Geraldina Colotti, giornalista, scrittrice e militante delle brigate rosse, racconta come l’impegno politico sia stato determinante nella scelta di rinunciare alla maternità.
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Ecco la trascrizione completa del video:
GERALDINA COLOTTI: «Io mi chiamo Geraldina Colotti. Sono nata alla frontiera con la Francia, a Ventimiglia. Sono una giornalista de “Il Manifesto”, responsabile dell’edizione italiana di “Le Monde Diplomatique”. Scrivo anche da molti anni e ho scelto di non avere figli principalmente per via della mia principale scelta di vita che è stata quella di provare a fare la rivoluzione anche in Italia e quindi di dover assumersi le conseguenze di aver fatto la politica con le armi in un paese, diciamo democratico, come è l’Italia e di aver scontato con lunghi anni di carcere le conseguenze della lotta armata. Non sono pentita né dissociata e non sono neanche pentita di aver assunto la libertà femminile e l’autodeterminazione femminile come un punto centrale delle mie scelte e… Questa scelta, sì, di non avere figli, per quanto logicamente costosa da un punto di vista individuale, è stata anche la conseguenza quasi logica dell’aver messo sul piatto tutto di me; perché, essendo la politica principalmente scelta e a volte anche scelta per altri e sugli altri, avendo assunto questo criterio mi sembrava logico che tutta la mia vita, comprese le rinunce, dovesse essere posta, appunto, in campo e dunque le rinunce individuali, anche le più grosse, sono state assunte in questo senso.
Perché sì, assumere la scelta, a volte decidere anche per altri, incontrava il limite di un essere umano che non aveva nessuna colpa e non doveva subire le conseguenze, i ricatti di una vita che non aveva scelto e che, in questo caso, gli sarebbe stata imposta da una persona, all’occorrenza io… Soprattutto perché penso, quanto all’autodeterminazione femminile, che questa debba essere comunque, sempre il centro della scelta che la donna sia l’unica responsabile della relazione madre-bambino che è il nucleo della vita e che altre intromissioni non debbano esserci e che quindi l’unica regola valida da un punto di vista individuale debba essere il rispetto per sé e per l’altra o l’altro in quella vita di quella vita che, se viene al mondo, ha diritto di avere un’attenzione esclusiva almeno in tutti gli anni in cui deve essere tutelata e… ho un rimpianto, sì, di aver comunque, in qualche modo… di aver imposto anche a mio marito, che condivide le mie scelte di vita da trent’anni, politiche – è un compagno come me -, che avrebbe, invece, voluto fortemente avere un figlio. E qui, però, c’entra molto la mia condizione anche materiale concreta. Io sono figlia di poverissime persone che ha potuto studiare solo grazie a quello straordinario periodo di lotta e di trasformazione sociale che sono stati gli anni, fine anni ’60-70 e quindi tutta la mia vita non poteva prescindere del fatto che io non ho mai avuto mezzi, non ne ho tutt’oggi e quindi anche questo avrebbe significato per la bambina, o il bambino, essere ostaggio di una serie di condizioni, che quando poi si ha a che fare con la galera si complicano ulteriormente perché non puoi tenere il figlio oltre i tre anni d’età. Questi primi tre anni sono determinati da sbarre rumori suoni relazioni completamente artefatte e violente, in ogni modo. E poi deve essere dato a qualcuno, lo puoi vedere solo una volta alla settimana, viene perquisito e anche quando alcune delle compagne di lotta delle brigate rosse hanno scelto, quando il sistema repressivo si è leggermente ammorbidito dopo tantissimi anni, hanno scelto di avere un figlio perché lo desideravano molto, ancora una volta (e mio marito lo avrebbe voluto tantissimo)… di fronte a questa scelta mi sono figurata cosa avrebbe significato per me essere ricattata ogni sera, vedere il bambino perquisito, dover magari sottostare a degli imperativi che avrebbero leso la mia possibilità di scelta e di libertà perché c’era un altro essere umano che dipendeva da me. Ecco il compromesso, questo risultava inaccettabile, mi sembrava anche molto brutto l’uso, – questo naturalmente è personale, perché ogni donna poi può vivere in altro modo, lungi da me l’idea di dare lezioni o di dire che la mia sia stata la scelta migliore o più consapevole -, però insomma mi sarebbe sembrato strumentale utilizzare il fatto che ci fossero leggi un po’ più accomodanti, frutto anche queste di un lungo percorso, che consentivano a madri col bambino di non tornare in carcere fino a un certo periodo di anni. In questa situazione per me non sarebbe stata una scelta libera in ogni caso e, ripeto, tengo enormemente alla libertà e anche all’assunzione del prezzo che questa libertà implica. Sono ancora del parere che l’autogoverno sia la forma migliore di venir fuori dalla prospettiva di barbarie che ci si offre nel mondo e che sviluppare un tipo di relazione basata sulla scelta, sulla libertà, quanto più possibile, dal condominio, principalmente allo Stato sia un modo di dire che la politica nel senso di “poter fare” ha ancora molto da dire nel mondo.
A me piacciono tantissimo i giovani. Siamo, penso di poter dire “siamo” perché con tante donne della mia generazione, di un po’ prima un po’ dopo, che hanno vissuto la lotta per la libertà in quegli anni, per la liberazione sessuale, per lo stare con gli altri senza paracadute… un po’ è come non essere mai invecchiate, non lo dico in senso grottesco, eccetera, però è vero che quello è stato un periodo in cui l’adolescenza, i giovani e le giovani volevano crescere in fretta per governare il mondo in un altro modo e questo ci ha dato una cifra comune di essere… di trovarsi ancora bene con i giovani. A me non piace star lì a dire “ah, quanto siamo stati bravi noi in quegli anni, voi poveretti che”… eccetera eccetera, no, mi trovo molto bene con I ragazzi ed è molto bello anche proprio questa trasmissione di memoria. Al mio compagno ancora più di me piace proprio questo passaggio della storia e il punto più brutto che stiamo subendo in questo periodo, secondo me, è proprio la grande rimozione rispetto alla storia e questa idea di trasformazione anche, a volte distruttiva, pur con tutti gli errori che possiamo aver fatto, perché se siamo arrivati a questo punto certo non abbiamo fatto tutto bene a sinistra e ancor di più noi che siamo entrati nella parte dannata della storia, però quella [storia] è un’enorme cassetta degli attrezzi a cui attingere e noi donne siamo state in quel periodo una fucina, un laboratorio straordinario che non ha più smesso di produrre… La prova è che tu sei qui, che voi siete qui e che comunque è una troupe di donne e che vi interrogate sui punti rimossi o lasciati in ombra o comunque spezzati della memoria.
Quindi sì, certamente, mi manca molto e quando posso assumo questa idea della trasmissione di memoria in ogni momento. Poi sono tantissime le ragazze che vengono, al di là di quello che appaia insomma nella versione ufficiale dei vincitori di questa vicenda, sono tante le giovani che hanno voglia di capire, di interrogarsi… Ed è indubbiamente anche questa nostra ricerca di libertà di quegli anni un rompicapo, perché molte cose non si sono risolte, molte invece da un punto di vista sociale hanno prodotto le leggi più avanzate che ci siano state in Europa. Non solo il divorzio, l’interruzione di gravidanza libera e autodeterminata dalle donne, ma anche tutte le misure di welfare che ormai sono quasi scomparse che sono state frutto di una lotta per la libertà femminile che ci ha viste tutte in prima fila fino alle forme più radicali organizzate in cui le donne hanno contato davvero come nell’organizzazione di cui ho fatto parte, le brigate rosse di cui si sa poco, se non la visione metallica che se ne vuole dare, dove le donne hanno davvero contato in una maniera straordinaria, lasciando un segno fin dalla fondazione: Mara Cagol per esempio, che è morta giovane, però molte di noi, che sono venute dopo, hanno raccolto le punte più avanzate della libertà femminile. Niente nasce dal niente, e se una storia è durata oltre vent’anni di certo non è stata qualcosa di paracadutata dall’alto. E tutto questo periodo straordinario e fecondo dovrebbe costituire un rompicapo per gli storici giovani e, invece, si ha talmente paura del punto a cui è arrivata e poteva ancora arrivare la libertà femminile, la libertà per tutte e tutti che si è invece deciso invece di cancellarlo dalla storia.
Quindi sì, il rimpianto molto grosso, non solo di non aver avuto un figlio ma che non ci siano stati adeguati corridoi per trasmettere questa memoria, ripeto, non per dare lezioni o pensare che la storia si ripeta o che questo sia un periodo in cui le forme di lotta, anche le forme di ricerca della libertà per tutte e tutti possano essere le stesse, però, proprio come strumento critico perché le giovani e i giovani si rimettano in moto cercando una propria strada però abituandosi nuovamente a vivere senza paracadute; invece, oggi c’è una paura generalizzata dell’altra o dell’altro che porta ad assumere comportamenti conformistici o apparentemente liberi che invece sono tutti interni allo spettacolo che ti si presenta, no?
Pensiamo alle madri che portano, nelle trasmissioni, le figlie a prostituirsi o a questa idea nuovamente della donna-oggetto, come dicevamo una volta, e che è così, che è tornata come apparente, invece, modalità di libertà. Io faccio quello che voglio e per dire mi faccio escort, o qualche cosa del genere. Premesso che per me se non c’è violenza ognuno può fare quello che vuole però si espone anche al parere della propria simile che invece cerca altre strade. Cioè un’altra cosa che le donne soprattutto poi nel corso degli anni ‘80 hanno messo in avanti è che la misura del proprio valore sociale sia data da un’altra donna intesa come essere sociale naturalmente e non come schema o soggetto di autoritarismi e imposizione e non da un uomo come al solito: questo un po’ è passato, ma non del tutto, perché tra i ritorni indietro che ci sono stati, di nuovo questo ritorno del maschio che per quanto da un punto di vista storico sia in crisi nei suoi pseudo-valori patriarcali però poi, di fatto, uccide nelle famiglie, continua a proporsi eternamente, in tutte le strutture politiche e quando si vede presentare, nelle strutture di potere, una donna, questa donna purtroppo spesso assomiglia allo squalo femmina ma non necessariamente mette in campo quei valori di libertà per tutte e tutti anti-autoritari e di autogoverno che, invece, erano e sono stati e sono patrimonio di chi vuole un’altra vita.»
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