Luisa Morgantini, sindacalista e attivista, approfondisce le ragioni familiari e storiche che l’hanno portata a scegliere di non avere figli e a non sposarsi in nome di una famiglia espansa, costruita attraverso le relazioni e i progetti realizzati in tanti luoghi di conflitto nel mondo, a difesa dei diritti degli ultimi e delle minoranze.
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Ecco la trascrizione completa del video:
LUISA MORGANTINI: «[Perché non ho fatto figli?] In realtà non ho avuto tempo, penso che sia questo, ma questo ovviamente è la ragione di superficie perché il tempo si trova se si vuole, si usa dire.
Quando ero giovane volevo vivere sola, indipendente, cercare la vita, cercare chi fossi. Sono nata in un piccolo paese in mezzo alle montagne, io mi sedevo sul portone di casa e dicevo che le volevo distruggere queste montagne perché volevo vedere oltre, volevo andare oltre.
Mi rifiutavo di essere in realtà quello che in fondo voleva che mia madre fossi: una donna, una ragazza che a 18 anni doveva avere il fidanzato, doveva sposarsi. Era il 1958 non era oggi ovviamente.
Io dicevo: “no perché? perché? io voglio fare altro, voglio conoscere il mondo, voglio conoscere me stessa”. Non avevo in mente i figli, in realtà in quel momento la ribellione era: “non voglio un fidanzato, voglio avere un innamorato, perché devo essere condizionata dalla famiglia, perché mi devo sposare?” Quindi ero contraria al matrimonio, una forma di ribellione molto … che era presente in quegli anni.
E poi c’era una cosa più profonda che era forse questa di dire: “io ho un corpo di donna e ad un corpo di donna si chiede che si faccia un figlio, perché? Perché io devo essere costretta dal fatto che sono donna a fare un figlio?”
In fondo la mia è stata anche un po’ una lotta contro la natura, voglio dimostrare che invece si può essere donne, persone intere capaci di vivere amare bambini, animali, alberi, persone senza che per questo io dovessi fare un figlio.
Forse non avevo una profonda… non ho mai avuto un profondo desiderio, comunque non ho neanche mai pensato sinceramente, forse ho lasciato passare i pensieri perché ero talmente presa dalle azioni dal fare, dall’agire.
Quando sono scappata di casa ho deciso di fare la sindacalista perché in quegli anni gli operai erano le persone oppresse, erano quelli che andavano difesi, erano quelli per i quali bisognava conquistare i diritti. E poi appunto questa lotta in fondo anche contro la natura, dicevo “sono io che decido, non la natura”, poi ovviamente questo l’ho cambiato, perché poi dopo i 50 anni ho capito che in realtà la mia battaglia contro la natura era persa, ho incominciato invece a viverla molto più serenamente.
E quindi non … non ho fatto anche figli perché forse non ho trovato relazioni così forti da farmi desiderare un futuro insieme. Il mio futuro in fondo erano le mie lotte, era conoscere il mondo, era andare in Perù con i contadini del Perù sulle montagne, era questo insomma.
E quindi non … non ho sofferto finora, c’è sempre tempo, può darsi che tra qualche anno io decida perché non ho fatto un figlio, perché non ho … perché non mi sono fatta una famiglia normale, perché la mia famiglia in fondo è il mondo, sono i luoghi dei conflitti dove vado a costruire relazioni, perché l’amore che si dà a un figlio io penso che si possa dare anche ad altri, ad altri bambini, ad altri.. a tante persone.
Quando ero in Perù mi chiamavano la pachamama e adesso quando vado in Palestina ovviamente alcuni mi dicono “asha” che vuol dire l’anziana saggia, altri invece mi dicono mamma ancora adesso che potrei essere invece la loro nonna.
Sì penso di sì, penso sublimazione non lo so cosa sia, sicuramente ho avuto questa maternità molto espansa, anche se non ho molto… non il lavoro di cura, forse anche questo ha giocato, io sapevo per esempio che se avessi fatto un figlio avrei dovuto dedicargli del tempo, non potevo sicuramente scegliermi questa vita di zingara anche, perché avrei dovuto dedicargli tempo e perché se avessi fatto un figlio avrei voluto seguirlo.
Non tanto, devo dire, il problema della responsabilità di dire ad un figlio delle cose, forse questo no, non perché abbia così tante certezze, però alcune profonde le ho, e sono quelle del fatto che non bisogna essere arroganti, che non bisogna ferire gli altri, anche se a volte è inevitabile che ferisci le persone, che devi essere sempre per quelli che sono oppressi, per i più poveri, per quelli che sanno di meno, per quelli che..
Non è pietismo il mio, non è buonismo. Credo che sia proprio una scelta di un modo di essere.
Quando facevo la sindacalista, per esempio, i miei colleghi sindacalisti quando facevamo le trattative parlavano sempre solo con i più esperti, lavoratori, delegati sindacali che erano quelli che sapevano tutto sul cottimo, sulle qualifiche.
Io quando facevo le trattative parlavo ovviamente con loro per rispettare le competenze, ma ero sempre molto più curiosa di sapere che cosa pensasse quell’operaio della Borletti che era in fondo e che non parlava mai, quindi lasciavo gli esperti e andavo da lui a chiedere: ‘tu cosa ne pensi?’
E quindi c’è sempre stato da parte mia questo bisogno in fondo di tenere insieme un po’ tutti.
Mia madre sicuramente, lei pensava che io dovessi sposarmi, avere una famiglia normale, si vergognava molto di me perché invece non mi volevo sposare, convivevo con qualcuno e lo dicevo, non lo nascondevo perché per me era una forma di ribellione, anche di affermazione del mio modo di essere, di vivere.
Però devo dire che ho fatto così tanto, mi riconosco di aver fatto così tanto altro che anche mia madre alla fine era orgogliosa di me, perché anche mia madre era un po’ matta, era un po’ ribelle anche lei, e quindi anche se ogni volta piangeva, perché io non mi ero sposata, non avevo fatto i figli, “guarda come stai, e come sei lontana”, in realtà non ho… l’ho delusa ma ho riconquistato altro per come mi sono riuscita a muovere anche un po’ nel mondo e nelle cose.
Io verso mia madre invece ho un grande dolore, un grande senso di colpa perché non sono stata accanto a lei quando era malata, perché io ero sempre lontana e lei mi diceva c’è sempre qualche cosa più importante di me.
Forse era vero in quei tempi, io pensavo che in fondo la famiglia, loro, fossero semplicemente un cappio di cui mi dovevo liberare, non ho fatto in tempo a recuperare tutto questo rapporto con mia madre che per altro è stata, io credo, l’unica persona nella mia vita verso la quale io ho dovuto combattere fortemente. Per me la figura di lotta e di libertà per me stessa non è stata la figura del padre, è stata la figura della madre. Era lei che voleva imporre a me criteri, modi di essere e la sua volontà. E soprattutto forse anche qualcosa di mia madre ha giocato sul fatto di non avere figli perché mia madre diceva: “ti ho fatta io tu sei mia, e quindi devo fare…” io non volevo essere di nessuno e non volevo neanche avere qualcuno al quale io potessi dire tu sei mio, perché ho sempre pensato che invece no, che la cosa più grande e più bella nei rapporti è quella di essere capaci di non avere proprietà, tant’è vero che poi io per moltissimi anni, da giovane ma questo faceva parte anche di una corrente di pensiero, di un modo di essere, non volevo neanche possedere un piatto nel senso che bisognava essere assolutamente privi di qualsiasi tipo di proprietà.
Mia madre credo che abbia giocato un ruolo sia anche appunto in questa cosa che mi diceva del ‘tu sei mia e devi fare quello che dico io’, sia anche nel matrimonio perché non… un po’ erano le idee: bisognava essere contro la famiglia, io ero contro la famiglia, pensavo che la famiglia dovesse essere quella che ti scegli, e io ho scelto la famiglia del mondo, una famiglia allargata, ma anche non solo così generica, anche amici, anche persone. E un po’ forse perché forse il rapporto tra mio padre e mia madre non era dei più belli: mia madre urlava, io detestavo l’urlo, detestavo che si gridasse, non volevo assolutamente avere un rapporto così, quindi potrebbe anche essere stata in parte anche un po’ di paura nell’affrontare il problema dei figli, ma forse la verità è che non ne ho avuto mai così grande desiderio, perché in fondo quando voglio qualche cosa lo cerco, cerco di realizzarlo.
A volte mi sento in imbarazzo, ho sempre rivendicato questa cosa di non aver avuto figli che sia stata una scelta, non una costrizione non un obbligo, così come il matrimonio non è stato… non mi sono sposata, non perché sono zitella ma perché ho scelto. Però a volte adesso quando mi chiedono, mi chiedono sempre tutti anche in Palestina, “quanti figli hai?” Ecco io lì ho un breve imbarazzo, brevissimo perché poi riaffermo la mia identità e la mia scelta, però sì, c’è un imbarazzo.
Sì, mi mettono più in imbarazzo intanto perché lì i valori sono veramente molto forti, la maternità, anche un ruolo tradizionale della donna, quindi sicuramente mi mettono più in imbarazzo, ma qui, in fondo, è anche un mio modo di lottare, qui è una mia affermazione. Per carità mi considero cittadina del mondo quindi non mi camuffo, non mi trasformo se vado in altri luoghi, non ho mai messo il velo neanche quando sono andata in Iran oppure in Afghanistan, perché penso che così come io devo rispettare loro, loro devono rispettare me. Però sì, l’imbarazzo viene dalla paura un po’ di offendere la loro cultura, è più un imbarazzo legato al fatto che loro si aspettano appunto, però è anche vero che per esempio sono sempre molto accettata, forse perché sono una figura, non sono una donna che va lì… sono una persona che va in quei luoghi perché fa delle cose, perché in Palestina difendo i diritti dei palestinesi ad avere uno Stato così come ce l’ha Israele, perché sono contro l’occupazione militare, perché sono con i contadini e con.. Perché se vado in Afghanistan sono con le donne che resistono ai talebani o se vado in altri luoghi, quindi il mio essere in quei luoghi non è mai stato un viaggio da turista ma è sempre stato un modo di essere dentro anche con loro, e quindi questo, in qualche modo credo che mi abbia messo al riparo dalle critiche.
Ma, una cosa che mi è successa invece una volta, veramente incredibile. Io sono stata nel 1980 a Teora, in Irpinia, per un anno come volontaria durante il terremoto, abbiamo fatto una cooperativa di donne. Dopo 6 o 7 mesi che ero lì, ad un certo punto parlando con le ragazze e anche altri uomini e donne del paese, ho detto “ah guarda mia madre mi ha detto questo e verrà mio fratello a trovarmi” – “Ah! Ma tu hai una mamma? Ma tu hai un fratello?” Cioè sembrava quasi che a quel punto siccome io lì ero quella che organizzavo tutto, dalle fogne ai comitati popolari, sembrava che io fossi in fondo né uomo né donna che fossi comunque lì solo per questo; questo mi aveva colpito molto quella volta, “certo che ho!” e rivendicavo la mia normalità.
Forse sono più disordinata, perché appunto non ho qualcuno a cui badare in casa per cui mi permetto delle cose più personali. Paradossalmente mi sembrano più vissute le case delle donne senza figli che non le case delle donne con figli perché vedi che hanno un mondo, non solo una stanza tutta per sé ma tante altre cose. Non lo so.
Anche se non sono una mammona perché appunto il lavoro di cura non lo amo molto, amo molto più.. però sì ho due gatti neri e li ho scelti neri perché durante l’inquisizione le streghe venivano bruciate con un gatto nero, quindi ho detto: “se torna l’inquisizione io sono pronta ho già i miei gatti”. Ma a parte questo in realtà li ho presi perché ospitavo una ragazza palestinese a casa mia che era molto sofferente, era nel 2002-2003 quando c’erano le invasioni dentro la città di Ramallah, e lei era disperata, ha avuto delle perdite familiari eccetera, ed è venuta un anno in Italia ed è stata a casa mia, voleva imparare a fare teatro. E siccome io abito un po’ fuori, non così in centro, e facevo la parlamentare, quindi praticamente partivo il lunedì e tornavo il giovedì sera, lei era molto sola e mi ha chiesto “vorrei tanto un gatto”, ho detto “non riesco neanche a badare a me stessa figurati se posso badare ad un gatto”, poi invece ho detto “sì, ma lei ha bisogno di un gatto”, e allora sono andata e ho trovato questo gattino nero anzi questa gattina nera Lulù, l’ho accudita io per una settimana perché volevo che stesse bene, poi l’ho lasciata.
Poi quando lei è partita, se n’è andata, la povera Lulù sarebbe rimasta sola e quindi ho preso un altro gatto che si chiama Paco. Per qualche tempo per me è stata una scoperta, questa di vedere questi gatti che hanno un’anima, e mi ha avvicinato molto di più anche a … vedere, sì adesso sono esagerata, a volte non oso strappare un fiore perché ho paura di fargli male, però è molto importante. Questi gatti sono .. poi non mi hanno impedito di muovermi, in realtà mi muovo però sono privilegiata, devo trovare anche delle catsitter, però sì, voglio bene a questi animali, soprattutto li riconosco, loro riconoscono me e… soffrono, sono intelligenti, sono liberi, non potrei avere un cane per esempio, mi disturberebbe, troppo affettuoso, troppo dipendente, invece i gatti sono liberi, scelgono loro quando vogliono venire da me, quando non vogliono, mi piacciono molto, ma non sono.. non mi metto a fare gne-gnè…
Ogni tanto ci penso, perché penso che morirò improvvisamente e che non avrò mai fatto testamento.
Allora pensavo di lasciar detto agli amici “entrate prendete quello che vi pare, prendete le cose che vi pare” poi ho pensato anche se invece per esempio adesso ho queste case che sono costate pochissimo, in cui volevo fare invece un centro, un centro da offrire a donne, giovani che vogliono fare incontri, discussioni, dibattiti. Cioè far diventare un po’ queste case diverse che ho quassù un centro in cui si fanno cose per la solidarietà, cose internazionali. A volte sono molto combattuta, vorrei invece fermarmi per strada e dire “va beh smetto di fare tutto, mi dedico soltanto ai senzatetto, mi dedico soltanto agli immigrati, che sono quelli che sono più abbandonati in questi periodi”; poi penso che no, non lo farò però penso che lascerò queste cose a chi ne avrà bisogno, oppure anche pensavo a dei gruppi di palestinesi, a gruppi di donne palestinesi che stanno lavorando benissimo per la promozione e la partecipazione delle donne.
Poi è vero io ho anche dei fratelli, ho dei nipoti ma insomma non mi vengono in mente loro, mi viene più in mente appunto questa distribuzione.»
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