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Anaís e Tatiana si confrontano sui temi che gravitano intorno alla scelta di non-genitorialità: a partire dalle rispettive considerazioni sul comune contesto ecuadoriano, in cui entrambe vivono, raccontano dei giudizi esterni a cui sono state frequentemente sottoposte. L’età anagrafica viene considerata una soglia biologica per l’adempimento di un dovere – quello di essere madre – a discapito di una scelta personale che non necessariamente prevede la nascita di un figlio. Le due donne concordano su quanto le aspettative genitoriali e i vincoli che ne conseguono ricadano in maniera diseguale in base al genere di appartenenza e quanto il linguaggio comune condensi questa disparità. La loro possibilità di autodeterminarsi passa attraverso il lavoro nella libreria, un luogo sicuro per tutte coloro a cui non è mai stato riservato uno spazio a Cuenca.

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Ecco la trascrizione completa del video:

TATIANA: «Mi chiamo Tatiana Avendaño, ho trentacinque anni. Sono di Bogotà, ma vivo qui a Cuenca, in Ecuador.»
ANAÍS: «Io sono Anaís Cordoba Paez, ho ventinove anni e vivo a Quito. E ora lavoro qui.
Non sono sicura se in Ecuador alle donne che non hanno figli le chiamano “careschinas”, ma c’è un certo riferimento a qualcosa che non rispetti quello che dovrebbe fare una donna, come saper essere casalinga, avere figli. Penso che sia come tutte le parole. Ci ho pensato da quando ho iniziato a pensare a questa cosa della maternità: in Ecuador la maternità è obbligatoria, perché non possiamo decidere sul nostro corpo, non possiamo abortire. È penalizzato e di fronte a ciò le decisioni delle donne non sono esattamente una decisione completa, no?»
TATIANA: «Qui a Cuenca ho deciso di abbassarmi l’età perché, in queste conversazioni in taxi, dire che ho trentacinque anni, sono single e non ho figli, è come essere una strega. E che sono migrante, sono qui da sola senza la mia famiglia, non ho marito, e non ho figli. Allora cosa faccio? È questa la domanda dei tassisti. Quindi, cosa farò della vita? E passerà il treno per sposarsi, per avere figli, no?
Chiaramente è più facile dire che ho ventidue anni, che sto studiando… così smettono di chiedere. Non voglio mettermi a fare una lezione in taxi.
Inventavo diverse storie, tipo che ero sposata ma non avevo figli, o che ancora non ho già deciso… perché se dicevo di essere sposata ma non avevo figli era tipo: “ma poverino suo marito! Cosa sta aspettando a dargli dei figli?” Finché non ho deciso di essere studentessa universitaria, ventiduenne, ho ancora tempo.»
ANAÍS: «C’è questa frase che dicono sempre: “hai perso il treno”.»
TATIANA: «Hai perso il treno, esatto!»
ANAÍS: «Orribile.»
TATIANA: «E sarà anche molto forte. E mi dicevano: “ma non si preoccupi, che qui a Cuenca sicuro che trova un buon marito”. “Grazie mille, signore”. Ho cercato di dire che ero sposata e che ancora non ero diventata madre, ma no. Avere trentacinque anni e non avere figli, a Cuenca è fatale!»
ANAÍS: «Io sto raggiungendo l’età in cui mia madre mi ha avuta. È un po’ strano, perché c’è come una pressione in famiglia. Non so se è per la questione dei figli, però forse sì: “tua madre ti ha avuto a questa età”. Quindi, non so, forse si aspettano che la storia si ripeta, quindi… “cosa state aspettando”? Ebbene, ciò che succedeva prima era che le donne che volevano studiare, non facevano figli, e quelle che non studiavano, ne avevano. Nella mia famiglia c’è una forte tradizione di donne che sono professioniste che non hanno avuto figli perché volevano avere una carriera. Ho una prozia che è genetista, un’altra prozia che è in politica, è stata infatti la prima congressista donna dell’Ecuador, ma decise di non avere figli, e ha compiuto, una settimana fa, centouno anni.»
TATIANA: «È carishina.»
ANAÍS: «È carishina. Siamo carishinas. C’è come questa idea di dover fare qualcosa di grande a livello professionale, e se non hai successo professionalmente dovresti almeno essere madre. E quelle che decidevano di diventare madri, come mia nonna, che non ha studiato oltre il liceo, allora è come se ci fosse lo stigma. Penso che esista ancora, perché ho una zia che ha deciso non avere figli, che mi ha detto: “mi piacerebbe essere oggi a Cuenca a dare la mia testimonianza”. Quindi ho queste due zie, una zia che ha deciso di non avere figli, e un’altra zia che non poteva avere figli. E naturalmente, per me era super ovvio che se non poteva avere figli, poteva adottare, ma lei no, quello che desiderava era che la sua genetica passasse di generazione in generazione. E non ha voluto adottare, quindi ora è… Ora le fa male, e molto, parlarne. Mentre l’altra zia, che aveva deciso di non avere figli, è sempre convinta della sua posizione di non volere figli. Tuttavia, credo che le due sono viste come le “poverette”, discriminate perché non hanno svolto il loro ruolo. Che cosa orribile!»

ANAÍS: «Penso che all’interno del contesto ecuadoriano è obbligatorio avere figli, perché è penalizzato l’aborto come scelta libera. Si può fare in pochi casi, ma se non c’è questa opzione, allora è una maternità obbligatoria e penso che personalmente non mi interessa essere costretta. Quindi se l’aborto verrà depenalizzato allora potrei pensare di avere figli… Ma finché non sarà così, non lo farò.»
TATIANA: «A me in famiglia è successo. Con mio padre avevo un ottimo rapporto, ma quando mi sono sviluppata la preoccupazione di mio padre era che rimanessi incinta. È stato così fino ai diciotto anni, vivendo con i miei, perché era come avere un solo momento nella mia vita, ma la mia vita sociale non era solo riprodurmi. Allora è stato molto difficile relazionarmi con mio padre, perché tutto il tempo ero tormentata che sarei rimasta incinta molto giovane. Chiaramente, a diciotto anni mi sono detta “non posso più sopporto questo”, ma quando ho smesso di vivere con i miei volevo essere una giovane madre, perché avevo questa folle idea che era fantastico avere una piccola differenza generazionale con i figli, era fantastico e anche cool: “lo faccio subito, e poi avrò una seconda giovinezza e tutto andrà bene”. Ma pensare realmente che volevo essere madre, non è mai successo. Infatti, con il mio ultimo partner, quando avevo circa trent’anni, e mi ha detto: “Facciamo un figlio?” E’ stato tipo: “nooo! Non voglio avere un figlio e men che mai con un hacker che non lava i panni, non fa i piatti, non mangia, non cucina. Non possiamo di certo avere un figlio così.»
ANAÍS: «E perché pensi che tuo padre fosse così terrorizzato?»
TATIANA: «Perché… ho due cugine che sono diventate madri molto giovani. Non so, forse credeva che avrei seguito un po’ il loro esempio, anche se non ha molto senso dato che non erano cugine molto vicine. E perché mio padre diceva che ero carina e questo lo preoccupava. Per questo ho studiato filosofia, perché così ero “brutta”. “Brutta!” Non sarò mai più così brutta.»
ANAÍS: «Sento una grande pressione per il fatto di non fare figli, perché credo che già i miei nonni e tutti gli altri pensano già “questa è l’abortista, non avrà figli. È una femminista della peggior specie”. E penso che ci sia pressione per il fatto che devi studiare. Studia, studia, studia, studia. Come dicevo prime per le mie prozie, sento già una pressione reale per me ora che mi avvicino a trent’anni. Quindi… dico a tutti che non metterò al mondo nessun essere umano su questo pianeta, nel contesto attuale. Perché farlo? Per farli morire in mezzo a situazioni terribili in natura, senza risorse. Sarò fatalista, ma penso che sia reale. Siamo già alla fine del mondo.»
TATIANA: «In famiglia hanno smesso di farmi pressione quando mi sono lasciata. Cioè, quando avevo un partner erano più insistenti. “Sei già in coppia, dovresti già avere un figlio”. E io dicevo no… E ora che non ho un partner, non mi dicono più niente. Penso che sia per questo che vivo qui, non mi sento più così sotto pressione, però quello che mi dicono ora è: “dato che non avrai una famiglia, dovresti essere più vicino a tua madre”. “No… ciao”. Ma dato che sono la strana della famiglia, ci sono alcune zie che non me lo chiedono più, ma ce ne sono due, le più autoritarie, loro sì mi chiedono dei figli. E per cosa avere dei figli? Per stressarmi di più per non avere lavoro? Per essere sottomessa al sistema? Non desidero avere la vita che avete voi. Voglio poter fare quello che mi piace. Perché ciò che i miei non hanno potuto fare lo facciano i miei figli? No.»
ANAÍS: «Io penso che questo sia super egoista. E’ come dire: “dato che non sono diventato dottore, allora dovresti esserlo tu”. Il figlio non è un’estensione, non è un appendice del tuo corpo. È un’altra persona e ha la libertà di seguire ciò che vuole fare, ma è molto difficile da capire. E credo che qui, in questa società, nella società latina, è super radicato questo concetto dell’appartenenza, dell’ereditare. Non lo so… come è raro per le donne a diciotto anni andare via di casa per fare la propria vita, perché è come… Inoltre, i lavori di cura spettano a te perché sei una donna. Quindi se a una donna succede di avere figli, è quello che la natura ha voluto per te. E questo è molto forte.»
TATIANA: «Inoltre nella mia famiglia è come se le donne, – nella mia grande famiglia allargata, nel paese dove vive la mia famiglia- , è come se le donne che non avevano figli non erano sposate e si prendevano cura degli altri. Si prendevano cura dei disabili, degli anziani… Le donne non sposate, che non avevano figli, dovevano prendersi cura degli altri. E poi, quando morivano gli anziani, o i malati di cui si prendevano cura rimanevano sole, perché nessuno stava con loro. Non era come adesso che ci sono un sacco di ragazze che non hanno figli e che… non siamo sole. Sì, non siamo sole!»

TATIANA: «Gli uomini non subiscono la stessa pressione. Gli uomini hanno il diritto di abbandonare, hanno il diritto di mettere incinta una ragazza, il diritto di voler essere genitori dopo che hanno abbandonato, no? Ma non c’è limite di età, giusto? Cioè, a un uomo di trentacinque anni non dicono che perderà il treno per diventare padre. Non è una questione biologica, perché i miei nonni hanno avuto figli fino a ottant’anni! Puoi continuare a riprodurti. Ma gli uomini non hanno limite, non hanno lo stesso problema.»
ANAÍS: «Non c’è la stessa pressione, e i lavori di cura non sono così sulle spalle degli uomini. È normale che lascerà casa, farà carriera, se vuole, avrà una famiglia. Quella pressione anche dal punto di vista professionale, che deve anche essere… Non c’è neanche questa pressione ad essere un buon padre, che è super forte per le donne. Esatto, può andarsene se vuole. Va tutto bene.»

ANAÍS: «Stavo riflettendo prima sulla questione della parola che forse è “carischina”. Carischina indica una donna che non vuole fare le faccende domestiche, o che si rifiuta di incarnare il modello del femminile all’interno di questa società, cioè in grado di stare al suo interno. Quando, ad esempio, a te non piace cucinare, o non ti piace pulire la casa, ti dicono “oh.. sei una carischina”. Questo può anche implicare che se non vuoi avere figli, potresti essere una carischina. Non ti conformi.»
TATIANA: «Carischina indica anche i mercati dell’usato, anche questo è carischina, no? Qui in Ecuador “carischina” è quella che non si conforma ma sono anche i mercati dell’usato, i mercati delle pulci. Anche questo è carischina. Stavo pensando in questi giorni anche alla parola zitella. Perché infatti a una madre single non la chiamano zitella, no. La zitella è quella che non ha figli. Non solo che non ha un partner, ma che non ha figli. Quando hai figli, non sei più al livello di zitella, perché almeno ti riproduci, no? Certo, non sei sola.»
ANAÍS: «Zitella.»
TATIANA: «Zitella. Sono parole offensive, sì.»
ANAÍS: «Sono parole denigratorie.»
TATIANA: «Perché non esiste “zitello”. Non è così grave, per un uomo essere scapolo. In realtà nessuno dice agli uomini così: “Sei uno zitello”.»
ANAÍS: «No, infatti.»
TATIANA: «È uno indipendente. Al massimo solitario.»
ANAÍS: «È timido. Timido, indipendente, solitario. Ma non zitello.»
TATIANA: «Essere zitella comporta essere amareggiata, stare da sola, come una persona cupa.»
ANAÍS: «E ha anche una connotazione che sei vicina alla religione, per esempio, che vai molto in chiesa… È come se la zitella… Penso che prima ci fosse di più questo collegamento.»
TATIANA: «Dovremmo reinventare la zitella, è come queer.»
ANAÍS: «Quella è zitella e tu?»
TATIANA: «Anche io zitella!»
ANAÍS: «Dovremmo mettere un cartello all’entrata: “Sono ammesse zitelle”.»
TATIANA: «Benvenute zitelle!»

TATIANA: «A chi voglio dare? Quello che mi piace di più della libreria, è avere questo spazio a Cuenca proprio come uno spazio per quelle persone che non hanno uno spazio in città. Quindi le abortiste.. Questa è la casa delle abortiste, questo è anche lo spazio per gli omosessuali, per i gay, per le trans. E infatti sono le attività che a me piace di più organizzare sono gli incontri per le persone che normalmente non hanno uno spazio a Cuenca, che non hanno un posto dove ci si può sentire a proprio agio. Questo è il luogo sicuro delle co-madri, le ragazze che accompagnano le altre ad abortire in modo sicuro.»
ANAÍS: «La domanda è: a chi lasceresti tutto questo?»
TATIANA: «Ah… a chi lascerei tutto questo? Ah… ho una nipote. Ho una nipote a cui vorrei lasciare questo. Ho molti nipoti, ecco.»
ANAÍS: «Questa è la tua discendenza?»
TATIANA: «Sì, cioè… con tutti i figli dei miei amici, credo che bastino loro. Quando vivevo in Colombia stavo spesso con loro, con le amiche che avevano figli. Oltre ad essere un’insegnante all’asilo, un posto alternativo, che ha la mia famiglia, e credo che questa esperienza di essere lì, dedicare molto tempo ai figli dei miei amici… mi sembrava come un contributo migliore poter avere un altro punto di vista diverso dalla madre, invece di essere madre io stessa. Era così come…Hanno bisogno di avere persone dall’esterno che gli dicano cose diverse. Allora sentivo, in questo modo essere zia “allargata”, di essere la zia dei figli dei miei amici, è quello che mi sembra più bello. Mi sembra che sia super necessario, perché restare rinchiusi all’interno della casa è asfissiante. Mi sembra che sia molto difficile tirar su i figli: molte donne cercano di farlo nel migliore dei modi, molte coppie valutano come farlo diversamente, ma la società li ha intrappolati. E continuando a vivere tutti insieme nella stessa casa, è molto difficile che possano crescere in un altro modo. Quindi mi piace essere zia, proprio per contribuire a questo spazio, per sovvertire questo spazio in modo che i bambini possano relazionarsi in altro modo.»
ANAÍS: «Penso che… non so… Tutte le cose, e gli ideali e ciò in cui credo e che sostengo sono già lì. Penso che dato che sono coinvolta in una lotta collettiva non voglio essere indispensabile… Non ho bisogno di essere indispensabile, allora credo che le mie compagne porteranno avanti questo. E anche che i miei progetti, le mie poesie, le mie foto, i miei video, sono come il luogo dove io lascio la mia creatività, che è la cosa che mi piace di più. Ciò che più mi fa sentire viva. Quindi, credo che sia già tutto lì e questo mi appaga totalmente. Ed è come un pezzetto di me che esce. Quando scrivo poesie, dico sempre che sono più che figlie. Sono come altri miei sé. Mi piace anche questo esperimento di condividere la maternità. Sono stata anche zia, e sono stata insegnante, non so se insegnante, ma facilitatrice, con ragazzi e ragazze Montessori. Adoro questa esperienza di poter stare vicina in un altro luogo, e motivare questa creatività, che esca e che io possa essere in una posizione che non sia quella del padre o la madre, che è piena di questi stereotipi di quello che dovrei fare, quello che dovrei dirti di fare. Meglio questa zia divertente, no? Credo che avere una zia divertente sia la cosa migliore, perché si impara di più insieme a persone divertenti. E ti ricorderai sempre della zia divertente, della persona di cui ti puoi fidare. È questo che desidero essere e penso di esserlo stata.»

ANAÍS: «Ho scoperto il progetto Lunàdigas perché faceva parte dei documentari di un festival, mi sembra di un festival che si chiama Hacker Porn Festival a Roma. Mi hanno mandato alcuni link che mi potevano interessare, e poi perché l’ho trovato nel MIC Genero del Messico. E penso che parlare di maternità, parlare di non desiderare la maternità, è un tema globale, dove tutte noi donne dovremmo avere il diritto di poter scegliere. Dovremmo avere il diritto di poterne parlare, invece è qualcosa di cui non si parla mai, e penso che in un contesto come quello qui a Cuenca è un contributo alla discussione se la maternità deve essere obbligatoria. C’è una frase in America Latina, con tutto il movimento della Marea Verde, che ora sta crescendo in molti luoghi da parte di molte giovani e donne, che dice: “la maternità sarà voluta o non sarà”.»

SPAGNOLO:
TATIANA: «Mi nombre es Tatiana Avendaño, tengo 35 años soy de Bogotá,pero vivo aquí en Cuenca, Ecuador.»
ANAÍS: “Yo soy Anaís Cordoba Paez, tengo 29 años y vivo en Quito. Y ahora trabajo aquí.
No estoy segura si en Ecuador a las mujeres que no tienen hijosles dicen “careschinas”, pero sí que hay como referencia a esto de que no cumples con lo que deberia cumplir una mujer, como saber ser ama de casa, tener hijos. Creo que sea como todas las palabras. He estado pensando desde que empecéa pensar a esto de la maternidad que en Ecuador a maternidad es obligatoria, porque no podemos decidirsobre nuestro cuerpo, no podemos abortar, Está penalizado y frente a esolas decisiones de las mujeres no son tan una decisión completa, no?»
TATIANA: «Aquí en Cuenca yo he decididobajarme los años porque, en estas conversaciones de taxi, decir que tengo 35 años que estoy soltera,que no tengo hijos, eso es como ser bruja, cachas. Que soy migrante, estoy aquí sola sin mi familia, no tengo esposo, y no tengo hijos. Entonces que hago? Es como la pregunta de los taxistas, no? O sea, que voy a hacer de la vida? Y se le va el tren para casarse, para tener hijos, no? Es claro, no?Es fácil decir que tengo 22 años, que estoy estudiando y que ya no tienen que preguntar más, porque no quiero darlesuna lección en el taxi. Es como…Hay varias historias, como que si estaba casada, pero no tenia hijos. Como..hasta que ya decidí… Porque cuando decía que estaba casadapero no tenía hijos era como: “pero pobrecito su marido”. Pues que está esperando para darle hijos? Hasta que decidí que soyestudiante universitaria, tengo 22 años, todavía tengo tiempo. No, porque…»
ANAÍS: «Hay esta frase que dicen siempre: “se te fué el tren”.»
TATIANA: «Se-te-fué-el-tren, claro!»
ANAÍS: «Horrible.»
TATIANA: «Y será muy fuerte también. Y me decian: “pero no se preocupe, que aquí en Cuenca seguroque encuentra un buen marido”. “Muchas gracias,señor”. Intenté decir que estaba casada y que ya mismito iba a ser madre, pero no. Tener 35 años y no tener hijos,en Cuenca es fatal!»
ANAÍS: «Yo estoy llegando a la edad en la cual mi madre me tuvo a mi. Es un poco extraño, porque hay como una presión en la familia. No se si porque no tenga hijos, pero sí, “porque es como tu madre te tuvo a esa edad”. Entonces, no sé,están esperando que repita la historia o sea, que están esperando? Y bueno, realmente lo que pasaba antes era que las mujeres que decidían estudiar, no tenían hijos, y las que no estudiaban, tenían hijos Entonces en mi familia hay comouna tradición super fuerte, de muhjeres que son profesionales que no tuvieron hijos porque querían ser profesionales. Entonces tengo una tía-abuela que es genetista, otra tía-avuela que es política, fue de hechola primera congresista mujer de Ecuador, pero decidió no tener hijos, y cumplió, hace una semana, 101 años.»
TATIANA: «Es carishina.»
ANAÍS: «Es carishina. Somos carischinas. Pero hay como esta idea de hacer algo grande profesionalmente, y si no eres exitosa profesionalmente por lo menos deberías ser madre. Y las otras, que decidieron ser madres, como mi abuela, que no estudió, más allá de la secundaria, entonces es como si hubiera el estigma. Creo que sigue existiendo, porque tengo una tía que decidióno tener hijos, que me dijo: “me encantaría estar de hecho en Cuenca dándome testimonio”. Tengo como estas dos tías, una tía que decidió no tener hijos, y otra tía que no pudo tener hijos. Y claro, para mi era super obvio que si ella no podía tener hijos, podía adoptar, pero ella no, lo que queria era que su genética se pasede generación en generación. Y no quiso adoptar, entonces ahora es… Ahora le duele, y mucho, hablar de eso. Mientras que mi otra tía, que decidí no tener hijos, es como super clarade siempre posicionarse desde ese lugar de “yo no quiero hijos”. Sin embargo, creo que las dosestán vistas como las pobrecitas, como las discriminadas, que no cumplieron con su rol. Que horrible!»

ANAÍS: «Bueno, creo que dentro del contexto ecuatoriano igual es obligatorio tener hijos, porque está penalizado el abortar por una decisión propia, no. Se puede en pocas causales, pero si no existe esa opción, entonces es una maternidad obligatoria y creo que personalmentea mi no me interesa ser algo que me obliguen. Entonces si se despenaliza el abortotal vez pensaré a tener hijos…quizás! Pero mientras no, no lo voy a hacer.»
TATIANA: «A mi familia me ha pasado que cuando con mi papá teníauna muy buena relación pero cuando me desarrollé la preocupación de mi padreera que me quedara embarazada. Y allí hasta los 18 que viví con mis padres, porque ya era así como haberun momento en mi vida, o sea que mi vida socialno era solamente reproducirme. Entonces era muy difícilla relación con mi padre, porque todo el tiempo estaba atormentado que yo me iba a embarazar muy joven. Claro, a los 18 estaba diciendomás yo no soporto esto pero cuando dejé de vivir con mis papasquería ser madre joven, porque tenía esa loca ideade que era fantástico tener como una diferencia generacional cortita con los hijos y que era fantásticomás bien es chévere, no? Como soy rápida, y despuésotra segunda juventud y todo bien, pero pensar de que queria ser madre, eso nunca pasó. Y ya después,o sea como mi ultima pareja, fue como que yo tenía 30 años, y me dice: ” y porque no tenemos un hijo?” Y fue como: nooo! No quiero tener un hijo eso no, o sea, no pues menos con un hacker que no lava la ropa, no lava la loza no come, no cocina, no podamos tener un hijo, así no.»
ANAÍS: «Y porque crees que tu padre tenía cómo ese trauma?»
TATIANA: «Porque…. a ver, tengo dos primasque fueron madres jóvenes no sé, es un poco el creíaque yo iba a seguir un poco su ejemplo, que nada a que ver, no eran cómo primas muy cercanas. Y porque mi papá decíaque yo era bonita y que le preocuparaque a parte bonita fuera bruta, por eso estudié filosofía,porque fue como bruta. Brutta! Nunca más voy a ser así brutta.»
ANAÍS: «Yo siento que si hayuna presión sobre mi, de que si no tengo hijos, porque creo que ya mis abuelosy todo el mundo se hacen la idea esta es la abortista no va tener hijos. Es feminista ademas peor. Y creo que hay la presiónque tu tienes que estudiar. Estudia, estudia, estudia, estudia. Como que, esto que antesyo decía de mis tías-abuelas, siento que ya es una presión real para mi cada vez que me acerco a los 30 años, además. Y bueno… Y yo lo digo a todos que no voy a traera ningún ser humano en este planeta, en el contexto que tenemos. Para que? Para que se muera en unas situaciones terriblescon respecto a la naturaleza, que no haya recursos. Pueden decirme fatalista, pero creo que es real. Ya estamos en el final.»
TATIANA: «En la familia dejaron de presionar cuando terminé con mi ex novio. O sea, como cuando tenía pareja era más como.. bueno, ta, ta…Ya estás en pareja,ya deberías tener un hijo, yo era así como.. no, no…Y ahora que no tengo pareja,ya no me dicen nada. Creo que por eso vivo acá y estoy más frescay no tengo esa presión. Pero, claro, lo que me dicen es ya que no vas a tener familia, deberías estar más cerca de tu mamá No… Ciao. Pero también,como soy la rara de la familia, hay tías que ya ni me preguntan, pero hay dos que sí, las más oligarcas. Y eso si como, para que no va tener hijos ? Para que tenga más estréspor no tener trabajo, para que sea más sumisa al sistema, no? Para que decidatener la vida que ustedes tienen? Para que no puedahacer lo que me gusta? Lo que no pudieron hacer mis padres, eso que lo hagan mis hijos? No.»
ANAÍS: «Yo pienso super egoísta justo eso, no? Que el intento es decir: “como yo no logro ser doctor, tu deberías ser doctor”. No es una extensión,no es un anexo a tu cuerpo. Es otra persona y tiene la libertad de seguir lo que quiere hacer, pero es muy difícil de entenderlo. Y creo que aquí, en esta sociedad, cómo latina, cómo te iba a decir,es super arraigado esto de la pertenencia, del heredar. No se, cómo que es raro en las mujeres sobre todo que decidieron a los 18 años, irse de la casa, y hacer su vida, porque es cómo… Además los labores del cuidado tienen que ser tuyos, porque eres mujer. Entonces si le pasa que tiene hijos, ya de paso es cómola naturaleza lo que te tocó. Y eso es muy fuerte.»
TATIANA: «Además en mi familiaes cómo si las mujeres, bueno en mi familia grande, no? Cómo en el pueblo,donde es mi familia, las mujeres que no tenían hijos era porque se quedaban solteraspara cuidar al resto, no? Para cuidar al discapacitado de la familia, a los mayores…Las solteras, que no tenían hijos, era porque tenían que cuidar a el otro. Y luego, cuando se mueren los adultos, loe mayores, o los enfermos, lo que sea, es cómo que quedan solas, porque nadie las acompaña. Finalmente, lo que es chévere ahora es que hay un montón de chicasque no tienen hijos y que no estamos solas. Sí, no estamos solas!»

TATIANA: «Los hombres no tienen la misma presión. En cambio, los hombres sí tienen derecho abandonar, pues no? Tienen derecho a embarazar, tienen derecho a abandonar, derecho a reclamar,cuando quieren ser padres después que han abandonado, no? Pero no hay limite de edad, no? O sea, un hombre a los 35 no le dicen le va a dejar el bus para ser padre, no? No es una cuestión biológica, porque mis abuelos tuvieron hijoshasta los 80 años! Para ya reproducirte! Pero no hay límite,o sea los hombres no. Ellos no tienen el mismo problema.»
ANAÍS: «Y no hay la misma presión,tan poco hay una… Los labores del cuidadono están enfocado así a los hombres. Es cómo.. Se entiende que se va a ir, que va ser profesional, si quiere, que va tener una familia. Entonces esa presióntambién de lo profesional, que además tiene que ser… Y tampoco hay esta presión que tiene que ser además buen padre, no! Que es super fuerte, es cómo…Exacto, puede irse si quiere. No pasa nada.»

ANAÍS: «Es lo que antes un poco estaba reflexionando, sobre tal vez la palabra carischina. Carischina significa una mujer que no quiere hacerlos labores del hogar, o que se niega a serel modelo de lo femenino dentro de esta sociedad. Entonces, capaz, dentro de eso también, quando, por ejemplo, a ti no te gusta cocinar, o no te gusta limpiar la casa, te dicen “oh.. eres una carischina”. Eso también puede implicarque si no quieres tener hijos, tal vez puedes ser una carischina. No entras dentro del muelde.»
TATIANA: «Carischina también es cómo cuando cómo los mercados de segunda, también es carischina, no? Aquí en Ecuador carischinaes la que non entra en el molde, pero también son los mercados de segunda, las tiendas de pulga,las ferias de pulgas. Eso también es carischina. Yo estaba pensando en estos días sí, como solterona, cachas… Que a una mujer, a una madre soltera no le dicen solterona, no. La solterona es la que no tiene hijos. No solamente que no tiene pareja, sino que no tiene hijos. Cuando tienes hijos, ya no estás ya no está en el nivel de solterona, porque por lo menos te reproducirte, no? Claro! No estás sola.»
ANAÍS: «Solterona.»
TATIANA: «Solterona. Son ofensivas, sí.»
ANAÍS: «Son denigrantes.»
TATIANA: «Porque no hay “solteron”, cachas! O sea eso no es tán grave, ser solterón. De hecho nadie le dicea los hombres así: “Eres un solterón.” No… eso es… independiente, tal vez solitario.»
ANAÍS: «Es tímido. Tímido, independiente, solitario. Pero no soltero.»
TATIANA: «Soltera implica ser amargada,estar sola, no? Como una cosa así como obscura.»
ANAÍS: «Y que tiene también una connotación de que eres cercana a la religión, por ejemplo, que vas mucho a la iglesia, que deberías Es como la solterona…. Creo que antes había másese vinculo, pero…»
TATIANA: «Deberiamos revendicar el solterona, es como lo queer, cachas!»
ANAÍS: «La que más es solterona y tu?»
TATIANA: «Solterona tambiéeen!»
ANAÍS: «Se permite solteronas. Sí.»
TATIANA: «Bienvenida solteronas!»

TATIANA: «A quien quiero dar? Lo que más me gusta de la librería, es tener ese espacio en Cuenca justamente es cómo un espacio para esa gente che no tieneun espacio en la ciudad. Entonces las abortistas.. Esta es la casa de las abortistas. Este es el espacio tambiénpara los marícas, para los gays, para las trans, y de hecho son cómo las actividadesque a mi más me gusta organizar, cómo los encuentros para la gente que normalmenteno tiene un espacio en Cuenca. No hay un lugardonde se pueda sentir cómoda. Este es el lugar seguro de las co-madres, que son las chicas que hacenacompañamiento en aborto seguro.»
ANAÍS: «La pregunta es: a quien dejarías todo esto? Ah… a quien dejarías todo esto?»
TATIANA: «Ah… a quien dejarías todo esto? Ah.. tengo una sobrina. Tengo muchos sobrinos, es eso.»
“Esa es tu descendencia?”
TATIANA: «Sì, o sea, todos los hijos de mis amigos, también creo yo que es cómoya es suficiente, les acompañaré. Mientras que yo vivía en Colombia acompañaba a un montón, cómo a mis amigas que tenían hijos. A parte de ser profesoraen el jardín infantil, así cómo alternativo, que tiene mi familia, y también yo creo que esta experiencia de estar allí,cómo poder dedicarle mucho tiempo, a los hijos de mis amigos. Me parecía cómo un mejor aporte poder tener otro punto de vistadistinto de la madre, que ser madre. Era así cómo…. uff… ahi…Ellos necesitan gente fuera de su casa, que les digas otras cosas, no? Entonces sentía,en este sentido de tía expandida, de ser la tía de los hijos de mis amigos, es lo que me parece más chévere. Me parece que es super necesario, porque la vida serradade hogar es asfixiante. Me parece quees muy difícil criar también, cómo que hay muchas mujeresque tratan de hacerlo en la mejor manera, muchas parejas que se lo plantean como bueno podemos hacerlo de otro modo, pero la sociedad los tieneserrados, atrapados, mientras siguen viviendotodos juntitos todos en una sola casa, es muy difícil que puedancriar de otro modo. Entonces me gusta ser tía, justamente para aportar en este espacio, para subertir ese espacio y que los guaguas se puedanrelacionar de otro modo.»
ANAÍS: «Creo que… no sé, como… Todas la cosas, y los idealesy lo que creo y que aprecio ya están por allí igual. Creo que como estoyen medio de una lucha colectiva quiero no ser indispensable y quiero no.. O sea no necesito ser indispensable, entonces creo que mis compañeras puedan ser las que sigan y también siento que mis proyectos,mis poemas, mis photos, mis vídeos, son como el lugar dondeyo dejo mi creadividad, que es lo que más me gusta. Lo que más me hace sentir viva. Entonces, creo que allí está y con eso me conformo completamente. Y es cómo un pedacito de mi que sale. Cuando escribo un poema,yo siempre digo que son más que mis hijas. Son cómo mis otros yos. Y me gusta ese experimento de poder también hacer compartida la maternidad. También he sido tía,y he sido profesora, no sé si profesora, pero facilitadora, con chicos y chicas Montessori, y me encanta esa experiencia de poderestar cerca de ese otro lugar y motivar a esta creatividad, que salga y que sea más cómo… En otra posturaque no es el padre o la madre, o esta llena de estos estereotipode lo que debería hacer, lo que te debería decir que hacer. Si no esta tía divertida, no? Tener una tía divertidame parece que es lo mejor, es donde más apriendes con quien más te diviertes. Y realmente siempre te acuerdasde tu tía divertida, de la persona con la que puedes confiar. Esa quiero ser yoy creo que he sido eso.»

ANAÍS: «Descubrí el proyecto Lunàdigas porque estaba dentrode las películas documentales de un festival, me parece de un festival que se llama Hacker Porn Festival en Roma, me mandaron algunos linksy cosas que me podían interesar, y después porque lo encontréen el MIC Género de Mexico. Y creo que hablar de maternidad, hablar de no desear la maternidad, es un tema global, donde todas las mujeres deberíamos tener el derecho a poder elegir, deberíamos tener el derechoa poder hablarlo, es algo que no se habla, todo el tiempo, entonces, creo que dentrode este contexto como el cuencano es un aporte a la discusión sobre si la maternidad tiene que ser obligatoria. Hay una frase en América Latina, con todo el movimiento de Marea Verde, que está ahora poniendos en muchos lugares por parte de muchas jóvenes y mujeres, que dice: “la maternidad será deseada o no será.»

 

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