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Partendo dai ricordi della propria infanzia e ricostruendo le dinamiche all’interno della sua famiglia d’origine, Liviana Greoli, autrice e inviata Rai, racconta il percorso che l’ha portata a scegliere, senza rammarico, di non avere figli.

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Ecco la trascrizione completa del video:

LIVIANA GREOLI: «Polli, Pollo, Ciccio, Pollo… tieni…»

«Sì, intorno ai trentadue, trentatré anni perché sembrava l’età giusta, no? è ed è lì che ha cominciato a salire l’ansia, l’ansia e forse anche la coscienza di non volere quello che tutti si aspettavano.
Intanto però posso dire una cosa?
“Rami secchi”: io non mi sento un ramo secco per niente proprio, ci sono delle piante che non fanno fiori ma fanno tantissime foglie e son belle uguale. Non mi sono mai sentita un ramo secco. Anzi, forse il non avere figli, senza dolore perché non cercati, mi ha aperto verso gli altri, mi ha dato modo di concedermi di più quindi sono una pianta bella rigogliosa.
Un’altra cosa che avevo pensato di dirti è cosa abbinavo, fin da piccola, quale era il mio ricordo abbinato alla gravidanza e al parto: e ovviamente sono i racconti di mia madre. Quando parlava di gravidanza, di come ero nata eccetera, il racconto era questo: “Prima di te sono rimasta incinta di tuo fratello, è stata una gravidanza bellissima, perfetta, stavo benissimo sono andata in sala parto, ho partorito in un’ora senza nessun problema, è nato questo bambino bellissimo, biondo, con i riccioli biondi” – me lo descriveva anche secondo me anche un po’ romanzando -, “che dopo 5 minuti è morto, disperazione e poi sono rimasta incinta di te: grande felicità, nove mesi a letto, vomito tutti i giorni, nausea senza mangiare nulla, sala parto tre giorni e tre notti”, raccontava come se l’avessero segregata là dentro. E poi c’era questa cosa che diceva: lei aveva le labbra molto sottili, per morderle per il dolore le si erano gonfiate come due ciambelle. Questa era la descrizione. Quindi certo questo non è che mi ha aiutato a pensare alla gravidanza come a un periodo felice e per molto tempo ho pensato che tutto dipendesse da questi racconti. Ma in realtà era altro, era qualcosa di un pochino più consistente ma ci ho messo tempo per capirlo.
Ho capito che io non sono mai stata figlia. Io sono sempre stata madre, di mia madre soprattutto ma anche di mio padre. Mamma era una cosina piccola, da proteggere. Io a dieci anni ero già più alta di mia madre; e lei proprio mi chiedeva protezione, e io gliel’ho sempre data, cioè sono sempre stata responsabile, ma non perché lo ero per indole, questa è la cosa strana, ma perché non potevo farle del male. Non potevo, lei aveva un vissuto già tanto pesante che io non potevo aggiungergli niente.
Quando dico così mi dispiace sempre pensare di poter dare un’immagine negativa dei miei genitori ma non è così. Io non avrei mai voluto altri genitori che loro; loro mi hanno amato tantissimo ma forse non avevano gli strumenti per amarmi nel modo giusto.
No, non ha mai insistito anche perché io ero il suo mondo, io le bastavo.
Poi mamma era come me: lei amava tutti, quindi non aveva bisogno di focalizzare l’affetto su un parente stretto.
No, non ho mai sentito da loro questa richiesta, non ho mai sentito neanche la richiesta di matrimonio, di vita comunque che rispettasse determinate regole.
Non mi sono mai sentita incalzata da loro.
Semmai mi sono sentita, per un periodo, incalzata da me stessa, nel senso che il tempo c’era, il compagno c’era, e perché io non desideravo avere questo figlio che era per tutti un passo naturale?
Quindi all’inizio pensi che appunto dipenda da tutto quello che per te è stato raccontato come gravidanza, come parto eccetera, infatti lo somatizzavo, per me una donna incinta era una donna malata, cioè la immaginavo come una donna malata, poi più avanti, lavorando un pochino più su di me, ho capito altre cose.
Ho capito intanto, non che io non abbia un senso materno, perché, anzi, io credo di averlo anche molto sviluppato: non ho l’egoismo che ha avuto mia madre, perché per mia madre un figlio era la salvezza, e io non… dopo, col tempo ho capito che non volevo un figlio perché non volevo poter fare i danni che loro avevano fatto a me, ma non perché non mi amavano, anzi è proprio questo il punto: che amare un figlio non ti salva dagli errori che puoi commettere. E quindi prima bisogna lavorare molto bene su se stessi e poi si può capire se si può avere un figlio che non subisca i tuoi danni.
Per tanto tempo ero convinta della mia decisione però per tanto tempo temevo che poi, arrivando al punto di non ritorno, che ancora adesso non è arrivato perché ormai si hanno figli fino a sessant’anni, però qualche anno fa magari lo sentivo come punto di non ritorno, mi sarei pentita della scelta. Questo era il timore.
Invece no. No, non la penso mai come una scelta sbagliata, forse non la penso neanche come una scelta, è stata una cosa così naturale che non la sento come una cosa così meditata.
Io ho molte amiche senza figli, qualcuna per scelta e qualcuna invece no, però, fortunatamente, nessuna patisce più di tanto di questa che per altri può essere una privazione.
Però non è un argomento proprio che ci mettiamo lì a fare tavole rotonde su perché non hai avuto figli, forse perché proprio è una scelta e quindi non la sentiamo come una privazione.
Ovviamente sono persone, non dico più realizzate, perché non è quello e non è neanche il termine giusto, però un figlio ti deconcentra, un figlio attira tutte le attenzioni e se non è così a volte è sbagliato e quindi, ovviamente, sono persone che hanno una vita più libera ma non più libera da orari e da cambi di pannolino, cose così pratiche, più libera proprio di testa e quindi questo si ritrova anche nelle loro case.
Ho un’amica che addirittura non ha casa pur avendone tante però di fatto non sente la necessità di un posto fisso.
No, io non so se perché vivo in un ambiente illuminato, io non credo, però io veramente questa mancanza non l’ho mai sentita.
Ma poi è ovvio che se tu non hai figli di conseguenza ti circondi di persone che non parlano sempre di pannolini, di famiglia, di bimbi, di scuole, di asili o di licei. Ma non è che ne parlano sempre in termini entusiastici, io devo dire che, proprio da pochi giorni, so di una collega che aspetta un bimbo e lei è proprio la mamma, quando una dice mamma parla di questa mia collega praticamente. Ha una bimba di tre anni che è tutto il suo mondo, ha una vita anche faticosa perché lavora a Roma ma vive fuori Roma quindi fa avanti e indietro, gestisce questa bambina con il marito ovviamente e con l’aiuto della mamma; non è piccolissima perché ha quarantuno anni e ha cercato tanto il secondo bimbo e adesso è in stato interessante da… ce l’ha detto che aspettava il bimbo da tre settimane, quindi proprio non vedeva l’ora. Ecco a parte lei, che non ho mai mai mai sentito parlare di questa sua vita faticosa, con rammarico, appunto con fatica, a parte lei tutte le mie colleghe che hanno figli, cioè non è che la vivono proprio come una passeggiata, cioè, sentono il peso… E non dico che questo mi convince ancora di più della mia scelta, perché ognuno non può sapere come sarebbe andata la vita diversamente, magari sarei stata una mamma felice in mezzo ai pannolini e ai problemi degli adolescenti, però diciamo che quello che mi circonda non mi fa pensare con troppo rammarico alla mia scelta.
Ma poi come prima, io non mi sento un ramo secco quindi non ci ragiono neanche poi tanto su questa cosa.
Allora, io ho due gatti, pollo e polpetta che sono, ovviamente, fondamentali però non è un rapporto sostitutivo, ci tengo a precisarlo. Loro sono i miei animaletti a loro voglio bene, io voglio bene a tutti gli animali nella mia vita, ho avuto camaleonti, ho avuto cani, gatti, furetti, ho avuto qualsiasi tipo di animale. I miei gatti sono dei compagni, cioè torno a casa ci sono i gatti, però non sono… cioè non sono i miei figli, questo è sicuro; cioè sono degli esserini che mi danno felicità come è giusto che sia e io do tanta felicità a loro, questo anche è ovvio, però non sono una compensazione, questo è sicuro.
Sì, me lo chiedo cioè… non in maniera ossessiva ovviamente però me lo chiedo ma sono circondata da talmente tante persone a cui voglio bene che il problema non si pone. Invece per quanto riguarda il lasciare una traccia del mio passaggio in questo mondo, non credo che un figlio sia, necessariamente, una tua traccia. Mi sembra una visione proprio egoistica della maternità.
Io non sono attaccata alle cose. Le cose a cui sono attaccata non hanno nessunissimo valore. Non so se per un caso o per altro, per cui nel momento stesso in cui io non ci sarò più perderanno valore. Per cui le cose materiali, che sono pochissime quelle che possiedo, ci sono tanti amici a cui voglio bene a cui sono felice di lasciarle; le cose che hanno un significato per me, le cose che hanno un valore per me moriranno nel momento stesso in cui morirò io perché non hanno un valore materiale, hanno un valore solo affettivo. Sono pochissime e sono cose a cui tengo, ma a cui posso tenere solo io.
Questo mi piace tanto. Questo mi piace tanto perché l’ho comprato in un mercatino, se non sbaglio sul Gargano, è vero sul Gargano.
No, non è che non era simpatico il Silvestro, lo volevo simile ai miei gatti, io non ho mai avuto un gatto bianco e nero. Non mi è mai capitato un gatto bianco e nero, perché a me i gatti capitano.
Questo invece è un regalo, nel periodo che esponevo gatti ogni tanto qualcuno veniva a casa, vedeva la collezione di gatti e me ne regalava qualcuno. Questo, invece, è un gatto di legno perché la ricerca all’inizio era su gatti di vario materiale e questo di legno mi ispirava. Devo averne anche uno di lava addirittura però non lo trovo. Questo invece è un gatto-fischietto che è tipico del Salento, non ho mai provato a fischiare però. Ma mi mancano tutti i piccolini, i piccoli erano i più belli. Ah questo mi piace, perché sembra un gatto egizio, in bronzo addirittura. Un po’ algido. Poi… ah questo è carinissimo perché è un gatto-mamma con la culla, eccolo qua: gatto-mamma con culla, anzi, forse è una carrozzina non una culla.
Dai, russa ancora. Faceva anche mmm, mmm. Ha esalato l’ultimo respiro, vabbè.»

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