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Maria Rosa Cutrufelli, scrittrice e giornalista, racconta i motivi che l’hanno condotta, prima insieme al marito, poi con l’attuale compagna, a non volere figli, privilegiando “l’avventura coraggiosa” della propria crescita personale.

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Ecco la trascrizione completa del video:

«Buongiorno, mi chiamo Maria Rosa Cutrufelli, sono una scrittrice e non ho figli. Non ho figli non per caso, nel senso che sono sempre stata molto determinata a non averli. Tanto è vero che quando ero giovane ancora la pillola anticoncezionale non era più proibita però non si trovava, era molto difficile trovarla; in più era molto pesante, sapevo che era una cosa rischiosa assumerla però mi sono presa il rischio e ho usato a lungo questa pillola, che mi pare si chiamasse Lindiol, che era appunto una bomba, però non mi sono mai pentita di averlo fatto, di aver rischiato anche perché per fortuna, almeno per ora, è andato tutto bene.
Non me ne sono mai pentita perché fare un figlio era una responsabilità che io avvertivo troppo pesante per me, perché in qualche modo dovevo prendermi cura di altre persone: mio fratello più piccolo, mia mamma. Mio padre è morto molto presto quindi insomma sono rimasta a curarmi di queste persone e quindi già questa cura era così pesante che pensare a un figlio era davvero troppo, era una cosa eccessiva.
Quando non è più stato necessario prendermi cura dei miei cari, per la verità non mi è sfiorata l’idea di rimettermi in un altro impegno così totalizzante, come io mi immaginavo e mi immagino ancora sia quello di un figlio.
C’erano tante cose che volevo fare, che non avevo ancora fatto, compreso viaggiare… quindi ho scelto di crescere me stessa, ho scelto una crescita individuale, che può suonare un po’ egoista, però perlomeno io penso che a volte prendersi cura di se stessi non è egoismo, ma è appunto rispetto per i propri desideri, per la propria vita, per se stessi, e quindi è andata così.

E poi devo dire un altro motivo per cui non ho fatto un figlio è che forse non mi sono mai fidata del tutto degli uomini – degli uomini che ho incontrato, non voglio dire degli uomini in generale – non mi sono mai fidata del tutto.
Io sono stata sposata però adesso sono trentadue anni che vivo con una donna.
Quando ero sposata, credo anche questo non è successo per caso, ho scelto un uomo che non aveva assolutamente un desiderio di paternità e quindi su questo i nostri desideri si incontravano, però poi dopo appunto ho capito che non era quella la mia strada.
Il fatto che io viva con una donna non significa niente perché molte donne che amano altre donne, che vivono con altre donne hanno fatto figli, vogliono figli… quindi questo non è significativo rispetto alla mia scelta. È proprio, se vogliamo, un desiderio individuale di esprimermi al di là della maternità, di tentare questa strada che è molto più complicata di quanto sembri perché se un figlio è complicato, non avere figli è altrettanto complicato, tanto più per la riprovazione sociale che ho sempre sentito intorno a me.

Mi ricordo una volta un mio collega, che stimavo e stimo, quando io ho detto: “beh no, non ho figli ma non li voglio” ha proprio avuto come un moto di repulsione, di schifo, l’ho letto come schifo. E questo mi ha molto colpito perché era come se per lui io fossi la negazione dell’essere donna, dell’umanità, mentre per me non è così ovviamente, ma anzi, questo mio voler vivere senza avere il dovere della maternità l’ho sempre vissuto come un esperimento coraggioso che non negava affatto anche il mio desiderio di stare fra i bambini.
I bambini mi piacciono tantissimo, sono sempre stata con piacere una zia affettuosa per i figli e le figlie delle mie amiche e dei miei amici; i bambini mi danno tanto, mi divertono. Però farlo è un qualche cosa che non ho voluto sperimentare.
Forse sono anche molto ansiosa, ho paura… forse ho avuto paura di non essere una brava madre perché sono molto ansiosa, ho paura per le persone che amo. Ho sempre sperimentato questa forte paura che alle persone che amo possa succedere qualche cosa; è talmente forte, forse appunto dipende dalla mia storia di vita, dalla mia esperienza personale, e forse pensavo che quest’ansia potesse ingabbiare un figlio o una figlia e potesse anche infelicitarlo.

Si, non c’è dubbio, nonostante tutto l’argomento è ancora tabù. Anche perché sembra, così è, la famiglia prevede ancora dei bambini, la presenza di bambini, non si può essere famiglia a due, sembra che sia una cosa mancante, manca qualche cosa. Può anche darsi che manchi qualche cosa, a volte me lo chiedo – non è che io sia una pasdaran della maternità negata, tutt’altro, me lo chiedo – però penso che sia un grandissimo tabù e che molte donne si costringano ancora a inventarsi un desiderio di maternità che magari non hanno. E questo mi pare molto triste. Però certo, non è un argomento da salotto, non è un argomento da cena fra amici perché c’è proprio come… perché suscita negli altri la… come dire, è come se si affollassero tutti i propri desideri nascosti, i propri rifiuti nascosti o anche questa voglia di… in fondo la maternità è l’avventura delle donne e allora tante donne pensano che chi si nega questa avventura non sia degna di far parte della comunità femminile. Io penso al contrario, che una donna deve seguire le proprie inclinazioni.

Non credo che esista un desiderio naturale di maternità, è un desiderio complicato che forse non è solo sociale, affonda anche le sue radici nella nostra biologia. Però, indubbiamente, noi non siamo, come diceva Simone de Beauvoir, noi non siamo soltanto, non siamo più una specie animale, siamo una società, quindi i nostri desideri sono… è difficile dire fino a che punto sono naturali e fino a che punto sono sociali.
Però sembra che ancora il desiderio di maternità venga ritenuto come l’ultimo baluardo della naturalità, quasi più dell’essere gay, dell’essere lesbica, dell’essere omosessuale, che divide gli animi e divide il mondo. Però è in qualche modo un’idea che si fa strada, che può essere accettata, di cui si può discutere appunto pure a cena fra amici in maniera più o meno semplice. Non è così quando si dichiara che non si è avuto figli per scelta. Questo è come ancora un negare le proprie radici biologiche in un momento in cui, peraltro, fare figli è diventato abbastanza poco naturale perché le tecniche, non solo di procreazione assistita, sono molto complesse, molto artificiali, quindi anche l’essere padre, l’essere madre è un qualche cosa che è cambiato radicalmente. Però è accettato, è più accettato il desiderio di maternità o di paternità a tutti i costi; tante mie amiche si sottopongono a torture incredibili pur di essere madri.
Io non mi son sottoposta a nessuna tortura se non al rischio di prendere una pillola, allora molto pesante, per non averli invece.
Io mi augurerei che si giunga a un punto in cui sia il desiderio di maternità che il desiderio di non maternità venga rispettato in egual misura.

È abbastanza naturale che in qualche modo ci siano dei modelli.
Naturalmente mia madre era una madre ansiosa per questo forse io ho tanta paura di essere troppo ansiosa verso un eventuale figlio o figlia, perché so bene che tipo di legame simbiotico, che cosa questo produce. Però certo questo non è sufficiente, non spiega niente.
Però io ho avuto molte zie, alcune hanno avuto figli e altre invece non li hanno avuti. E io soprattutto ho una mia zia, che era forse la sorella prediletta di mia madre, era una donna molto autonoma, molto emancipata per i suoi tempi e non so, non le ho mai chiesto se è stata una scelta la sua, quella di non avere figli, e invece di lavorare. Perché oltretutto, ai suoi tempi, erano scelte incompatibili, oggi le donne forse sono più abituate a fare equilibrismi incredibili per conciliare lavoro e casa, ai tempi di mia zia magari no, però ho visto quanto la sua vita fosse piena e ricca nonostante non avesse figli, e forse questo mi ha incoraggiato, sì.

Io non sono molto d’accordo con quegli scrittori e quelle scrittrici che usano la metafora materna per i loro libri, penso che sia troppo semplicistica, però, in qualche modo è anche vero che dentro una scrittrice, così come dentro a uno scrittore, c’è come un grembo di carta e che i libri prendono vita dentro questo grembo di carta. Però insomma penso che sia appunto una maniera per… è una metafora troppo facile, una facile consolazione, se di consolazione c’è bisogno.
Io non sono d’accordo forse perché non ho bisogno di consolarmi con una maternità surrogata però è vero che c’è molto di materno nel modo con cui io mi prendo cura della scrittura, dei libri, dei miei personaggi, e c’è molto di materno nello sguardo che piego verso i bambini e nell’attenzione con cui cerco di trasferire sulla carta i loro sentimenti, le loro emozioni e anche le loro paure. Sì, in questo penso ci sia molto di materno. Però appunto, penso che la maternità comporti… la scrittura è una responsabilità, comporta una grande responsabilità, anche la vita dei personaggi è una responsabilità che noi ci pigliamo, ma certo una vita fatta di carne e di sangue è una cosa differente; io non voglio fare questi paragoni, quindi non voglio usare queste metafore.

Certo, l’eredità è un fatto molto importante, ma non l’eredità delle cose materiali.
Non me ne importa niente a chi o come andranno le mie cose; oltretutto appunto ho un nipote molto amato, la mia erede naturale è la mia compagna di vita.
Quello che io penso è che penso di avere una eredità da trasmettere, spero e voglio trasmetterla alle donne: a tutte le donne, alle più giovani ma anche alle mie coetanee.
Più che eredità direi che è proprio una necessità di entrare in comunicazione; spero che anche le altre donne sentano questa necessità di comunicare con me e che quindi abbiano cura delle cose che ho fatto, comprese quelle che ho scritto, ma le cose che ho fatto, le battaglie che ho fatto; che quando non ci sarò più io ci siano delle altre donne che si prendano cura di questo, cioè delle battaglie che ho combattuto per la libertà delle donne e delle cose che ho scritto senza mai dimenticare di essere una donna. »

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