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Lo scrittore napoletano Erri De Luca racconta della sua idea di paternità, legata al suo vissuto e alle sue conoscenze in ambito biblico e letterario.

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Ecco la trascrizione completa del video:

ERRI DE LUCA: «Io non sono padre, non ho avuto questa fortuna, questa occasione, non sono neanche marito. Ho chiesto un paio di volte ma… non sono stato.. non mi hanno preso sul serio. E quindi niente insomma, sono rimasto sospeso. Dico, uso il termine “vicolo cieco”.
Quelli che non fanno figli sono “vicoli ciechi”: non sbucano, non fanno sbucare la specie dall’altra parte. Però insomma ho un cognome e un nome abbastanza diffuso in natura per cui non rischia l’estinzione.
Non ne sento la mancanza, ma questo è un mio difetto di non sentire le mancanze, io sento solo le presenze. Allora sì se ci fossero sentirei la presenza, dei figli, ma senza, no non sento la mancanza. Mi manca l’immaginazione per sentire la mancanza.
A Napoli le donne dicono che gli uomini sono sangue prestato. La paternità è uno sputo, l’occasione di un momento, senza proporzioni con la maternità, invece che è tutto il resto, la fabbrica, il fatto che quel piccolo sputo, lì dentro si combina con un uovo e diventa.. si ingrandisce un milione di volte, diventa.. attraversa le ere in terra, passa da pesce a uccello, a mammifero. Il fatto che poi alla fine esca di lì è solo l’ultimo dei passaggi di un ingrandimento, di un ingigantimento, poi fuori di lì la creatura crescerà molto meno di quanto sia cresciuta in grembo alla madre.
Insomma non si può nemmeno comparare la paternità con la maternità. E infatti nelle epoche antiche non era comparata, aveva un rango solamente per motivi sociali la paternità.
Mio padre, lui ce l’aveva uno spirito paterno nei miei confronti, nei confronti di sua figlia, ma in particolare di me. Lui mi ha trasmesso i libri e le montagne, ma perché erano lì. I libri perché erano lì. Sono cresciuto in una stanzino pieno dei suoi libri, quella era la mia stanza da letto, e poi le montagne perché di tutti i suoi racconti quelle erano le uniche che avevano.. di cui aveva voglia di parlare. Le montagne della guerra, lui è stato alpino nella seconda guerra mondiale, le montagne gli hanno salvato un pezzetto di quella malora. Poteva guardarle con gratitudine, poteva spingersi con lo sguardo e staccarsi da dove si trovava. Quindi mi ha trasmesso questo affetto, questa gratitudine nei confronti delle montagne, e quindi io sono diventato uno scalatore, uno che poi le scala, ci mette le mani addosso. Così come attraverso i suoi libri poi alla fine ho cominciato a scrivere anch’io, leggendo quel… Comunque mio padre ha avuto un sentimento di paternità nei miei confronti e poi pur non condividendo niente delle mie scelte. Per esempio negli anni in cui ho partecipato ad un movimento rivoluzionario negli anni Settanta, lui si è preso la briga di comprare tutte le pubblicazioni che si riferivano, fatte da quella organizzazione, e quindi oggi mi ritrovo una collezione di quel tempo, di quelle pubblicazioni, che sì possiedo solo io e qualcun altro in Italia. Era un giornale, si chiamava “Lotta Continua”, era un quotidiano, e mio padre ne ha raccolto l’intera pubblicazione. E poi lo conservava, e poi lo faceva rilegare, senza condividerlo, semplicemente perché credo che pensava che consistesse in questo la paternità.
Mia madre mi ha dato il dialetto napoletano, la mia lingua madre, e mi ha trasmesso i sentimenti di quel luogo, del luogo in cui sono nato, in quella città di dopoguerra. Ecco li ho imparati i sentimenti, la mia educazione sentimentale si è svolta a Napoli attraverso i racconti di mia madre e delle donne. Erano i sentimenti della compassione, della collera, della vergogna. Questi sentimenti fondamentali insomma che formano poi una personalità, la personalità di una giovane creatura. E dunque anche il sentimento di giustizia.
Non ho mai pensato alla paternità senza la presenza di una donna, quindi una paternità astratta non mi è mai venuta in mente. Quando sono stato con delle donne sì, mi è venuto in mente che si poteva in quella direzione, che poteva succedere qualcosa così ma non è successo.
Non ho esperienza di paternità tranne quella di mio padre, della sua educazione da porcospino: il porcospino fa assaggiare ai figli tutti i tipi di cibi, anche quelli velenosi, e così il porcospino rinforza il suo sistema immunitario. Il porcospino è insensibile ai veleni, e così in quella infanzia-adolescenza mio padre mi esponeva a tutti i tipi di letture che erano quelli che stavano in quello stanzino, e quello mi ha rafforzato il mio sistema immunitario. Mi ha anche indolenzito, ma mi ha anche rafforzato, dunque ho questa esperienza della sua paternità
La Madonna è una ragazza-madre. In quella storia noi siamo abituati ad immaginarci un’irruzione di un angelo fornito di tutti gli apparati dell’apparizione soprannaturale: ali e simboli divini. Ma in realtà nella storia ebraica il “malach” è semplicemente un messaggero, non è il cherubino, il serafino. Quelli esistono e sono quelle figure rappresentate con le ali appunto, sopra l’Arca dell’alleanza. Invece il “malach” è semplicemente un messaggero della divinità, ma è un messaggero di fattezze umane, non lo si riconosce come messaggero della divinità se non dopo. E allora bisogna immaginare nella storia letterale insomma, ebraica di quel tempo, che la presenza nella stanza di Miriam, sia la presenza di un uomo che viene ad annunciarle la sua notizia. E quello che sorprende di più è la sua accoglienza: invece di mettersi a gridare o scappare da quella stanza per la irruzione di un uomo, invece la ammette la presenza, l’accoglie e accoglie immediatamente il suo messaggio. E quel messaggio la trasforma in “piena di grazia”, il momento in cui lei accoglie quel messaggio è “piena di grazia” che non è una manifestazione superficiale della bellezza, ma è lo scatenamento di una energia interna, che la riempie e che irradierà anche gli altri intorno. Un’energia interna che le permette di affrontare il mondo intero, rispetto al quale lei è una adultera dichiarata perché incinta prima del matrimonio e non del suo sposo. Le permette quella forza di grazia, quella pienezza di grazia, di stare davanti al mondo e ignorarlo, senza nemmeno scomporsi, semplicemente era quella pienezza di grazia che possiedono alcuni profeti, i quali vanno contro il pelo del mondo, vanno ad annunciare le cose più difficili da ascoltare spediti dalla divinità e lo fanno senza nessuna protezione, senza nessuna reticenza, lo fanno e basta, perché quello è stato il messaggio consegnato. Dunque quella grandezza che hanno i profeti nell’andare contro il pelo del mondo e aggredirlo, e minacciarlo e condannarlo perché quel mondo cambi i suoi costumi, ecco quella stessa potenza sta dentro l’accettazione di quella ragazzina, che diventa in quel momento madre ma anche una forza di combattimento ed è quella che travolgerà, si irradierà anche al suo promesso Giuseppe, Joseph. Nessun Vangelo dice che è vecchio. Noi abbiamo la possibilità di immaginarcelo giovane, e molto innamorato e molto vicino alla sua promessa sposa, tanto che crede, lui, alla versione inverosimile di quella gravidanza. Ma la verità è spesso inverosimile e ha bisogno di amore, di slancio, di entusiasmo per essere creduta. E Joseph ce lo mette questo slancio. Joseph è un nome che in ebraico “colui che aggiunge” e lui si aggiunge a quella fede, crede a quella ragazza, si aggiunge poi anche come sposo secondo di quella ragazza, e così le permette di salvarsi dai sassi della legge, perché per la legge lei è un’adultera. Lei è protetta dal matrimonio che il giovane Joseph conferma e ribadisce e realizza. E poi Joseph si aggiunge anche come padre secondo di quella creatura che dovrà nascere e non solamente perché lo fa diventare un… lo porta a bottega insomma, lo fa diventare un falegname come lui, ma perché lo iscrive a suo nome. Lo iscrive nella anagrafe ebraica a suo nome e allora Yehoshu’a, Gesù sta nella lista e nell’elenco della genealogia di Davide, quella del Messia perché Joseph è di famiglia dentro quella lista, dentro quella genealogia. Senza questo gesto di iscrizione all’anagrafe ebraica a suo nome quel figlio sarebbe il figlio di nessuno. Non starebbe dentro quell’elenco, dunque Joseph fa le cose giuste che riguardano il suo nome, “si aggiunge”, si aggiunge a quella ragazza che lo guida, lei è la sua guida, e credo che sia così per tutte le storie di gravidanza. È la donna che va avanti, che si inoltra nella sua gravidanza, che la esplora, e conduce, si porta dietro il compagno, lo sposo, come socio, come alleato di questa unione.
Miriam quello che noi chiamiamo Maria ma insomma Miriam in origine nella sua lingua, in ebraico la “m” ha due formati: uno se si trova in mezzo alla parola o all’inizio e un altro formato se si trova alla fine della parola. Nel caso di Miriam con queste due “emme” che aprono e chiudono il suo nome, la “m” dell’apertura, dell’inizio del suo nome è una “m” aperta, ha un’evidente apertura, di schiusa di grembo, mentre invece la ”m” finale è una emme completamente chiusa, è serrata, sta un po’ a simbolo della sua esperienza di madre, che dopo averlo aperto quel grembo con quella parola poi ha dovuto accettare che quel grembo fosse chiuso da quella parola che gliel’aveva messo dentro. Chiuso perché dentro quella parola c’era il mandato e la profezia di quella creatura che doveva nascere e che doveva offrirsi alla fine della sua breve esperienza. Quindi c’è un’apertura e una chiusura, nel nome di Miriam.

In ebraico il verbo “costruire” si chiama “banah” da voce anche al figlio, il figlio si chiama “ben” dal verbo “banah”.
Una donna che non ha ancora avuto figli, una moglie sterile, non è costruita. Quando Sara, la moglie di Abramo, decide di dare la sua schiava ad Abramo perché così almeno in maniera surrogata sarà madre, dice “perché sarò costruita anch’io”. La fabbrica della vita che appartiene alle donne è appunto questa costruzione.
E questo verbo ritorna all’inizio del “Bereshit” di Genesi quando la divinità fabbrica impasta l’“Adam”, lo impasta fa questa sagoma, questa figura mischiata di polvere e di fiato, ma poi quando – il verbo è il verbo del “fare”, il verbo del vasaio che impasta l’argilla – ma quando estrae dal fianco dell’Adam la parte, il verbo che adopera la divinità è il verbo “costruire”: “e costruì”. Dunque prende dall’Adam che è un semilavorato della creazione, prende e porta a perfezione o a costruzione definitiva la figura femminile che è il traguardo finale della creazione di quei sei giorni, e sta sotto il verbo “costruire” praticato, realizzato, eseguito dalla divinità.
Esistono le donne sterili, esistono le donne che non hanno .. il cui grembo è chiuso, ed è una … per loro è una vergogna, è una mutilazione. Del resto per quel popolo e per quella storia la fertilità era il segno più evidente della benedizione. Quel popolo che entra in poche decine di unità in servitù d’Egitto, nel giro di qualche secolo diventa un popolo così numeroso, così prolifico da spaventare perfino il faraone per quelle conseguenze dell’esplosione democratica. È un popolo benedetto dalla fertilità, e quando la divinità vuole attirare verso la Terra Promessa quel popolo che comunque schiavo era ben radicato dentro l’Egitto, usa il verbo della fertilità femminile dice: “quella terra avrà mestruo di latte e miele”. Le traduzioni non l’ammettono, non la vogliono, rinunciano e si censurano questo verbo ma si tratta proprio della fertilità femminile, il verbo del mestruo femminile avrà quella Terra Promessa. Ed è questa promessa di fertilità, paragonabile a quella femminile che fa da attrazione, che spinge, che scaraventa, catapulta fuori dalla terra d’Egitto quel popolo.
Per le donne, nel caso delle suore è una rinuncia più profonda, è una consacrazione più profonda, rispetto alla astensione sessuale degli uomini. C’è una offerta della propria, del proprio grembo che è più potente di una semplice rinuncia alle tentazioni maschili, che può avere il genere maschile. Ammesso che ci rinunzi.
Nel caso di Sara però anche lì c’è voluto un annuncio di messaggeri. Sara rimane incinta a 90 anni ma dopo che Abramo ha accolto degli stranieri alla sua ombra, li ha nutriti, gli ha dato sollievo al loro viaggio, perché sono viandanti e solo dopo questa accoglienza avviene l’annuncio nei confronti di Sara. E Sara ride all’annuncio e perciò suo figlio si chiamerà Yitzhaq, Isacco vuol dire “riderà” e però era proprio quello che serviva per sgorgare per far aprire quel grembo, una risata, una risata liberatoria apre il grembo di Sara a quell’annuncio e la rende fertile anche a 90 anni.
Intanto ho fatto scannerizzare tutta la raccolta di “Lotta Continua” e l’ho messa in rete, anzi l’ha messa in rete un organismo che si chiama Fondazione Erri De Luca che non coincide con me stesso, e quindi l’ho messa a disposizione di tutti quanti. Era un privilegio che volevo condividere e quindi oggi è uno strumento utilizzato da chi è curioso di quel periodo, di quel particolare punto di vista, sul quel periodo.
Lascerò in eredità quello che ho a questa Fondazione.
Questo me lo ha consigliato una donna però. Perché per me invece era bene che andasse tutto alla lieta rovina delle cose. Quindi sì, questo trattenere per tramandare è una cosa alla quale mi sono… ho acconsentito ma insomma con … senza crederci davvero insomma.
La memoria di me come persona la considero insignificante anche per me, quello che ho scritto magari potrà andare avanti ancora un po’. Ma i libri sono come le persone, non sono dei monumenti come diceva Orazio “ho fatto un monumento più perenne del bronzo”. Buon per lui io non ho questa intenzione, né questa immaginazione. I libri invecchiano, spariscono, si corrodono, sono fatti di carta alla fine e di inchiostro di poca presa, che sbiadisce, sono fatti come noi insomma, spariscono i libri, spariscono le persone.
Io nego il verbo lavorare per quello che riguarda la scrittura, anche perché io ho fatto per una ventina d’anni mestieri manuali, l’operaio quindi so, ho legato al verbo lavorare a una esperienza molto precisa e anzi la scrittura in quel tempo si era messa proprio di traverso al verbo lavorare, era la sua negazione, era il tempo salvato, il piccolo contrattempo della giornata con la quale pensavo così… non mi ero fatto mangiare tutta la giornata dalla usura di quel lavoro venduto. Quindi per me scrivere è un tempo festivo.»

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