skip to Main Content

Marzo 2015. Nella cornice di un laboratorio di ceramica nel quartiere San Lorenzo di Roma, cinque donne tra i venti e i quarant’anni si confrontano sulle rispettive esperienze personali di maternità e di non maternità, sui condizionamenti che agiscono sulle scelte delle donne in tema di procreazione, sull’aborto e sull’esistenza dell’istinto materno.  

Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!

Ecco la trascrizione completa del video:

LAVINIA: «Come stai Silvia?»
SILVIA: «Diciamo che il periodo è abbastanza impegnativo di per sé. Però insomma voi sapete qual è la situazione, insomma.»
LAVINIA: «Sei stanca?»
SILVIA: «Sono un pochino stanca e un pochino… c’è un insieme di elementi che compongono questo periodo che sono impegnativi. Avendo avuto un figlio da tre mesi, insomma, sto affrontando quelli che sono, penso, i primi momenti dell’essere madre che di per sé ha un impatto, secondo me, sulla vita di una donna abituata a pensare a se stessa, indipendente, che ha fatto sempre tutto, molto forte. Perché è un momento in cui uno nella vita si ferma, per cui, mi guardo intorno e vedo che tutti gli altri progrediscono, fanno cose, si muovono, sono in evoluzione e io mi sento completamente ferma. E questa è una cosa che nella mia vita non ho mai provato e non so neanche se riuscirò mai ad accettarla completamente. Però, dicono che sia normale, per cui la prendo così, insomma. Spero che passerà come cosa.»
LAVINIA: «Comunque è una cosa che avevi previsto?»
SILVIA: «Però, per quanto te la puoi immaginare, secondo me non arrivi mai a capirla fino a quando non la provi. Poi, ovviamente cioè questi sono solo i lati negativi, poi c’è tutto l’aspetto positivo, che esiste, è reale, è tangibile ed è fortissimo a livello emotivo; però secondo me, per la vita come singola donna la maternità è un momento di fermo, è un momento in cui bisogna fare i conti col fatto che c’è qualcuno che decide per te, non sei più tu a decidere pienamente per la tua vita, almeno in questa fase, poi non lo so come sarà in futuro.»
MIRIAM: «Ma perché la percepisci come… io non capisco… cioè perché lo percepisci come un momento di fermo? Cioè… nel senso…non è un divenire? Nel senso il fatto che sia cambiata…»
SILVIA: «Sicuramente è passaggio, è una trasformazione; il passaggio da una donna senza figli a una donna con un figlio è un momento in cui avviene una trasformazione nella propria vita, però se analizzo quelle che sono… cioè, quale è la mia condizione di essere umano al mondo, mi sembra che in questo momento la mia condizione è una condizione limitata. Capito? È una condizione in cui non posso esprimere quello che riuscivo ad esprimere prima: non sono libera di viaggiare, non sono libera di alzarmi la mattina quando mi pare, non sono libera di farmi una ceretta, non sono libera di fare tutta una serie di cose che prima decidevo in libertà. E questo è un dato di fatto. Certo, ovviamente il ragazzino c’ha tre mesi, e quindi sicuramente adesso è una condizione limitante dal punto di vista proprio fisico, dopo diventerà invece probabilmente un impegno e una responsabilità sotto altri punti di vista. Però questa è, secondo me, una realtà della maternità che ci dobbiamo raccontare in qualche maniera perché esiste come… cioè non è che l’amore materno scatta appena vedi un ragazzino, non è vero; si costruisce giorno dopo giorno, pezzetto dopo pezzetto e sono felice di questa scelta però ci sono dei giorni che guardo la casa dove vivevo prima, alzo lo sguardo e dico: “uff… forse tornerei lì”. Forse tornerei in quella vita lì. Sono momenti, sono frazioni, sono attimi però ogni tanto questo pensiero ci sta.»
MIRIAM: «Ma tu ti eri immaginata madre prima?»
SILVIA: «Io no, ma io non sono un essere però umano molto materno come… è una scelta che improvvisamente è arrivata e che non ti so neanche spiegare il motivo per cui l’ho presa. Insomma… Io mi sono immaginata sempre senza figli, poi improvvisamente è arrivato questo momento e l’ho colto insomma in qualche maniera. L’ho colto anche perché ho tutte le amiche senza figli, forse, e mi sono anche un po’ stancata di tutte coloro che scelgono di non averne perché, secondo me, ormai soprattutto tra le donne, diciamo, di sinistra, le donne che hanno fatto un percorso di analisi profondo su se stesse è quasi più comune la scelta di non aver figli, e quindi dentro me stessa invece ho come provato a ritrovare la naturalità di questa scelta, proprio biologica: riproduzione e basta insomma.»
SARAH: «Ciao»
LAVINIA: «Silvia ci stava raccontando di quest’ultimo periodo della sua gravidanza. Tu Maria più o meno hai avuto lo stesso percorso… parlavamo…»
MARIA: «Io la capisco bene, sì… Io, in realtà, sono sempre stata ribelle e quindi anch’io non mi sono mai immaginata né materna né mamma, poi pure io … è successo così, è andata così, e forse l’ho fatta pure come “contro-ribellione”, cioè, per fare una cosa inaspettata anche rispetto a come sono, ero. Spiazzante. Quindi però anche questa cosa quando ti sei emozionata lo capisco bene perché è una bella botta.
Però, è vero, passa, non sono come i cani, si autonomizzano e quindi piano piano guadagnano competenze, capacità e quindi la vita la riacquisti, però il primo anno e mezzo, forse anche i primi tre anni sono tosti. Son tosti perché non sei più sola, appunto, non decidi più della tua vita da sola. Hai un esserino che dipende in tutto e per tutto da te, e soprattutto tante volte non hai voglia. Quindi… però, invece ti ritrovi tutto addosso tu perché poi per quanto insomma uno vive in un mondo più aperto, con, magari, dei compagni un po’ più emancipati, più… non cambia la vita ugualmente…»
SARAH: «No, di questo, già per fortuna, se ne comincia adesso a parlare, no? Anche degli aspetti non per forza positivi, forse… non so come… rispetto all’idea di una maternità appunto positiva, naturale, solo bella eccetera… non lo so, ultimamente io comincio insomma a sentire voci fuori dal coro rispetto ad una situazione che io non conosco perché non sono madre, non lo so, però che, appunto, so che mia madre ha avuto insomma un periodo molto difficile quando siamo nate io e mia sorella per cui… però diciamo che è stata molto sola, anche per questo, perché socialmente forse non era una cosa molto accettata; poi lei, poverina, era straniera, non parlava italiano, era sola. Poi, anche a noi, lei stessa a noi questa cosa l’ha confessata abbastanza tardi, per cui in realtà è importante invece, no? che emergano anche come normali queste cose.»
MARIA: «Però secondo me in realtà non è così. Io mi sono ritrovata ai giardinetti… e l’ho raccontato a Lavinia una volta. Nel senso che ti ritrovi da sola, perché, appunto, stai sola, lo fai in due, non c’è più la famiglia allargata, non c’è più la comunità, quindi stai sola, ti ritrovi al giardinetto a dover parlare di cacche, di biberon, di cose così, che ti senti anche un po’ mmm e però, se come battuta – io ne faccio anche di un po’ ciniche, cioè, si sa che le faccio -, mi è uscito, ho detto che lo volevo ammazzare, si è creato il gelo intorno a me, lo sguardo era proprio: “ma che stai scherzando?” E infatti ho attivato un gruppo di mutuo-aiuto, sì, eravamo quattro…»
SARAH: «… tutte che lo volevate ammazzare…»
MARIA: «Più o meno, le fantasie erano quelle… Però sì, cioè dove almeno potevi tirare fuori pure un po’ di nero e non solo rosa, perché questa cosa “quanto sei realizzata, quanto sei bella, di quanto è tutto stupendo” col cavolo! A me non mi risulta proprio. Cioè, insomma… poi è vero ci sono tante cose bellissime, intense, è una conoscenza, insomma, c’è un esseretto ciao!… però, insomma non è tutta sta passeggiata e questa gioia nell’essere madre io personalmente non l’ho, no…»
SARAH: «Ma neanche adesso?»
MARIA: «No, cioè non parlerei così neanche delle relazioni mie importanti, perché quindi di un figlio devo dire quanto è stupendo? Cioè, non è solo questo.»
SILVIA: «Ma poi, tra l’altro, la cosa che ti accade, secondo me, appena uno diventa madre, ne accadono diverse però insomma, quelle che almeno a me hanno colpito di più tutti ti chiedono se hai latte e se allatti. Come se io a tutto il mondo dovessi dire, che ne so, quante volte vado al bagno, come faccio la cacca, domande molto personali, per cui dico: perché?
E poi l’altra cosa che tutti ti dicono: “ti cambierà la vita!” Ma potrò fare io un bilancio di quello che è la mia esperienza? E se non ti sembra che ti sia cambiata la vita ti senti pure un po’ in colpa, un po’ responsabile, dici: “Ma, forse la sto prendendo male”. Perché c’è secondo me veramente una responsabilità sociale nel diventare madre. Lo devi diventare secondo certi canoni e secondo… cioè, seguendo una certa strada.
È vera, secondo me, questa cosa che hai detto prima rispetto a tua madre, secondo me, c’è come una non-libertà di raccontare anche quelle che sono le proprie difficoltà nel ritrovarsi in questo ruolo. Soprattutto, secondo me, per donne che appunto nella propria vita non hanno pensato sempre “un giorno metterò al mondo trenta figli”, cioè per donne che nella loro vita sono arrivate a questa decisione attraverso, appunto, diverse fasi, anche attraverso la fase del dire “questo mondo mi fa schifo, un figlio non lo voglio mettere al mondo qui, adesso”. Per cui secondo me c’è una visione molto stereotipata di come una madre si debba sentire, di come una madre debba essere, in qualche maniera.»
MARIA: «Ma poi anche questa mistica che il non-plus-ultra dell’essere donna o dell’essere femminile è la maternità. A me ha sempre dato ai nervi e a tutt’oggi mi dà fastidio. Io non penso che mi abbia minimamente reso più donna e quindi anche su questo, anche lì ti ritrovi a cercare di voler sfuggire perché come se automaticamente se sei una madre, sei una persona affidabile, sei responsabile, sei comprensiva, sei paziente… sei materna!!!
Per niente, sono un disastro e un disastro sono rimasta, nel senso … quindi è vero che poi entri in una categoria esistenziale a parte che, però, appunto è la realizzazione completa di quello che in potenziale potevi essere … col piffero.»
MIRIAM: «Dici anche la mamma moderna è concepita in questa maniera secondo te?»
MARIA: «Sì.»
MIRIAM: «Cioè, secondo me, un po’ si è sfatato comunque questo mito della mamma perfetta, cioè oramai… cioè nel senso sì, in linea di massima può essere rimasto un retaggio culturale, che poi figuriamoci, in Italia, poi la mamma è proprio… è amplificato forse questo punto di vista perché comunque con il retaggio culturale, anche cattolico, insomma, no? Però la mamma moderna secondo me è una mamma molto dinamica, che forse ecco riesce a far collimare quello che è il ritmo della propria vita con l’essere madre. No? Forse c’è una dimensione anche diversa rispetto a prima del crescere un figlio insieme ad un compagno, quindi anche la figura paterna è mutata…»
SILVIA: «Però, lo sai Miriam secondo me dove tutto questo discorso si infrange nella realtà? Si infrange, secondo me, nel momento in cui, almeno per quanto mi riguarda, nel momento in cui io ho preso questa decisione e poi sono rimasta incinta, ho dovuto sentire il bisogno di rientrare, almeno a livello di supporto, in quello che era la mia famiglia di origine, perché questa è una società che non ti permette di esprimere una maternità individuale; cioè io sono una donna, sono sola, o al massimo ho un compagno e cresco un figlio: questo assunto non funziona, almeno che non sei ricco proprio, probabilmente lo riesci a fare, altrimenti ti devi appoggiare, nella maggior parte dei casi ovviamente ti appoggi a quella che è la famiglia di origine a meno che non hai proprio un gruppo di amici, molto molto presenti e con cui fai una vita di comunità, diciamo…. E questo, però, ti riporta ad uno stadio preliminare, cioè tu hai fatto un percorso di uscire dalla famiglia, sei uscita, hai fatto la tua vita, hai sempre fatto tutto da sola eccetera… nel momento in cui diventi madre ritorni e c’è una doppia frustrazione su questo meccanismo. Per cui è vero che le madri moderne sono molto dinamiche, sono molto… la conciliazione per esempio lavoro-famiglia in Italia non esiste
MIRIAM: «Ma guarda io ti dico come… forse, non essendo ancora madre, ti parlo della mia esperienza di figlia. È vero, hai ragione che siamo uno Stato… anche a livello di Stato, assistenziale per dirti non abbiamo gli stessi servizi che vengono offerti magari dai Paesi del nord Europa. Però per dirti io sono nata nell’86, sono la primogenita di mia madre, che è una libera imprenditrice. Lei abitava a Milano e mio padre a Roma e lei da quando sono nata mi portava per esempio sempre in ufficio, lei ha questi ricordi, poi sai le cose che vengono raccontate, quindi io diciamo… lei ha continuato a portare avanti la sua attività, lavorando tantissimo e, logicamente con grandissima fatica, pur avendo me come figlia e facendo avanti e indietro ogni weekend Roma-Milano avendomi sempre all’interno dello showroom, insomma. E questo me lo racconta appunto come una esperienza forte che sicuramente l’ha cambiata, che però, ecco, stringendo i denti magari uno riesce anche a far collimare le cose. Certo non è la situazione… non è quella delle più rosee in Italia perché non veniamo aiutate dall’esterno.»
SARAH: «Però in realtà c’è qualcosa che a me non va giù in questo, non lo so… Io sono molto confusa su questa cosa, anche perché non è che sto immaginando di avere dei figli… però cioè su questo aspetto del lavoro mi sembra semplicemente allora… una concessione anche del femminismo rispetto ad un’uguaglianza per cui però, di fatto, poi adotti un modello maschile di essere dinamica perché cioè secondo me non è giusto avere che ne so, avere tre mesi di maternità e basta e poi dover lavorare e fare la madre. Io se facessi un figlio vorrei fare la madre, magari per il tempo che decido io. A me questo fatto che ogni tanto sento, in televisione, quella è tornata al lavoro solo dopo una settimana per me sei un modello negativo, perché secondo me, anche fisiologicamente, dovrebbe essere un mio diritto invece… sì avere i miei tempi, cioè anche del mio corpo… per cui questo discorso qui secondo me… non lo so, è complesso, non si riesce in realtà, almeno in Italia ad affrontare e a superare un po’.»
SILVIA: «Deve essere una scelta individuale, poi se tu individualmente vuoi tornare dopo un giorno, vuoi tornare dopo un anno, vuoi tornate dopo dieci anni, però devo essere io nella possibilità di decidere. Ovviamente non è che faccio un figlio e metto in standby tutta la vita perché non sarebbe neanche salutare probabilmente per una donna fare una scelta del genere, però nelle more delle possibilità che una organizzazione sociale può dare, mi devi dare la possibilità di scegliere. È quello che secondo me va tutelato. Poi ognuna vive la maternità alla propria maniera, però questa scelta non è tutelata in assoluto. Poi che attraverso sforzi, sacrifici, estremi incastri si possa riuscire a fare un figlio anche in condizioni non semplici, su questo sono d’accordo con te però è anche vero che il motivo secondo me per cui tante donne anche non scelgono di far figli è perché gli si complica decisamente la vita. Cioè, parlamose chiaro, non lo so: io vado spesso in Olanda, ho tanti amici in Olanda, l’età media di chi mette al mondo dei figli lì è molto più bassa e hanno tanti figli per le coppie, ma non perché c’è una solidità nelle relazioni umane, perché la stessa solidità delle relazioni umane che c’è qui c’è lì, però lì c’è una sicurezza che se tu resti da sola, con dei figli con te, non stai in mezzo alla strada o vicino allo stare in mezzo alla strada. Questa sicurezza deve essere data perché questa è la vera libertà di scelta di una donna sennò stiamo a parla’ de’ niente.»
MIRIAM: «Sì, è vero, anche io ho tante amiche coetanee, quindi ventotto anni, che vorrebbero avere un figlio ma non lo fanno perché non sarebbero in grado economicamente, prevalentemente, di poterlo sostenere insomma… almeno due, tre che hanno questo forte desiderio di diventare madri ce l’ho…»
SILVIA: «Sì, poi, secondo me, in Italia non si sceglie mai una maternità da singole, perché è… però una donna che arriva a volere un figlio può darsi che non ha un compagno accanto con cui costruire quella famiglia. Perché deve rinunciare a quel desiderio? Lo dovrebbe poter fare, io penso, come tutto, cioè deve essere libera di scegliere. Se arriva al momento appunto in cui uno concretizza una scelta, se poi questa scelta non la prendi per le condizioni esterne questo è frustrante, questo non dovrebbe poter esistere. Io devo scegliere per me stessa, per la mia vita e per la vita di chi metto al mondo, però in questa dinamica, no perché vivo in un mondo che non mi permette di fare questo o perché per fare questo devo andare da un’altra parte.»
MIRIAM: «Sì sì, sono d’accordo.»
SILVIA: «Il discorso, secondo me, di cambiamento generazionale rispetto a quella che è la scelta di avere o meno figli io la sento molto forte, però non so se perché sono immersa diciamo in una… nella maggior parte delle mie amiche, delle mie amiche storiche, quelle di sempre, non so se hanno fatto ancora una scelta limpida e precisa e cosciente, però sicuramente all’età di trentacinque, trentasei anni non aver ancora scelto di avere dei figli significa che non stai scegliendo di avere dei figli, per cui, probabilmente, come dire, la scelta inizia ad essere quella. Io penso che, almeno intorno a me, la maggior parte delle donne che mi circonda stanno facendo questa scelta. E non solo per appunto le condizioni economiche e sociali ma anche perché hanno altre priorità: hanno, comunque, una vita da portare avanti, una carriera da portare avanti, dei sogni da soddisfare, prima appunto di dare tempo ad altro. Però non so se è una mia… non so voi come…»
LAVINIA: «Secondo me non si tratta sempre di scelta, cioè nel mio caso io non è che, a un certo punto, ho scelto di non avere un figlio. È un po’ la vita che mi ci ha portato, e così come tante altre mie amiche, cioè dipende un po’ da quello che ti succede nella vita. Io fino a trent’anni quando vedevo i bambini mi sentivo… li sentivo proprio estranei, non li capivo proprio, mi mettevano anche tristezza. Poi ho capito che, in realtà, era una mia proiezione così come quando, magari, una mia amica giovane ha avuto due bambine io le sono stata molto vicina ma in realtà non mi identificavo in lei come madre, più che altro mi identificavo nei bambini come a recuperare qualche cosa di mio. Quindi in realtà alla maternità ci sono arrivata, a pensarci, molto più tardi e anzi avevo dei momenti di crisi, perché dopo una relazione, l’ho un po’ scoperta, dopo una relazione con un uomo che aveva una bambina mi sono un po’ aperta a questo mondo, ho cominciato a sentire quello che si dice che è l’istinto materno. Quindi quando vedevo un bambino magari mi mettevo anche a piangere perché m’ero lasciata, ero sola… Poi mi sono resa conto che in realtà non era quello, è un po’ la società che ti dice, almeno per me è così, che ti dice: “ok, va beh, se la tua amica ha avuto un bambino perché si è laureata, ha il fidanzato, ha la casa, adesso è pronta a fare un figlio e quindi è ok, è una persona che va bene”. Io la vivevo molto così. Poi con il tempo mi sono realizzata con il lavoro, poi questa è una cosa magari anche molto personale, ho sempre bisogno di esprimermi in qualche modo, e quando mi sono costruita la vita su di me proprio, mi sono resa conto che appunto in realtà mi sono molto liberata da questi condizionamenti, che sto bene così, e poi ad un certo punto – certo ho quarantuno anni – non credo che farò figli. Ancora il tempo c’è, certo c’è un orologio biologico però mi sento di poter dire che ancora non sto scegliendo e se poi non lo farò – come penso -, credo che l’importante poi in realtà è stare bene, stare dentro la vita. Perché io conosco tante persone che secondo me si stanno anche accanendo su questa cosa del figlio perché cominciano ad avvicinarsi ai quarant’anni, perché hanno un compagno, quindi devono fare… o perché non hanno un compagno e si disperano. Io spesso mi domando: ma veramente questa cosa del figlio non sarà una cosa che ti fa sentire a posto con la società, gli altri ti dicono che va bene così, non sarà magari anche in questo caso una proiezione di te nel mondo ma se invece stai veramente bene poi può essere che hai un figlio, può essere che non ce l’hai, può essere che lo vuoi e non viene però non è un dramma, no? Quindi non parlerei sempre di scelte…»
SILVIA: «No infatti io dicevo che probabilmente è la vita che poi sta portando alla non-scelta, cioè alla scelta non o alla non-scelta, non so come definirla però, è ovvio che non… secondo me almeno la minoranza delle donne sceglie di non fare figli. Spesso è come dici tu, nel senso che poi è la vita che ti porta a non affrontare quell’argomento lì o comunque a non sentirtelo tuo. Però, secondo me, è anche nel momento in cui, poi, invece lo senti tuo, cioè dall’altra parte come me, rimane quel dubbio. Cioè quello che tu dici: “ma l’hai fatto perché lo sentivi veramente forte questo desiderio o l’hai fatto perché era arrivato un momento in cui, come dire, avevi bisogno di un accumulo di esperienze? non so come dirti, cioè di fare un’esperienza in più, fare ancora un’altra cosa, no?” … a me questo dubbio ancora, non l’ho sciolto almeno. Io per me stessa.»
SARAH: «L’istinto materno? Cioè a me non… oddio, proprio ultimamente ho qualche lontanissimo pensiero, ogni tanto così mi viene ma…»
SILVIA: «Ma l’istinto materno però, secondo me, può essere anche coniugato su altro; cioè io per dirti sono una canàra, mi piacciono i cani, ho un cane. Io intorno a me ho persone che amano i cani che hanno l’istinto materno verso il cane, cioè che diventa una cura di quell’animale che è assimilabile a una cura materna, cioè non è più… e questo per esempio, io lavoro nel sociale, ho dei colleghi e delle colleghe, soprattutto, che hanno un istinto materno verso gli utenti, che arriva ad essere un abbraccio, diventa un prendersi cura in maniera totale. Per me l’istinto materno è quello, è la capacità di prendersi cura, poi non è detto che è declinato verso un minorenne, o il tuo figlio, però secondo me l’istinto materno esiste.»
MIRIAM: «Io me lo sento tanto, invece. Sì, devo dire che l’ho sempre sentito tanto, ma forse proprio come… caratterialmente, diciamo, sono portata a svilupparlo ecco nei confronti delle persone che mi circondano. Quindi, molto spesso me lo sento nei confronti… ecco, in primis dei miei compagni o i miei amici. Ecco infatti proprio su questo punto non che ci abbia… prima insomma di questo momento, non è che avevo mai pensato se crescendo, qualora non avessi figli, come mi sentirei, insomma; però devo dire che è una cosa che mi piacerebbe fare, cioè nel futuro io mi immagino con dei figli, comunque mi piacerebbe, però, potrebbe cambiare ecco… le sorti della mia vita, ce l’ho abbastanza sviluppato, credo.»
MARIA: «A me inquieta come diate per scontato d’intendere tutte alla stessa maniera l’istinto materno. Io non so che vuol dire per voi istinto materno. Cioè… che vuol dire istinto materno? … perché… cioè, avere una predisposizione…»
SARAH: «No… come ha detto Silvia mi può convincere, cioè che non è strettamente legato al desiderio di un figlio. Non lo so, per me quello è appunto una cosa per ognuna, ognuna è diversa…»
SILVIA: «Per te cos’è?»
MARIA: «Adesso che è… ci sto pensando, nel senso che no, che tendenzialmente avrei risposto no, che è una costruzione un po’, anche una fregatura diciamo, una costruzione a fregatura … però no, onestamente no, non penso esista; penso esista un umanissimo, ma tanto per gli uomini, quanto per le donne, appunto, una piacevolezza, magari a prendersi cura, ad avere un’empatia o una particolare capacità a stare a contatto con gli altri o non avere la fobia del bisogno dell’altro, delle dipendenze, però onestamente che sia proprio una specificità… poi, se invece uno pensa istinto materno come possibilità di mettere al mondo figli quella, certo, intendo dire è il corpo femminile che per adesso è stato dotato di questa possibilità quindi, ecco in quello tu hai una opportunità da poterti giocare che il corpo maschile per esempio non ha, insomma. Però sull’istinto materno… a parte che gli istinti io sull’uomo proprio mi fa molta difficoltà, perché insomma sono molto allentati su di noi, cioè fossimo solo istinto…»
SILVIA: «Però perché tu ne dai una lettura quasi…»
MARIA: «… cioè, questa chiamata, come una cosa un po’ innata che c’è no? e quindi ad un certo punto chi più chi meno però dentro…»
SILVIA: «Però, anche se pensi, che ne so, al gruppo delle tue amiche: all’interno del gruppo delle tue amiche ci sarà chi è più attento, chi è più… verso gli altri…»
MARIA: «…verso gli altri, che ha più attenzioni, però chiamarla cosa materna non mi viene…»
SILVIA: «Però, secondo me, come dire… non è che stiamo parlando di un istinto selvaggio, selvatico, primordiale; stiamo parlando comunque di una costruzione sociale anche se si chiama istinto materno ma ovviamente è una definizione che vien data a qualcosa… Per me l’istinto materno è quello, quella capacità lì, quella capacità di essere sempre attenti all’altro, sempre in ascolto, sempre capace di mettersi da parte per far posto a qualcun altro. C’è chi è capace di farlo e chi no. Cioè, io no ad esempio. E però lo riconosco verso di me, che non ce l’ho e mi piace molto quando lo trovo in qualcun altro, per quello… per me quello è istinto materno, inteso materno come solitamente la figura all’interno di una famiglia di una persona che si prende cura, cioè come organizzazione sociale per noi la madre è colei che si occupa degli altri, in questo senso mi sembra, non lo so, la definizione di istinto materno.»
SARAH: «E’ interessante secondo me quello che dici appunto rispetto alla capacità di sapere mettersi da parte, per cui di… noi di questa cosa ne parlavamo spesso in famiglia perché abbiamo questa zia che ha scelto proprio, nonostante abbia avuto non so quante gravidanze e aborti, ma lei proprio, non se ne parlava, né di sposarsi né di fare figli. E lei insomma è una tipa molto eccentrica, interessante, colta e tutto quanto, e però è completamente appunto egocentrica, è completamente centrata su se stessa. Quindi noi ne abbiamo sempre… mia madre ha sempre detto, e questa cosa mi ha sempre colpito, dicendo: “ah, ma lei non ha mai avuto figli, non ha una famiglia”, come se, appunto, in effetti c’è questo prototipo di donna appunto comunque super realizzata in tutto, nel lavoro, nelle relazioni, viaggia fa eccetera… però viene sempre… e in realtà quello che le manca è proprio una capacità di interazione, poi anche per esempio con noi di comprensione, sì di ascolto, cioè, è anche molto difficile a volte interagire con lei perché è proprio… cioè è rigida, e questa rigidità è tipica forse…. oddio, non voglio estremizzare, non è che esistono delle leggi… però è appunto cioè più facilmente riscontrabile in chi non ha dovuto mettersi per forza da parte, perché se hai un bambino che dipende da te non puoi proprio permetterti di essere così… per cui in realtà forse c’è un po’ il lato più interessante, non lo so come qualità, caratteristica…»
SILVIA: «Per te cos’è l’istinto materno?»
LAVINIA: «Mah… infatti, io ci pensavo, per me l’istinto è proprio una cosa fisica. Quello che dite voi, sì… quello che dici tu è più razionale. A me veniva quasi in mente il mio lavoro che a volte è proprio una cosa molto istintiva, cioè io ho proprio la soddisfazione, il desiderio, a volte mi ci sveglio anche con questo desiderio. Se, per esempio, sto lontana dal mio laboratorio, magari sono in vacanza, lo sento proprio fisicamente il desiderio di creare qualche cosa. E questo, secondo me, è una cosa, non saprei dire se è una cosa femminile adesso perché poi esistono anche uomini che fanno questo lavoro, però, quando sento parlare di istinto materno, e pensando che è una cosa più fisica, penso ad una cosa del genere, cioè penso a qualche cosa che in qualche modo… forse io ho spostato, chissà, non so… poi non voglio nemmeno banalizzare e dire cose… appunto, non so se è la stessa cosa… però io la sento così. Infatti io penso sempre che se io avessi continuato quella storia e avessi fatto un figlio forse non sarei arrivata a questo e mi sarebbe mancato molto, cioè è proprio una cosa… ecco, il mio istinto materno è questo, non potrei proprio vivere senza questo tipo di espressione.»
SILVIA: «Io su questo posso dire che è una cosa che aborro: l’idea che le donne si debbano fermare perché mettono al mondo i figli… nella loro creatività, nella loro professione, nella loro vita…»
LAVINIA: «No no… io lo dico nel mio caso, perché avrei preso un’altra strada perché ero più giovane, stavo facendo un altro lavoro, e per seguire questa persona e questo progetto poi di aver un figlio io avrei fatto tutt’altro, proprio perché ancora appunto non ero arrivata a fare questa professione. È stato proprio lo stare da sola e continuare a cercare. E poi probabilmente sì, io mi interrogo: se avessi un figlio ora certo sarebbe difficile economicamente, quindi il discorso di prima, però certo avrei continuato. Ho una carissima amica che è un’attrice, ha un figlio da poco, non so come riesca però riesce comunque a star dietro tanto alla professione e anche tanto al figlio. Quindi un modo poi si trova. Certo c’è il problema… non abbiamo parlato però poi i compagni come si comportano, perché in realtà dietro a questa fatica spesso c’è ancora insomma… no? lo dicevamo anche ieri… sì, un po’ una latitanza. Spesso le mie amiche si lamentano di questo: per quanto gli altri da fuori vedono i padri come persone dolcissime meravigliose, ma in realtà ancora è come se non ci stanno dentro a questa cosa, non so…»
SILVIA: «Io odio quando dicono: “lui è proprio bravo”, come se qualcuno a me dicesse che sono proprio brava…»
SARAH: «Lo danno per scontato. Dico… no, a voi sembra una cosa così tabù quella dell’aborto? A me no, cioè a me sembra che sia… oddio, non conosco personalmente molte persone che l’hanno fatto, però le persone, le mie amiche che hanno avuto un’interruzione di gravidanza, insomma ne parliamo tranquillamente… poi… dopo di che c’è anche un po’ il contesto politico per cui anche ultimamente ci sono varie mobilitazioni anche rispetto all’obiezione, agli obiettori che non garantiscono l’interruzione della gravidanza per cui a me… non lo so, poi dipende molto forse dalla donna come si vive l’esperienza che è appunto -ripeto – come per l’istinto di maternità secondo me è talmente personale che…»
MIRIAM: «Secondo me più che… il lato che mi colpisce di più è la motivazione che porta una donna a prendere questa scelta di abortire. Poi la motivazione appunto può essere molto personale e forse non è più un tabù del tutto perché sono tanti anni che… In Italia devo dire che siamo uno degli ultimi paesi ad averlo diciamo legalizzato l’aborto, penso nel ‘78 forse. Comunque… la scelta che porta la donna è una scelta complessa… cioè immagino…. non ho tante amiche che l’hanno presa, però deve essere una scelta complessa perché comunque là appunto uno si mette di fronte alla propria capacità di mettere al mondo una vita e quindi di farsene carico, come dicevamo prima, che è una cosa che per forza di cose ti cambia…»
SILVIA: «Però secondo me il tabù non è legato alla scelta, il tabù è legato proprio all’azione. Il tabù esiste, cioè esiste socialmente, secondo me. Non esiste all’interno delle micro-comunità, cioè delle cerchie di amici, delle famiglie, di alcune famiglie, di alcuni contesti politici, però a livello di percezione sociale esiste un tabù. È vera questa cosa. Io non dimenticherò mai, non so se siete mai state al reparto del San Camillo dove si fa l’operazione di interruzione: cioè c’è il reparto maternità che sta al piano terra e il reparto per l’interruzione che è interrato. Tu ti devi presentare lì tipo alle 6 e mezza, metterti in fila, e quando fai quella fila ti sembra di essere un’invisibile, cioè io devo essere qui ma invisibile. E a me quella situazione mi ricorda sempre molto la percezione che si ha dall’esterno di questa scelta che secondo me è diffusissima. Io quando sono andata dalla mia ginecologa per un problema per la seconda interruzione che ho fatto, sono andata dalla ginecologa disperata dicendo “la seconda interruzione, sono una stronza”, lei mi ha detto: “tu sei pazza, è una cosa normale, stai tranquilla, vai sciolta voglio dire”. Però anche io, che le mie interruzioni le ho affrontate con estrema tranquillità, anche io in quella situazione dicevo “ci sono ricaduta, mi è risuccesso, come è possibile?” e quindi in qualche modo anche su di me che quel discorso non ha mai avuto presa invece qualche cosa avevo introiettato di quel tabù, perché forse esiste… Poi io sono una che ne parla con estrema tranquillità sempre davanti a tutti, conosciuti, sconosciuti non mi sono mai fatta troppi scrupoli rispetto a questo perché era una scelta consapevole; io figli non li volevo e non vedevo perché ne dovevo avere perché il mio corpo aveva deciso di averne. Però secondo me, esiste… cioè, quando io dico questa cosa di fronte a persone che non mi conoscono, secondo me, resta in po’ come… non hanno, probabilmente, il coraggio di dirmi: “perché mai detto sta’ cosa?” però c’è un po’ la sensazione che è un argomento molto intimo. È vero che è un argomento molto intimo, è una scelta molto personale però siccome io scelgo di dirtelo, c’è una donna che sceglie di non dirtelo, quello va secondo la percezione personale. Non so se mi sono spiegata, sto facendo un po’ un discorso… però secondo me il tabù non è legato alla scelta, il tabù è legato all’azione, quindi è solo legato al fatto di scegliere di non portare a termine una gravidanza. E il tabù è legato, secondo me, solo al fatto che viviamo in una società con un retaggio cattolico di cui ci dobbiamo ancora liberare in maniera forte, cioè la strada da fa’ è tanta.»
MARIA: «Il retaggio è dire poco, cioè l’ingerenza è tanta, insomma rompono i cojoni… Secondo me c’è proprio una criminalizzazione. Io su questo…io pure dopo aver avuto Pietro, ho avuto due interruzioni: una non voluta, e una voluta. E devo dire che tutte e due a raccontarle ho avuto la stessa sensazione: cioè che non era una cosa che agli altri faceva piacere sapere, se potevo non dirlo era meglio, e poi appunto insomma come sempre è una cosa che … io non mi sento cattiva ma è come se senti che ti dovresti sentire cattiva, quindi qualcosa lavora ancora. Perché? Perché mi devo sentire cattiva? cattiva nei confronti di chi? Sì, magari qualcuno non l’ ho fatto venire al mondo però forse sono stata buona con me stessa e quindi alla fine andrebbe bene così, però è sempre che… quindi secondo me qualcosa c’è, ritorna…»
SILVIA: «Io il giudizio però lo sento anche che le donne se lo danno tanto da sole, cioè non è solo il giudizio che ti può venire da un altro, è proprio la tua immagine allo specchio; cioè la sensazione che ho io è che molto spesso siano le donne per prime a prendere questa scelta con sofferenza, anche quando sono consapevoli che non è quello il momento di mettere al mondo un figlio, che è capitato e non è stato voluto, cioè quando ci sono una serie di condizioni che a livello razionale ti fanno pensare che l’unica scelta è l’interruzione, non ce ne sono altre, però comunque prendere quella scelta sembra sempre che sia una battaglia contro se stessi, cioè stai combattendo contro un nemico interno
MARIA: «Per me… Io pure sono d’accordissimo che bisogna fare con estrema libertà senza, appunto sentirsi ‘sti retaggi di colpa, di gravità, però è vero che in questo la natura è stata beffarda con noi perché per scegliere qualcos’altro devi chiudere qualcos’altro, no? Cioè, nel senso, io posso decidere di non studiare lo spagnolo non succede niente a nessuno, neanche al mio corpo… insomma, no? invece qui hai tutta una componente tra te e un’alterità possibile, potenziale, eccetera, che ti pone la cosa insomma, te la fa diventare un po’ più… appunto, non so… c’ha proprio una consistenza diversa, no?
Dopo di che, è ovvio, sì sono d’accordo che non è che deve essere vissuta con “Oh dio stai uccidendo, sei un’assassina”… perché sto scegliendo altro, sto dando vita ad altro, non a questo progetto non a questa potenzialità ma magari ad altro, quindi è giusto. Però è vero che è un po’ una cosa difficile da spiegare perché la sensazione la senti insomma quando… poi te la puoi vivere con più o meno serenità però è vero che fermi qualcosa che sennò andrebbe avanti. Quindi… questo ce l’hai davanti, quotidianamente lo fai ogni volta che prendi una decisione che fai una scelta scegli una cosa piuttosto che un’altra, quindi niente… però insomma… però questa cosa che sono soprattutto le donne con loro stesse, voglio dire, c’abbiamo millenni di roba che abbiamo introiettato, interiorizzato, e adesso anche se c’è stato qualche decennio significativo per la storia nostra anche di liberazione, di emancipazione, di poter finalmente un po’ vivere, scegliere diversamente per sé, secondo me c’è un po’ invece un analfabetismo di ritorno su questo… per cui, invece, io appunto tutta questa scioltezza e questa serenità dovuta ad una consapevolezza maggiore non è che proprio me la sento intorno, non la riscontro. Poi è vero, magari noi facciamo parte di un giro che non è rappresentativo della media, non lo so… perché facciamo parte di un certo percorso di un certo… come si dice, culturalmente, politicamente, uno magari è fortemente connotato per certe cose e quindi… Però io onestamente, non so al lavoro, in tante altre situazioni, io non sento la serenità e la libertà di poter esprimere come sono e chi sono. Lo faccio ugualmente però so benissimo cosa mi tiro dietro, ecco… non è che… poi me ne frego ma non è roba che è condivisa, per niente.
Dopo aver avuto il mio primo e ultimo figlio ho avuto due interruzioni di gravidanza, una diciamo non voluta, non scelta e l’altra invece scelta.
Però appunto ne ho parlato tranquillamente, insomma… quando ti chiedevano “come stai?” io dicevo: “male, perché ho perso un bambino”, ma in tutti e due i casi, ossia sia quando è stata una cosa voluta che una cosa accaduta, e però la percezione era: “potevi pure non dirlo, tenertelo per te, non è una cosa che proprio dici così… in realtà non lo volevo sapere questo, magari dimmi altro”. Quindi, secondo me, è ancora un argomento che non è così tranquillo, non è… è ancora molto criminalizzato come scelta, come atto, come insomma libertà di scegliere una cosa piuttosto che un’altra, è una cosa che ancora insomma, secondo me, non è sereno. Non è sereno né rispetto a quelle che sono aspettative esterne, e sicuramente, è vero, anche rispetto a quanto uno, ancora nonostante tutto, nonostante ci sia stato appunto anche un percorso, il femminismo e tutto quello che uno ha potuto ereditare di liberazione, di emancipazione e di maggiore libertà e di un po’ di pensare a sé e per sé… però, secondo me, adesso ci siamo ad un analfabetismo di ritorno su questo perché comunque queste istanze che su di noi hanno lavorato tanto, stanno proprio rifiorendo e ricicciando, trovando nuova legittimità. Quindi tutte anche, insomma… io la percezione netta che ho è che, in realtà noi stiamo ricominciando a farci fare sul nostro corpo, su anche le nostre vite, tantissime cose che fino a qualche decennio fa, forse, erano inconcepibili. Cioè nel senso… Anche partorire, anche lo stesso partorire, non dico soltanto scegliere di non avere figli, ma anche scegliere di avere figli, è una scelta che vivi e puoi vivere, con una medicalizzazione, con un accanimento, con un controllo e delle aspettative, delle richieste che sono massacranti, cioè sono completamente alienanti, non sono di rispetto e di ascolto di te, anche di un’occasione per te di crescere, di entrare a contatto anche con momenti o fasi di vita diverse, è tutto molto etero diretto, etero normato, quindi è pesante.
Sul fatto di scegliere di non avere un figlio, secondo me, è pesantissima ancora invece la colpevolizzazione, proprio che sei un criminale, insomma, che stai facendo qualche cosa di grave, di gravissimo. Sto facendo qualche cosa di grave perché, appunto, la natura mi ha messo in questa condizione che io, purtroppo se voglio scegliere le cose per me, devo interrompere una vita che crescerebbe. Per questo dico, comunque un po’ di sofferenza, o diciamo di non leggerezza secondo me è giusto pure che ci sia, cioè nel senso… Dopo di che, però la convinzione che questa cosa sia una cosa sulla quale appunto poi ci può essere un ricatto morale oltre misura, infatti una strumentalizzazione poi, perché allora sei cattiva, non sei buona, non sei materna perché, appunto, non sei per gli altri, non ti sacrifichi per qualcuno altro ma pensi a te, come se fosse cosa più brutta del mondo … e a chi devo pensare? Cioè, magari, prima di tutto penso anche a me… mica ci sarà qualcosa di male, che sto a fa’… Quindi invece sì, secondo me, mi torna che sia un argomento un po’ tabù, non facile da poter vivere ed esprimere con una maggiore serenità. Anzi, se lo fai appunto sei una leggera, sei una superficiale, sei una che non si rende minimamente conto di che cosa stai parlando e anzi della gravità dell’atto che tu hai compiuto e sotto sotto sei una stronza, oppure appunto, sei un’egoista, sei una che pensa prima a te, cioè non lo so… Io, tutte queste cose qua, io ci trovo sempre una fregatura sotto, quando mi sento questa bontà richiesta perché è bello… Cioè, chiariamoci, nel senso: un conto è l’individualismo, un conto è il narcisismo, un conto è il consumismo, l’edonismo, tutto quello che crea questa società qua per uomini e donne, ma questa ipocrisia di poi pretendere dal mondo femminile una bontà atavica innata verso gli altri, a prescindere sempre e comunque, per cui quando poi hai un figlio insomma in te si dischiudono tutte queste doti di, appunto, disponibilità e sacrificio e vocazione, realizzazione appunto nell’altro, anzi io le trovo matrigne, io le trovo orrende, le trovo fonte infatti poi di tanti disastri. Perché poi questo proiettarti nell’altro, questo povero essere su quale poi butti sopra tutte le tue frustrazioni, aspirazioni… lui diventa una protesi tua per cui ti ci rispecchi e basta, lo trovo bruttissimo, cattivissimo. Molto, invece più simpatico, una donna che magari dice: “io il bambino non lo voglio e faccio altro”, invece ci sono tante madri che, secondo me, insomma sono proprio quelle delle fiabe, cioè la matrigna cattiva. Inconsapevolmente, però è un attimo, perché appunto ti viene richiesto questo essere solo per qualcun altro, per qualcos’altro, per un bene che va oltre te che poi ti rende insomma, secondo me, pure pericolosa, che uno poi… non è cosa buona e giusta, secondo me. E, soprattutto, non è richiesto per esempio agli uomini, non è richiesto e pure non ci sembra una cosa tremenda, allora, perché a noi deve essere una cosa che se non ce l’hai ti manca qualcosa? Non mi risulta che se un uomo, appunto, non ha tutta una serie di… anzi, noi li premiamo. Intendo dire, tutti quelli che sono appunto avvelenati, workaholic, che lavorano e basta, che pensano ad accumulare a fare eccetera, che nel frattempo fanno disastri umani, sociali, ambientali, noi gli diamo i premi, diventano i manager, Marchionne, insomma, chi è? Da questo punto di vista, dovremmo… e quindi, pure qui qualcosa non torna, vi avverto, fateci caso… Non torna.»
SARAH: «Che poi in verità tutti questi aspetti negativi, è quando cerchi di nasconderli secondo me che fai i danni perché poi comunque riemergono. Ne parlavamo proprio l’altro giorno con mia sorella, di quanto i bambini poi probabilmente le cose le sentono, non è che non lo sentono, se la madre sta in un modo o sta nell’altro, per cui, ecco per esempio, pure parlando con Giulia che lei… vabbè ora Paolo ha quasi un anno, però lei diceva: “ho imparato non a reprimere i miei momenti di frustrazione o di stanchezza o di rabbia, di tutte queste emozioni negative, ma semplicemente a gestirli perché, comunque, non è normale non averli” e poi appunto se tu provi, quella roba, a nasconderla è lì che poi si creano le famiglie disfunzionali… ovviamente parlando di vari livelli di problemi. Per cui forse, semplicemente, portare alla luce tutto ciò, forse crea più salute credo, almeno spero.»
MIRIAM: «Se dovessi avere una tipologia di donna alla quale ispirarmi forse eleggerei, appunto, quelle donne che sono riuscite a portare avanti la lotta per l’emancipazione, negli anni’70, dagli anni’70 in poi, insomma, forse anche un po’ prima, che sono donne che comunque sia hanno avuto anche l’esperienza di lavorare, di portare avanti delle lotte e nel frattempo essere anche madri, a volte, altre volte no, però, insomma sono donne che hanno segnato sicuramente la storia e anche la nostra, che siamo magari venture, e quindi abbiamo appunto la possibilità di poter parlare dell’aborto, vedendolo come una cosa se ancora da considerare o meno un tabù, quindi sicuramente e come questo tantissimi altri passi avanti. Però, ecco, sono donne forti che io prenderei ad esempio.»
MARIA: «In realtà, ci stavo pensando da poco, perché sto pensando a dei libri per Pietro e quindi ho pensato ai libri che mi ricordo, i primi romanzi e le cose che mi hanno appassionato. Io ho avuto proprio un innamoramento per Jane Austen, ho letto tutto, e in realtà, a ripensarci i personaggi di Jane Austen molto spesso erano queste donne molto, diciamo, con la parlantina, con la risposta pronta, un’intelligenza brillante, anche un’ironia, un’autoironia, insomma così, e anche un po’ appunto non… poi, alla fine, obbedivano alle regole, non è che proprio erano strane, però, insomma, avevano dei guizzi e mi piacevano da morire. E quando poi ho incontrato Jane Eyre il libro [di Charlotte Brontë], quello e stato per me, quasi, un turbamento, perché lì andava oltre. Cioè, quella era una che appunto senza famiglia, in un orfanotrofio, poi diventa… cioè, lavorava, prima di tutto lavorava, lavorava non dipendeva da nessuno, non è che era la moglie, la figlia di nessuno, addirittura si innamora ma poi però scappa, si ricostruisce una vita e diventa maestra, quindi, ecco, un personaggio del genere… io mi ricordo che è stata proprio una finestra che a me si è aperta e che mi piacque tantissimo e adesso a ripensarci magari ci ritrovo tante cose che ai tempi non sapevo, cioè, magari c’erano ma non gli davo un nome, non le sapevo, però insomma magari ce le avevo dentro già … e quindi, quello. E poi io ce l’ho un grande riferimento, però non è femminile, anche se secondo me è un antiuomo, diciamo un antieroe maschile che è il grande Lebowski, Jeff Bridges. Ecco e quindi, quello secondo me è un antiuomo molto simpatico, in ciabatte e asciugamano, ecco io mi rispecchio molto in quello, sarò strana però a me piace…white russian… per tutti.»

Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!

Back To Top