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Maya, docente universitaria a Washington, riflette sulla diversa pressione sociale legata alla maternità negli Stati Uniti e in Libano, suo paese d’origine dove la fecondazione assistita è pratica comune e incentivata in coerenza con la visione della maternità come elemento identitario costitutivo dell’essere donna. Maya si interroga sulla sua posizione: da una parte non è ancora rimasta incinta, dall’altra, nonostante le sue insicurezze, pensa che avere figli sia naturalmente il suo destino, complici le pressioni della sua famiglia d’origine e la narrazione sociale comune che tende a idealizzare la maternità.

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Ecco la trascrizione completa del video:

MAYA: «Il mio nome è Maya Aghasi, insegno all’Università [di Washington] ma sono originaria del Libano.
Sono molto interessata ai temi legati alla genitorialità, specialmente legati alla maternità o non maternità, perché c’è molta pressione sociale in Libano ad avere molti… non per forza molti, ma ad avere figli.
Se sei una donna, sei definita dall’essere o meno madre.
È interessante e contraddittorio perché in Libano l’economia non va bene, sia le madri che i padri devono lavorare, e le donne hanno sulle loro spalle molto dell’onere dei figli a casa. Quindi, nonostante le ristrettezze economiche, le difficoltà e la stanchezza che ciò comporta in Libano, c’è ancora molta pressione sociale verso la maternità. Per questo lo trovo molto interessante.
La questione di cui voglio parlare è il modo in cui è normalizzata la fecondazione in vitro. Se sei in una relazione eterosessuale, che è l’unica relazione possibile in Libano, devi avere figli.
Di conseguenza si incoraggia la FIV [fecondazione artificiale] per raggiungere l’obbiettivo finale: quello di avere figli.
Senti di persone che praticano la FIV continuamente in quanto è economica: le cure mediche in Libano sono pubbliche, e si può fare la fecondazione con duemila-tremila dollari.
È molto comune sentire storie di donne che lo tentano più volte e condividono le loro esperienze: “come ti sei sentita quando facevi le iniezioni? E quando hanno fatto l’estrazione?” Diventa una pratica normale che crea legami. L’obiettivo finale è sempre che le donne abbiano figli.
Riguardo le donne senza figli, naturalmente, se non vogliono avere figli è una loro scelta. È interessante parlare di come la società considera le donne senza figli e come questo possa trasformarsi in pressione sulle donne.
Le persone pensano “che cosa triste, lei sta a casa… non ha figli”, “oh Dayie” che significa ‘donna sprecata’, avrebbe potuto avere più figli.
Questo mette una maggiore pressione ad avere figli per non avere lo stigma negativo di una povera donna senza figli che sta sprecando la sua vita.
A volte non è neanche una scelta. Alcune non possono avere figli, altre semplicemente non ne vogliono, per altre donne succede e basta. Non penso che sia un problema.
Direi che mia madre e mia nonna non sarebbero d’accordo per niente. C’è un aneddoto divertente che mi ha raccontato mia madre riguardo all’opinione della nonna.
Quando mia madre stava per diplomarsi c’era la guerra in Libano; lei voleva comunque finire il liceo ma la nonna le diceva: “Non è per te, le donne brutte hanno bisogno di un’istruzione, tu sei carina, ti sposerai, avrai dei figli e andrà bene così”.
Mia madre era un po’ più aperta riguardo all’istruzione, per lei si deve vivere in funzione dei figli e ora sento questa pressione su di me: “perché non hai ancora figli? Voglio avere altri nipoti”.
Non approverebbero, spero che non vedano il documentario, così non si arrabbiano.
Ho provato ad avere figli, ma alcuni corpi sono diversi da altri, il mio… ancora non vuole avere figli. Non so, penso sia una questione di sterilità. Comunque sento la pressione. Mi dicono… a proposito di FIV: “perché non la fai? È semplice, sono solo iniezioni, puoi farlo”. La pressione va in quella direzione. Ma la vera domanda è: “voglio avere figli?”
Ci penso, è una riflessione presente, se dovessi decidere di fare la FIV avrei più scelta. Cosa succederebbe? Quanto controllo avrei su quella scelta? Non lo so, ci sto pensando.
C’è una differenza: negli Stati Uniti sono più aperti riguardo al non avere figli. Mio marito è americano e mi dice: “se non arrivano, non fa niente. Non dobbiamo averli per forza”. Lui non sente la stessa pressione che sento io.
Non lo so, è molto interessante, è davvero una buona domanda. Non so se voglio davvero dei figli. I bambini sono carini e vorrei averne, è comunque un impegno a lungo termine, non so come mi sento di affrontarlo.
Tutta questa discussione, io mi ci trovo nel bel mezzo ora.
L’importanza della maternità, la sua idealizzazione, ma anche le difficoltà che comporta, com’è in realtà. La discussione riguardo l’essere madre, come ciò venga stigmatizzato dalla società.
Questi discorsi che stiamo facendo qui, riguardano le rappresentazioni della maternità nella letteratura, la rappresentazione delle non maternità, questo è ciò di cui abbiamo parlato, esplorandolo da diverse sfaccettature. Farei io questo tipo di conversazioni?
Le farei, soprattutto con le mie amiche, con mia sorella, con mia madre, ognuna avrebbe una risposta diversa.
Ma secondo me molte persone interiorizzano la bellezza della maternità. Il messaggio finale è comunque quello: “dovresti farlo, è davvero meraviglioso”, “è un’esperienza incredibile”, “dovresti provarlo o quando lo proverai?”, “quando lo proverai capirai di cosa stiamo parlando”. Succede sempre così.
Sembra che anch’io sia destinata a seguire questo percorso. Non sono sicura che sia quello che fa per me! È di questo che parlo.
Non conoscevo questo progetto ma avevo sentito parlare di cosa stava succedendo in Italia un paio d’anni fa, credo.
C’era una pubblicità sulle donne che dovrebbero avere figli per il bene del paese o simile. Le donne dovevano fare figli per il bene del paese.
Non avevo sentito parlarne e credo sia geniale come affrontate l’argomento. Non c’è una parola per definire una donna senza figli, viene detta senza bambini, non sposata o senza figli.»

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