Laura Como Grasso, psicologa e attivista nel movimento omosessuale sardo, racconta come il suo percorso personale abbia reso possibile un lento, timido e poi effettivo riconoscimento dei diritti LGBT+ all’interno della comunità sarda.
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Ecco la trascrizione completa del video:
« Sono Laura, sono una cinquantenne, sono una ragazza degli anni Sessanta e mi sono sempre occupata di spettacolo lavorando nelle produzioni musicali e nei festival più importanti che si sono svolti in Sardegna, con diverse aziende. Ho avuto delle grandi opportunità. Ho conosciuto molte persone famose, molti artisti interessanti. Attualmente, visto anche che il settore spettacolo non gode di una grande salute, mi sto occupando, all’interno di una comunità per persone con dipendenza da sostanze, di seguire l’aspetto laboristico [laboratoriale] del percorso psicoterapeutico.
Sono laureata in psicologia, non mi sento tanto una psicologa. Mi sembra più che altro di essere un coach, una persona che li aiuta in qualche modo a superare un periodo di crisi della loro vita. Lo spettacolo era più divertente, primo perché quando fai parte della produzione guardi uno show sempre dal punto di vista di chi sta sul palcoscenico, per cui vedi le folle, vedi la gente contenta che canta, che balla. Quindi è un punto di vista privilegiato su quella che è la felicità umana. Vedi solo gente felice. Ed è bellissimo. Perché chi lavora per lo spettacolo spesso ha dei tempi, degli orari di lavoro complicati però l’effetto è importante. Lavori per la felicità. E questo aspetto di pensare al benessere mio e anche degli altri è un aspetto che è sempre stato fondamentale nella mia vita.
A un certo punto della mia esistenza ho scelto di costruire quello che poi sarebbe diventato il Movimento Omosessuale Sardo. Ho scelto di farlo perché avevo un po’ un dovere generazionale, per cui ho sentito la chiamata del lasciare un’eredità. Lasciare un’eredità non solo nel senso di fare o di mettere al mondo dei figli: lasciare un’eredità di affetti, di intelligenza, di cultura, di modo di pensare.
Ed è stato un periodo molto intenso della vita che mi ha portato anche distante da quelli che erano i percorsi comuni alle altre donne, alle mie coetanee; mi ha portato a non avere tempo per pensare ai figli. Mi ha portato a non avere quella necessaria stabilità economica, fisica, eccetera eccetera che è un requisito indispensabile al mettere al mondo una figliolanza. Però dall’altro punto di vista io non credo di essere una che non ha figli, anzi al contrario: io mi sento la grande madre del movimento omosessuale sardo, io mi sento quella che ha reso possibile una maggiore accettazione, sia personale che collettiva, di diversi modi di approcciarsi al femminile e al maschile.
Certo che dal punto di vista personale l’eredità diretta di un figlio diretto è un’altra cosa. Però come i figli riescono a riconoscere nei genitori il valore della cura che li ha portati a diventare adulti, non sempre, però ogni tanto, mi capita che persone che io non conosco mi blocchino per strada per ringraziarmi per quello che ho fatto. Quindi il fatto di aver in qualche modo contribuito fortemente a quello che è il movimento sardo e anche in buona parte almeno all’incipit degli anni Novanta del movimento gay italiano ha decisamente riempito la mia vita. L’ha riempita perché ha creato una figliolanza culturale, ideale. Poi entri anche nel dettaglio perché tu aiuti le vite delle persone singole per cui di tanto in tanto, anche oggi, delle persone mi fermano per strada e mi dicono: “ma tu sei… tu mi hai aiutato a capire me stessa” oppure “mi hai aiutato a capire la relazione con mio figlio”. Insomma, ti rendi conto che la tua attività diretta può essere il volano delle vite degli altri. E questo è un profilo che ti porta lontano più della nascita di un figlio singolo.
Mi hanno insegnato al liceo a dare un senso alla mia vita anche riguardo ai doveri generazionali, al futuro, al rispetto del passato. Per cui da una parte sono figlia di una generazione che è venuta prima di me, dall’altra sono genitrice di una generazione che si aspetta qualcosa da chi è venuto prima. L’attenzione è sull’eredità di affetti, non necessariamente bisogna – così mi è stato insegnato dai miei professori, così ho appreso studiando letteratura un po’ dagli autori che hanno caratterizzato l’Ottocento e il Novecento italiano – porsi rispetto al futuro con la necessità di lasciare un’eredità, quale essa sia. La mia è un’eredità, non posso dire politica perché non mi è mai capitato di fare attivamente della politica, però indubbiamente un tentativo di lasciare un’eredità culturale c’è stato. Un tentativo che, non solo grazie al mio lavoro, grazie al lavoro di tante persone, sia qui che in altri contesti, ha creato e reso possibile quel cambiamento culturale che in Italia è avvenuto negli ultimi vent’anni riguardo ai temi delle differenze di genere e principalmente nelle differenze che riguardano preferenze omosessuali rispetto a quelle eterosessuali. Questo cambiamento culturale, questo cambiamento sociale ha ovviamente dei tempi lunghi come ce l’hanno la nascita e l’allevamento dei figli. Se vado al supermercato e compro un manufatto quello è già pronto, lo realizza una fabbrica. Per quanto riguarda invece la produzione di figliolanza, di eredità culturale, i tempi sono decisamente più lunghi. E nessuno ha idea di come verranno poi fuori quando ti poni di confezionarli. Sicuramente la posizione che differenzia le persone è che alcuni decidono di fare figli, alcuni decidono di occuparsi di sociale, alcuni decidono che la vita gli scivola addosso. Nel mio caso essendo una donna omosessuale non mi capitavano figli, avrei dovuto andare a ricercare la maternità come si va a comprare una casa, in qualche modo, informandosi su quali fossero le possibilità eccetera eccetera eccetera. Per cui io non ho avuto quello che è successo nella vita di molte donne mie coetanee, il fatto che ti è capitato. Molte donne si sono trovate incinte e hanno in qualche modo poi continuato questa produzione della loro vita, questo intento della loro vita, alcune singolarmente, altre con il concorso di un compagno importante, anche di una compagna.
A me personalmente non è successo, non mi è successo né in maniera naturale, né in maniera meno naturale. Forse è vero da parte mia che un po’ questa cosa dell’impegno nel sociale mi assorbiva, secondo credo che ci sia qualcosa che è associato all’identità omosessuale, penso sia quella che viene definita da alcuni come la sindrome di Peter Pan. Cioè, io non sono mai diventata una donna compiuta, di quelle che vanno con gli uomini, per cui non riuscivo a diventare una madre, sono rimasta in un limbo di gioventù che spesso mi sembra di capire, almeno così da un punto di vista esteriore, che appartenga anche alle vite di molti altri omosessuali.
Un’altra ragione può essere la poca stabilità economica: io appartengo alla generazione del baby-boom, per cui la massima espansione demografica degli italiani, la massima espansione demografica di giovani, maschi e femmine, in un periodo in cui le femmine non lavoravano tanto quanto i maschi o comunque c’erano delle differenziazioni allora molto più evidenti che non adesso, di come o di quanto o di quelle che erano le professioni tradizionali: tradizionalmente indirizzate a fare le mogli, e non ero io, tradizionalmente indirizzate a fare le professoresse, e non ero io, perché anche lì ci vuole una predisposizione per mettersi in cattedra, cioè una dimensione della testa prima ancora che lavorativa. Io son rimasta sempre tra i banchi: io appartengo a quelli che pensano di avere sempre tanto da imparare, nessuno mi ha mai riconosciuto il valore di insegnante. Sì, ho insegnato nei corsi professionali ma materie attinenti strettamente a quello che era il mio spazio di competenze; nelle professioni tradizionali io non c’ero, comunque non ero contemplata.
A mia madre sarebbe piaciuto avere una figlia di quelle con la gonna con le pieghe, però è anche vero che io ho sempre pensato di mia madre che lei mi amasse molto. Ed era una cosa che mi confermavano anche gli altri: “tua madre ti guarda con amore, tua madre ti guarda mentre parli e sembra che il mondo si fermi”.
Credo che l’amore sia anche accettazione degli altri, cioè se mi sembra di amare una persona credo che posso accettare quello che considero positivamente di lei, ma anche riuscire a tollerare quelli che considero dei difetti. E mia madre in questo senso era una donna che sapeva amare oltre, andando oltre il gap anche della non condivisione di certe mie modalità di vita, di certe mie scelte.
Oggi come oggi che rapporto ho con i bambini, con la figliolanza. Sono molto contenta della figliolanza delle mie amiche. Sono uno dei maggiori promotori del fatto che loro ne facciano, e ne facciano più di uno. Sono del parere che le persone che dal mio punto di vista giudico delle persone in gamba, non perdano l’occasione di trasmettere ad un’altra generazione. Perché talvolta mi sembra che numericamente i nuovi nati siano più il frutto dell’errore, nel senso che magari sono nati così senza una concreta e reale voglia di essere genitori, quanto è capitato per caso come avviene in natura tra i mammiferi.
Invece un pochino più di testa non va male, va bene anche senza, però mi piacerebbe anche avere il mio modo di pensare rappresentato a futura memoria, con la figliolanza altrui di persone che in qualche modo condivido culturalmente e mi somigliano. I bambini di oggi sono diversi dai bambini che eravamo noi: per certe cose sono decisamente più svegli, nel senso non che noi fossimo addormentati, noi rimanevamo più a lungo nella vita in una timidezza sostenuta dalla nostra educazione. Adesso magari più facilmente ci può capitare di trovare dei ragazzini che in maniera grossolana possono essere considerati maleducati, e forse lo sono anche, però è vero che il loro essere così sfrontati, il loro essere così sfacciati gli dà la possibilità di liberarsi di tutti quelli che erano i freni che per la generazione mia, e ancora di più per quella che mi ha preceduto, rappresentavano dei freni anche allo sviluppo individuale. Per cui questa sfrontatezza nei bambini piccoli è meravigliosa, e bisogna dire che a differenza dei loro genitori che ancora talvolta dimostrano avere dei pregiudizi nei confronti degli omosessuali, i bambini di oggi delle scuole medie sono molto più rilassati, non ritengono… si prendono in giro abbondantemente sui loro costumi sessuali, e l’essere omosessuale non è considerata una cosa disdicevole, è una cosa differente, però non è disdicevole. Si sono un po’ abbattuti i ruoli, in senso positivo soprattutto.
Poi è vero che noi soffriamo anche un po’ del fatto che nell’abbattimento dei ruoli c’è rientrato anche il rispetto per i più grandi, per gli anziani, che in realtà andando spedita verso l’età più anziana non credo che mi faccia piacere. Però è vero anche che il non creare delle barriere tra giovani e anziani sia probabilmente una delle strategie di convivenza sostenibili per il futuro. Gli anziani non devono essere troppo nel loro ruolo, i ragazzini lo sono di meno e tutti assieme cerchiamo di fare un’umanità che non è divisa tra maschio e femmina, ma è divisa tra vicini e lontani magari che ha più un senso nella logica di Einstein dello spazio e del tempo.
Che altro dire? ».
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