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Elba Teresa, argentina di origini italiane, esule in Patagonia e poi a Londra, cosmopolita attiva nella difesa dei diritti umani, racconta il suo percorso di scelta di non avere figli di sangue per esercitare la funzione di madre energetica e spirituale, capace di generare anzitutto se stessa e progetti di cura e dedizione per gli altri.

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Ecco la trascrizione completa del video:

ELBA TERESA: «Quando ho saputo… quando la Paola mi ha chiesto se mi avesse fatto piacere un colloquio, per dire, per parlare sulla mia scelta di non avere dei figli mi sono sorpresa. Mi sono sorpresa tanto per la richiesta che qualcuno potesse parlare con me, che qualcuno che non conosceva me volesse parlare con me, e dopo anche la sorpresa di questo: una donna che ha scelto di non avere figli, perché qui è un tabù. Ci sono tanti tabù in questa società: la morte, la vecchiaia e anche la questione della maternità e dell’eutanasia. Nascere e morire qui sono veramente delle parole che sono diventate pesanti, lontane dall’essere, dal poter essere, dal poter esprimersi, dal poter vivere altre dimensioni, altri pensieri, altre modalità dell’essere che siamo, no?
No, io questa cosa mai me la sarei immaginata, questo rifiuto al parlare, questo rifiuto all’incontro; torniamo, sì al parlare ma all’interno di un incontro, all’interno di un incontro che è incognito, che è enigma, però se la vita per me ha un valore in termini di incognita, enigma, rischio, ma mai questi aspetti li vivo come qualche cosa di negativo, sempre penso che quello che mi aspetta nella scoperta è positivo. Mi succede così, non sono prevenuta, non so perché, come mai, per fortuna non sono prevenuta, mi apro. Dopo di che, certamente, alcune volte nell’apertura mi sono sentita frustrata, delusa, però questo è parte del gioco. Tutte le altre volte è stata un’esperienza molto ricca l’aprirmi, di crescita.

Bene, ora sì, sono argentina di origine italiana. I miei nonni erano italiani della Calabria. Quindi sono stata educata con questa cultura europea, perché credo che il sogno degli italiani di essere cosmopoliti lo hanno realizzato là, a Buenos Aires. Perché quando sono tornata qui, portata dal mito, qua in Italia non è una città cosmopolita, non è una città aperta al mondo, non è una città… sì non è una città cosmopolita. E questa esperienza cosmopolita io l’ho rivalutata e valorizzata tanto da questa prospettiva, dove c’è tanta paura dell’altro, del diverso, del non omologato. Sono stata fortunata perché io sono nata in una società dove ognuno di noi, anche se di diverse provenienze, Italia, Spagna, Francia, tutta l’Europa, Asia, tutto il Sudamerica…ognuno era cittadino argentino, cittadino del mondo, eravamo cittadini, non c’era questo discorso: “tu sei argentino, l’altro è extracomunitario”. Però neanche a Londra. Quando sono stata a Londra, ci ho vissuto un anno, questa cosa: “io sono inglese, tu sei extracomunitario”, non esiste questa discriminazione. Perché un conto è io sono diverso, in quanto diverso ricco, in quanto diverso, in quanto diverso posso arricchire, esprimere altri pensieri. No, qui c’è la discriminazione, il diverso viene discriminato, non come diverso in quanto un altro di me, anche un altro di sé, no, questa cosa non me la sono… allora mi sono sentita malissimo vivendo qui in Italia perché, bueno, questi valori che io avevo vissuto e che avevo anche… di cui avevo goduto tanto perché c’è lo spazio anche sociale, c’è il privato e c’è il pubblico, come dopo me lo sono ritrovato a Londra; in cambio io qui non trovavo il mio spazio sociale. Allora all’inizio forse in qualche festa dell’Unità. Ma non è quello lo spazio sociale dove tu ti senti cittadina, donna… donna che anche fa politica; la questione della politica, l’appartenere a una polis, l’appartenenza alla polis, che ti fa anche non solo essere donna, anche essere umano, essere cittadino. Un’altra volta sono dei valori fondamentali, secondo me. Bueno, io mi sono sentita privata di tutto quanto. Dopodiché la sorpresa che poche persone, qui nella Toscana, sanno qualcosa dell’Argentina. Sanno… anzi “Argentina-Maradona”, sì però anche Piazzola, anche Borges, che ne so, tante, tanti personaggi della cultura, dell’arte, del…“ah, Buenos Aires, capitale … Rio de Janeiro”.
Sì, va bene io non dico che so tanto dell’Africa, delle differenze, però noi, quando a scuola dobbiamo studiare tutta l’Europa e tutto il mondo in geografia in storia e letteratura… Certamente il mondo che dopo ci ha portato l’Europa al mito, al mito europeo.
Perché anche da… io ho vissuto la dittatura, allora l’Europa rappresentava questa messa in pratica dei diritti umani che lì venivano meno con la dittatura. Quindi…
Dopo essere oggi qui è dura, è dura, però è dura non perché sono qui, perché dico: “va bene, dove sono con gli altri a lottare per un mondo migliore?” Perché la questione meravigliosa in Argentina era questa possibilità per tante persone – per quello c’è stata la dittatura, perché era vera, era vero il pensiero del cambiare, il cambiamento c’era e la possibilità di incidere nel sociale era così forte, così vera che è stato necessario fermarla con una dittatura di quella dimensione.

Le donne, le donne in Argentina. Sì, c’erano per me da piccola la maggioranza di queste donne che io… le vedevo così le donne, le maestre, la vicina, la maggioranza di queste donne viste da me piccola, da me a scuola, da me adolescente: donne paurose, donne sottomesse, donne noiose, donne ancora che portavano avanti il pensiero dei valori come “la verginità è uguale alla virtù” e così tanti altri.
Allora per me… certamente dopo c’erano altre donne eccezionali, eccezioni di donne, io le vedevo interessanti, intelligenti, pensanti, che lottavano, che portavano altri valori. E dopo certamente questa vicinanza e questi genitori, anche i miei, che non contestavano ai suoi [i loro]. In cambio, noi, la mia generazione ha iniziato a contestare, ha iniziato a opporsi a quel pensiero unico, a quel modello di pensiero formale, puritano e ipocrita, secondo me.
E allora ci siamo rivelati. Io mi sono rivelata. La maggioranza di noi, torniamo non tutti, però se queste donne che mettevano… se queste donne che avevano raccolto le idee del ’68, le idee del movimento hippy, tutta la letteratura allora che si apriva a Marx, Nietzsche e Freud, la psicanalisi, tutto quello che anche c’era – ossia non maggioranza -, però mi ha fatto pensare diversamente, mi ha aperto delle possibilità che io all’interno della mia famiglia non avevo perché io ho avuto un’educazione religiosa: io dovevo sposarmi, avere dei figli, essere una brava mamma di famiglia, dopo lavorare, sì però questo non era così importante, dovevo trovare un uomo che mi mantenesse e questo era il pensiero comune delle signore frustrate, annoiate di avere un matrimonio e dei figli, una famiglia normale. Io, con l’educazione che ho avuto, ogni volta che mi innamoravo volevo avere dei figli. Per quello dico che ho fatto dopo una scelta: perché se no che scelta è se tu non ce l’hai perché non vuoi? La scelta ha avuto a che fare con un lavoro di consapevolezza e con un dire di no a qualcosa per affermare un’altra. Questa è la scelta: scegliere è morire a qualcosa e rinascere a un’altra. No, io voglio tutto, ossia dico di sì a qualcosa che è sì. No no, non so, mi sembra che la scelta implichi un conflitto da risolvere. E ogni volta che io mi innamoravo… meno male che non ho avuto figli perché sennò sarei piena, perché mi sono innamorata tante volte, per fortuna, nella mia vita. No… e allora però sempre c’era qualcosa che va, evidentemente, che va oltre, per cui mai ho portato a fine una… mai ho deciso di rimanere incinta per avere un figlio. L’unica volta nella mia vita che sono rimasta incinta del mio convivente di cui ero molto, molto innamorata, ho abortito, ho fatto una scelta, ho dovuto scegliere perché lui non voleva e io mi sono detta: “Sì ma io madre sola, madre soltera, a me non interessa, ossia avere un figlio senza… avere un figlio perché sono rimasta incinta non mi interessa, avere un figlio perché devo soddisfare… non mi interessa”. Allora è stato difficile, però lì ho iniziato a pensare, forse, perché è l’unica volta che sono rimasta proprio incinta. Quindi quella è stata la mia prima scelta, è stata molto difficile perché lì si presenta un altro problema: il tabù dell’aborto. Bueno, però mi ha permesso di pensare che, sì, io ho abortito però avevo un feto, non avevo un essere umano, non è … torniamo al tema della nascita e della morte. Sì, ossia, allora, un essere umano e io mi sono domandata tante cose: cosa vuol dire la maternità, cosa vuol dire essere madre, cosa vuol dire curare e aiutare a crescere un figlio… e io non me la sentivo, non me la sentivo perché ancora… l’ho capito dopo, perché dovevo ancora io rinascere a me. Ancora io dovevo essere padre e madre di me stessa; se avessi avuto un figlio non avrei avuto l’energia, la forza, il tempo e tutto quello che ci vuole per generarsi, per rinascere a una vita di libertà, perché per me la cosa più importante nella vita è stata la libertà.

All’inizio era una lite continua e costante, lite… era una cosa terribile, anche sono stata senza parlarmi con i miei genitori perché io… allora, sono stata a Buenos Aires, dopo ho fatto un esilio interno, sono andata in Patagonia, dove sono stata due anni a vivere; lì mi sono allontanata dai miei genitori per le continue discussioni e liti, soprattutto con la mia mamma. Io ero la figlia, la pecora nera, la figlia prima, maggiorenne, l’esempio da condannare, da diseredare. La minaccia, allora io dicevo: “che me ne frega dell’eredità, io voglio vivere! Voglio la vita!”. Ossia c’è stato sempre qualcosa sempre di più forte di me per cui la mia scelta era vivere e vivere la libertà e vivere come sono, come mi sento, non come l’altro non vuole.
Dopodiché quando hanno visto che io comunque con la mia modalità ho costruito tante cose, ero una persona rispettata, una persona che lavorava, una persona anche costruttiva, allora hanno cambiato totalmente, hanno iniziato a cambiare totalmente al punto che sono rimasta la figlia – che forse sempre lo sono stata – la figlia eletta. Solo che sono stati molto defraudati in tutto il periodo dell’adolescenza, perché avevo fatto le scelte contrarie, totalmente contrarie, al loro modo di pensare. Per me è stato difficilissimo però è lì dove mi ha aiutato fare, iniziare a fare, un percorso analitico. Senza il percorso analitico non lo so, comunque avrei pagato forse un prezzo ancora molto più caro di quello ho dovuto pagare.
Però sì, è molto difficile venirne fuori perché i pensieri… perché? che cosa… quali sono i fantasmi? Se io non faccio come loro vogliono, non mi amano, mi abbandonano, mi tolgono l’affetto?… affrontare questo è difficilissimo. Sì lo so, però era più difficile non amarmi, non rispettarmi, non essere d’accordo con me. Allora ho detto: “non c’è scelta, nel senso che non posso avere tutte e due; non posso avere l’amore di loro rinunciando all’amore per la vita come io me la sento, me la voglio fare e vivere”.
Allora, per me, la scoperta dell’analisi è stata meravigliosa perché mi ha permesso a me di fare un tesoro di tante questioni, venirne fuori e continuare a costruire però mi ha permesso anche di aiutare e vedere tante realtà, lavorare con tante persone anche sottomesse a questo non poter scegliere di avere un figlio.

La cosa per me terribile – questo te lo devo dire – quando sono stata in Patagonia dato che abitavo in un piccolo paese vedevo molto più da vicino tutta la realtà tra la politica, la questione sociale, la questione dei lavoratori, i meccanismi di produzione… allora c’era il petrolio, ancora c’è, allora c’erano degli operai che lavoravano sotto terra nell’estrazione del petrolio, un lavoro logorante: mi ricordo che viene la moglie di uno di loro angosciatissima perché era rimasta incinta del terzo figlio, molto angosciata perché il suo medico le diceva: “No però tienilo questo figlio, fai questo regalo al tuo marito!” – lo stesso medico che diceva al marito, che non prescriveva, che non dichiarava quanto si stava logorando e che era a rischio di perdere un orecchio.
Guarda per me questo… ossia ti sto raccontando una molto piccola cosa di tutta una situazione, di un’ingiustizia che non è lì, che è dovunque. Dopodiché per me era lì, no? Dopodiché crescendo, viaggiando mi rendo conto che questa mentalità è globalizzata, è globale… glo-ba-le, globale.

Allora sì, per me lì è stato difficile perché ero da sola. Eravamo pochi come me nella lotta, quindi avevo le minacce, le ostruzioni… Anche perché le persone se ne rendevano conto di questi discorsi ‘umani’. Umani nei termini di considerare loro e la loro situazione soggettiva e non che dovevano essere servi del sistema, servi di un padrone, asserviti totalmente… quindi per me è stata un’esperienza umana fortissima che mi ha dato, dopo, tutte gli elementi per affrontarla a Londra. Perché a Londra, quando io ho vissuto, venivano dalla dittatura i prigionieri politici dalla Colombia allora. Allora io lavoravo, già avevo superato io tutta la questione della mia dittatura, allora quello mi ha permesso di aiutare tutte le persone che venivano dalle altre dittature, perché in Sud America le dittature sono continue e costanti, e allora sì… per quello essere mamma… comunque io ho rinunciato ad avere un figlio carnale perché nella mia vita sono piena… tutto quello che curo, tutto quello che genero, quindi dopo curo e mi prendo carico e responsabilità e impegno, sono figli, ossia, in definitiva, che necessità… mi sono detta: “Meno male, sono contentissima perché non ho rinunciato al mio essere madre, che non passa da una questione di utero e del corpo, la carne della mia carne che non mi interessa la carne della mia carne, il possesso e che … però io non ho rinunciato al mio essere madre energetica, spirituale, psichica, quello che vuoi, perché creare, inventare, generare vita… per me, bueno, io sono una madre e anche padre, posso essere padre, madre, se posso essere tanti aspetti del mio essere, perché ridurmi ad essere una madre carnale?” Chiaro se una madre lo desidera, ha questa vocazione, benissimo! però sono stati pochi gli esempi di madre che sono madri perché amano il figlio, si amano.

Guarda, nella mia famiglia … no delle persone che… io ho una famiglia piccola, di quelle persone che ho conosciuto no, però c’è una nonna, che io non ho conosciuto, che sarebbe la mamma della mia mamma, della quale prima mi dicevano che era morta, dopo io ascoltando ho capito che non era morta… ho trattato di sapere al massimo, ma quella che non voleva sapere la mia mamma, quindi questa donna è andata via da casa lasciando la mia mamma e sua sorella con il padre. Io crescendo, mi sono detta: “che palle! ossia, in quell’epoca, dove allora in Argentina, essere figlia”… perché in Argentina, quando io sono nata avere un figlio senza sposarsi, essere figlia abbandonata era… la società ancora era terribilmente discriminante: il figlio naturale era un figlio disprezzato totalmente. Allora io mi dicevo che questa nonna, questa madre, certo immagino che la mia mamma avrà sofferto tantissimo, cosa che ha fatto pagare a me e ai miei fratelli tutta la vita, però io dopo crescendo, dico: “bueno, però, a quell’epoca aver lasciato il marito con due figli, doveva avere molte palle, una cosa totalmente fuori del normale, no?” Quindi questa nonna, che non ho conosciuto, ha fatto un atto… però lei ha pagato sì, ha fatto pagare per la sua scelta, un prezzo che io non ho voluto far pagare e per quello non ho avuto dei figli. Ossia avendo capito quello che la mia mamma ha pagato in termini di una sofferenza non lavorata, perché penso che il dramma della mia mamma è che non ha voluto sapere; in cambio io sì ho voluto sapere e voler sapere vuol dire potere lavorare, poter capire, poter lasciare il passato vissuto, ossia aver vissuto quello che tu hai vissuto però continuare ad andare avanti. In cambio i prezzi… sì evidentemente io ho imparato questo: non volevo pagare quei prezzi e anche per quello non ho avuto ho avuto figli.

Dopo ho avuto una ricaduta quando mi sono innamorata un’altra volta, a più di quarant’anni. Lì ho avuto la ricaduta, che hanno tante donne, adesso fino a quando biologicamente… ho avuto una ricaduta nel senso: “bueno, se non ho un figlio adesso, non ce l’ho?”. Però sempre nella soglia dell’essere innamorata, quindi in una situazione di non consapevolezza, una situazione di non consapevolezza, ossia l’innamoramento è un’esperienza stupenda però che non è determinante, quelle cose che si possono fare o scegliere in uno stato di innamoramento, dopo non è detto che rappresentino una questione di base, no?
Allora lì sono stata fortunata, non l’ho avuto. Sono stata tentata. Dopodiché ritrovandomi già… credo che lì è stato il momento della vera presa d’atto, dove ho scelto ulteriormente e scelgo ogni volta che mi sento, ossia che mi rendo conto che non ho bisogno, non ho avuto bisogno, non ho bisogno di avere un figlio per sentirmi essere al mondo. Non dico sentirmi donna, perché per me l’essere donna non passa per essere madre, al contrario. Io sempre mi sono sentita una donna e sono stata contenta di esserlo però non mi sono sentita mai minorata per non essere madre, non è che mi manca un figlio, sento che non mi manca, mi mancano tante altre cose ma non avere un figlio fisico, carnale. Quello che sì, nella mia condizione di donna diversa, diversa perché non ha scelto la famiglia tradizionale, avere dei figli, io l’ostilità l’ho sentita tanto da tante donne e da tanti uomini e da tante persone. La diffidenza, no? Il poco di buono, una donna che non ha una famiglia tradizionale, non ha figli chi è? Questa cosa sì, però l’ho sentita sempre nel primo impatto dopo quando le persone mi conoscono… a me interessa quello, chi mi apprezza è che mi conosce… però non è facile vivere in una società …
In cambio a Londra questa cosa non la ho sentita, questa cosa l’ho sentita qui soprattutto, perché quando ero giovane in Argentina… Guarda, ti dico questo: una donna che non ha figli, una donna diversa, una donna sola, me lo hanno detto… allora mi hanno detto questo, perché io sono donna sola e straniera, extracomunitaria.
“Voi extracomunitarie venite a rubarci i lavori e gli uomini!” Ti immagini che ci invitano a cena? Se pensano di noi che rubiamo gli uomini, i mariti, il lavoro: ti invitano a cena? dopo certamente, non siamo donne affidabili. Allora la Madonna, la madre, la Madonna, la madre questo bisogno dell’immaginario di tutte queste figure salvifiche, che dopo di funzione salvifica non ne hanno nessuna… in cambio noi non siamo rassicuranti. Per nulla perché stiamo dicendo, testimoniando che si può vivere veramente bene, diversamente, essere e stare bene; io a volte sono anche felice, quello non vuol dire che non soffro, ho tutti i mali anche, però anche tutti i beni mi posso permettere, perché ho imparato dai mali. Io ho imparato dal male, mi sono potuta permettere di imparare da tutto il male, da tutta la sofferenza che ho vissuto. Però se tu vivi pensando che il male va evitato, che male ha a che fare con l’altro, che il Papa, che la Madonna, che è meglio stare accanto alle persone che ti salvano, che ti danno, che ti riscaldano: allora noi siamo un ostacolo terribile per tutto questo, perché siamo la coscienza della vita e della morte che non si escludono, che vanno lì di pari passo.
Mi ricordo quando sono andata al teatro a vedere Garcia Federico Lorca che ha questa sensibilità per parlare delle donne incredibile: Yerma è la storia di una donna sterile che in quanto sterile viene cacciata dalla famiglia, dal marito, da tutti. Quindi la donna che non può procreare, una donna quindi da rifiutare, da lapidare come l’adultera, come la prostituta, come la…
Bueno, sì, io ho vissuto, quando ero giovane, trovavo alcune delle mie compagne molto preoccupate per il tema “figli sì, figli no”, quindi mi domandavano, a una età dove, diciamo a una certa mia età, mi domandavano: “Ma a te non preoccupa il fatto che non avere figli?”
“No”. A me il fatto di non avere dei figli non mi ha fatto sentire mai che mi mancava qualche cosa. Sono stati gli altri, io sentivo che era problema degli altri, forse, un problema dell’altro, un problema che mi portava l’altro, non un mio problema. Però… dipende dall’educazione, dalle classi, perché una cosa è le donne di una certa classe, la classe dominante è un conto, la classe povera un altro, la classe media … ossia, è una questione di classe, di biologia, di valori, per cui la cosa è diversa. Però io appartengo a una generazione dove, per fortuna sì, già la discriminazione non era così forte per noi donne che abbiamo deciso di non avere dei figli.

Le donne che mi hanno aiutato nel mio percorso sono state l’eccezione, donne-eccezione, però tutte donne diverse, però tutte donne pensanti, donne che si sono appassionate per la loro vita, che avevano una condotta che a me piaceva perché mi sentivo nutrire della loro storia, delle loro parole, del loro pensiero; cosa che le altre donne, quelle addomesticate dalla televisione è una noia mortale… tipico, guardando la pancia, i bigodini, quelle cose tipiche, no, troppo dipendenti dalla loro immagine, ma non termini di “mi curo per rispondere ad uno stile che mi rispecchia anche in quanto pensiero” no, “mi curo perché non ho altra cosa da fare che andare dal parrucchiere, andare a fare la spesa”.
Qua in Italia la Margherita Hack mi sembra molto, mi piace tanto.
Diciamo Margherita Hack e Ken Loach sono per me due vecchi così giovani, due persone che…
Dopo la mia epoca Ingmar Bergman, con tutti questi film… un’altra volta la donna, no? questa sensibilità dove io mi sentivo riconosciuta, io dicevo: ‘ma come fa lui uomo per mettere a nudo quello che io sento come donna?’ Quel film del rapporto madre-figlia così importante; tutti mi hanno colpito ma questo soprattutto, no, questo film …
Dopo, sì, tutta la letteratura delle donne, dopo Isadora Duncan, me la sono letta quando ero adolescente e questa vita segnata dall’arte, dalle donne artiste, donne politiche, donne amanti. Questa è stata, sì… Dopo, bueno, Simone de Beauvoir, tutte le poetesse…

Tante donne incinte, tante, io le vedo; non so, c’è gente che dice qua non si procrea, ma per me se ti procrea troppo, per me ci sono troppi figli, ossia troppi figli, pochi genitori. È questo il punto. No, io mi dico questo bisogno di continuare a produrre famiglia tradizionale, questo bisogno di continuare a procreare in un mondo che si sta sfasciando, in mondo così distrutto, inquinato, in un mondo dove abbiamo bisogno di crescere, di persone che possano costruire uno spazio per… dove si possa… dopodiché, se ci fosse uno spazio dove queste creature potessero vivere meglio… Perché io con questa cosa di avere dei figli perché il comando… rispondo a un ordine, dobbiamo essere mamme, dobbiamo procreare, questo non lo sopporto, mi sembra una violenza incredibile.
Io credo che la nostra generazione è stata una generazione di padri divisi soprattutto. Sono poche quelle famiglie che si mantengono; allora io vedo che la risposta dei figli che hanno subito la divisione dei babbi è due: o non fare famiglia o fare una famiglia unita, coesa con tanti figli. Cercare sempre la soluzione facendo, mai dicendo: “No, non faccio, prima rifletto, prima di agire rifletto, cosa voglio, cosa posso”.
Sempre fuori, questo atteggiamento di entrare più nella coscienza, ognuno nella propria coscienza, no?, in questo bisogno sempre di salvezza, di proporre e di continuare a… continuare questa catena. No? Io mi sono sentita molto contenta quando ho detto: “No, io ho spezzato l’anello della catena che veniva non so da chi”. Allora io sono stata molto… però vedo che, no, questo bisogno di continuare a tramandare un pensiero uguale, un pensiero unico, un pensiero che basta, io non ce ne posso più di questo pensiero.

Bueno, la mia casa è una casa libera. Libera nel senso che posso avere tutte le cose che voglio anche quelle che si possono rompere, che non devo curare, non devo fare una casa funzionale a quello che non va toccato o rotto. La mia casa è una casa, a me piace molto perché ho trattato di farla accogliente, creativa. È una casa dove io non ho figli e però per fortuna non ho perso la capacità del gioco, di poter giocare, di poter mantenere questo spazio. No, perché mi dicono: “Ah…però avere un figlio ti dà la gioia” Sì, però non è che io … anzi credo che la cosa più importante in un bambino è la curiosità, l’intelligenza la saggezza. Ma tutto questo viene azzerato dopo. Allora la mia casa è una casa viva, sì una casa che non si difende assolutamente dei pericoli che possano offrire per un bambino, quindi una cosa pericolosa. Sì, siamo gente pericolosa. Sì, il terrorismo, chi spariva? La gente che pensava, gli artisti, quello che era il sindacato, quello che alfabetizzava, la gente pensante, la gente che portava aria, che portava idee, che andava a mettere in questione tutto un pacchetto di idee fasulle, di menzogne millenarie, di stupidità continue e costanti. Dove nessuno ha fatto la sua funzione perché i militari, se la funzione era proteggere al popolo, l’hanno distrutto, i preti se la funzione era salvare i fedeli li ha venduti: quindi di che stiamo parlando? Noi siamo pericolose? Siamo in mano agli assassini? Continuamente, oggi, continuamente assassini? Sì, per quello io insisto con questo discorso: un figlio in questo mondo? No.
È che io non posso vivere nelle certezze, perché per me la certezza è la morte. Allora, io ho bisogno sempre di rinnovarmi, di inventare, di sorpresa, di enigma, di vita, cioè a me la morte, la morte è certa, ma la vita con delle certezze mi annoia perché quando ho provato a vivere in situazioni comode… perché tanti mi dicono: “Però tu fai una vita sacrificata”. Va bene, però io mi ricordo quando ho potuto fare una vita comoda: io non ci sto, mi annoio da morire, non posso stare in una vita comoda. Mi piace darmi delle comodità in certi momenti, però una vita comoda a me annoia. Io ho bisogno di muovermi, di rischiare, di provare, di faticare, di impegnarmi, di faticare, di riuscire a… sennò la vita comoda a me mi annoia da morire.
Certamente che l’ozio, posso stare tranquillamente a oziare, però quello è diverso. Guarda me la sono messa … sì perché io…. che ho fatto io? Sempre ho studiato, viaggiato, non avevo nulla, quando, a un certo momento, tutti qua mi contestavano: “Ma tu non hai nulla, non hai una casa, non hai …”. Avevo sì, una casa in affitto, basta. No allora ho detto facciamo l’esperienza di avere una casa, per quello mi sono comprata una casa qui nella piazza del Montevarchi. Mi sono comprata questa casa però per me comprarmi la casa, avere la casa, non era una questione di possesso, era un altro figlio da curare. Però mi ha responsabilizzato di tante cose, cose che essendo io affittuaria, no, è un’altra realtà. Prendersi cura della propria casa, pagare certe cose, il mutuo e tutto, che dire sono in affitto se oggi o domani me ne vado me ne vado …
Quindi, questa esperienza della casa, va bene che ha tante, dopo ho scoperto, tanti altri significati per me.

Allora sì, intanto le cose le vivo adesso, sì ho pensato a chi lascio le cose, a chi le lascio le cose? Si vedrà, non lo so, a chi le possa valorizzare. Non so. Vedrò.
No no, in realtà io non vivo tanto pensando, io vivo dopo le cose quando me le ritrovo posso decidere o pensare. Adesso potrei immaginare tante cose, però cosa farò lo saprò nel momento… devo sentirlo non lo so.
Sì, bueno, quelle cose mi piacerebbe lasciare alle persone che le possano valorizzare, non ho bisogno che sia la persona…
Allora io ho avuto molti figli, per me i figli, alcuni allievi, alcuni pazienti che mi hanno scelto, in un certo senso, come figura di riferimento materna. Quelli sono stati i miei figli. Ossia le persone che… non ho bisogno che sia uno del mio sangue a lasciare le cose, no, sarà uno che io apprezzo, che mi apprezza, benissimo; e se è uno sconosciuto va bene, non mi importa. Non mi importa.

Bueno, allora, se queste mamme quando parlano godono, si compiacciono, sono contenta e benissimo; ora quando queste mamme sono troppo autoritarie, troppo lamentose o troppo creative allora mi dispiace tanto per i bambini. Sì: “Tu non hai avuto figli. Tu non sai!” non solo “Tu non sai, perché tu non hai avuto figli! Tu non soffri perché, tu no tu no!”, come se per me fosse facile tutto. Io penso: sono loro che non sanno. Di fronte alla persona che incarna il sapere, di fronte la persona che mai si mette in questione, di fronte alla persona che è narcisista al punto tale che lei è tutto, mamma, moglie, non fai nulla. “Ma tu che puoi capire?”
Rami secchi. Rami secchi. Allora io ho visto tanti rami secchi in madri che hanno avuto tanti figli, disprezzate, abbandonate, e non volute dai figli. Dopo con i rami secchi si possono fare anche poi … con un ramo secco poi anche alimentare un fuoco. Quindi non c’è problema. Dipende cosa te ne fai tu con questi rami. Non dipenderà mai dai figli, dipenderà sempre da te e dai figli che tu hai saputo conquistare che vanno oltre il figlio-carne, torniamo lì, per me questo una cosa … perché deve essere carne? perché deve essere sangue? Non mi interessa. Non è questo il figlio, il figlio è una funzione di cura, di amore, di passione. Ne puoi avere tanti in questa queste modalità. Perché devi ridurti al figlio, uno, due, sette di carne, di sangue… e anche in quella modalità che non mi piace detta: “Perché sennò che farò quando sarò vecchia?” avere un figlio per quello?… Allora questa cosa è terribile. Questo egoismo: io ho un figlio per me. È qui che non … che c’entra, per me è un atto di totale egoismo.

Las madres de plaza de Mayo. Quando iniziarono erano pochissime e anonime e hanno iniziato la loro lunga marcia silenziosa, tutti i giovedì, tutti i giovedì. Allora io che ero in Argentina il giovedì marciavo con loro.
Ora, lunedì 7 maggio, sono invitata a un evento dove… perché c’è un libro di tale Orlando Baroncelli, Las madres de plaza de mayo, no: Su la testa Argentina! che parla di tutto il processo della dittatura, da las madres de plaza de mayo; ed io pensando, leggendo questo libro che è scritto molto bene, pensavo, sì las madres de plaza de mayo ma las madres de plaza de mayo non erano tutte le mamme, erano quelle mamme che avevano capito l’importanza della vita, della libertà, dell’essere mamme oltre i propri figli carnali; perché tante altre madri avevano paura, hanno rinnegato i loro figli, dicevano: “Qualcosa avranno fatto”. Non tutte le mamme … per quello hanno valore, perché è stato un gruppo di madri che hanno aperto coscienza, hanno fatto una strada di coscienza personale, politica e civile quindi in questo senso è, per me, di una importanza inestimabile. Insieme a loro studenti, insieme a loro tutte le persone che avevano… tutte noi, tutti noi che avevamo vissuto l’ingiustizia e sapevamo quello che succedeva, volevamo sapere. Era una modalità di testimoniare, era una modalità di scuotere le persone che non volevano sapere, che non volevano … perché la paura, perché l’impotenza, perché tante cose che possiamo capire però non volevano sapere. Allora è stato un movimento proprio, ora, il lunedì 30, quindi oggi è sabato domenica lunedì, è l’anniversario, trentacinque anni dalla prima marcia, trentacinque anni della prima marcia de las madres de plaza de mayo.

Allora, diciamo che la maternità che convince si verifica dopo, a posteriori, quando trovi una madre che oltre a essere una donna esercita la funzione di madre. Quindi aiuta un figlio a crescere a farlo diventare un essere, un essere libero. Come dice Kahlil Gibran: “I tuoi figli non sono tuoi, sono figli della vita“.
La vera madre, o la madre che convince, per me è la madre che genera vita, no la madre, la madre che non è riuscita, lei per prima, a diventare donna. Quindi è una bambina che ha dei figli cercando nel suo figlio, nella sua figlia la madre il padre che non ha avuto. »

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