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Monica Trettel interpreta Dafne, leggendo un estratto dei “Monologhi impossibili. Le esclusive rivelazioni di 35 mitiche Lunàdigas” di Carlo A. Borghi (edizioni Arkadia, 2018).

La raccolta scritta “Monologhi impossibili” di Carlo A. Borghi, raduna le voci, le parole e le idee di tante donne (e uomini) reali e immaginarie, accomunate dalla scelta di non aver avuto figli. Un bel gruppo di lunàdigas ante litteram. I Monologhi impossibili, attraverso un viaggio nel Tempo, danno voce sia a reali personaggi storici vissuti in altre epoche quali eroine, dive del cinema, artiste, poetesse, mistiche, banditesse e altre, sia a figure del Mito e dei fumetti, e ancora alle donne e agli uomini della letteratura antica e moderna. Donne (e uomini) forti e risolute, celebri e non solo, che siano state anche involontariamente un riferimento per la scelta di essere Lunàdigas. Il titolo Monologhi impossibili si riferisce esplicitamente alla famosa serie radiofonica degli anni Settanta intitolata “Le interviste impossibili”.

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Ecco la trascrizione completa del video:

« Adesso voi state guardando un frondoso albero di alloro ma io sono Dafne, quella che non si è lasciata circuire e prendere da Febo, così come da nessun altro maschio semidio o dio che fosse.

Ancora adesso, da albero, preferisco che nessuno tocchi il tronco e i rami. Provo fastidio anche quando mi innaffiano.
Il contatto fisico non mi è mai piaciuto.
Le mie foglie si usano per profumare carni e pesci, in quel caso mi devo concentrare per non urlare di dolore.
Da albero non sono in grado di scappare come ho fatto quando ero una fanciulla. Non ho mai tenuto ai convenevoli d’amore e tantomeno ho tenuto a diventare madre. Ho dato un grande dispiacere a mio padre.
In quel tempo cosmogonico, Giove metteva a posto la terra degli uomini dopo averla devastata per punire l’intera umanità. Io me ne andavo per boschi a cacciare nel segno di Diana, anche lei un’intoccabile da mani d’uomo. I miei capelli erano famosi per la loro bellezza e completavano il mio corpo come meglio non si sarebbe potuto. Febo ci si sarebbe perduto volentieri tra i miei capelli, ma io non ne ho mai voluto sapere di impersonare un donnino adorabile e amorevole. E credo di aver fatto la cosa giusta: efebico lui, efebica e sessuofobica io.
Il Fato mi ha destinata a diventare corteccia odorosa.
Se non fosse andata così, l’albero di alloro non sarebbe venuto al mondo e i suoi rami non avrebbero incoronato e glorificato tante nobili teste di campioni e condottieri. Ma che piega avrebbe preso il Mito se Febo mi avesse raggiunta, presa e ingravidata con il suo sperma divino?
Non è andata così. Da donna il corpo me lo sono tenuta tutto per me finché ho potuto. In veste di allora, invece, offro generose foglie con timidi fiori. Nessuna figlia ninfa, nessun figlio fauno. Solo profumatissime foglie. »

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