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Paola racconta l’evoluzione della sua coscienza politica a partire dall’incontro col femminismo. Da un lato, matura fin da subito una personale scelta di non maternità; dall’altro, in qualità di comadre, oggi dedica parte della sua vita ad aiutare ed accompagnare altre donne che scelgono di abortire. Definisce il suo un posizionamento politico netto orientato a un cambiamento della società ecuadoriana, e della città di Cuenca in particolare, che tenga conto delle singole soggettività femminili e della sovranità sul proprio corpo.

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Ecco la trascrizione completa del video:

PAOLA: « Ciao, sono Paola Hidalgo, sono Cuencana. Beh, sono nata a Loja, una città a sud dell’Ecuador, e vivo a Cuenca da quando ho cinque anni. Ora ho trentatré anni. Lavoro da quando ho diciassette anni nel movimento giovanile. Sono stata in vari movimenti giovanili e sono stata anche coinvolta nel movimento femminista di Cuenca.
Le iniziative che abbiamo fatto negli ultimi anni sono state poche e di breve durata. Tuttavia, queste iniziative mi hanno aiutato a rafforzare il mio pensiero femminista e anche a indagare più in profondità. Ho deciso di non voler avere figli all’età di sedici anni: mi interrogavo molto sul tema della maternità, del perché noi donne dobbiamo seguire sempre un cammino, una rotta già prestabilita. No? Perché non dovremmo metterlo in discussione? Tuttavia, le mie argomentazioni erano ancora piuttosto fiacche, diciamo così, perché avevo bisogno di leggere, dovevo indagare di più, coinvolgermi con più persone che condividevano la mia linea di pensiero. Sono arrivata all’università
e la mia posizione veniva spesso messa in discussione. Tutti pensavano che avessi avuto qualche trauma nella mia infanzia, o che ero troppo giovane per decidere di non diventare madre. Sono arrivati a dirmi che forse avevo avuto qualche brutta esperienza con mio padre, e che per questo aveva deciso di non essere mamma. Hanno fatto alcuni giochi psicologici che non avevano molto a che fare con la mia decisione, e con il dire, “beh, non vuole essere mamma perché non vuole e basta. No?”

Tuttavia, con il passare del tempo, dopo aver letto molto di più sul femminismo, sul diritto di decidere, l’autodeterminazione del nostro corpo, ho capito che era quello che volevo e che il tema della maternità è una costruzione culturale e sociale. Maggiormente qui a Cuenca, dove siamo super legate al tema di Maria,
“il marianismo” è ovunque, la Vergine Maria. Le donne sono complete solo quando sono madri. E te lo chiedono sempre, sai? Perché non vuoi? Hai avuto qualche brutta esperienza? La tua decisione viene sempre legata, infrangendo quel canone stabilito, è sempre collegato a brutte esperienze che avresti potuto avere in passato. Certo che alcune donne potrebbero aver avuto brutte esperienze, ma ogni decisione è differente, no? E per molte ragioni diverse. Tuttavia, credo che il tema della maternità parta dal pensiero sovversivo, dall’invertire la norma prestabilita per le donne. Noi donne abbiamo un percorso prestabilito da seguire, da quando nasciamo, da quando siamo adolescenti, da quando raggiungiamo la giovinezza già sappiamo cosa succederà dopo. Quindi capovolgendo questa norma siamo portate a trasgredirla e dire non voglio essere mamma. Perché la maternità non sarà una delle realizzazioni che ho in mente per la mia vita. Io mi sto realizzando professionalmente, giorno dopo giorno mi sto realizzando anche personalmente, e penso che siano cose con un valore politico, perché il non essere madre è per me una scelta politica. Posso sostenere le maternità desiderate, posso anche sostenere il tema della decisione delle donne a diventare madri o a non esserlo. Ma penso che sia pienamente una decisione individuale, e non deve essere un’imposizione, perché la maternità tanto quanto tutto ciò che riguarda la sessualità femminile, passa per il nostro corpo, ci attraversa la pelle. E penso che solo noi possiamo decidere a partire da questo, delle cose che ci attraversano come donne, della discriminazione che ci tocca, del tema dei diritti che non sono soddisfatti, del tema della poca libertà di autodeterminazione del corpo, della sovranità sui nostri corpi.
Ci sono molte cose che forse le persone non capiscono quando si parla di decisione di non essere mamma. Ma io credo che sia un forte posizionamento politico che parte dall’individualità.

D’altra parte, io sono una “comadre”. Sono “comadre” già da un anno qui a Cuenca. Quello che facciamo noi “comadri” è dare informazioni sul tema dell’interruzione di gravidanza con pillole. Il nostro lavoro si basa sulla legalità, diamo informazioni ad altre donne, le diamo supporto, ma con qualcosa in più. Noi non diamo solo informazioni, che una qualsiasi donna potrebbe trovare cercando su internet. No, noi ci mettiamo il corpo, ci mettiamo la pelle, ci mettiamo la faccia. E penso che anche quello è un posizionamento politico forte delle donne, delle “comadri”, soprattutto che non ci nascondiamo dietro un telefono, che non ci nascondiamo dietro una pagina internet, ma piuttosto è declandestinizzare l’aborto e farlo, e accompagnare queste donne, e dire a queste donne che ci siamo, non sei l’unica donna che ha abortito o che abortirà. Molte donne lo fanno, e che ci sono donne che lo fanno sempre, cioè, ogni giorno ci sono donne che abortiscono. Quindi il punto è naturalizzarlo, è vederlo nella quotidianità, è tirarlo fuori dal lato oscuro che ha sempre avuto per vederlo da un lato super chiaro. Vederlo come se, io sono una donna e ti sto accompagnando, ci sono con il mio corpo, ci sto mettendo la faccia, e puoi fidarti di me. Quindi il tema delle “comadri”, che a me sembra aver molto rafforzato il mio femminismo, rafforzato molto il mio attivismo, soprattutto qui a Cuenca. E dico soprattutto qui a Cuenca, perché Cuenca è rinomata come una delle città più conservatrici dell’Ecuador. Queste fratture, questo rimettere tutto in discussione è come dare uno scossone alla società e dirle: “Sì, ci sono donne che fanno questo, esistono donne come noi che accompagnano altre donne. Esiste l’aborto qui a Cuenca.” Non è un tema di altre città, non è un tema di altri popoli, di paesi, di Quito, non è un tema centralista. Noi donne esistiamo qui e accompagniamo quotidianamente i casi. Accompagnare queste donne per me, togliendo il lato sentimentale, è dire che abbracciarsi e accompagnarsi ha un valore politico forte. Noi donne “comadri” facciamo cose che spetterebbero allo Stato. Allo Stato spetterebbe dare informazioni scientifiche, libere da pregiudizi, libere da miti, ma non lo sta facendo. Quindi noi diamo delle risposte a quelle donne che non trovano risposte dallo Stato e che hanno bisogno di supporto e aiuto urgente. Per me essere “comadre” è questo, è accompagnare, è partecipare alla lotta, prendere azione. Come ripeto sempre, è metterci il corpo e il viso in una società che ti giudica, ti incolpa, dove noi donne dobbiamo seguire un percorso prestabilito, dove non ci è permesso di infrangere nessun paradigma sociale o nessun paradigma di genere esistente.

Penso che ad un certo punto della mia vita dovrò sentirmi chiamare zitella, sentirmi dire che ho perso l’ultimo treno. Zitellona, una donna amareggiata e triste perché non ha figli, no? Poi dopo un po’ sicuramente lo attribuiranno alla mancanza di figli, come dire che questa donna è super arrabbiata, ha un bel caratteraccio perché è amareggiata e l’amarezza le viene per mancanza di figli, per la solitudine. Allora questo proprio no. La costruzione della solitudine penso che sia qualcosa che ci segna, soprattutto le donne, e che ci tocca come donne. Questa costruzione di solitudine per mancanza di partner, mancanza di figli, di figlie, allora. Credo che le rotture delle questioni di genere sono un processo super laborioso, super forte, che richiede molti anni questi processi e queste spaccature sono sempre dolorose. Certo che sono dolorose e non solo a livello personale, ma a livello sociale. Credo che quando mettiamo in discussione cose che riguardano il genere esse risultino dolorose per noi come persone. Quando ho iniziato a interrogarmi, mi son detta, è giusto quello che penso? O cosa c’è che non va in me? Credevo che fossi io il problema. Ti parlo di quando avevo sedici anni. Quindi queste rotture sono sempre dolorose, ma poi la strada è meravigliosa. Poi, quando si aprono le porte quando mi si sono aperte le porte del femminismo e forse può suonare romantico, o idealistico, ma una volta trovata la porta del femminismo non puoi più girarti indietro ed è meraviglioso. È sicuramente meraviglioso. Mettere tutto in discussione è doloroso, ma ciò che trovi lungo la strada, le donne che incontri lungo il cammino sono un dono meraviglioso della vita. »

Trascrizione in lingua originale

PAOLA: « Hola, soy Paola Hidalgo, soy Cuencana. Bueno, nací en Loja, una ciudad al sur del Ecuador, y vivo en Cuenca desde que tengo 5 años,tengo 33 años.
Trabajo desde que tengo 17 años en el movimiento de organización juvenil. He estada en algunos movimientos de organización juvenil y también me involucré en el movimiento feminista en Cuenca. Las iniciativas que hemos tenido desde hace algunos años han sido pocas y de corta duración. Sin embargo, estas iniciativas me han ayudado a reforzar el pensamiento feminista y también a investigar mucho más.Yo decidí no ser madre cuando tenía 16 años. Me cuestionaba muchísimo el tema de la maternidad, de porqué las mujeres debemos seguir siempre un camino, un rumbo que ya está establecido. ¿No? ¿Y porqué no debemos cuestionar eso? Sin embargo, tenía todavía mis argumentos,así como un poco flojos, digamos así, porque me faltaba leer mucho, me faltaba investigar más, involucrarme con más personas que estén de acuerdo a la línea de pensamiento que yo tenía. Llegué a la universidad y por mi pensamiento era bastante cuestionada. Todo el mundo pensaba que tenía algún trauma en mi niñez. Que era muy joven como para haber decidido no ser madre,también me dijeron que yo había tal vez tenido alguna mala experiencia con mi padre, y que por esto había decidido de no ser mamá. Hicieron algunos juegos medio psicológicos que estaban distantes al tema de decidir y al tema de decir, bueno, sí, ella no quiere ser mamá porque no quiere y punto.¿No?”

Sin embargo pasó el tiempo cuando ya leí mucho más de feminismo, de derecho a decidir, de soberanía del cuerpo de las mujeres, me di cuenta que eso es lo que quiero y que el tema de la maternidad es un tema de construcción cultural y social. Más aún aquí en Cuenca, donde estamos súper relacionadas con el tema de María, el marianismo todo el tiempo, la Virgen María. Las mujeres somos completas cuando llegamos a cumplir el rol de madres. Y siempre te preguntan eso, ¿no? ¿Por qué no quieres, o sea, tuviste alguna experiencia mala? Siempre va ligado tu decisión, o romper ese canon establecido, va ligado a malas experiencias que pudiste haber tenido en el pasado. Claro que algunas mujeres pudieron haber tenido malas experiencias y pues las decisiones son variadas, ¿no? Y son por muchas razones. Sin embargo, yo creo que el tema de la maternidad va desde el pensamiento subversivo, desde revertir la norma establecida para las mujeres. Las mujeres tenemos ya cierta línea establecida desde que nacemos, ya desde que somos adolescentes, desde que ya llegamos a la juventud y ya sabemos qué es lo que va a pasar luego. Entonces con ese revertir la norma y portarte transgredir a la norma y decir no quiero ser mamá. Porque la maternidad no va a ser una de la realizaciones que tenga en mi vida.Yo me estoy realizando profesionalmente, me estoy realizando también día a día personalmente y creo que son cosas que los debes tomar de forma política, porque este es un posicionamiento mío político, el no ser mamá. Yo puedo apoyar las maternidades deseadas, puedo también apoyar el tema de la decisión de las mujeres a ser madres o a no serlos. Pero creo que plenamente es una decisión, y no pasa nunca por una imposición,porque la maternidad, tanto como todos los temas que pertenecen a la sexualidad femenina, pasan por el cuerpo, nos atraviesan la piel. Y creo que sólo nosotras podemos decidir a partir de ello, de las cosas que nos atraviesen como mujeres,de la discriminación que nos atraviesa,del tema de los derechos que no son cumplidos,del tema de la poca libertad en nuestro cuerpo para decidir, de la soberanía corporales, entonces. Hay muchas cosas que quizá las personas no entiendan cuando se habla de decisión de no ser mamá. Pero yo creo que es un posicionamiento político fuerte desde la individualidad.

Y eso por un lado, por otro lado, yo soy comadre. Soy comadre aquí ya en Cuenca un año. Las comadres, lo que hacemos es dar información sobre el tema de interrupción de embarazo con pastillas.Nuestro trabajo está basado en la legalidad,damos información a otras mujeres, apoyamos, pero sobre todo tiene un plus. Nosotras no solamente damos información, como que una mujer abre una página Internet y encuentra ahí toda la información. No, nosotras ponemos el cuerpo, ponemos la piel, ponemos la cara. Y creo que ese también es un posicionamiento político fuerte de las mujeres, de las comadres, sobre todo que no nos escondemos detrás de un teléfono, que no nos escondemos detrás de una página de Internet, sino más bien es de clandestinizar el aborto y hacerlo, y hacer esos acompañamientos, y decirle a las otras mujeres estamos aquí, no eres la única mujer que ha abortado o que va a abortar. Habemos, existimos muchas mujeres que lo hacemos y que lo hacemos todo, y que hay mujeres que lo hacen siempre, o sea, todos los días hay mujeres que abortan. Entonces el tema es naturalizarlo, es verlo en la cotidianidad, es sacarlo del lado oscuro que siempre ha tenido para verlo en un lado súper claro. Verlo como sí, yo soy mujer y te estoy acompañando, estoy poniendo mi cuerpo aquí presente, estoy poniendo mi cara y puedes confiar en mí. Entonces el tema de las comadres, que a mí me parece que esto me ha dado mucho más fuerza a mi feminismo, que esto también ha dado mucha más fuerza a mi activismo aquí en Cuenca, sobre todo. Y digo aquí en Cuenca, sobre todo porque es conocida Cuenca como una de las ciudades más conservadoras que tiene el Ecuador. Esas rupturas, y esto es darle la vuelta a todo, es como mover a la sociedad y decirle: “Sí, existimos mujeres que hacemos esto,existimos mujeres que acompañamos a otras mujeres.Existe el aborto aquí en Cuenca. “No es un tema de otras ciudades, no es un tema de otro pueblos, de países, de Quito, no es un tema centralista. Existimos aquí mujeres y acompañamos diariamente los casos. Entonces el acompañamiento para mí, aparte de quitarle todo el tema romántico, y decir que se abrazar, que se acompañar, es un posicionamiento político fuerte, porque aquí las mujeres estamos,las mujeres comadres, estamos haciendo cosas que le correspondería al Estado. Al Estado le correspondería dar información científica, información libre de prejuicios, libre de mitos, pero no lo está haciendo. Entonces nosotras damos respuestas a esas mujeres que no encuentran respuestas y que nunca van a encontrar respuestas en el Estado y que necesitan apoyo y ayuda urgente. Para mí ser comadre es eso, es acompañar, es estar en la lucha, es activar. Como lo repito siempre, es poner el cuerpo y la cara en una sociedad donde te juzga, te culpa, donde tenemos establecida la línea que debemos seguir las mujeres donde no nos es permitido romper ningún paradigma social o ningún paradigma de género que existe.

Creo que en algún momento de la vida voy a tener que escucharla yo que me digan solterona, que me digan que se me fue no sé, que se me fue el tren, sí. Percha o sola, o esta mujer es amargada y triste porque no tiene hijos, ¿no? Entonces luego de un tiempo seguramente van a atribuirle a la falta de hijos, así como sí, esta mujer es súper enojada, tiene un carácter muy fuerte, porque es amargada y la amargura le viene por la falta de hijos, por la soledad. Entonces también, eso no. La construcción de la soledad creo que es algo que nos marca sobre todo a las mujeres, y que nos atraviese a las mujeres. Esta construcción de soledad por falta de pareja, falta de hijos, de hijas, entonces. Creo que las rupturas de las cuestiones de género son un proceso súper trabajoso, súper fuerte, que requiere muchos años y los procesos y las rupturas siempre son dolorosas. Por supuesto que son dolorosas y no solo a nivel personal, sino a nivel social. Creo que cuando nos empezamos a cuestionar ciertas cosas de género también resultan dolorosas para nosotras como personas. Yo cuando me empecé a cuestionar, decía, bueno, estará bien lo que estoy pensando. ¿O qué me pasa? O sea, creo que yo quizás soy el problema.O sea te hablo cuando yo tenía 16 años. Entonces estas rupturas siempre resultan dolorosas, pero luego el camino es maravilloso. Luego, cuando se abren las puertas y a mí se me abrieran las puertas del feminismo y quizás suene romántico esto, y quizás suene idealista, pero una vez que encuentras la puerta del feminismo no puedes salir y es maravilloso. Es definitivamente maravilloso. Cuestionar todo es doloroso, pero lo que encuentras en el camino, las mujeres que te encuentras en el camino son un regalo maravilloso de la vida. »

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