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Dora Maar, interpretata da Michela Sale Musio, racconta della sua complicata relazione con Picasso, figura opprimente ma sempre amata.

La raccolta scritta Monologhi impossibili, raduna le voci, le parole e le idee di tante donne (e uomini) reali e immaginarie, accomunate dalla scelta di non aver avuto figli.
Un bel gruppo di lunàdigas ante litteram.
I Monologhi impossibili, attraverso un viaggio nel Tempo, danno voce sia a reali personaggi storici vissuti in altre epoche quali eroine, dive del cinema, artiste, poetesse, mistiche, banditesse e altre, sia a figure del Mito e dei fumetti, e ancora alle donne e agli uomini della letteratura antica e moderna.
Donne (e uomini) forti e risolute, celebri e non solo, che siano state anche involontariamente un riferimento per la scelta di essere Lunàdigas.
Il titolo Monologhi impossibili si riferisce esplicitamente alla famosa serie radiofonica degli anni Settanta intitolata Le interviste impossibili e da quella prende spunto per far parlare, in forma scritta, donne di tutte le epoche. Frida Kahlo, Dora Maar, Vittoria Colonna, Jane Austen, Barbie, Marilyn Monroe, Dorothy Parker, Maria Callas, Camille Claudel, Rosa Luxemburg, Lucy Van Pelt, Dafne, Hélène Kuragina, Jean D’Arc, Coco Chanel, Francesca Alinovi e molte altre meravigliose donne lunàdigas, tali ancor prima che questa definizione fosse stata inventata.

Il libro Monologhi impossibili rappresenta il contributo che l’autore Carlo A. Borghi ha voluto offrire al progetto Lunàdigas – che lo comprende – per sottolineare quanto la scelta di non esser madri sia stata elaborata e ragionata in modo profondo da tutte le persone che l’hanno abbracciata.

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Ecco la trascrizione completa del video:

DORA MAAR: «Guernica è la mia casa. Ci abito da quando Pablo l’ha dipinta, nel 1937. Avevo trent’anni. Quella donna che urla sono io, Dora Maar. Avrei tanto voluto dare alla luce un figlio, ma non c’è stato niente da fare. Si tratta di sterilità, nel mio caso di donna, artista. Sterilità congenita e biologica, insormontabile, frammista a tutta la mia creatività di artista, surrealista e sperimentalista. Sono del 1907, due anni prima della nascita del Futurismo. Era lo stesso anno di nascita di Frida Kahlo. Anche lei non ce l’ha fatta a mettere al mondo un figlio: lei se n’è andata nel 54′, io nel 1997, a novant’anni. Per Picasso, il mio amante padrone, sono sempre stata la donna che soffre, che piange, che si dispera, che smania: insomma, un’autolesionista. Invece sono sempre stata un’anticonformista, pronta a sorprendere tutti con le mie opere e i miei comportamenti. Pablo sì che ha avuto figli, da altre sue giovani amanti, io sono rimasta al palo. Artista ma non madre. In casa mia avevo trasformato in arte anche le crepe sui muri: dentro le crepe c’è sempre molto da scoprire. Quando Pablo mi ha lasciata sono entrata in depressione, non ero ancora quarantenne. Abbandono e sterilità insieme era troppo da sopportare. Ma non mi sono suicidata, sono finita in clinica, questo si, e ho ricevuto tante applicazioni di elettroshock, così come era capitato alla Camille Claudel di Rodin. Insomma, se la natura non mi avesse reso infeconda io avrei scelto di avere molti figli. Una madre, magari anticonformista e controcorrente, magari eccentrica e trasformista, ma pur sempre una mamma. Sono stata invece una bambola surrealista, bella e provocante, forse è per questo che non mi è stato possibile partorire. E’ andata così. Dora Maar ritratta da Picasso come una donna con gli occhi a forma di lacrimoni.»

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