Nella cornice della su casa piena di opere d’arte, Marisa Volpi Orlandini, storica e critica d’arte contemporanea, risponde alle domande dell’autrice Nicoletta Nesler rivelando di non aver mai profondamente pensato di avere figli. Nella sua testimonianza riflette sulla condizione di molte sue colleghe senza figli e si esprime sull’istinto materno, sull’eredità e sulla concezione della morte.
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Ecco la trascrizione completa del video:
MARISA: « Questa è una donna molto brava che si chiama Marcia Hafif, ha più o meno la mia età ed è anche piena di successo. Ha un certo successo in America e anche qui in Italia. Avevamo tentato di fare una mostra – credo che l’abbiamo fatta, non mi ricordo – all’Accademia. Aveva un fidanzato di qui, di Roma. Poi dopo si è sposata è andata in America. Ha un figlio grande ormai e poi ha una casa a New York grande e una casa a San Francisco. »
NICOLETTA: « Marisa tu hai conosciuto mezzo mondo: artiste, artisti… Ma nella tua vita c’è qualcosa che ti è mancato? »
MARISA: Beh, non so, non saprei. Ci dovrei pensare adesso, non ci ho pensato mai. Qualcosa mi sarà mancato certamente. »
NICOLETTA: « Ma… tu non hai avuto figli? »
MARISA: « No. Mi è dispiaciuto, però non è una cosa che mi ha traumatizzato. È successo, mi è dispiaciuto, pazienza. »
NICOLETTA: « Non è stata quindi una decisione? »
MARISA: « No, no non è stata una decisione. Ho vissuto una vita normale: ero sposata con mio marito, il quale amava e stimava tutte le cose che avevo io in casa. Cioè amava queste opere d’arte, questo modo di vivere, questa idea della vita, cioè era molto vicino a me, ecco. Lui lavorava all’IRI mi pare, in una Società così, poi purtroppo è morto presto. Non avevamo il progetto. Forse sì, non avevamo questo progetto, non ci pensavamo, no. Il problema di aver figli non si è posto mai. No. »
NICOLETTA: « Tu hai conosciute tantissime artiste donne, alcune hanno deciso di avere figli, altre no. Alcune, per esempio come Palma Bucarelli, hanno dichiarato che non ne avrebbero mai voluti, o Sonia Delaunay… no, no, no. Era un tema del quale parlavate? »
MARISA: « No. Io per lo meno non ho mai parlato con la Palma Bucarelli di questo argomento. Palma Bucarelli mi era in un certo senso leggermente antipatica perché aveva quell’aria molto importante: lei era il fulcro, ti guardava così, poi guardava dall’altra parte. Insomma, una natura orgogliosa di sé, e un po’… un po’ stucchevole, insomma. Comunque, a prescindere da ciò, io non ho avuto alcuna… non ho pensato mai ai figli, ecco; non ho pensato “vorrei avere figli”; ci avrò pensato così, poi dopo è andata via. Insomma, non è stata una cosa… No, non mi è dispiaciuto, non so… ho vissuto la mia vita strettamente nella sua povertà e ricchezza. Così. Non ho avuto una vita smaniosa, dolorosa, che va cercando cose, no; la vita è stata normale. Forse ogni tanto mi sarà venuto in mente qualcosa ma no, il problema dei figli non mi è venuto mai. »
NICOLETTA: « Nel tuo libro “Le ore, i giorni”, io ho letto un certo piccolo riferimento, quando tu parli della morte di Nando, e dici “Nando non ha prosecuzione”. »
MARISA: « Mi è dispiaciuto, ma insomma… non ho avuto l’idea del figlio, l’idea di avere un figlio. Non è che non l’abbia avuta in assoluto, magari mi è passata nella mente, però non mi ci sono fermata. Ecco. Non è stata un argomento della mia vita, anche perché ero in un certo senso un po’ troppo intellettuale, cioè avevo troppo confidenza con libri, pensieri, cose diciamo culturali tra virgolette; sono stata una malata di cultura. Possiamo dire così… cioè non malata, ma insomma appassionata di cose. Più che tutto a me sono piaciute le cose appunto, anche la casa lo dice, no? Le scelte degli oggetti, i mobili… Insomma, tutto è in qualche modo non forzatamente elegante, però con una certa forza, cioè una certa volontà di presenza: questo tipo di poltrone, quel tipo di sedie, quel tavolo… Tutto scelto, anche con mio marito – perché mio marito poi è morto, ma anche lui era così – , cioè eravamo in due a scegliere gli oggetti di casa. Quelle sedie lì le abbiamo scelte insieme, queste qui insieme, il radiogrammofono insieme. Sono tutti pezzi importanti nel mobilio, diciamo. Poi ci piaceva molto la pittura, quindi gli amici, Piero Dorazio, che ne so io… Consagra e vari altri. Quasi tutte, quasi tutte le donne mi appaiono non-madri dalla Nevelson alla… insomma, le artiste che ho conosciuto in America, le artiste italiane, non-madri, non ne ho viste molte madri, no.»
NICOLETTA: « Senti Marisa, ho capito che non hai messo al mondo nessuno. Però tra i tuoi studenti, hai avuto dei rapporti…? »
MARISA: « Molti! Molti, molti. Da quelli cagliaritani, che ancora mi scrivono, a quelli romani. Molti studenti, molti amici, molti. »
NICOLETTA: «Con qualcuno di loro hai avuto un rapporto quasi materno? »
MARISA: « No, io non sono materna. Non sono materna mi spiace, non lo sono. »
NICOLETTA: « Che cosa significa essere materne? »
MARISA: « Significa curarsi dei figli; avere un rapporto affettivo, emotivo con i figli. »
NICOLETTA: « Tu avevi altro da fare? »
MARISA: « Un po’ così era. Avevo sempre qualche impresa, qualche stupidaggine da portare a termine, da mandare avanti, eccetera. Ho trascurato questo lato invece importante, ma comunque non mi pento di quello che è successo, no. »
NICOLETTA: « Ma la tua eredità, sia culturale che di tutte le cose bellissime che tu insieme a Nando avete collezionato, ti interessa chi la porterà avanti, ti interessa pensare a questo futuro? »
MARISA: « Ma sai, queste cose passeranno probabilmente alle mie nipoti. Non lo so. Siccome Caterina Volpi, che insegna all’Università Storia dell’Arte, però Medioevale – Medioevale o Moderna, non mi ricordo – queste cose le conosce, le ama, ha un tavolo uguale. In qualche modo mimetizza un poco questo modo di arredare, di fare, di mettere in una casa. Quindi probabilmente sarà lei quella che erediterà il mio modo di essere, anche perché già adesso mette la testina in queste zone. Caterina, adesso non so, non te lo potrei giurare, ma insomma mi sembra molto propensa, ecco. »
NICOLETTA: « E tu con la scrittura, con i diari, hai comunque… »
MARISA: « Io con la scrittura? Avrei dovuto continuare a scrivere ma non ho scritto più. Comunque… sai, nella vita si fa quel che si può, non è che vai a fare tante cose. Mi son trovata a scrivere e ho scritto, e questo scrivere è stato importante per me. È stato importante. Sì, insomma, non posso dire di aver trascurato, ho dato molta importanza alla scrittura. »
NICOLETTA: « Marisa, posso ancora chiederti di accompagnarci e di farci vedere quali sono i quadri che tu hai più cari nella tua casa? »
MARISA: « Come no, certo. La mia casa è aperta a voi. Questa è la mia camera da letto: c’è un quadro del Seicento e poi c’è un quadro della mia casa, fatto da Paolini. Lassù c’è Consagra, poi c’è Sadun, poi c’è una lettera di Paolini, c’è mia madre con il Papa. »
NICOLETTA: « Da dove veniva la tua famiglia Marisa? »
MARISA: « La mia famiglia era un’umile famiglia delle Marche, di Macerata. Venivamo di lì. Mia madre era fissata che voleva venire a Roma, allora dai e dai e dai e c’è riuscita con mio padre, e allora siamo venuti a Roma noi bambini e lei. E la cosa era… sarà stata anche buona, non lo so. Non lo possiamo dire. Mamma era molto sensibile, ma papà non era… papà era un impiegato di banca. »
NICOLETTA: « E tu da dove hai preso la tua passione per l’arte? »
MARISA: « Eh beh, chi lo sa. »
NICOLETTA: « Hai studiato subito a Roma? Ti sei rivolta a studi artistici? »
MARISA: « Sì, da giovane. Siamo venuti subito a Roma ed io ho cominciato subito con l’arte. Ho avuto degli amici pittori, ho avuto dei fidanzati pittori, quelle cose che succedono quando uno ha vent’anni, quindici. Ecco, se vogliamo… qui ci sono alcuni quadri: ecco… qui ci sono (io mi seggo): Stella, pittore americano; Rotella, pittore italiano; Tapiès, pittore spagnolo; Turcato; Melotti; Franchina e Scialoja. Questo è un giochetto che ho fatto io; no, insomma è un pittore che ha fatto questa cosa qui. »
NICOLETTA: « Ma questo è un Fontana vero? »
MARISA: « Sì, Fontana vero. Regalino; e quello è Tapiès vero, e quello su è Rotella vero, e quello su è Stella, e poi… questo è Turcato, quello è Melotti: tutte cose minori ma di nomi importanti. Sì, questa è la stanza dove io lavoravo, lavoro anche. Lì c’è Rimbaud, che mi piace tanto, la fotografia di Rimbaud; poi ci sono i cinque personaggi di Raffaello, mentre questa è Giosetta Fioroni. Eccola. Eccola. Quanto è carina.
E quello è un disegno di Manzù, e poi quello sopra di Verna, questo è Carla Accardi: sono tutti un po’ questi nostri pittori contemporanei, insomma. Questo è Angeli, questa è Carla Accardi, quello… li troveremmo… solo che non so se volete sentire tutto l’elenco. Qui c’è Marcia Hafif. Se volete sedervi, sedetevi. E qui c’era lo studio di mio marito, dove io praticamente… però c’erano un sacco di cose, vedi? C’è Marcia Hafif. Quello è un Burri; c’è un Vedova, piccolo, un Dorazio; Turcato; Scialoja; Savinio; e quello era uno che si chiamava Melani, era un genio, scoperto solo da me, veramente un vecchietto simpaticissimo, intelligente. Sai le persone intelligenti si trovano e poi si perdono; ma, voglio dire, sono persone… le più importanti sono loro, che magari sembrano non contare nulla, invece lui era un bel pittore. Poi noi abbiamo fatto tutta l’America insieme, in macchina, da New York a San Francisco. Poi avevo conosciuto persone molto “in” nelle arti, insomma… critici, studiosi. Lui era molto bravo, moltissimo moltissimo. Questo è il primo saggetto che ho fatto con Carla Lonzi; ecco, c’è scritto nella cosa… “Marisa Volpi e Carla Lonzi”. È il primo che abbiamo scritto, non so in che epoca. »
NICOLETTA: « 1955, “Mensile di Arte figurativa e Letteratura”, diretto da Roberto Longhi, e all’interno c’è un capitolo scritto a quattro mani da te e Carla Lonzi… »
MARISA: « Sì, esatto, a quattro mani. Eravamo molto amiche e abbiamo fatto questo primo exploit in due, dopo ognuno s’è diviso, ognuna ha preso la strada sua, insomma. »
NICOLETTA:« Quando insegnavi a Cagliari veniva anche tuo marito qualche volta? Ti muovevi sempre in aereo? »
MARISA: « No, io andavo a Cagliari e lui stava a Roma. »
NICOLETTA: « Ma tu andavi in aereo? Stavi lunghi periodi o andavi e venivi? »
MARISA: « Stavo una settimana e poi tornavo. Mi toccava stare. Tu cosa faresti? »
NICOLETTA: « Starei, a Cagliari starei. »
MARISA: « E’ carina, no? »
NICOLETTA: «Tanto! A Cagliari ancora si ricordano il suono dei tuoi bracciali! »
MARISA: « No, non dirmi queste cose. Mi commuovo, mi metto a piangere. »
NICOLETTA: « Marisa, ma tu cosa pensi della morte? »
MARISA: « Ah beh, non ci penso mai. »
NICOLETTA: « Sei credente? »
MARISA: «Un giorno sì, due no, due sì, uno no, così… »
NICOLETTA: «E sulla morte non hai nessun pensiero? Non la pensi? »
MARISA: « No, sinceramente non la penso. Mi dispiace quando muoiono le persone, soprattutto quelle a cui voglio bene, sono molto coinvolta. Ma insomma, non ho ancora deciso se morire è un assoluto oppure è una cosetta. Non l’ho ancora capito. Ragazze, è difficile… voi? »
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