Martina racconta della sua vita, in particolare della sua scelta universitaria e delle sue aspettative future, legate anche a come la questione di genere viene percepita dalla società riguardo al suo ambito professionale.
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Ecco la trascrizione completa del video:
MARTINA: «Mi chiamo Martina, ho vent’anni e vivo a Roma. Sono figlia unica e vivo con mia madre perché i miei genitori sono separati da quando andavo alle scuole elementari. Tuttavia la situazione non mi ha mai pesato più di tanto nonostante fossi ancora piccola quando è avvenuta questa separazione perché mi è stato chiaro fin da subito che fosse meglio per me vivere solamente con mia madre piuttosto che vivere in una casa in cui prevalevano i litigi e la discordia.
Fin da piccola – fin da piccole in realtà, a tutte noi ragazze, ci viene sempre chiesto: “Quanti figli vuoi avere da grande? Come li vuoi chiamare?”, tuttavia non mi è mai, o almeno io non ho mai fatto questa stessa domanda a un bambino, cioè a un bambino di sesso maschile; non mi è mai capitato di chiedere a un bambino di otto anni, che magari stava giocando a pallone: “Ma… come vuoi chiamare tuo figlio? Come vuoi chiamare tua figlia?”. Credo che quindi – diciamo – questo tema venga affrontato fin da subito, sin nell’infanzia, perché alla fine è in quel momento che la nostra mente è più aperta ad essere plasmata e in cui giungono molte informazioni che poi nel corso degli anni, della vita vengono processate ed elaborate. Ma perché non… la domanda è: perché questa domanda non viene fatta anche ai maschi, oppure anche: perché viene fatta in generale?
L’idea che la realizzazione derivi dall’avere un figlio, una famiglia, una casa, un matrimonio è ormai antiquata a mio parere perché ci sono molte altre cose che rendono una persona felice della propria vita: la carriera, la salute, le amicizie, l’amore che può essere un amore generale, può essere l’amore per la famiglia, per gli amici, per un animale o per i figli o per i propri genitori – che comunque se si è al mondo in qualche modo qualcuno che si è preso cura di noi c’è stato, che sia un genitore, un nonno, uno zio, una persona che comunque… una maestra, qualcuno che comunque si è curato della nostra crescita e della nostra anche istruzione sia emozionale che scolastica.
Questa domanda non penso però abbia una risposta in realtà, cioè in realtà la risposta è nei termini della società: la società ci inculca fin da piccoli sempre l’idea che la realizzazione, appunto, derivi dalla felicità familiare, qualcosa che in realtà non ha molto senso a mio parere perché, appunto, esistono molte altre cose. Però… come fare per cambiare tutto questo? Diventare degli adulti migliori di coloro che ci hanno preceduto.
Appunto, dato che la nostra mente viene plasmata fin dall’infanzia, risulta piuttosto prevalente anche come noi viviamo, appunto, la nostra vita quando siamo più piccoli; le persone con cui ci relazioniamo; la famiglia, ovviamente che abbiamo alle spalle ma soprattutto come ci crescono, come ci portano a vivere. Magari adesso è più… è meno raro vedere un bambino giocare con una bambola, con un bambolotto, e fare finta che sia suo figlio e che lo sta portando nel passeggino, mentre prima era… almeno quando ero piccola io, era più semplice vedere una bambina giocare con la propria bambola, darle un nome e dire quanti anni ha, cambiarle il pannolino e tutte queste cose che effettivamente emulano una vera e propria maternità. Però: perché emulare la maternità e non emulare la paternità? O semplicemente perché emulare la maternità?
Il discorso è sempre lo stesso: la maternità non è un obbligo, così come non lo è la paternità. La maternità viene vista più come un dovere, sotto qualche punto di vista, oltre che un diritto, mentre la paternità è più un diritto ma non un dovere perché l’uomo può essere anche realizzato tranquillamente solo attraverso la carriera, mentre la donna non viene vista allo stesso modo realizzata solamente con la carriera e con l’amore delle persone che ha intorno. È come se avere un figlio determini la vita di una persona solamente dal punto di vista femminile. Forse perché la maternità è più sentita biologicamente, tra virgolette, perché si porta in grembo il figlio per nove mesi però in realtà c’è il contributo di entrambi, quindi perché non mostrarlo anche nelle abitudini e negli aspetti della vita quotidiana?
Io studio biologia ma vorrei diventare… vorrei entrare a medicina e diventare medico.
Nella scelta dell’università, a conti fatti, non c’è una vera e propria sbarratura riguardo al genere sessuale, nel senso… ovviamente se un ragazzo vuole iscriversi a Scienze della Formazione, Scienze dell’Educazione, non gli verrà impedito, tuttavia è molto raro che ciò avvenga, comunque è molto difficile proprio per come cresciamo nell’ambito della società in cui viviamo.
Mi è capitato di sentire ultimamente sul web, ai telegiornali dire, appunto, che le donne sono più legate all’accudimento mentre gli uomini alle materie tecniche. Ma non è vero perché io ho una cara amica che studia ingegneria aerospaziale ed è vero che nella sua facoltà sono praticamente quasi tutti i maschi, però non vedo perché se io sento la necessità, o il bisogno, o il volere, o provo interesse per questo tipo di materie non dovrei farlo perché sono propensa all’accudimento. In realtà siamo propensi tutti all’accudimento penso, nel senso che possiamo essere… possiamo avere questa necessità come non averla; se amo la compagnia dei bambini o sento l’istinto di prendermi cura di loro posso farlo sia che io sia femmina sia che sia maschio, questa distinzione in realtà non ha senso di esistere. E anche nella scelta dell’università contribuisce perché magari è difficile vedere appunto… facciamo un esempio: mi è stato chiesto molte volte che specializzazione vorrei prendere e quando io gli rispondo “pediatria” mi viene detto: “Ah vabbè certo, perché sei una ragazza”, ma che vuol dire? Perché un uomo non può fare pediatra? Il mio pediatra era un uomo. Cioè non c’entra molto però anche nell’ambito medico viene visto molto che il fatto che le donne vanno a fare ginecologia, pediatria, tutte professioni legate, comunque alla… o ostetricia anche – che in realtà vabbè, è una professione sanitaria, però… – tutte professioni legate all’accudimento e all’infanzia mentre l’uomo magari è il chirurgo. Oppure il mio medico di base mi ha detto – quando gli ho detto, appunto, che volevo fare il medico -, mi ha detto: “Ma che specializzazione? Perché, ad esempio un chirurgo, un Medico Senza Frontiere non può portare poi avanti la famiglia, te devi stare a casa, comunque devi badare ai figli, puoi fare magari il medico, però avere uno studio privato così puoi gestirti il tempo”. Se io volessi fare il Medico Senza Frontiere e andare in Africa? Nessuno me lo dovrebbe impedire, cioè non perché io sono femmina allora non posso fare quello che desidero, così come se un ragazzo vuole fare il ginecologo non vedo dove sia il problema.
Spesso mi viene detto, sempre parlando della mia amica che studia ingegneria… magari mi viene detto da mia madre stessa, mi viene detto: “Ma la tua amica studia ingegneria, è un maschiaccio!”. Ma questa visione è ancora oggi così? Cioè è ancora oggi così innalzata, cioè nel senso: perché c’è ancora questa visione nel mondo per cui se fai una materia tecnica all’università devi essere una… un maschiaccio o comunque propenso più ad attività che sono ritenute tipiche dei maschi? Mentre diciamo che questa… queste sono frasi che mi vengono ripetute spesso, che a me non vengono dette perché diciamo che medicina, comunque biologia, è una materia, una facoltà che viene scelta da entrambi i sessi, più o meno, o comunque legata, sotto alcuni aspetti, al ruolo appunto dell’accudimento che viene visto, esaltato per la figura femminile. Però esistono, in fin dei conti, esistono donne che sono ingegneri, che fanno gli architetti, oppure che si trovano nelle forze militari. Però anche la questione della forza militare… è molto più difficile, se sei donna, entrare nell’Esercito o all’Accademia Militare piuttosto che se sei uomo e comunque se riesci a entrare in qualità di donna, vieni messa molto sotto pressione; è difficile l’ambiente, adattarsi per come vieni trattata, per come… per le aspettative che si hanno – che non si hanno in realtà, perché ci si aspetta che tu fallirai da un momento all’altro, che in realtà non riuscirai a portare avanti questo compito, mettiamola così, cioè non riuscirai nel tuo intento perché in realtà non è una professione che fa per te, perché sei donna.
Nella società d’oggi è assurdo il fatto che vi siano ancora disparità di genere dal punto di vista lavorativo, al di là di quello sociale. Diciamo che nella società si può incontrare qualsiasi tipo di persona: dal più intelligente al più stolto, all’ignorante, all’acculturato quindi magari possiamo lasciar passare, molto tra virgolette, che qualcuno la pensi in modo inesatto o comunque in modo antiquato rispetto ai tempi che corrono. Però dal punto di vista professionale – diciamo – si pensa che davanti a noi dovrebbero esserci delle persone che hanno studiato, che hanno una visione della vita aggiornata al 2021 e non comprendo come dal punto di vista appunto lavorativo ci siano ancora delle diversità salariali tra maschio e femmina ma anche motivazionali. Una donna deve lavorare il triplo di un uomo per essere riconosciuta allo stesso livello e comunque prenderà uno stipendio che sarà più basso o molto semplicemente è difficile vedere una donna ad alti livelli di carriera quindi magari dirigente oppure imprenditrice… tutti ruoli che spesso vengono assegnati a figure maschili. E nel momento in cui una donna arriva a questo ruolo le viene detto che c’è arrivata per vie traverse, che in qualche modo non è merito della sua bravura, dei suoi studi e della sua intelligenza se è diventata quello che è diventata ma sempre grazie alla presenza di un uomo dietro di lei e qualcuno a cui lei si è appoggiata.
Io credo che i termini al maschile di alcune professioni non siano necessariamente sbagliati purché ci sia un equivalente femminile, ad esempio: non c’è un equivalente il femminile di medico, cioè esiste dottore e dottoressa. Ma in realtà medico è generico ma è coniugato al maschile; e io mi chiedo: l’italiano è una lingua che deriva dal latino; in latino, io che ho studiato al classico, so bene che esisteva femminile, maschile ma anche neutro. Quindi perché non formalizzare il neutro magari per alcune parole che necessitano appunto ambedue i sessi? Se non si vuole mettere una sequenza maschile e una sequenza femminile, utilizziamo una parola che possa andare bene per entrambi.
È vero che non cambierebbe nulla a conti fatti tra dottore o dottoressa, purché mi venga riconosciuto che il mio ruolo è tanto importante quanto quello del dottore.
Mi interesso ad alcune materie che non vengono ritenute convenzionali nonostante io sia molto improntata sul lato scientifico della vita. Tuttavia ho un’attitudine anche un po’ idealista, di conseguenza mi sono sentita attratta dall’astrologia e mi sono informata in qualche modo e in modo molto blando posso dire che al momento della nostra nascita i pianeti, ogni pianeta del sistema solare, si trovava in un determinato segno e in particolar modo la Luna, che non è un pianeta, e da cui deriva appunto il nome di questo progetto, è legata alla maternità in realtà, in quanto la Luna è legata al segno del Cancro e il Cancro appunto nella Luna va a riguardare anche la maternità, quindi il vivere le emozioni in modo materno, quindi propenso alla protezione, al volere il meglio per l’altro, magari levare qualcosa a se stesso per darlo all’altra persona.
Dal mio punto di vista, parlo per mia esperienza personale, al momento non sento la necessità di avere figli, nonostante ci siano persone a me coetanee, anche conoscenti, che hanno avuto questa… hanno portato avanti questa volontà, e non so sinceramente se vorrò avere dei figli in futuro. Spesso mi viene fatta la battuta da mia madre: “ah, tu non mi darai mai dei nipotini”, perché sono molto improntata sull’ambizione, sulla carriera, su quello che voglio diventare e da cui mi voglio discostare. Sinceramente io non so se vorrò avere dei figli, semmai li avrò dovrà essere una scelta coscienziosa, quindi qualcosa non dettato dall’istinto ma su cui bisogna ragionare perché non è una cosa semplice portare avanti una famiglia, soprattutto perché le relazioni ormai non si sa quanto possano durare; vorrebbe dire anche portare avanti l’idea… cioè avere l’idea che potrebbe, da un momento all’altro, potresti doverti ritrovare a crescere uno, due, tre figli, o quanti siano, da soli e alla fine quello che è successo nella mia stessa famiglia quindi chi più di me può effettivamente avere questa visione di insieme? Non voglio dover mettere al mondo un figlio in un contesto in cui prevalga il litigio, la rabbia, le incomprensioni, piuttosto che l’affetto e la pace che deve regnare in una casa con un bambino.
Mi è capitato di lavorare al centro estivo, là mi è stato detto appunto che, come ben ricordo in realtà anche di quando ero piccola, molti bambini che si trovano là al centro estivo è perché non hanno la presenza dei genitori a casa e vengono appunto lasciati là perché i genitori devono lavorare o più semplicemente perché i genitori non hanno voglia di curarsi di loro. E allora perché fare un figlio? Non ha senso. Cioè devi fare un figlio solamente se sei consapevole di quello a cui vai incontro e consapevole di poterlo affrontare. Quindi io non so se avrò un figlio. Conosco persone che non vogliono avere, donne che non vorranno avere dei figli in futuro. Personalmente nella mia famiglia non mi è capitato di avere donne comunque di una certa età che non abbiano avuto figli, però mi è capitato di avere donne che hanno avuto dei figli incoscientemente: troppo giovani, senza una un rapporto saldo alle spalle, senza un’economia di base che gli permettesse di portare avanti un bambino dal momento in cui viene concepito – quindi visite mediche, problemi che possono insorgere durante la gravidanza -, fino al momento in cui sarà abbastanza indipendente da poter badare a se stesso completamente sotto ogni punto di vista.
Attualmente le relazioni di coppia credo durino poco per il semplice fatto che è più semplice conoscere persone e non accontentarsi. Prima se si incontrava una persona spesso la si osannava semplicemente per scappare da situazioni familiari che imponevano una vita che non andava bene per una persona di venti, ventuno, diciotto anni, diciannove anni, quanti fossero insomma. È stato il caso di mia madre o di mia zia che sono si sono sposate giovanissime solo per andare via di casa perché volevano effettivamente iniziare a vivere la propria vita. È una cosa che adesso raramente succede. Se succede è molto raro che sia per questo motivo perché semplicemente le nostre madri sono quelle che sono… si sono sposate solo per andare via di casa, per iniziare a vivere una vita che fosse loro e quindi è difficile che vogliano dare questo fardello anche alle proprie figlie o ai propri figli, anche se esistono effettivamente. Quindi adesso le relazioni durano di meno per il semplice fatto che c’è più… c’è il modo di poter conoscere persone che ci possano interessare più degli altri; mentre un tempo, parlando dell’era delle nostre madri, comunque erano più giovani e magari ci si sposava, appunto, solamente per un interesse superficiale; invece, andando a ritroso nell’era dei nostri nonni ci si sposava perché era convenzione e perché era convenzione rimanere sposati fino alla morte anche se magari esistevano terze persone o quarte persone che si infilavano in un matrimonio che in realtà era fallito a priori.»
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