io trovo che la cosa più allucinante prima di tutto sia essere in un Paese dove ci sono stati almeno, io non ero manco nata, otto, nove anni di lotte per avere una legge che almeno facesse uscire l’aborto dalla clandestinità e che questa legge dopo 30 anni sia quasi completamente disapplicata per un motivo che si chiama obiezione di coscienza, e che dà un potere enorme a persone che sono medici, che possono essere uomini o donne tra l’altro, e che in questo hanno un’enorme voce in capitolo perché loro possono dire che il nostro gesto, la nostra scelta di non diventare madri è sbagliata. Già su questo io rifletterei molto perché anche se abbiamo detto che la non maternità non è più un tabù, dall’altro lato però noi abbiamo una serie di norme che, volendo, la rendono impraticabile, perché tu puoi essere incappata in una gravidanza che non volevi e potresti fare un intervento che oggi è semplicissimo, perché preso in tempo, oggi c’è l’aborto farmacologico, che non è neanche invasivo e doloroso come era l’aborto chirurgico. In realtà per un verso ti trovi uno o una che è stato intitolato dalla legge a dirti “la tua scelta per me è inaccettabile, tu non puoi abortire, diventa madre” in quanto l’obiezione di coscienza significa questo in ultima istanza. Addirittura distingue anche tra donne ricche e donne non ricche, perché, se te lo puoi permettere, magari vai all’estero o in una clinica privata e puoi comunque ottenere il tuo aborto.
Ma quello che sta alla base è il fatto che c’è qualche cosa ancora nel nostro sistema culturale, legale, economico che dequalifica la non maternità completamente. Toglie a te il potere di decidere su questa cosa, poi su quello che è il vissuto di una donna durante prima o dopo l’intervento non mi permetto di generalizzare, ma cerco di notare almeno le grosse contraddizioni che ci sono, perché se da un lato c’è questo accento su l’intervento medico pericoloso dell’interruzione volontaria, che tra l’altro è a-scientifico, perché secondo me non ha alcuna base scientifica, non è pericoloso oggi, è pericoloso se eseguito alla venticinquesima settimana clandestinamente, ma mettiamo questo un attimo da parte. Prendiamo invece la fecondazione assistita, quanto ci vuole per ottenere una gravidanza con la fecondazione assistita, ci vogliono tre, quattro mesi e ci vuole soprattutto un’altra donna che presta il suo corpo con interventi medici molto invasivi che servono a produrre più ovociti da dare alla donna che vuole rimanere incinta. Di tutto questo nessuno parla mai, la fecondazione assistita è una cosa bellissima.
Oggi tutti possono fare bambini, a soffrire magari non è nemmeno la madre committente, quella cioè che vuole rimanere incinta, ma forse a soffrire è l’altra donna, quella che ti deve dare gli ovociti. Ma di questo non ci racconta mai nulla nessuno, dobbiamo andare a ricercarlo noi perché abbiamo degli interessi da attiviste femministe. Per me questo è veramente un abisso enorme. Non sono io dall’esterno a giudicare la sofferenza o il dolore di un’altra donna, ma per me quello che è in questione è il quadro che ci hanno preparato e il sistema in cui dobbiamo muoverci. Insomma, poi è vero che se io fossi lesbica, completamente lesbica, se non avessi alcuna tendenza eterosessuale, io potrei saltare a piè pari la questione. Adesso farò un esempio che forse è al limite, però è l’esempio che faceva già la Thomson negli anni Settanta, sull’argomento scivoloso dello stupro, cioè noi abbiamo comunque una base per cui dovrebbe essere il minimo comune denominatore: quello che le donne possano decider se interrompere questo processo biologico perché non lo vogliono. Semplicemente, dovrebbe essere assolutamente scontato, poi con Piera, con molte altre al Centro delle donne ne parlavamo.
L’altro lato è ricreare meccanismi di vicinanza, di solidarietà, anche se questa è una parola che neanche mi piace molto, di complicità forse tra donne, sfere in cui effettivamente questi argomenti non siano più il privato da nominare a bassa voce solo con l’amica del cuore, ma qualche cosa su cui possiamo ricominciare a prendere parola pubblicamente perché è forse il periodo che noi non abbiamo vissuto e che magari conosciamo attraverso i documentari sugli anni Settanta. Però è un periodo che a me farebbe molto piacere far esplodere, anzi. Per chiudere, dovremmo far riesplodere tutto questo, Lunàdigas è un ottimo enzima».
Giulia: «Sono molto contenta della discussione perché è stata veramente stimolante da tanti punti di vista, dopo aver messo in discussione, nell’ intervento precedente, la parola scelta, gli interventi che si sono susseguiti mi hanno portata a mettere in discussione la parola maternità. Che cosa significa la maternità stessa? Perché stiamo parlando di maternità, non maternità? Insomma, è un discorso veramente complicato, un work in progress, dico proprio personalmente di sentimenti rispetto a questo tema. Vi posso dire dove sono arrivata ad oggi, 17 aprile 2015. Credo di essere abbastanza, anzi sono sicura sul fatto per quanto concerne il dato biologico. Mi sento di poter dire di sentirmi lunàdigas dal punto di vista biologico, cioè non sento l’esigenza di avere un’esperienza biologica e fisica di maternità, questo sicuramente. Ma sento anche di non poter escludere il fatto di vivere la maternità in un’altra forma, in un futuro, cioè potrebbe essere che ci sia un incontro con un altro essere umano di cui uno potrebbe avere voglia di curarsi. Quindi questa è una cosa che non mi sento personalmente di escludere, quindi una specie di posizione ibrida, per il momento per quello che è emerso, e che mi faceva piacere condividere.
Pensare alla maternità non come ad un’esigenza, ad un dato biologico, ma come il fatto proprio di… , mi viene in mente sempre la parola cura sarà questa cura, prendersi cura, che è sempre questo legame con l’essere donna. Ecco mi viene in mente molto questa parola che non sento di escludere a priori, perchè così come uno lo può poter fare con un compagno, una compagna, così vale anche con un essere, un individuo di età inferiore ai 10 anni. non mi sento sinceramente di escluderlo e su questo credo che, mi richiamo al discorso della scelta non definitiva, e quindi di non poterlo sapere così a priori.
Per quanto mi riguarda, questo era un po’ l’aspetto fondamentale che mi sento di dire. Questo appunto può valere, non è nemmeno così legato all’ essere donna, lo potrebbe dire chiunque, anche un uomo in un certo senso, quindi è un discorso abbastanza generale, però, ripensando anche ai discorsi, anche sul dato politico, questo è importante come si richiamava prima, in che mondo faccio venire al mondo un essere umano. Quindi in questo senso pensavo veramente ai tantissimi individui che sono già a questo mondo. Questa è stata sempre una cosa molto presente, anche quando nel nostro Paese si è parlato molto della Legge 40. Ed uno dei miei primi moti, mi ricordo anni fa, per carità sono una persona estremamente diversa da anni fa, però questo è rimasto, questo moto di dire, questa esigenza di dover mettere al mondo, di dover dire che la maternità, la genitorialità si esprimesse necessariamente con il dato biologico, e quindi questa rincorsa alla fecondazione e alla necessità di quel tipo di procedimento, invece di vivere la genitorialità in un modo che non fosse legato al biologico, ma fosse proprio legato alla cura, alla trasmissione di valori, ad un modo di vedere il mondo, di educare, di accompagnare, di tutto questo processo complesso difficilissimo che ritengo sia il lavoro più difficile che è quello di essere genitori, io lo dico sempre a mia mamma.
C’è molto da dire anche sul discorso comportamentale. Per dire mia mamma, che non è assolutamente, non si definirebbe mai una femminista, per quanto era una cosciente ventenne all ’inizio degli anni Settanta. So benissimo perché ho sempre respirato la sua aria, che lei ha sempre puntato ad altro. Il famoso nonnismo, lei per fortuna non ce l’ha mai avuto e penso che sia uno dei gesti più femministi che io abbia mai visto, cioè una sorta di femminista di fatto, ma non di nome, e che ben venga, rispetto alle cinquantenni, sessantenni che si definiscono femministe e che poi per molti dei loro atteggiamenti non corrispondono a quello che secondo me il termine femminista vuol dire. Preferisco mia mamma che non si è mai definita tale, ma che però in tante sue cose di fatto lo è stata e lo è ancora. Mi ha influenzata molto con quel suo dire “Mi interessa che tu in primis ti senta realizzata. Qualsiasi cosa ti permetta di esserlo io sono felice”. Non c’è mai stato in discorso quel processo di autorealizzazione che deve passare dal fatto di avere un figlio o una figlia e quindi di renderla nonna. E quindi aver sempre respirato questa atmosfera, questa sensazione del “Sei tu libera di autodeterminarti e capire quali siano le cose che ti rendono felice” ti fa crescere un po’con questa libertà di poter vedere le cose in questo modo. Su questo è stata determinante e non finirò mai di ringraziarla ed è il motivo per cui dico sempre che semmai qualcuno mi dovesse chiedere quale è il mio modello di donna, esempio da seguire. Io risponderei che è mia mamma, non vi direi nessun personaggio famoso. Non c’è la Rosa Parks del caso, ma è mia mamma ».