L’artista sarda Maria Lai ci offre un piccolo ricordo della sua infanzia legato al luogo in cui abitava, alla sua famiglia, al suo carattere sfuggente, amante della propria indipendenza. Maria Lai confida di avere un patto con la sorella: se mai avesse avuto figli, li avrebbe fatti allevare a lei. La testimonianza è tratta dal docufilm: “Inventata da un dio distratto. Maria Lai” di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga (2001).
Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!
Ecco la trascrizione completa del video:
MARIA LAI: «Aveva ragione mio padre di dire che sono una capretta. Diceva che ero una capretta ansiosa di precipizi.
La tendenza a raccontare è tipica degli ulassesi, altrimenti non ci sarebbero tante leggende. Sono come bozzoli che contengono significati universali e quindi chi li ha ideate era poeta. Non lo sapeva.
C’è chi nasce con una particolare esigenza di essere fuori dal mondo, di non rispondere a tutte le leggi che governano la società scopre lentamente che qualunque affetto gli è proibito. E inizialmente si sente condannato. Quando hai capito questo però, sei salvo.
Quando hai capito che il non essere di qualcuno è essere universali, essere più vasti. E allora è…è la felicità.
Io già da quando ero bambina, avevo bisogno sempre di sfuggire di casa, di scappare di casa. E naturalmente, mi si guardava…con un’interrogazione: “Non ti amiamo abbastanza? Perché stai meglio lontana? Perché ti nascondi sempre?”
Io amavo molto stare sola, nascosta, e mi dicevano: “ma cosa fai?” E io ascoltavo il silenzio, e mi sembrava bellissimo.
Però naturalmente mi sentivo diversa, mi sentivo sempre un po’ accusata, oppure mi pareva di tradire sempre chi mi amava.
E sempre ho avuto il bisogno di creare distanze tra chi mi ama e me. Non sopporto di essere amata più di tanto.
Il vero amore era quello che mi dava mio padre, che mi aiutava ad essere libera, anche essendo preoccupatissimo per me. Il vero amore è quello che aiuta l’altro ad essere libero.
Bisognerebbe trovare un compagno che sappia essere inesistente.
Io, per esempio, non li escludevo i figli, però avevo preso accordi con mia sorella, li avrebbe allevati lei. Lei mi diceva: “Ma non fare che poi me li togli!”, perché lei invece era nata mamma. Ma io ho sempre saputo che li avrei dovuti tenere a una certa distanza, che niente mi avrebbe tolto dal mio pozzo.
Io ero qui ospite degli zii, ho vissuto qui tutta la mia infanzia, dai due anni ai nove anni.
Vicino quel silo sono stati posteggiati due carrozzoni di zingari per un anno e mezzo. Impiegavano il loro tempo un po’ nei lavori, ma anche tanto nelle acrobazie perché erano degli acrobati e dei giocolieri e allenavano tutti i loro bambini che diventavano tutti giocolieri e anch’io partecipai a tutti gli esercizi, per cui ne avevo imparati tanti. Facevo spettacolo. Io avevo imparato a volare sulle punte, facevo dei grandi giri che sembrava che volassi perché mettevo solo le punte. Per me fu un periodo indimenticabile. Poi venne il giorno della partenza. Evidentemente per me fu un dramma, mi misi d’accordo con i loro bambini e fui nascosta in un carrozzone. La mia fuga fu scoperta solo durante la notte. Carrozzone già partiti. Ciò che ricordo e non ho mai dimenticato è lo sguardo degli zii che non mi rimproverarono. Mi aspettavo di essere rimproverata, ma mi guardarono a lungo, in silenzio. Io continuai a viaggiare su quei carrozzoni con la fantasia per anni. Forse ci viaggio ancora.»
Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!