Manuela non ha ancora preso una decisione riguardo all’avere figli. Desidera che la sua scelta possa essere libera da condizionamenti. Nella sua testimonianza, racconta il suo vissuto matrimoniale e familiare. Parla anche del suo lavoro di operatrice sociale a contatto con realtà culturali, geografiche e sociali diverse dove molto spesso la maternità non costituisce una scelta.
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Ecco la trascrizione completa del video:
MANUELA: «Sono Manuela, ho quarantuno anni. Sono una moglie, quindi sono sposata da nove anni. Faccio l’operatrice sociale per un centro d’accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo in cui accogliamo molte donne, donne sole con bambini o nuclei familiari. E vengo da Lecce, dalla provincia, da un piccolo paesino che si chiama Leverano.
In questo momento, in realtà, ho scelto di non scegliere.
Nel senso che non ho ancora preso una decisione rispetto all’essere o meno una madre perché sento di dovermi liberare di molte influenze che sento intorno a me e quindi vorrei che questa decisione, a parte ovviamente condividerla con mio marito, vorrei che fosse diciamo “libera” da una serie di condizionamenti.
Non ho un’idea, probabilmente voglio essere una madre. Non so quando succederà, se mai succederà, però vorrei che la mia decisione fosse veramente libera da condizionamenti perché sento che questo desiderio che sta iniziando a nascere in me potrebbe in realtà essere un desiderio molto condizionato da quello che ho intorno, dalla famiglia, dalla società, dal sentirsi dire tutti i giorni: “Beh, un figlio? Ma che sta succedendo? Ma ci sono dei problemi?”. Insomma, ogni giorno diventa pesante.
Sono due le frasi: “come mai? ci sono dei problemi?” Sono sempre queste.
All’inizio, subito dopo il matrimonio, era: “Beh, a quando? Quando lo facciamo un figlio?”, come se dovesse essere un percorso proprio cadenzato. Ti sei sposata? Ok, adesso passa qualche mese, devi fare un figlio e tutto deve essere secondo questo ordine ben preciso.
Quindi diciamo, sono tutte domande che comunque invadono la mia persona, anche quando a farmele magari è mia madre. Non lo so. Sento comunque di non voler dare spiegazioni nemmeno ai miei genitori rispetto a questa scelta o comunque fino a quando non arriverò poi a farla questa scelta.
Per quanto riguarda mio marito sicuramente questa situazione lo condiziona. Quello che noto è che sicuramente è un condizionamento minore rispetto a quello che subisco io in quanto donna perché è a me che il più delle volte vengono rivolte queste richieste diciamo di spiegazioni. Anche da parte, per esempio, della famiglia di mio marito. Mia suocera di solito si rivolge a me oppure magari a tutti e due contemporaneamente, quando siamo insieme. Però sì, è un condizionamento che sicuramente io sento di più.
Rispetto, diciamo, alla storia familiare, anche alla storia personale di mia madre e di mia nonna… probabilmente per mia nonna è stato molto diverso perché comunque ha avuto quattro figlie.
Diciamo che ho vissuto in una famiglia abbastanza aperta, tutto sommato, rispetto ad altre situazioni o ad altre famiglie che ho avuto modo di di conoscere. Tra l’altro mia madre ha due sorelle che non sono nemmeno sposate e che hanno fatto questo tipo di scelta, quindi diciamo che in famiglia non c’è una pressione tale; c’è probabilmente la voglia da parte di mia madre di diventare nonna.
Le mie zie che hanno deciso di non sposarsi o comunque non hanno trovato diciamo un percorso… hanno proprio deciso di rimanere da sole, all’interno della famiglia, comunque, rivestono il ruolo delle zie che comunque accudiscono in un certo senso i nipoti, si dedicano ai nipoti, in questo caso a me e ai miei cugini. É una scelta che comunque nei nostri paesi è tutto sommato abbastanza diffusa, almeno ne conosco altre, soprattutto della generazione delle mie zie che hanno fatto questo tipo di scelta. Ci sono tanti esempi.
Ovviamente ci sono una serie di nomignoli con cui vengono additate come “le zitelle” o, man mano che si va in età più avanzata, “le zitellone”.
Però tutto sommato sì, è una scelta comunque abbastanza diffusa, almeno in molte famiglie, soprattutto nelle famiglie numerose.
La scelta di non sposarsi o comunque non avere dei figli o una famiglia è una scelta di cui effettivamente non si parla con molta facilità.
Sicuramente chi, soprattutto in passato, come ad esempio le mie zie,
ha fatto questa scelta, ha dovuto dare una serie di spiegazioni alla società. Questo però non ha impedito loro di di viverla comunque abbastanza in serenità, nel senso che poi dopo un certo punto, almeno in famiglia, non se n’è più parlato. Assolutamente la loro scelta è stata accettata. Non vedo difficoltà per loro. La vedo come una scelta che loro rivendicano anche con forza. Infatti quando si parla anche dei rapporti tra moglie e marito loro comunque ci tengono a dire la loro: “eh, ma perché? Ma perché vi dovete sposare? Io sto così bene da sola”, quindi comunque è una scelta che loro rivendicano con forza.
La questione dell’eredità di una donna che decide di non avere figli o che comunque non avrà dei figli è un tema, ed è un tema che sinceramente mi prende quotidianamente. Ritornando a quella che è la mia situazione, la mia condizione attuale è un tema che mi prende molto perché mi rendo conto che se non dovessi avere figli è come se la mia famiglia si interrompesse, perché comunque in una famiglia non numerosa – siamo soltanto due fratelli, mio fratello ha fatto anche lui una scelta di questo tipo con sua moglie – e quindi penso: “bene, e tutto quello che è stato dove andrà a finire”? Quindi è un tema, diciamo, che mi prende, che mi interroga. Ancora non ho una risposta. C’è un argomento di continuazione del cognome, appunto, proprio di un’eredità che a un certo punto si perde, si perderà in un certo senso. Non lo so, non ho ancora capito se è qualcosa che veramente è importante oppure… mah, che importa? Non lo so.
Allora… sul posto di lavoro la differenza tra le donne che hanno figli e chi invece non ha figli, sostanzialmente è la possibilità, per la donna con figli, di avere comunque tutta una serie di agevolazioni anche a livello lavorativo, per cui devo andare via prima… É anche una questione di responsabilità che magari chi non ha figli sente di dover avere rispetto al lavoro, cioè siccome non ho figli, siccome probabilmente a casa non devi fare nulla – perché ovviamente cosa hai da fare a casa se non hai figli? – allora ti devi impegnare il doppio. Tu puoi, puoi farlo. E quindi vai i sabati, le domeniche, gli straordinari e tutto il resto. Questo sì, lo vivo.
In questi anni di lavoro come operatrice all’accoglienza ho incontrato molte donne, donne di molte nazionalità diverse e che portano un bagaglio culturale molto differente, anche personale. E quello che ho potuto notare in generale è che molto spesso, in altre culture, non c’è la possibilità proprio di chiedersi: “Voglio, non voglio? posso scegliere, non posso scegliere?” Perché è così? Perché non si è arrivati a un punto in cui potersi chiedere… in cui le donne possano interrogarsi su questo tipo di argomenti. E, detto questo, però c’è anche da dire che molto spesso, almeno per le situazioni che abbiamo visto in tutti questi anni, molto spesso quella di avere dei figli non è una scelta. Almeno per le donne che arrivano qui e che fanno un certo percorso migratorio in realtà molto spesso la gravidanza è frutto di vere e proprie violenze. E quindi anche lì, non si tratta della cultura, ma si tratta proprio di non scelte. Donne che non hanno potuto scegliere, non hanno potuto interrogarsi su questi temi.
Mi fa sempre sorridere quando parlo con le donne, soprattutto donne provenienti da alcuni paesi africani in cui comunque la maternità è una cosa molto importante, centrale… mi fa sorridere il fatto che loro mi chiedono sempre: “Come non hai figli? No, ma ti devi sbrigare, devi fare figli” e quindi c’è sempre questo confronto rispetto alle varie scelte o anche alle varie culture perché poi spesso mi ritrovo a spiegare loro: “no guarda che in Italia adesso ci sono tante donne che decidono”.
“No, ma non è possibile”.
Quindi c’è sempre questo confronto che comunque è molto bello. Ed è bello anche il fatto che poi dialogando si arrivi a non giudicare quelle che sono delle scelte. Per cui molto spesso io sento dire: “No, ma quanti figli fanno queste queste africane?”
Va bene, è una scelta. Almeno spero sia una scelta; quando è una scelta va bene che sia così. Quindi insomma è sempre bello perché ti ritrovi quotidianamente a parlare con donne diverse e ad avere opinioni diverse rispetto a queste tematiche. E’ molto arricchente questo confronto continuo. Si dice… anzi ultimamente è diventato proprio un tema, un tema che la politica ovviamente ha proprio… il tema del calo demografico e del fatto che gli italiani non facciano più figli. Secondo me non è così, non può essere un tema o comunque non può essere… è quasi un voler colpevolizzare continuamente chi decide di fare una scelta. Ovviamente non è possibile. Non lo so. È un qualcosa che io vedo come un intervento violento sulle scelte personali delle persone.
Poi ovviamente questo va molto in contrasto con quelle che poi sono le politiche anche migratorie e tutto il resto per cui diciamo non si riconosce nelle nuove famiglie immigrate… non si riconosce lo stesso diciamo potere delle famiglie italiane.
Per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza devo dire che, con molta sorpresa, per quanto riguarda la nostra Regione e il nostro territorio, ho trovato dei servizi adeguati, un accesso anche molto veloce. E questo diciamo mi ha molto sorpreso. Mi è capitato ultimamente, nell’ultimo paio d’anni, di accompagnare delle utenti ad effettuare l’interruzione di gravidanza e devo dire che ho trovato dei servizi abbastanza adeguati per quanto riguarda il nostro territorio.
Per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza sicuramente per alcune donne è stato un trauma. In realtà però ho visto molte reazioni diciamo tranquille: [ho visto] molte donne che l’hanno affrontato con tranquillità, sapendo che appunto non potevano portare a termine la gravidanza e quindi in maniera tranquilla hanno deciso di farlo. Per quanto riguarda le gravidanze frutto di abusi, di violenze, in realtà molto spesso le donne comunque vogliono portare a termine le gravidanze. E per quello che posso dire io da osservatrice di tante situazioni, anche familiari, è che comunque non noto dei limiti, da un punto di vista genitoriale, rispetto alla cura del bambino o della bambina, anzi l’attenzione che una madre ci mette è la stessa di una madre che magari quella gravidanza l’ha voluta, l’ha cercata. Non noto differenze in questo in generale, poi ovviamente ci sono delle situazioni in cui non è così, però in generale, soprattutto in alcune culture, un bambino è comunque una benedizione.»
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