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Luca, pur non escludendo a priori l’idea di avere un figlio in futuro, mette in discussione il concetto storico tradizionale della famiglia come dovere sociale a “perfezionamento” della vita adulta e pone l’accento sulla sua educazione volta alla realizzazione individuale più che a quella familiare.

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Ecco la trascrizione completa del video:

LUCA: «Il tema è quello che dico sempre, ovvero da quando il matrimonio, dunque la famiglia, ha smesso di essere una forma di emancipazione sociale, una necessità per acquisire una credibilità collettiva, dunque sociale, vedo il matrimonio, la costruzione di una famiglia come il perfezionarsi di un desiderio che in questo senso può venire anche traslato in avanti nel tempo, dunque nella propria vita. Tanto più nel caso del genitore maschile, in quanto può aggirare il vincolo – diciamo – biologico, che impone una tempistica stretta, rispetto a quanto avveniva in un passato anche recente, penso a meno di trenta, quarant’anni fa, in cui la costruzione di una famiglia era un passo necessario ai fini di una credibilità. Quindi, declinandolo sul personale, non la vedo come una necessità attuale o impellente né come un tassello da acquisire necessariamente in quella che potrà verosimilmente essere la mia esperienza, quanto più un un’eventualità nella quale sarà possibile incorrere in base a tanti altri fattori e non un qualcosa da ricercare volutamente.
Non credo che il mio sia un pensiero egoista, in quanto non interpreto la genitorialità come un dovere della specie quanto più come una proprietà che si acquisisce nel momento in cui avviene a tutti gli effetti la nascita.
Come tale credo sia una caratteristica malleabile, dunque qualcosa da assumere laddove ci sia la volontà innanzitutto, e poi possibilità che non vertano unicamente su un settore economico quindi sostanziale, ma che siano anche pregne di disponibilità, forse di un desiderio di condivisione che non vedo come attuale, ma che non sento di escludere in valore assoluto.
Ciao, sono Luca, ho venticinque anni. Sono uno studente per scelta e per senso del dovere. Ho tanti interessi, tante aspirazioni o applicazioni che vedrebbero un figlio un po’ come un ostacolo per la loro realizzazione.
A livello familiare, non credo di aver ricevuto condizionamenti o pressioni, nonostante io provenga da una famiglia comunque di stampo cattolico, con tre figli e con un’impostazione anche forse tradizionale in questo senso in cui la famiglia andava non solo protetta, ma posta al vertice dell’esistenza individuale.
Penso però che con la mia generazione, quindi con il nostro essere figli, l’attenzione principale sia stata posta sulla realizzazione individuale piuttosto che collettiva, dunque familiare. Inoltre l’impostare la propria crescita, perlomeno nelle prime fasi in particolare sull’istruzione, anche avanzata a livello universitario, porta ad una inevitabile traslazione in avanti. Quindi a livello familiare si è persa forse l’aspettativa o la necessità, ma rimane comunque vivo eventualmente il desiderio.
Individualmente ci penso in maniera distratta, come è normale che sia soprattutto quando ci si concentra sull’idea di un proprio lascito, che spesso passa attraverso un altro individuo e personalmente non vorrei investire un altro essere umano dei miei desideri inespressi, quanto più mi piacerebbe essere io il protagonista della loro risoluzione.
Nonostante lo scetticismo che può emergere da queste mie affermazioni, non escludo comunque l’eventualità. Non la immagino nel presente, né avverto una fretta, un condizionamento per aderire ad un modello a qualche contesto che si sviluppa attorno a me e che dunque introduca una forma di influenza nei miei confronti. Quindi non ho un riferimento puntuale, però non sento di escluderlo a priori e dunque di affermarlo come invece un mio tratto fondante.
Ci sono tante persone che assumono a priori, quindi divergendo da quella che poi possa essere anche un’esperienza futura, l’ipotesi di genitorialità.
Nel mio caso invece la interpreto più come una possibilità che può essere conseguenza forse della realizzazione di alcuni caratteri che io immagino per la mia vita personale, dunque condivisa, laddove ovviamente la la genitorialità avvenga in un contesto di coppia o comunque in una costruzione ipotetica e non in una casualità, che dunque si presenti.
Quindi non credo al dovere genitoriale o al vincolo di natalità. Ma forse eredito un pensiero relativo al protocollo del buon genitore e credo, per quanto possa sembrare generalista o superficiale, che tanti problemi nascano proprio nell’educazione o nell’andare incontro ad una genitorialità, forse precoce o forse in condizioni non esattamente edificanti per la crescita.
Questa credo sia una eventualità che, almeno nelle mie decisioni personali incide, per quanto non possa risolvere il problema della natalità in Italia, tanto più in Sardegna dove è sicuramente incisive. Credo e immagino la genitorialità applicata al mio caso come qualcosa che richieda un certo tipo di di attenzioni, di comportamenti che non sento di poter garantire in quanto non impossibilitato, ma non desideroso. E questo, ora come ora, condiziona le mie scelte e anche la mia immaginazione futura, in quanto nei modelli che ricerco o che osservo, questa realizzazione di tipo familiare. Non aspiro a diventare il nuovo Fedez e Chiara Ferragni.
A margine di questa forse esaltazione egoistica, mi viene comunque da pensare a quella forma di solitudine tipica dell’invecchiamento che siamo soliti accompagnare con l’immagine di un figlio, quindi di una persona che abbia quasi un dovere nei confronti di noi stessi in quanto genitori, e sicuramente questo può rappresentare una paura, laddove si prende una posizione radicale che sia contraria alla possibilità di una genitorialità, insomma di una paternità nel mio caso. »

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