Partigiana, politica e saggista italiana, Lidia Menapace (1924-2020) incontra Lunàdigas a Bolzano nel 2014. Con disponibilità testimonia la sua vita di impegno politico e sociale, a cavallo di due secoli, a favore delle donne.
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Ecco la trascrizione completa del video:
LIDIA MENAPACE: «Intanto non è presto oggettivamente. Per me non è mai presto, io mi sveglio la mattina prestissimo, lavoro bene la notte, sono un animale prevalentemente notturno. Comunque, il mio organismo tra il sonno e il cibo, resiste molto bene al sonno, io posso fare anche due nottate senza dormire, così, invece non resisto per nulla alla fame.
L’unica forma di lotta che non mi si può chiedere è lo sciopero della fame.
Io venderei, credo, qualunque cosa per un panino quando ho fame. In effetti, se lascio passare l’ora del cibo, io divento triste; tanto è vero che dico di me stessa di solito: io ho il pessimismo da fame; appena divento divento triste: “non ci sarà più la rivoluzione, andrà tutto a scatafascio”, mangio un panino e mi si risvegliano anche le speranze politiche, diciamo così.
Se poi invece non mangio ancora a lungo divento cattiva, cioè divento aggressiva, addenterei qualsiasi cosa mi passasse a portata di bocca. Qui ancora non c’è bisogno di biscotti perché io non addenti qualche dito ma sicuramente non c’è bisogno d’altro perché dimostri che sono sveglia.
Forse quello che dico non sembrerà verosimile ma io non ho
propriamente motivazioni per non avere figli, non ne ho avuti, semplicemente. E pensando alla mia adolescenza, infanzia, il passaggio delle mestruazioni, che sono il primo segno che ti richiama all’idea che potresti anche aver dei figli, non è mai stata assillata dall’idea: “mah, avrò figli, ne avrò, non ne avrò”. Se non da appena dopo sposata, quando tutto il parentado ha incominciato a guardarmi la pancia ogni volta che mi presentavo in un qualsiasi posto, per il pranzo di Natale, per far visita a mia suocera, per tornare da mia madre, eccetera, perché allora tutti: “novità, novità?”. Io ho cominciato da allora a dirmi: “ma questo si aspettano da me? ma io ho già fatto per esempio la Resistenza, poi ho fatto il Concorso e l’ho vinto, ho già dato alcune prove di me stessa, perché pensano soltanto che debba dare questa prova?”. E ho cominciato a rifletterci, e devo dire che considero questo, non la maternità, ma questo assillo della maternità, il dover dichiarare: “io ho deciso di no” come una sovrastruttura culturale molto punitiva, perché mette le donne che non hanno avuto figli – non dico non hanno voluto, non hanno potuto, gli è capitato di, non hanno … oggettivamente, come non sono cresciute oltre il metro e 53, come è capitato a me per esempio, di cui, nessuno mi dirà mai: “ma perché non sei cresciuta?”. Non sono cresciuta, punto. Lidia è piccola, va bene?
Su questo nessuno imbastisce una specie di processo, mentre quest’assillo di dover per forza dimostrare che sei madre, che puoi essere madre, mi è sempre sembrata una sovrastruttura culturale punitiva.
Nel senso che un uomo che non ha figli, decide di non averne, non ne vuole avere per nulla eccetera eccetera – spesso uno scienziato, un uomo politico importante – vuoi mica che si occupi di figli; una donna può essere una grande scienziata, può anche essere un Premio Nobel, se non ha figli incomincia: “però non ha avuto figli, come mai… eccetera”. Trovo che sia uno dei segni dell’oppressione femminile culturalmente consolidata dalla Legge Mosaica in qua, diciamo, dal Codice di Hammurabi in qua, quindi una roba che per togliersela da dosso ci vorrà del tempo ancora, non può essere.
Quacosa è cambiato nel senso, per esempio, che la domanda: “ma tu hai figli?” che prima capivo che era stata sussurrata e poi si dice: “meglio non chiederlo”, insomma si capisce quando una domanda è spontanea, non subisce autocensure o censure; oggi è spontanea, è una domanda di curiosità come quella: “dove abiti?”.
Molti pensano che io abiti a Roma ma apprendono senza particolari sgomenti che invece abito a Bolzano; molti possono pensare che io ho figli, perché ho avuto parecchi nipoti, a cui sono affezionatissima, quindi può darsi che abbia alcune gestualità o forme di linguaggio che potrebbero far pensare che io possa aver avuto dei figli; appartiene di più al genere di domande di pura informazione, diciamo pure anche di curiosità, ma non insistente, malevola, pesante di quanto non fosse un tempo.
In questo è vero: cioè il passaggio da “non ha figli”, come notizia che è meglio tener un po’… a “non hai voluto avere figli?”, che è quasi una domanda inquisitoria, al “ma tu hai avuto figli? no” oppure “hai figli?”, oppure “i tuoi figli?” nel discorso, questo l’ho notato, è avvenuto, è una cosa grande.
Penso di sì, questo non posso dirlo per esperienza, per la ragione che di figli non ne ho, spero anche di non poterlo dire perché a mia volta ho avuto un atteggiamento sgradevole o poco attento alle donne che avevano figli, ma nel femminismo una certa resistenza alla madre c’era; quindi se si parlava di maternità si parlava solo di madri iperprotettive che non lasciano libere le figlie, insomma questo era un discorso molto ricorrente.
La persona, la donna, la compagna femminista che ha forse riflettuto, senza molto metterci la testa su, come dire, riflettuto spontaneamente è Titti Valpiana, conoscete? Una compagna di Verona, la sorella di Mao, quello che si occupa di non-violenza. Una volta a lei io ho detto, non molti anni fa: “guarda, mi è capitata da un paio di volte una cosa curiosa, e cioè che, mentre sono lì, un po’ oziosa che sento parlare, sento dei giovani padri, e mi sembra una cosa straordinaria, interessante. Il primo esempio mi è capitato due o tre estati fa a Cuneo, ero a Cuneo per l’ANPI di Cuneo che faceva e fa tuttora un campeggio Resistente, un campeggio sulla Resistenza rivolto ovviamente ai giovani. E a questo campeggio partecipavano ragazzi e ragazze e qualche volta i ragazzi avevano appresso dei bambini piccoli e io vedevo che facevano questa cosa con grande naturalezza, allora ho detto: “ci sto attenta”. Un giorno ero seduta a Piacenza in una piazza, aspettavo il tempo di andare a fare un dibattito e passano due giovani uomini che chiacchieravano tra di loro e spingevano due carrozzine con dentro dei bambini piccoli, devo dire proprio con curiosità ho cercato di capire, di sentire cosa dicevano; non dicevano: “ah, le gioie della paternità”, no, stavano parlando di calcio e di donne, regolarissimamente come qualsiasi altro giovane ragazzo; ho detto: “bella cosa questa qui!” cioè aggiungono, comprendono, attivano in sé anche questa capacità di curarsi, perché intanto che parlavano di calcio uno ha provato a toccare sotto la copertina e ha detto: “ha bisogno di essere cambiato”, insomma le cose tipiche, il biberon, veramente…” Quando ne ho parlato a Tiziana Valpiana, Titti Valpiana lei mi ha detto: “sei proprio sicura che diventare padre significa fare l’imitazione della madre?”
Mi pare un’osservazione molto pertinente e acuta, nel senso che forse i maschi, non è che voglio per forza dimostrare che siano un po’ tonti, un po’ indietro – lo credo abbastanza, ma non lo potrei affermare scientificamente, com’è ovvio – però forse questa dimensione proprio gli è venuta a mancare storicamente, e io ritengo che sia un grave deficit nella loro formazione di personalità, perché a me ha giovato molto anche il dover fare i conti, anche in maniera niente affatto drammatica, con questa cosa di essere o non essere madri.
Mi ricordo che la cosa che temevo di più da ragazzina era: ma potrebbe capitare senza che io lo voglia? Cioè la paura della violenza per esempio è stata per me più presente della maternità che non della voglia di maternità; la paura di esserci indotta, perché naturalmente se ci restavi cosa facevi?
Quindi tutte le tematiche relative al controllo delle nascite, aborto, non aborto mi hanno coinvolta enormemente di più che non “come sarebbe bello avere bambini piccoli”: questa cosa per esempio non è mai capitata. Ne ho sempre avuti, nel senso che mio fratello e mia sorella per esempio tutti e due hanno avuto figli, e io sono stata una zia affezionatissima e ricambiata, e devo anche dire che ho notato che ero molto considerata da questi nipoti, anche nella formazione.
Per esempio: una mia nipote a cui sono affezionatissima, un giorno, arrivo a casa loro, loro abitano in un’altra città, io abito a Bolzano, i miei parenti sono a Novara che è la città dove sono nata; arrivo da loro e lei mi dice: “zia, tu cosa pensi dei consultori per le giovani, per le adolescenti?”,
io: ” Ah, benissimo, io ne penso”. “Per piacere dillo a tavola” – “Volentieri”. “Perché la mamma, alla quale ho detto che vorrei andare, mi ha detto: “perché non ti confidi con me?”, e io non avrei niente da non avere voglia di confidare, però non ho voglia, cosa devo dire… capisco che lei ha ragione di volere confidenza, ma la confidenza non si può pretendere. O io apprendo prima cose, allo stesso modo che apprendo a scuola e poi magari dico ma guarda che scemate ci insegnano a scuola, potrei dire la stessa cosa del consultorio però devo passarci prima”.
Per dire. E questa è stata una cosa. Inoltre: io non ho mai fatto la predica antimilitarista ma il mio atteggiamento evidentemente era tale che tutti e due i miei due nipoti hanno fatto l’obiezione di coscienza. Ho notato che la figura della zia potrebbe essere anche interessante, bisognerebbeanche studiare questo ruolo, allargherebbe un po’ questa gabbia anche d’affetti; però
‘sta su d’adoss’, si dice al mio paese in dialetto, non starmi sempre sulle spalle, insomma. Farebbe circolare un po’ d’aria anche in quell’appartamento ordinato, caldo, affettuoso, dove ogni tanto l’aria è troppo poca perché è continuamente respirata quella, non cambia mai.
Mi spiace anche che nel femminismo si sia un po’ stinta quella aggressione, sia pure selvaggia, del primo femminismo che non era certamente tenero, appunto disse ‘no alla famiglia’, in maniera proprio… che una si vergognava di dire: “voglio bene a mia madre”. E mi ricordo che quando mia madre se ne andò a 92 anni, io scrissi su “Il Manifesto” per lei una piccola cosa, dicendo che lei diceva sempre: “ma io ero una ragazza emancipata!”. E di mia madre io quello ricordavo soprattutto, che lei parlando di sé diceva: “ma io ero una ragazza emancipata”.
Lo diceva quando io ero bambina, e a me e a mia sorella questa cosa sembrava un’assurdità perché durante il fascismo una donna emancipata voleva dire una donna che rifiutava di essere donna, faceva finta di essere un uomo, e anche era di piccola virtù, diciamo ecco. La libertà femminile, una donna libera, non era un complimento, un uomo libero sì, ma una donna libera no.
Quindi io avevo tutto questo groviglio dentro di me e quando la mamma diceva: “ma io ero una ragazza emancipata”, io e mia sorella le dicevamo: ” ma mamma che cosa dici?”, allora lei ci spiegava che siccome era rimasta orfana di padre che aveva 4 anni, suo padre era un macchinista delle ferrovie, sua nonna era una ragazza di campagna che non voleva tornare in campagna perché aveva sposato apposta un ferroviere, simbolo del progresso, siamo a Carducci, addirittura, insomma… lei era tutta contenta di aver potuto andare via dal paese, il marito si era trasferito a Genova, lei aveva conosciuto la grande città, il mare eccetera… Ha voluto che le figlie, quando lei è rimasta vedova, non fossero costrette a tornare in campagna e ha cercato di farle studiare, devo dire che non so come ha fatto; ha stirato le camice di mezze ferrovie, perché lei abitava in un appartamento di servizio delle ferrovie, perché era rimasta vedova per cause di servizio del marito. Era un appartamento modesto diciamo, dove lei ha lavorato come una pazza, prendendo a pensione dei ferrovieri, stirando camice delle persone, rivoltando i vestiti come si faceva allora, sempre sorridente e sempre dicendo: “sino a quando riesco ad essere autonoma sono contenta, nonostante tutto”, e alle figlie questo ha trasmesso.
Quindi mia madre ha continuato poi per tutta la vita a dire: “e mi pagavano meno di un uomo per lo stesso lavoro, e quando mi sono sposata mi hanno licenziato”. E lo diceva talmente di frequente che una volta, avrà avuto 70 anni lei oramai, e io le ho detto: “ma mamma è tardi per fare una vertenza”, e lei mi ha risposto testualmente: “il sindacato li ha perdonati, ma io no”. Nonostante il suo matrimonio con mio padre fosse stato felicissimo, mio padre metteva i soldi che guadagnava nel cassetto, mia madre li amministrava come voleva. Ma il fatto stesso di chiederglieli, a lei sembrava una cosa… sicché, e così concludo questo cerchio etico, lei a mia sorella e a me ha trasmesso questo codice: “ragazze, siate indipendenti! E poi fate quello che volete, prendete il marito, lo tenete, lo mollate, lo cambiate, l’importante è che non dobbiate mai chiedergli i soldi per le calze, perché non si può essere indipendenti nella testa se si dipende nei piedi”. E io trovo che sia da stampare veramente. Un vero codice etico, chiuso su se stesso, perfetto, circolare.
Se mia madre trasmetteva a mia sorella e a me l’ordine, il suggerimento molto forte di essere indipendenti è perché lei stessa lo era, le doleva di non avere una base economica per poterlo essere formalmente, ma lo era nel senso che lei discuteva con mio padre tranquillamente, insomma non era una semplice borsetta al braccio del padrone come lei soleva definire le casalinghe tacite e troppo sottomesse.
Mio padre in che senso ha influito? Ha influito moltissimo per le scelte politiche, perché io sono nata in Piemonte, a Novara, città che è nota soltanto per una famosa sconfitta che gli austriaci ci inflissero, ‘la fatal Novara’ eccetera. Però la mia famiglia non era monarchica, mio padre era un mazziniano, e quindi questo significava molto: significava avere in famiglia stranamente una libertà maggiore di quella che avevi dalla politica fuori e anche un invito a essere, a seguire delle idee anche non tanto convenzionali, nel senso che io tornavo a casa e mi chiedevano sempre: “cosa hai fatto a scuola oggi?” e mi ricordo una volta che dissi: “la maestra mi ha spiegato Vittorio Emanuele II, Padre della Patria” e mio nonno paterno, che era anche lui un vecchio mazziniano brontolone anche lui, dice: “molto Padre della Patria, metteva incinte tutte le ragazze che trovava”, così che dal cavallo di Padre della Patria Vittorio Emanuele II è crollato rovinosamente a terra come è ovvio; io ho cominciato ad avere dei Savoia un’opinione molto critica, per non dire altro. Così quando un’altra volta tornai a casa da scuola e la nonna mi chiede, dissi: “mi hanno spiegato il Generale Cavalli”, nessuno sa chi è il Generale Cavalli ovviamente – allora faccio una piccola parentesi: Novara è una città di poche Glorie e quindi tutte quelle poche che ha le spaccia moltissimo – questo Generale Cavalli ha inventato la rigatura interna dei cannoni che serve perché i cannoni arrivino meglio sull’obiettivo, ma non lo sa nessuno, infatti quando io dico: “Generale Cavalli” tutti dicono: “ah, che colta la Menapace!”, invece l’origine di questa mia cultura strabiliante è che io torno a casa e dico: “mi hanno insegnato il Generale Cavalli” e mia nonna: “ma cos’è, che cosa è?”, allora io spiego: “ha inventato la rigatura interna dei cannoni”, allora la nonna ragiona un momento: “per ammazzare meglio!” perché i cannoni mirano meglio, io dico: “eh, sì” e la nonna dice: “ma cosa ti insegnano a scuola?”
Quindi comincia l’atteggiamento critico anche verso quello che ti insegna la scuola e non che i professori hanno sempre ragione.
“Perché non ti hanno insegnato chi ha inventato la paniscia?”: la paniscia è un famoso risotto che facciamo noi, quindi io ho sempre avuto l’opinione che, va bene, gli egiziani hanno fatto le piramidi
ma di come si nutrivano? cosa mangiavano? dove dormivano?
E mi sono sempre detta quanto più utile e anche interessante sarebbe la storia se quando compare un popolo ci dicessero anche cosa faceva, come campava, non che è stato sconfitto o ha vinto gloriosamente una battaglia campale, avrà fatto anche quello, ma per arrivarci doveva pur stare al mondo. Quindi questa storia della paniscia, del risotto, è rimasto per me sempre un simbolo: fino a quando non avremo liberato la storia di tutto quel sovrappiù pesantissimo e inutile delle glorie militari, delle sconfitte, delle date, della famosa battaglia, della famosa dinastia, non conosceremo neppure lontanamente la storia.
La storia che viene insegnata a scuola è reticente quando non falsa: reticente perché non parla delle donne – per lo più, tranne le regine, qualcuna così, qualche eroina famosa appunto – e le donne sono la maggioranza della popolazione del pianeta, quindi taglia fuori più di metà della gente che è campata e campa e, sembrerà strano, ma se dovessero decidere per una generazione di non far figli, finisce il mondo, punto.
Non è un potere da poco insomma, non si capisce perché non venga mai trasmesso anche come potere, anche come componente, comunque, della continuità della storia umana. Che non è che…, va bene la Provvidenza, d’accordo, ma insomma, l’idea di un dio affacciato sempre dietro – adesso metto incinta quella lì, quella lì, quella lì – riusciamo a far campare di più l’umanità mi fa un po’ ridere.
Trovo che non tenere in considerazione l’originaria differenza, impoverisce la conoscenza, non l’aumenta.
La sintesi, la parola sintesi io la considero quasi l’unica parolaccia della lingua italiana: nel senso che di due fa uno, è una riduzione violenta, perché due erano. Tra l’altro persino il racconto biblico, considerando una fonte storica, dice che maschio e femmina lo creò, creò l’essere umano maschio e femmina, lo dice solo per la specie umana. Nel racconto biblico della creazione di tutte le altre cose – si creano i pesci dell’acqua, gli uccelli dell’aria – soltanto per la specie umana maschio e femmina lo creò questo essere particolare; è curioso ma insomma siccome è un testo che è stato studiatissimo si dovrebbe cavare qualche opinione, allo stesso modo di quell’altra espressione – scusate se butto fuori come una mitragliatrice una quantità di cose, forse dovrei parlare più lentamente – allo stesso modo che “Dio creò”: tutti creano, il sarto che fa un vestito crea, il parrucchiere, la parrucchiera crea. Io preferisco la ricreazione francamente, molto più alla portata nostra ecco, la creazione mi va un po’ stretta, un po’ pesante, un po’ affaticante. Quando tutti mi dicono: “crei crei”, preferisco la ricreazione francamente!
Se dovessi pensare a me stessa, devo cominciare da prima, perché prima c’è stato il grande scoglio del divorzio, il primo grande tema che ha suscitato l’attenzione non soltanto delle donne ma in generale della società. È servito per dire ecco, adesso vogliono anche il divorzio, vi ricorderete – no non potete ricordare perché siete per vostra fortuna giovani – ma le idiozie volgari che ha detto Fanfani su questa cosa qua, dicendo “vogliono il divorzio così scapperanno con il primo giovanotto che passa”, diceva agli altri mariti, delle cose veramente incredibili che abbia potuto dirle un presidente del Consiglio, famoso professore universitario e tutto quanto.
Allora, prima la faccenda del matrimonio, questa storia che nella Costituzione Italiana di fatto si è tentato di inserire addirittura l’indissolubilità del matrimonio, e non è passato per uno, due voti; hanno votato contro le donne, le donne erano poche, ma insomma abbiamo rischiato anche questo.
E poi nella Costituzione Italiana stessa, che è vero che è molto bella ma non è molto laica, perché c’è un Articolo 7, che io sarei molto contenta se qualcuno ne chiedesse l’abrogazione, l’unico articolo che vorrei veramente cambiare, che inserisce nella Costituzione Italiana, con valore quindi costituzionale, i Patti Lateranensi; significa che in sostanza la legislazione di quell’unico Stato assoluto che ancora esiste in Europa che si chiama Stato del Vaticano vale per la nostra Costituzione. Bel problema veramente!
Io sono stata Consigliera Comunale a Roma, la considero la più bella delle mie avventure politiche perché il Campidoglio è una sede straordinaria, ci sono passati i più grandi, Andreotti…, erano tutti lì, e mi ricordo quando, essendo il Consigliera Comunale a Roma, essendo la Presidente della commissione Cultura del Campidoglio, mentre Assessore alla Cultura era Nicolini, Nicolini inventò l’Estate Romana, che fu una cosa straordinaria, e tra l’altro sotto il segno dell’effimero, perché quando lui cominciò a usare gli antichi avanzi romani, le grandi cose, il Colosseo insomma, i grandi monumenti romani per farci degli spettacoli allegri e che passavano di moda facilmente, effimeri, il Vaticano protestò. Protestò perché l’effimero offende il carattere sacro di Roma Città Eterna e presentò proprio una domanda e si dovette fare un dibattito in Consiglio Comunale in Campidoglio. Le donne del femminismo romano che occupavano Governo Vecchio, che era la vecchia sede del Governo Pontificio, affidarono a me il compito di difendere in Consiglio Comunale la legittimità di quella occupazione, tutto quello che riguardava insomma questa faccenda, per cui mi trovai così, e una delle prime occasioni fu questa – sembra che la prenda molto alla lontana, ma bisogna prenderla da lontano, perché la causa dell’aborto ha radici molto profonde.
E allora Nicolini intervenne dicendo: “ha ragione il Campidoglio, questa argomentazione è seria” – lui era uno molto ironico quindi si capiva già che meditava qualche battuta – “però mi pare che a questa loro preoccupazione abbia dato già la risposta Sant’Alfonso de’ Liguori – si sono messi tutti i democristiani a impallidire perché non sapevano neanche chi fosse – che invece, siccome noi l’eterno non lo conosciamo, l’unica strada per conoscerlo è passare per l’effimero”.
Non è vero, cioè è vero ma non l’ha detto Sant’Alfonso. Il quale Sant’Alfonso de’ Liguori è un divertentissimo e allegro Santo napoletano, quello che ha scritto tutte le canzoncine di Natale italiane, cioè “Tu scendi dalle stelle/o Re del cielo”, quello lì – adesso abbiamo imparato tutti “Stille Nacht” ma allora c’erano le canzoncine anche italiane di Natale e alcune erano graziose, quelle di Sant’Alfonso erano anche belle; quella lì cioè “Tu scendi dalle stelle/o Re del cielo/e vieni in una grotta/al freddo e al gelo” c’era tutto quello che ci doveva essere, ed è anche ninna nanna, una pastorale, una di quelle cose lì.
Allora tutti impallidiscono e Nicolini si rivolge a me e dice: “è vero?” e io, con grande faccia tosta, dico: “sì certo, sostiene per l’appunto che uno degli aspetti della teologia negativa è che non potendo noi direttamente definire qualche cosa che riguarda Dio, ci arriviamo attraverso il negativo; esaminando tutto il negativo capiamo cosa può essere, quindi il rovesciamento”.
Allora basta, vincemmo allegramente questa campagna, ma per dire che anche il matrimonio, che uno pensa che è un rito, no, è un sacramento e quindi avvolge il matrimonio non di un valore di istituzione sociale, che può anche avere le sue regole – può esserci una legge che dice che non si possono fare due matrimoni mentre una moglie è ancora viva, mentre nell’Islam sì, fino a quattro si possono avere, quindi ci sono già delle cose da regolamentare che riguardano i costumi vigenti in un determinato popolo – però anche per quello si dovette lottare a lungo e molti: “ma insomma però questa cosa, poi succederà davvero, come dice… quello scappa e così…”, allora mi ricordo che io dissi: “allora usiamo anche noi delle battute forti dicendo “vogliamo finirla con il matrimonio ergastolano”: io sono contro l’ergastolo, anche quello matrimoniale”, se rispondi in questo modo si comincia a vedere come una battuta e non venivi lapidata in piazza – certo, è un po’ birichina, un po’ svergognata, non tiene conto del bon ton, di come si dovrebbe comportare veramente una signora per bene – però intanto ridiamo tutti. Ma questa cosa non si poteva ripetere né sulla violenza sessuale né sull’aborto perché non si possono fare sulla violenza sessuale o sull’aborto delle battute come sul divorzio.
Vediamo intanto sull’aborto: perché sull’aborto intanto, visto che era reato, anche se di fatto non perseguito – perché poi c’era questa doppiezza perché una donna che abortiva poteva essere ma nessuna veniva denunciata, bisognava proprio che fosse una cosa molto solenne, che coinvolgeva una levatrice di grande fama, insomma di solito era una specie di reato tollerato, ma essere causa o comunque simbolo di un reato tollerato dà un tale peso sulla testa – sei una donna, potresti abortire e quando tu abortisci io ti tengo in pugno perché quello è un reato e posso denunciarti quando voglio; però lì non si poteva dire voglio uscire dall’aborto ergastolano perché l’aborto è un evento unico, non è una continuità come il matrimonio, quindi dovevi trovare un altro sistema. Allora il primo sistema fu quello di dire: “mah, è un grumo di sangue”, io lì mi opposi dissi: “non è vero, è grumo sangue ma ha dentro una legge per cui si sviluppa poi in un certo modo”. Quindi voglio dire che ho diritto a non volerlo dentro di me se non lo voglio, ma non perché è un grumo di sangue, perché se no è come un dente malato, me lo faccio togliere perché mi fa male, si campa lo stesso. No, lì è un’altra cosa insomma; e quindi bisogna andare un po’ più a fondo di questa faccenda, e l’andare più a fondo era: finalmente devi convincerti e convincere la società che una donna è, in questo caso, come un uomo, una persona, e una persona è un fine e non un mezzo. E quindi ogni qualvolta dentro al tuo corpo c’è qualche cosa che è stato messo da qualcuno, che quindi usa il tuo corpo come mezzo per avere un figlio oppure non lo vuol più ti dà i soldi per abortire, eccetera, tu devi dire di no perché quello vuol dire che tu sei ridotta a strumento, comunque. Allora cominciamo a graduare: se questa cosa viene fatta con la violenza, perché non si deve abortire neanche se una rimane incinta dopo essere stata violentata? A rigore anche, e allora comincia un lungo cammino se con la violenza, se, senza volerlo, se, perché non ti sei riguardata, ma è lecito riguardarsi? Viene su una tale mole di problemi che tu ti accorgi che ogni volta che strappi uno di questi punti di questa impuntura cucita strettissima, respiri, non godi, perché magari è una cucitura che ti sta anche a cuore, ma ti accorgi che non ci stai più dentro, che non tiene; e quindi era sempre un misto di acquisto di libertà e non di quella libertà che ti fa essere più, come dire, scriteriata, ma che ti obbliga ad essere più severa addirittura con te stessa, più seria, più responsabile. Dai risposte, ma dai risposte a te, sei tu che ti fai le domande. E l’aborto ha cominciato ad essere questa cosa qui.
Finalmente, passando però per la violenza sessuale perché, l’esperienza invece più diffusa era quella di sentire parlare di violenza sessuale che praticamente ciascuna aveva paura di poter essere violentata, questo era; la paura era totale e tu cominciavi a dire: “porco mondo, se mi tocca stare in casa la sera per il fatto che non posso andare per strada, perché ho paura di essere violentata, dov’è che sono una cittadina?”. Mi ricordo, io abitavo a Roma, stavo a Roma di solito a lungo, perché lavoravo per Il Manifesto, sono una delle cofondatrici de “Il Manifesto”. Una sera tornavo a casa dal Consiglio Comunale, perché intanto ero Consigliera Comunale, ed era finito abbastanza presto, saranno state le nove e mezzo di sera, neanche le dieci, arrivo sotto casa e vedo donna che piange e dice: “mi hanno rubato la borsetta,mi hanno borseggiato, mi hanno scippato” e io: “Guardi, c’è un Ufficio di Polizia, qui vicino, l’accompagno”. Arriviamo, l’accolgono, la fanno sedere, le danno un bicchiere d’acqua, si comportano molto bene, dopo di che fanno la fatidica domanda: “Ma signora che cosa ci faceva per strada da sola?”. “Come?”, dico io, “non era mica in un bosco alle tre di notte! Posso capire, ci si perde, casca, muore, arriva il lupo, non lo so, ma a Roma la sera alle nove e mezza? Signora non risponda!”.
Non saremo libere fino a quando non potremo dire a uno che mi incantona per strada: “ero per strada per cercare un’avventura, ma tu non sei quell’avventura che cercavo”, ecco!
Non ho bisogno di una ragione virtuosa per essere per strada; volevo andare a passeggio, non si può? è già sospetto?
E quindi già tutta la questione che coinvolgeva la violenza sessuale rimetteva in discussione proprio la condizione della donna come reclusa, reclusa a domicilio. Per cui la conquista della libertà era un lavoro lunghissimo, non finiva mai; e quando finalmente abbiamo cominciato a dire che il governo del proprio corpo non può essere delegato a nessuno e quindi chiunque pensi di poter, persino che ti ha legittimamente sposato, vuol dire che questo è vero sempre, in assoluto. E pensate che invece l’opinione contraria è talmente diffusa che quando si fece la legge sulla violenza sessuale, che quella italiana era l’ora ed è tutt’ora una delle migliori, non ci fu modo assolutissimamente, con due legislature, di far mettere che anche il marito se violenta è uno stupratore – questo non c’è, non c’è.
Noi presentammo una legge di iniziativa popolare, raccogliemmo un milione di firme – con difficoltà in Sudtirolo perché, sai com’è, qui non serve questa cosa, quando si scopre che anche in Alto Adige si ruba, come è successo da poco, tutti sono stupiti: “ma si ruba anche in Sudtirolo?”, anzi in Alto Adige perché dire Sudtirolo è già un’offesa, devi dire Alto Adige che è una frase, una denominazione di tipo francese inventata per l’appunto al tempo di Napoleone.
Perché c’è qualche ministra che dice: “io sono ministra?”.
È lì perché Renzi ce l’ha messa, ha accettato già che la sua… è una cosa piccola della sorte una persona essere ministro o ministra, sembra che non sia non particolarmente rilevante; ma ce n’è una sola – e sono tutte belle, ben vestite e pettinate, parlano bene, sono colte, ripetono benissimo le lezioni quasi come fossero parole loro – ma ce n’è una che ha mai parlato una volta delle donne?
Perché ancora esprimere se stesse da un corpo femminile, che si fa riconoscere per tale, o diventa una merce, quindi si mette a centimetri quadrati di nudo in piazza o sullo schermo, o sennò che stia zitta e che stia a casa insomma; va bene ancora il vecchio proverbio veneto “che piaccia, stia zitta e stia a casa a fare i lavori”.
Questa cultura è la più profonda che ci sia al mondo e purtroppo è condivisa da tutte le civiltà, se in Africa non ci fosse sposerei tranquillamente una cultura africana, ma non è così; se non ci fosse in Asia ma non è così! Quindi sembra proprio che il pianeta si riconosca in questo dominio maschile.
E fino a quando tu fai un programma politico avanzatissimo e non ci metti al primo punto – perché la maggioranza della popolazione del pianeta e di ogni paese che lo compone, è di donne, chiunque dica che nel suo paese c’è una democrazia rappresentativa mente perché questo non è vero in nessun Paese.
Sembra strano, perché di chi devi essere se non tua?
Ma poi pensa: mettiamo Leonardo, ha scritto ‘Io sono mio’ ai suoi tempi e tutti: “che genio!”, se lo dice una donna… questa cosa, più la società sembra progredire, insomma, in effetti progredisce – non son certo per dire che le lavatrici non servano, che era meglio fare il bucato a mano, non ci penso nemmeno – ma anche su altri terreni meno banali di questo. Però arrivano dei punti in cui c’è una frattura tale che via rovinosamente indietro.
C’è una frase di Rosa Luxemburg – per cui io naturalmente ho una fissa, ma ritengo che la mia età si ha diritto ad avere le fisse, quindi non protestate – dove lei a un certo momento, avendo corretto il pensiero economico di Marx, cosa che normalmente non le viene riconosciuto – di Rosa sentirete dire che una donna generosissima, che si è persino lasciata uccidere eccetera eccetera, che sia stata una testa pensante, mai! – lei ha corretto alcuni errori economici di Marx. Era una grande economista tra l’altro, e ha analizzato le crisi del capitalismo, il perché delle sconfitte rivoluzionarie, perché si aspettava la rivoluzione in Germania al tempo della Repubblica di Weimar e invece non ci fu, venne il Nazismo, si aspettava la Rivoluzione dopo il ‘17 nella Russia Zarista invece venne l’Unione Sovietica; insomma, era un problema importante.
Lei analizzò il fatto che un sistema, come il Capitalismo mettiamo, che è un grande sistema, quando è arrivato alla sua maturazione totale comincia ad entrare in crisi e produce delle crisi che a un certo momento non sono rimediabili. Il Capitalismo a un certo punto non è riformabile, per esempio attualmente applicando i suoi criteri si deve dire che il Capitalismo è irriformabile, perciò chiunque propone una politica di riforme non propone più una politica di avanzamento; perché lei lo dimostra in un appunto, poi spiegherò il perché. A questo punto, quando il Capitalismo non è più riformabile, o socialismo o barbarie: o tu riesci a fare il salto nell’altro sistema che lei chiamava socialismo – si può chiamare come si vuole – se no non è che prosegui lentamente lasciando andare la crisi alla sua spontaneità perché quella aumenta, aumenta, aumenta e a un certo punto scompare… no, a un certo momento alla crisi subentra la barbarie.
Voglio considerare questo termine che non è economicistico, non è la disoccupazione, la precarietà giovanile, no, la barbarie; cioé vuol dire che tu non hai più possibilità di farti capire. La parola ‘barbaros’ in greco, i Greci la adoperavano per i popoli di cui non capivano la lingua; balbuziente, che dice delle cose insensate. La barbarie, di socialismo neanche l’ombra, la barbarie cresce davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie in maniera impressionante, è vera, questa cosa. C’è qualcuno che usa questi argomenti per discutere? No, si ritorna sempre alle riforme.
La parola autorevolezza io l’ho usata molto prima della Muraro. Devo dire che ero molto contraria alla parola autorità ma non ad autorevolezza, perché l’autorevolezza è fondata su una esperienza, e poi si presenta anche con minore peso che non la parola autorità. Mi piace molto quando, e succede sempre più di frequente, che a ciò che dice una donna si dà anche ascolto, si dice: “hai ragione”; si presume che tu abbia un cervello da gallina sempre e comunque, devi dimostrare tu il contrario. Non si presume che tu hai un cervello umano. Ecco!
Sono però passini così lenti che nei luoghi capitalisticamente meglio strutturati hanno più difficoltà che in quelli un po’ scombinati.
Il capitalismo sudtirolese – io dico sudtirolese non altoatesino, per l’appunto – fa ridere dal punto di vista capitalistico, è una cosina grande così, ma è talmente ben strutturato, talmente ben fondato che se quello lì c’ha tanti soldi vuol dire che è bravo a farli, non che ruba; non viene in mente, perché subito pensi: “qui è un posto tranquillo, a Bolzano si può uscire la sera” eccetera eccetera eccetera. Io stessa andando in giro non faccio che lodare Bolzano, tutti quelli che vengono trovano che Bolzano è vivibilissima, è una meraviglia, è vero; dico sempre che Bolzano è diventata la mia Heimat – so bene che non si può dire Walheim perché la Heimat non si può vahlern. Ma io non tornerei a Novara neanche dipinta, nonostante io abbia lì un fratello e una sorella e sono contenta quando li vado a trovare, quando mi capita, ma come a Bolzano non starei da nessuna parte; nel senso che anche le bizzarrie che ho sempre fatto, forse perché non erano mai diciamo proprio carnevalate, non hanno diminuito l’ospitalità bolzanina e anche una certa considerazione insomma ecco che mi capita.
Con grande piacere rispondo a questa domanda, cominciando da una mia assoluta vanagloria: cioè io ho elaborato alcuni termini che riguardano un tipo di economia di cui non si parla, che chiamo economia della riproduzione. Noi conosciamo e ci occupiamo prevalentemente della produzione, e il Capitalismo si segnala per aver prodotto talmente tanti oggetti, talmente tante merci, facendole pagare sempre di meno che davvero Adam Smith credeva che avrebbe vinto la povertà. Ed è vero che la povertà si è ridotta nei paesi capitalistici, senza dubbio alcuno. L’obiezione però gliel’ha fatta subito Malthus, dicendo: “se in conseguenza della meccanica alla produzione di macchine e della medicina alla cura della salute la popolazione aumenta naturalmente, vedrai che ritorniamo poveri”, insinuando che anche il controllo della riproduzione era indispensabile per poter fare un salto della povertà. Ma siccome nel controllo della riproduzione veniva fuori subito che tu dovevi infrangere qualche legge religiosa – Malthus era un pastore protestante, era un uomo piissimo, non pensava minimamente a chissà che cosa per non avere figli, pensava che bisognava astenersi dai rapporti sessuali –
quindi fare un’educazione sessuale sia degli uomini che delle donne capace di governare anche questo istinto. Invece è stato considerato un mero egoista; quando si dice marthusanesimo si intende dire egoismo sociale. A tal punto la cosa riguarda anche un uomo quindi, non soltanto le donne. Di questa economia della riproduzione invece io me ne sono occupata perché è una domanda fatta ancora da Adam Smith che ha ragione di essere rifatta, e mi sono detta che in effetti esistono tutta una serie di lavori che non producono merci: per esempio la maternità sotto il profilo dell’impiego di risorse è un lavoro, ma non produce merci; ma lo stesso molti lavori, tutta la politica è un lavoro ma non produce merci. Allora se è un lavoro avrà un suo modo di lavorare, questo modo io lo chiamo cura. La cura non è un lavoro, è un modo di lavorare; tutti i lavori della riproduzione si devono fare con cura perché sono lavori che si rivolgono a persone, usano persone e non possono dimenticare che le persone sono fini, non sono mezzi. Quindi devi fare con cura qualsiasi lavoro della riproduzione, dalla presidenza della Repubblica alla bidella dell’asilo nido.
Non per niente però la presidenza della Repubblica è talmente maschile che adesso che forse vogliono fare una donna, e una donna può essere Presidente della Repubblica? Ma un uomo può essere bidello dell’asilo nido? Non è mica tanto facile eh.
La politica è essenzialmente riproduzione e voglio sapere chi può parlare di riproduzione senza pensare a un corpo femminile.
Quindi non è direttamente l’essere madre, ma se tu escludi questo fai un disastro dell’altro mondo perché incominci subito a pensare che la politica, come diceva Carl von Clausewitz, è la guerra continuata con altri mezzi, e allora vuol dire che se la politica ha la guerra nella pancia prima o poi la partorisce, ma se la politica invece ha nella pancia lo stare insieme di cittadini … politica e urbanistica è la stessa parola, è il modo di organizzare la città; capisci che anche questo appello appunto, aggancio a quella parte della specie umana che si chiama donna non è la maternità, è questa cosa, diciamo originaria, ontologica per adottare un termine un po’ più preciso dal punto di vista culturale, che è l’essere donna, essere uomo; cos’è l’essere uomo non lo so, che ce lo dicano per piacere che fino adesso i messaggi che ci hanno mandato sono piuttosto disperanti. Ma noi a nostra volta, non mandiamogli solo dei messaggi in cui noi siamo quelle che si prendono cura del mondo, se no poi ci troviamo a spazzare in terra dappertutto insomma; hai solo a che fare con l’immondizia, se accetti questo atteggiamento. Non dico che non sia una cosa utilissima, essenziale ma non solo.
Quindi preferisco agganciare questa economia della riproduzione che ha come modo la cura, alla riproduzione come attributo specifico nella sua caratteristica più fondativa di quella parte della specie umana che si chiama ‘le donne’.
La politica è tutta della riproduzione, quando si dice le riforme strutturali si dice una scemata se si pensa alla politica per la politica; la politica è essenzialmente riproduzione, è un modo di stare insieme e trovare come fare per proseguirlo. Tanto è vero che ha per nome “polis” il luogo della convivenza umana, differente da quando poche persone disperse vivevano nei boschi e l’uomo e la donna soccombevano di fronte alle bestie feroci.
Intanto io mi impegno a campare il più che sia possibile.
Prima di tutto perché io amo molto stare al mondo, nonostante tutto. Mi piace molto e mi piace avere anche, anche essere ricambiata di questo.
Per esempio: io giro moltissimo come una pazza, come una vagabonda e generalmente chiedo, a chi mi invita, il rimborso delle spese vive. Se si tratta un’istituzione chiedo il cachet che danno a qualsiasi relatrice o relatore perché non penso affatto di dovermi vendere a buon mercato per dire, ma se si tratta invece di associazioni di donne o volontariato chiedo solo il rimborso delle spese di viaggio – e poi spiegherò anche il perché – e però l’ospitalità presso famiglie di compagni o compagne, non alberghi – quindi sono a buon mercato comunque – ma poi soprattutto perché mi sembra che mettere in moto una catena di ospitalità è una cosa per cui mi piacerebbe essere ricordata: che a casa mia posso dormire tranquillamente tre persone, basta che mi avvisino perché io sia in casa, questo sì, che non sia vagabondando. Ma mi piace moltissimo: lascerei l’ospitalità.
Lascerei anche un po’ di dittatura della casalinga – scherzo, perché io una volta ho scritto sulla dittatura della casalinga, quella che mette le pattine sotto i piedi, che riluce i pavimenti, che non è proprio tutta da buttare; io non penso che… appena un uomo che sa fare il risotto: “Oh, sa fare il risotto!”; D’Alema è passato alla storia per sapere fare il risotto. Chiunque di noi sa imbastire un risotto e pastasciutte varie, persino le lasagne, quindi sarei per far cadere un po’ dall’alto anche questa cosa: “Guardate come siamo brave!”. Ciascuna di noi fa la professoressa, mettiamo, che è la cosa più frequente, e nello stesso tempo fa anche la spesa, cucina ecc.
Allora sarei per sindacalizzare un po’ questa roba; un’altra cosa che vorrei lasciare è anche una specie di sindacalizzazione, nel senso che io sono stata 52 anni moglie dello stesso marito, felicemente, serenamente, era un tipo non tanto abile invece nelle cose di casa, minimamente, da buon trentino c’aveva una mamma e una sorella, figurarsi… io però non ero tanto contenta di questa sua trentinità, sotto questo aspetto, per cui, avevamo deciso che siccome a me piace cucinare, cucinavo io però lui faceva la spesa. Però se gli dovevo anche ricordare che cosa doveva comprare facevo più presto a comperare io; quindi se fai la spesa vuol dire che ti accolli di fare la spesa! Come fai a uno a cui vuoi bene a fare il rimprovero, non va. Allora io ho lasciato che si vuotasse il frigo, il giorno che è arrivato il frigo vuoto ho detto: “ma sei proprio di una gentilezza straordinaria, non sapevo che oggi volessi invitarmi fuori a pranzo!”, e lui: “ma, veramente …”, “se non hai fatto la spesa io cosa cucino?”: giuro che non se ne è dimenticato mai più.
Una sindacalizzazione è avvenuta, una divisione dei compiti, bisogna che la casalinga sia abbastanza autorevole da poter imporre una… allora lascerei volentieri anche questo: che nelle relazioni più o meno stabili che stabiliscono con un’altra persona una certa divisione del lavoro conviene che ci sia, e chi lo deve imporre? ma chi lo faceva prima!
Dunque, cominciamo delle cose materiali: del condominio in cui abito, i miei nipoti di sangue – ho già fatto, come si dice, la nuda proprietà – quindi va a loro sono quattro, due di mio fratello, due di mia sorella; i libri vanno tutti al Comune di Bolzano, se non li vuole alla Provincia, e mi piacerebbe molto che nel Movimento delle Donne venisse accettata la Convenzione come forma organizzativa perché quella sarebbe l’eredità più straordinaria, per quello che mi riguarda, che potrei lasciare al Movimento delle Donne; l’ho detto invece di scrivere nel testamento, che poi nessuno imparerebbe a guardare, si sognerebbe di andare a veder,e così abbiamo un mezzo per comunicare questa cosa. La Convenzione è che ciascuno di noi ha casa, più o meno, ma non abita volentieri solo a casa quindi esce e conviene in un luogo pubblico qualsiasi, può essere un mercato, una piazza, un salone eccetera … e lì che cosa fa? Fa delle scelte per la propria Convenienza, questo aspetto è il più difficile da ottenere; il Movimento delle Donne ama le cose che gli fanno male, c’è questa idea sacrificale della donna; invece io convengo, facciamo delle feste, benissimo, facciamo delle mangiate, perfetto, facciamo delle ballate. Mi piacerebbe molto che il 2 Giugno diventasse come il quatorze juillet in Francia, che si balla tutta la notte perché è stata presa la Bastiglia. Cambiamo un po’ anche questo atteggiamento poco festoso delle nostre solennità e invece facciamo balli, canti, eccetera; ecco, la Convenzione è questo.
Devo dire che sicuramente il controllo delle nascite a Novara ecco è usato da moltissimo perché tutte e due le mie nonne hanno avuto tre figli e, al contrario di quello che dici tu, mia madre diceva: “non sono mica una coniglia”; c’era un certo disprezzo di chi aveva molti figli. Mia suocera che era trentina ha avuto otto figli dei quali quattro morti. Mia madre diceva: “mettere al mondo otto figli dei quali quattro morti e quattro campano… io ne ho fatti tre e tre sono stati al mondo, punto; stavo bene io e stavano bene loro”.
Novara, il Piemonte in genere penso, benché sia una regione piuttosto ‘gnucca’ – insomma, i piemontesi non sono particolarmente brillanti, vivaci, gioiosi, però più laici sì, mediamente laici di quanto non si fosse allora, perlomeno in Trentino, sì! Tanto è vero che quando decidemmo di sposarci e di ritornare dove Ninni aveva vinto un concorso; io misi come unica condizione che non andassimo a Trento ma a Bolzano. Perché a me Trento già mi stava addosso, nel senso che tu metti i piedi in terra e: “ti piace Trento?”, “non l’ho ancora vista”; il solo fatto che non cadi svenuta per la bellezza della città viene consideratp offensivo. Bolzano allora era un accampamento, non era una città; succedeva di tutto ma, appunto per quello, almeno puoi andare, come dicevo sempre io, in giro in pigiama e non si voltano neanche a guardarti.
lo sentivo molto di più questa stranissima laicità conservatrice che comunque era meglio della conservazione clericale di Trento. Ecco, solo termine di confronto non particolarmente elogiativi né per l’una né per l’altra però uno dei due ha fatto sì che Bolzano è diventata la mia Wahlheim e Trento invece no.»
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