Tre donne che vivono a Berlino si confrontano sulle loro esperienze di maternità. Anne è una cosiddetta “madre-corvo”, dopo la separazione dal marito ha lasciato i primi due figli, e oggi vive la sua terza maternità; Lena vive con la seconda figlia, le è stato tolto dolorosamente l’affidamento della prima. Brigitta, di origini rumene, arrivata in Germania ha coronato il desiderio di diventare madre single. Maternità, paternità, ruoli di cura, famiglia tradizionale, aborto, amore, dolore, senso di colpa e libertà sono i temi del loro intenso dialogo.
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Ecco la trascrizione completa del video:
LENA: «Ciao, sono Lena, ho trentasei anni e ho due figlie: la grande vive con la nonna con cui non ho nessun contatto. Questa è una storia molto triste. La seconda ha tre anni, vive con me: questa è una storia molto felice. Le mie figlie sono nate tutte e due in momenti dolorosi, durante le due gravidanze non stavo molto bene. Sono nate da una grande desiderio d’amore, la prima sicuramente, la seconda é proprio l’amore.»
BRIGITTA: «Sono Brigitta, ho cinquantasette anni; trent’anni fa sono emigrata dalla Romania in Germania.
Ho sempre desiderato bambini, per me era assolutamente impensabile non averli. In realtà, ho anche avuto alcuni aborti in Romania, perché la persona che avevo al mio fianco non era l’uomo giusto. A diciassette anni ero già in stato interessante, in Romania non c’era la pillola anticoncezionale.
C’è un modo di dire molto brutto: uno dei metodi contraccettivi é l’aborto. Non é bello, ma era così.
Arrivata in Germania potevo vivere il mio sogno di avere un bambino. Sono venuta a Berlino perché il mio sogno era quello di essere una madre single. Tutto si é relativizzato quando ho visto realmente le madri sole,
ma era tardi, ero già incinta. Non era un figlio programmato, ma il padre era perfetto, si era esaudito un desiderio a lungo cullato. Oggi mio figlio ha trentadue anni ed è proprio fantastico.»
ANNE: «Sono Anne, ho trentacinque anni, sono diventata madre molto presto. La prima gravidanza l’ho avuta a quindici anni, purtroppo ho avuto un aborto spontaneo che mi ha molto segnata. La mia prima figlia l’ho avuta a diciotto anni e mio figlio a ventun’anni.
Sono rimasta incinta per un desiderio d’amore in generale e amore per quell’uomo, in particolare. Stavamo insieme da quando avevo quindici anni e siamo rimasti insieme quasi nove anni. Lui proveniva da una bellissima famiglia, voleva figli, io ero totalmente naif, gli ho dato tutta la mia vita. A ventitré anni ci siamo separati.
Dovevo decidere se occuparmi di crescere i figli da sola. Non ho avuto il coraggio di quel passo, non volevo ripetere gli errori di mia madre. Lei è riuscita a fare tanto, é un grande esempio, ma per noi bambini non é stato facile. Abbiamo dovuto subire molto e rinunciare a tante cose, quindi ho lasciato i miei due bambini al padre e alla sua famiglia.
Con il passare degli anni sono stata allontanata sempre di più. Ogni donna che incontrava il mio ex-marito voleva adottare i bambini. Ho vissuto una continua richiesta di allontanarmi dal mio ruolo da madre.
Il risultato é che con il mio secondo figlio non ho nessun contatto da cinque anni. Con la figlia diciannovenne ho un rapporto a fasi alterne: ci riproviamo, poi litighiamo, e poi si spezza di nuovo.
Tre anni fa sono rimasta incinta involontariamente; nonostante la pillola del giorno dopo, il bambino é rimasto.
All’inizio è stato molto difficile: la mia stessa infanzia, il ruolo di madre non avverato… tutto doveva essere elaborato.
Personalmente non avrei più avuto figli. Non avrei mai deciso personalmente di avere un altro figlio. Ma oggi la considero una fortuna.»
LENA: «Era da sola tua madre? Perché era così difficile per te tenere i tuoi figli?»
ANNE: «Mia madre era sola. Vengo da una famiglia molto povera, con lavori precari. Lei era sola, la nonna stava in casa e doveva essere assistita. In Germania non c’era ancora l’assicurazione per la cura, mia mamma ha fatto tutto da sola. Comunque la situazione familiare non ha influito sulle mie decisioni.
Rimanere incinta molto presto, non crescere i propri bambini sono cose che “non si fanno”: ho sempre fatto quello che non era da fare. Ho deciso molto presto di avere figli, di non studiare, di lasciare i miei figli al padre. Tutto questo mi ha resa la pecora nera della famiglia quella che sbaglia tutto causando conflitti enormi. Direi che sono state tutte decisioni individuali che ho preso io senza essere influenzata. È il mio carattere: guardare sempre quello che serve a me, quello di cui ho bisogno in quel momento. Quell’egoismo che io da madre non posso avere. Per questo la gente mi guarda e pensa che io sia una persona cattiva. Ho deciso di avere figli, di lasciarli: questo non è consentito. Queste cose non sono consentite. Anche se é difficile traggo una grande forza dalla mia situazione.»
LENA: «Per me essere madre implica un certo egoismo. Io scrivo molto, i miei genitori sono scrittori. Avrei qualcosa da dire su come mia mamma si sia preso carico di mia figlia. Mi è capitato di leggere un mio passaggio dove mi chiedo se é giusto fare figli in questo mondo che va avanti tanto velocemente. Mi sono chiesta se è responsabile, se sono all’ altezza.
Ciò nonostante stare con mia figlia é una gioia immensa, relativizza tutti i problemi che ogni tanto abbiamo. Quindi penso che sia una cosa molto importante, ma credo che sia un egoismo grande dire “io voglio un bambino, lo voglio adesso”. Ovviamente la maggioranza delle persone non pensa al perché. A trentuno anni hanno finito di studiare, hanno un posto fisso, tutto é in regola, i soldi ci sono, quindi non devi preoccuparti più di tanto… ma resta il fatto che sono egoista perché sono così felice con mia figlia.
Per quanto riguarda la mia storia familiare, mia madre desiderava un secondo figlio, non è arrivato, anche se ci ha provato spesso. Poi io sono andata un po’ fuori di testa, poi ancora una volta, alla terza volta che mi comportavo fuori dalle righe mia madre ha deciso che non mi avrebbe più sostenuto e con tutti i metodi possibili mi ha tolto la mia figlia grande. È stato traumatico per me. Mi ha diffamato e tutto quello che mi aveva detto prima non valeva più.
Mi ha detto spesso: “che brava madre sei” poi tutto d’un tratto zack, un cambiamento a 180 gradi. Un voltafaccia.
A Berlino ci sono centri di sostegno, con la mia piccola ci sono dovuta andare, centri dove bambini e genitori vengono aiutati a riunirsi anche se sono successe cose brutte, cose che dall’esterno vengono percepite così brutte da far sorgere dubbi. Prima non lo sapevo, ma adesso lo so e per questo onestamente non mi fido di mia madre. Non coltivo nessun rancore, o pensieri cattivi nei suoi confronti ma pensandoci razionalmente c’erano altre possibilità per una soluzione migliore. Credo di servire ancora a mia figlia grande, di undici anni adesso. E credo anche di essere una brava madre.»
BRIGITTA: «Io do ragione a Lena. L’atto di diventare madre é molto egoista, perché in quel momento ti immagini quella grande gioia. Cosa non ti immagini è cosa significhi poi realmente un figlio. È tutta un’altra cosa. Quell’atto è egoista ma é anche culturale.
Nel mio caso quell’ovvietà di diventare madre in quanto donna, non so se l’avrei pensata se fossi cresciuta in Germania. In quegli anni era differente in Germania. In Romania era normale diventare madre da un lato… dall’altro però, con la politica di allora, nei primi anni Ottanta, non c’era la minima prospettiva di avere un figlio, figuriamoci da sola.
I miei genitori avevano una relazione terribile, io non volevo avere un padre per mio figlio. Quindi vivevo da una parte questo desiderio culturale di diventare mamma, dall’altra l’impossibilità di crescere figli dignitosamente.
Poi qui a Berlino – l’eldorado per madri sole- ho trovato una cultura e una società che mi hanno dato l’opportunità di crescere mio figlio da sola. E ho sentito anche il bisogno di elaborare l’aborto.
Ho letto e riletto Oriana Fallaci, “Lettera a un bambino mai nato”, quando é nato mio figlio, allora ho scritto anche delle lettere a questo bambino, perché ovviamente dovevo elaborare.
Eh sì, la cultura e la società influiscono molto. In Romania è una vergogna non essere madre, in Germania é relativamente normale. Ho tante amiche che non sono madri, non faccio differenza. C’è solo una piccola cosa di cui non parlo con loro, una frase che non direi mai è: “sai com’è essere madre”, perché non hanno fatto
questa esperienza di amore incredibile e incondizionato, ma magari si occupano di bambini, sono impegnate socialmente con i migranti. In realtà, nella mia cultura, in Romania, si dice: “poverette non hanno figli”. Questo in Germania non succede.»
LENA: «Vorrei preparare le mie figlie alla vita perché sappiano prendere le loro decisioni. Non posso dire in termini generali se sia una cosa o l’altra, perché la mia vita è così… è così strana e piena di curve e incastri. Ma vorrei preparare le mie figlie a questo, a prendere le decisioni giuste quando sarà, quando saranno mature sessualmente, così potranno prendere la decisione giusta. Non si tratta di pianificare tutto, puoi realizzarti come donna in molti modi diversi.»
ANNE: «Il punto di vista che esprime Brigitta è molto prezioso perché è un punto di vista da una prospettiva tedesca. Per me la questione difficile è valutare se in Germania le donne subiscono ancora molte pressioni e umiliazioni per il fatto di non avere figli.
È sicuramente nei media, c’è sempre questo discorso: la donna in carriera sarebbe egoista perché non vuole figli.
Personalmente vivo, da molti anni ormai, in una di quelle…come dire, in una piccola bolla, nella mia bolla di Berlino, frequento gente alternativa, nessuno oserebbe mai chiedere a una donna o a un uomo se vuole figli.
Quindi tutto ciò è lontano anni luce da me, molto lontano da me personalmente, non mi riguarda.
Non chiederei mai a amici o conoscenti: “Quando avrai dei figli?” Per me questo è completamente fuori luogo.»
BRIGITTA: «Volevo emigrare in Italia all’epoca, era impensabile per me crescere mio figlio in una società “ostile ai bambini”. Ero affascinata, immaginavo aree giochi molto belli, non potevo credere che esistessero parchi giochi così belli, ma poi mi sentivo insultata, quando mio figlio faceva qualcosa. E questa era una tale contraddizione, ma non è durata a lungo. Poi ho capito cosa c’era veramente dietro, un qualsiasi cane era più prezioso di mio figlio. Naturalmente alla fine ho capito tutto e ho smesso di fare domande.
Ma all’epoca avevo intenzione di farlo, volevo emigrare in Italia con mio figlio Andrea, lontana dalla Romania socialista andare nell’Eldorado dei bambini. In Italia i bambini sono molto amati.»
ANNE: «Quando ero incinta del mio terzo bambino, quando il tema maternità ha occupato molto spazio nella mia vita, ho creato il circolo “mamme corvo” che riunisce madri biologiche che non crescono i figli. Mi sono resa conto del tabù che ho infranto, non crescere i miei figli. Lo stigma delle donne che partoriscono ma non vivono tutta la vita con i loro figli è fortissimo.
Dobbiamo lottare contro tantissimi pregiudizi: siamo delle drogate, delle matte, delle violente – sempre il peggio. Anche se ci fosse una malattia – come hai detto prima tu Lena – deve esserci la possibilità di stare in contatto con i propri figli.
Ci ho lavorato per una anno. Ho cercato di mettermi in contatto con altre donne attraverso diversi mezzi. Ho avuto molte difficoltà, perché per le donne vivere senza i loro figli é un tabù grandissimo. Non vogliono aprire un discorso politico. Ho conosciuto delle donne interessanti che hanno scritto dei blog sul tema, soprattutto online, sulla maternità femminista. Ho trovato donne che scrivono cose molto interessanti sul fatto di non vivere coi propri figli.
In generale è difficile creare un attivismo di madri, perché i nostri problemi sono molto differenti.
Ci sono genitori che hanno delle identità trans, altri hanno dei problemi psichici, genitori single, precarietà, razzismo, genitori con problemi cognitivi o fisici. È difficilissimo portare avanti un discorso così importante, dal punto di vista politico in Germania.
Al momento, con un bambino di due anni e mezzo, sono sola e questo è il mio focus: è la mia realtà di vita con tutti i problemi che comporta.
E grazie a Brigitta che ha parlato della Germania come Eldorado per mamme sole. Questa definizione ha cambiato un po’ il focus sulla mia vita al momento.
La paternità è un tema di cui mi sono occupata molto. Nella mia situazione, il padre, con l’aiuto della sua famiglia, ha cresciuto i miei figli. Nei primi anni ero convinta che gli uomini fossero capaci come le donne ad essere empatici, affettuosi e fiduciosi in una relazione. Deve funzionare allo stesso modo.
Ho cercato degli esempi reali, nella letteratura, ma sono arrivata a un punto dove anche in Germania, dove sta cambiando molto la percezione dei padri che si occupano dei loro bambini fino dall’inizio, purtroppo siamo ancora molto lontani dalla parità. Sfortunatamente nella mia esperienza ho dovuto constatare che alcuni si sentono dei supereroi quando vanno da soli al parco giochi la domenica e prendono un paio di mesi di congedo di paternità.
In Germania si discute molto del lavoro di cura. Anche se ci sono dei cambiamenti in atto, le donne non hanno più voglia di pensare agli appuntamenti dal medico, fare le pulizie di casa, cucinare. Io direi che i padri tedeschi sono come degli zii.»
BRIGITTA: «I padri non ci servono… anche io ero convinta di questo. Ho incominciato ad avere dei dubbi quando sono rimasta incinta. Il padre biologico era sette anni più giovane di me, non era cosa, ero la sua prima donna, la prima con cui aveva fatto sesso. Allora ho avuto mio figlio senza padre.
E mi sono resa conto che è tutto ingiusto come si svolge. In realtà non c’è ancora parità di ruoli. Questo è quello che ho fatto ma ho pagato un caro prezzo per questo. Ho trascorso diciotto anni della mia vita in appartamenti con coinquilini maschi così che mio figlio potesse avere degli esempi maschili. Sono stata attenta che i maestri e gli insegnanti fossero maschi. Credo che il ruolo maschile sia importante per i bambini, questo indipendentemente dal fatto che sia il padre a esercitarlo.
Due cose ho imparato diventando madre: una è questo amore incondizionato, questo amore assoluto che prima non si conosce. E la seconda, avendo avuto un figlio maschio, è che è migliorata la mia immagine degli uomini. Credo che prima odiavo gli uomini, questo è cambiato e si é relativizzato perché crescendo un figlio maschio incominci a capirli. Oggi direi che gli uomini sono importanti per l’educazione dei figli.»
LENA: «Per me questo è un tema problematico, perché ho avuto tutte e due le mie figlie senza padre. Prima anche io avevo un atteggiamento da amazzone e credevo che non fossero importanti. Ma adesso la vedo in un altro modo. So che la mia piccola sente molto la mancanza di suo padre, e di sua nonna e di tutti quelli che non si sono assunti la loro responsabilità. I padri sono importanti, non ho una soluzione, cerco di essere una buona madre. E questo è qualcosa a cui penso sempre, c’è spazio per migliorare, perché lei è semplicemente una bambina meravigliosa, che fa sempre tutto con amore, senza mai arrabbiarsi. Non so, ma credo che anche i padri siano molto importanti, in realtà. Ma io non ne ho uno e posso farne a meno.»
ANNE: «Io credo che le madri cerchino sempre di dare il meglio ai loro figli. O si hanno delle figure con cui il bambino si puoi identificare oppure si deve spiegare che ci sono certi membri nella famiglia
che non vivono con noi. Queste sono cose impegnative. Ma allo stesso tempo capita spesso che gli uomini si tirino fuori completamente quando ci sono questi conflitti, le domande… Questa cosa ancora esiste su molti livelli ed è la differenza che ho imparato. E ho osservato che i padri che si occupano dei bambini eliminano la madre, dicendo che non era una buona madre ed é andata via. Mentre noi donne cerchiamo, anche nelle peggiori situazioni, il dialogo con il padre, perché sappiamo che è importante per il bambino. E questa é un differenza grande… Le donne cercano di migliorare la situazione per il bambino.
La domanda è: servono madre e padre, o sono più importanti delle persone con cui identificarsi? Ed è questo che ho imparato, ho la sensazione che questa sia la cosa più importante.
Lavoro con persone delle famiglie arcobaleno, persone trans. Spesso sono costellazioni familiari, dove forse non c’è nemmeno un genitore biologico, c’è tanto amore e coesione. È completamente chiaro ai bambini che quella è la loro famiglia. Ed è questo il punto che trovo davvero entusiasmante.»
LENA: «Perché i tabù sono nella testa, ma sono talmente libera dai tabù che non mi occupo di queste cose.»
ANNE: «Direi che un tabù è sicuramente il fallimento, qualcosa che in Germania non va assolutamente bene. In passato ho esagerato con l’alcol, di queste cose non se ne parla. Quando bevevo era ok, ma da quando ho iniziato a guarire, non é più ok, perché fa parte del fallimento. Meglio stare zitti.
Ci sono molti tabù, uno è non crescere i propri figli.
Un altro molto forte in Germania è “prostituzione e figli”, nonostante sia un argomento che c’è sempre stato. Molte donne si prostituiscono per mantenere i figli in tutto il mondo. Questo è un tabù grandissimo.
Ci sono molti tabù. Ma io mi muovo in giri dove rompiamo i tabù, sono circondata da persone che parlano liberamente di tutto.
Un aspetto interessante dei tabù è il ruolo della donna. Come deve agire, come non deve fallire. Anche la violenza domestica è un problema molto grande, che spesso viene taciuto. Tante donne hanno esperienze di violenza. Quando é domestica, è spesso colpa loro. “Perché non si è separata prima?”
Ho la sensazione che tanti di questi tabù stiano migliorando, ma tanti altri sono ancora visti come privati e personali, anche se sappiamo che sono dei temi politici. Soprattutto quelli che riguardano le donne, le madri, vengono subito trattati come problemi privati. Questo deve cambiare. Questo problema deve ancora essere affrontato. Lo trovo così difficile.
Ho avuto un incontro molto divertente con un vicino di casa per un caffè. Non voleva credere che vivevo con il sussidio. Ho sempre lavorato molto, ho anche lavorato in proprio, ho fatto molto volontariato, sono politicamente attiva ma vivo con il sussidio. Sono povera, sono precaria, non direi di me che non faccio carriera o che sono pigra. Secondo questo vicino non sono la tipica persona da sussidio. Questa sono io!»
LENA: «Io vengo da una famiglia benestante, mia madre è una donna di successo che ha sempre guadagnato bene. Anche se adesso vivo di sussidio, per me non é un problema. Non so per quanto ancora e come andrà avanti. Ho iniziato a studiare. E riesco a farlo bene in part-time.»
BRIGITTA: «Fare carriera significa un po’ essere una “mamma corvo”. Questo per me è stato difficile.
Mio figlio da bebè l’ho trascinato in aula magna all’università. Alle persone sembrava strano ma io l’ho fatto davvero. Ero un genitore single e non mi sono presa una pausa. Mi sono laureata in psicologia e naturalmente ho avuto spesso la sensazione, non solo la sensazione… mio figlio ha avut molti babysitter, ha anche due papà: il papà biologico e quello sociale. Ho fatto in modo che fosse ben accudito ma spesso lo lasciavo a qualcuno, allora a volte avevo la sensazione che… o meglio personalmente non lo sentivo davvero, ma a volte tra me e me pensavo: “È un bene che io abbia una “carriera”?” Non so se se ho fatto carriera. Ora ho la mia radio, ho un secondo lavoro, alcuni dicono che ho fatto carriera, ma mi sono sempre chiesta: “Ho fatto carriera sulle spalle di mio figlio?” E lui mi dice adesso che era meglio quando ero una “mamma corvo”. La sera eri la mamma più cool e… sì, l’ho imparato.»
ANNE: «Il mio vicino mi chiede perché non vado a lavorare. Sarei capace. Ho un bambino di due anni. Come faccio a lavorare? Ci sono periodi in cui è ammalato, a ottobre siamo stati sempre a casa, il bambino è stato sempre malato. Quindi mi viene sempre da ridere quando me lo chiede. È ancora l’immagine prevalente in Germania delle persone con sussidio. Tantissime donne e specialmente le madri, non vogliono ammettere che vivono con il sussidio perché è uno stigma. Personalmente non la vedo così.
Quando sono stata sicura di essere incinta del mio piccolo, ho detto con fermezza; lavorerò meno! Perché questa acrobazia che hai appena descritto, tra la carriera, gli studi, i propri interessi e combinare tutto questo con il bambino, io non lo voglio fare. Anche se il bambino sta bene, si ha la sensazione di aver lavorato poco o di essere stata poco con il bambino. Si ha sempre la sensazione di non aver fatto niente bene. E questa volta non volevo entrare in questo circolo. Volevo rallentare, con calma.
Quando il bambino è malato, per me è un bel momento a casa, lavoro meno e riorganizzo i miei orari. E questo è anche qualcosa… Fare carriera, non lo prendo più in considerazione. Anche se avessi un lavoro ben pagato, con tre bambini, della pensione non mi rimarrebbe più niente. In pensione, tornerei a prendere il sussidio. Quindi, cerco di organizzarmi al meglio. Così ho deciso per me stessa allora è così… Una vita precaria, ma che sia bella.»
BRIGITTA: «La mia voglia di fare figli ha totalmente a che fare con l’orologio biologico. Il ticchettio era così forte, che stavo davvero cercando buoni geni. Così mi sono guardata un po’ intorno per trovare qualcuno con buoni geni o qualcosa del genere. Avevo ventiquattro anni, ma per una mamma rumena era abbastanza tardi.»
ANNE: «Per me il costrutto “orologio biologico” è un costrutto sociale. C’è il mito di questo amore incondizionato. La domanda è sempre: “E se poi mi pento di non aver fatto figli?” È questo che si sentono dire molte donne che non vogliono figli. “Quando sarai vecchia sarai sola”. Conosco tantissime mamme che da anziane sono sole. Avere figli non ti garantisce compagnia.
Ma devo anche ammettere che intorno ai trentaquattro anni, l’ho sentito battere fortissimo questo orologio biologico e quando avevo i miei giorni fertili ero molto libidinosa… Potevo andare a una festa e strusciarmi ballando e mi sentivo come un prurito sulla pelle e pensavo…”Ora lo voglio!” Ed ero spaventata nel capire che l’orologio biologico è così fisico. Perché per me é un costrutto sociale che si spiega così alle donne, ma che è un mito, un’invenzione. Era buffo sentire il corpo così all’erta e alla ricerca di sesso.
Nel periodo in cui i miei primi due figli non erano più con me, anch’io ho sentito un po’ il desiderio di creare qualcosa in qualche modo, di avere una “carriera”.
Parlando con altre donne nella mia situazione ho scoperto che quando i figli non sono più con te, non hai il coraggio di creare una nuova famiglia: come la prenderebbero i primi figli, se improvvisamente ci fosse una nuova famiglia, che funziona…? Si ha però la sensazione di aver lasciato andare qualcosa, e si deve compensare in qualche modo. E cosa c’è di meglio che dire: ho creato qualcosa? E questo è, diciamo, un processo che tante donne che non crescono i propri figli fanno. E per me è avvenuto dopo un lungo tira e molla. Prima ho fatto la maturità, poi ho fatto un secondo percorso formativo. Ho fatto tante belle cose a Berlino: la buttafuori, la proprietaria di sex shop. In qualche modo dei ruoli molto maschili per la nostra cultura. Ma ho fatto anche spazio a temi poco affrontati come sessualità e maternità. Anche un po’ tabù, se uno li guarda da vicino: mestruazioni, sessualità… Temi su cui siamo ancora riservati.
Avere cose da fare ti aiuta a riempire un po’ il vuoto. Non avendo l’impegno di crescere i figli, lavorare molto serve a dimenticare i propri problemi. A me ha aiutato. Da quattordici anni sono separata dai miei figli più grandi. Posso dire di essere felice di come vanno le cose per me, sono molto felice della mia vita. Guardo indietro e sono fiera di me. Anche questo è un grande tabù: permettermi di essere felice senza i miei due figli.»
LENA: «Io so quale è il tabù nella mia vita, lo so bene: aver avuto un altra figlia dopo che la grande è andata a vivere con mia madre. Questo è fortemente stigmatizzato.
Ho la fortuna di avere amici molto comprensivi, di poter raccontare la mia storia e essere in grado di analizzarla, ma credo che questo che ho detto sia davvero importante.
Io ho deciso consapevolmente di volere questa seconda bambina e sono felice con lei, più felice che mai, direi, anche senza un uomo e tutto il resto. È davvero un sogno.
Dentro di me si agita il pensiero: come sta la mia figlia grande? Come se la sta cavando?
Ho questo tabù, in un certo senso, ma non è forte, sono ferma nella mia decisione perché ho sempre detto che la porta è aperta, può venire quando vuole e quando glielo permettono, e poi ne parleremo. Sono fasi difficili.
Sicuramente c’è qualcosa di irrisolto, da elaborare per me stessa e da spiegare alla società. Ed è difficile da capire e difficile da spiegare. Perché? Io non volevo tornare a vivere da mia madre. Naturalmente avrei potuto ritornare in Renania Settentrionale-Vestfalia. Non l’ho detto prima, io vengo dalla regione del Münsterland. È un posto molto bello ma non volevo tornarci. Mia mamma è una donna realizzata, ma io non riesco a stare con lei. Lei stava lì con mia figlia, io mi sono detta: non voglio essere mamma, mi dispiace per mia figlia e poi sono rimasta incinta.»
BRIGITTA: «In Romania, il mio paese di nascita, dove sono cresciuta, l’aborto era molto diffuso e accettato socialmente. Altrimenti, non l’avrei retto così bene. Ne ho avuto un altro in Germania, qui a Berlino, ed è stato molto diverso, ho sentito molto rimorso.
In Romania l’aborto aveva qualcosa di rivoluzionario, di opposizione al regime: “Non ci date niente, se non preservativi bucati”. Il modo in cui l’ho fatto io, poi, da studenti di medicina su un tavolo di cucina è stato orribile, ma psicologicamente migliore da sopportare: aveva qualcosa di ribelle.
Invece qui in Germania, dove teoreticamente avrei potuto avere un altro figlio, e dove in pratica, l’unico limite era qualcosa che hai menzionato tu, era il pensiero che mio figlio avrebbe avuto un fratellastro, e non volevo… non volevo fargli affrontare tutto questo e ho abortito. Ho sofferto molto psicologicamente, perché non l’ha capito nessuno. Neanche il potenziale padre biologico ha capito la mia decisione, perché ero una mamma così brava: se ero una madre così brava con un figlio, perché non con il secondo” e così via.. Di conseguenza ho sofferto di più per il secondo aborto. E ho dovuto lavorarci molto anche durante la terapia.
Avevo timore a raccontare a mio figlio degli aborti, perché non sapevo come avrebbe reagito, ma lui é stato molto comprensivo. È figlio di una psicologa. Credo che nessuno capisca le donne meglio di lui. Anche in quel caso è stato comprensivo: “Tutto chiaro, sono felice di essere figlio unico! Hai fatto bene”. Così mi ha detto anche riguardo ai padri.
Tra noi ci scherziamo su, io gli dico: “Metto i soldi da parte per pagarti la terapia perché sei cresciuto senza papà”. Lui ride e dice: “Tienili, va tutto molto bene”!»
ANNE: «Ho abortito due volte nella mia vita. Sono molto fertile: un aborto spontaneo, tre gravidanze e due aborti. Gli aborti li ho vissuti come qualcosa di spirituale: il potere della donna di dare o togliere vita. Ho sempre avuto aborti farmacologici, dove avevo consapevolezza delle doglie e sentivo tutto. Sono sempre stati momenti fortissimi, momenti molto femminili. Io do vita e tolgo la vita. Sono due cose che vanno insieme. Qual é il valore della vita? A Berlino c’è una marcia per la vita. Cos’è la vita?
La mia mestruazioni non sono vita? O solo quando il seme e l’ovaio si uniscono c’è vita? E un bimbo che muore presto? Allora, da dove cominciamo a dire che in qualche modo questa vita ha valore e quella no? È per questo che per me togliere la vita, uccidere ha sempre fatto parte dell’essere una donna.
E anche, come ho detto, collegato alla complessità di adempiere o no al mio ruolo di madre. Dare amore, non dare amore. Non direi che non ho dato amore ai miei primi due figli, mi hanno allontanata. Ma ai miei primi due non ho dato l’amore che do al mio terzo.
Tutta questa complessità mi dà tanta forza. Il fascino della vita e della morte. E questa complessità ci appartiene, l’ho sempre considerata come qualcosa di molto positivo. Abbiamo tutte delle percezioni diverse, quando si tratta di questo. Ma credo anche che l’aborto spontaneo che ho avuto mi abbia segnato molto. Tenere un bambino morto in braccio a quindici anni mi ha segnata.»
Tedesco:
LENA: «Ich bin Lena, ich bin 36 Jahre alt, ich hab 2 Töchter, eine davon lebt bei ihrer Großmutter, zu der ich überhaupt keinen Kontakt habe, das ist ne sehr traurige Geschichte und die zweite, die jetzt 3 Jahre alt ist, die lebt bei mir, das ist eine sehr glückliche Geschichte und meine Kinder sind beide ein bisschen aus der Not heraus geboren. Es ging mir in beiden Momenten der Empfängnis nicht besonders gut. Letztlich sind sie geboren worden, heraus aus einer großen Liebessehnsucht, also die erste in jedem Fall, und die zweite ist jetzt gerade die Liebe.»
BRIGITTA: «Ich bin Brigitta, ich bin 58 Jahre alt und ich bin vor, glaube ich, 30 Jahren aus Rumänien nach Deutschland ausgewandert. Ich hätte mir immer schon Kinder gewünscht. Es war so absolut undenkbar, dass ich keine Kinder haben soll.
Tatsächlich habe ich dann aber einige Abtreibungen gehabt in Rumänien, weil das war nicht der passende Mann und das war so, mit 17 wurde ich natürlich nur schwanger, weil es in Rumänien die Pille nicht gab und es gibt so ein ganz böses Sprichwort oder so so … ja, also man sagt manchmal dass eines der Verhütungsmittel in Rumänien war die Abtreibung, das ist etwas ganz übles, aber das war wirklich so ähnlich. Und als ich dann in Deutschland war, konnte ich plötzlich meinen Traum ausleben, Nämlich ein Kind bekommen. Und ich bin extra nach Berlin gekommen, weil mein Traum auch derweil alleinerziehende Mutter zu werden, diesen Traum hab ich sehr schnell relativiert, als ich hier in Berlin plötzlich alleinerziehende Mütter sah in echt, aber das war zu spät, ich war dann schwanger, das war dann zweiter Eisprung, also es war in dem Sinne kein geplantes Kind, aber das war der absolute Wunsch Papa, es war dieser alte Wunsch, der dadurch. Wahr geworden ist. Ja, und der ist jetzt 32. Mein Sohn, und die ist wirklich großartig.»
ANNE: «Ich bin Anne, ich bin 37 Jahre alt und ich bin sehr früh Mutter geworden. Meine erste Schwangerschaft hatte ich schon mit 15, ich hatte leider eine Fehlgeburt erlitten. das mich damals sehr, sehr früh geprägt hat. und meine erstgeborene Tochter, die hab ich mit 18 bekommen und meinen Sohn dann mit 21.
Ich würde sagen, schwanger geworden bin ich definitiv auch aus der Sehnsucht nach Liebe und vor allem auch Liebe zu dem Mann. Wir waren schon zusammen seitdem ich 15 bin, wir waren insgesamt auch 9 Jahre fast zusammen und er war derjenige der aus einer sehr schönen Familie kam, der auch unbedingt Kinder wollte. Ich war so naiv.
Ich hätte mein komplettes Leben einfach komplett einfach gegeben. Na ja, mit 23 kam die Trennung, das heißt zu dem Zeitpunkt war bei mir die Entscheidung, ob ich mich traue allein, ohne Ausbildung 2 Kinder großzuziehen.
Ich hab den Schritt nicht gewagt, ich wollte nicht die Fehler wie ich sie sehe, meiner Mutter nachmachen, die sehr viel geschafft hat zu stemmen, sie ist ein großes Vorbild, sie hat viel geschafft, aber wir Kinder haben eben dadurch auch viel einstecken müssen oder viel entbehren müssen und ich habe meine 2 Kinder damals bei meinem ex Mann und seiner Familie gelassen und über die Jahre viel passiert.
Ich bin viel rausgedrängt worden, immer mit einer neuen Frau kam die Idee, ich musste meine Kinder zur Adoption freigeben. Immer wieder der Wunsch, mich wirklich rauszubekommen in meiner Mutterrolle, was dazu geführt hat, zu meinem mittleren Sohn habe ich jetzt , zu dem zweitgeborenes Kind, seit 5 Jahren keinen Kontakt, mit meiner
bald 19 Jahre alten Tochter so einen klassischen on off Kontakt, wir versuchen es immer wieder, dann gibt es wieder Streit, wir brechen wieder auseinander. Und ich bin noch mal vor 3 Jahren ungewollt schwanger geworden. Pille danach, Kind ist geblieben und anfangs sehr schwer diese ganzen, die eigene Kindheit, die nichterfüllte Mutterrolle also, die man einfach nicht ausgefüllt hat.
All das musste irgendwie verarbeitet warden und ich bin eigentlich sehr dankbar dafür, dass ich das… ich hätte persönlich kein Kind mehr gekriegt, ich hätte nicht die Entscheidung für mich wirklich persönlich getroffen… zu sagen, ich will jetzt noch mal ein Kind. Und das ist so… eigentlich so ein Glück… Gerade.»
LENA: «War deine Mutter alleinerziehend oder weshalb war das für dich so schwierig deine Kinder bei dir dann aufzunehmen?»
ANNE: «Meine Mutter war alleinerziehend, hatte aber zu dem… Wir kommen aus einer sehr armen Familie, sozusagen bildungsfernen Familie. Das heißt, prekäre Jobs, alleinerziehend, und die Großmutter war noch im Pflegefall mit im Haus, also zu dem Zeitpunkt gab es in Deutschland auch noch keine Pflegeversicherung, also meine Mutter hat das alle stemmen müssen.
Ich würde sagen, dass bei mir das Familienumfeld eigentlich überhaupt nicht wirklich mitgewirkt hat, weil die Entscheidungen, die ich getroffen habe, eben, dass ich sehr früh schwanger wurde und auch ganz speziell, dass ich meine Kinder nicht großgezogen haben, immer komplett gegen das waren, was ich gehört.
Ich habe immer die Dinge getan, die nicht okay waren, ich habe mich entschieden, sehr früh Mutter zu warden und keine Ausbildung zu machen, ich habe entschieden, bei der Trennung die Kinder beim Vater zu lassen. Das hat eigentlich permanent immer nur dafür gesorgt, dass ich… ja in Deutschland gibt es ja auch diesen Ausdruck… des schwarzen Schafes, also das Familienangehörigen, der immer alles falsch macht und zu enormen Konflikten geführt, und deswegen würde ich schon sagen, dass es sehr individuelle Entscheidungen waren, es waren Scheidung, in die ich getroffen habe, die wenig beeinflusst waren, aber es ist auch mein Charakter, dass ich immer darauf versucht habe zu gucken, was braucht ich in dem Moment, und das ist auch dieser Egoismus, den ich als Mutter ja überhaupt nicht haben darf, das ist ja auch das, was mir so… warum die Menschen mich angucken und glauben, ich bin ein schlechter Mensch, weil ich diese Entscheidung getroffen hab, ich hab einmal mich entschieden für Kinder, ich hab mich entschieden, sie nicht aufzuziehen, und das sind absolute No Gos, das ist nicht erlaubt und deswegen, so schwer es manchmal ist, kommt da bei mir persönlich auch eine Stärke daraus hervor.»
LENA: «Weil ich, ehrlich gesagt, auch finde, dass auch das Mutter sein, ein gewisser Egoismus ist, also…
Es ist mir vorgekommen, ich schreibe viel und meine Eltern sind beide Schriftsteller und dazu kann ich gleich auch noch mal was sagen, dass meine Mutter meine große Tochter an sich gerissen hat, wie ich das empfinde, aber… es ist mir vorgekommen, dass ich irgendwann eine Zeile von mir gelesen habe, wo ich mich tatsächlich gefragt habe, ob es richtig ist, in diese Welt Kinder zu bekommen, wo die Welt so funktioniert und so Leute… und so schnell weitergeht, ie sie halt geht, also so, dass ich einfach mich gefragt habe, ist das verantwortlich? Kann ich diese Hoffnung, irgendwie… Kann ich das mittragen, so insofern und nicht das es… trotz… ist das sein mit meiner Tochter einfach das größte Glück, was ich mir vorstellen kann, das macht alles wieder gut, was zwischendurch auch mal nicht gut läuft.
So, und deshalb halte ich, also, finde ich einfach, das ist auch eine ganz große, also das wird nie thematisiert so, aber es ist ein ganz großer Egoismus zu sagen, ich will ein Kind, ich will jetzt ein Kind, ich meine klar, die meisten Leute machen sich über diesen Tatbestand gar nicht so viele Gedanken, glaube ich, weil sie dann irgendwie mit 31 abgeschlossene Ausbildung, abgeschlossene Studium, ein festen Job und alles gut mit Geld versorgt und so, da macht man sich dann nicht mehr so einen schweren Gedanken, aber es ist für mich einfach irgendwie ein Fakt, dass ich egoistisch bin, dass ich so viel Freude mit meiner Tochter habe, so. Und ganz kurz also diese Familiengeschichte… Meine Mutter hat sich immer ein zweites Kind gewünscht, das hat nicht geklappt,
warum auch immer, sie hat es viel und oft versucht. Und dann bin ich irgendwann Bisschen bekloppt geworden, bisschen mehr bekloppt geworden.
Das war auch das dritte Mal, dass ich bekloppt geworden bin, und dann hat meine Mutter entschieden, die Situation nicht mehr mit mittragen zu wollen und hat alles daran gesetzt, meine große Tochter zu sich zu ziehen, was für mich ein bisschen traumatisch auch gewesen ist, letzlich… Weil sie da auch üble Nachrede betrieben hat und wirklich einfach alles, was vorher Satz und Sieg und Wort war, war auf einmal nicht mehr wichtig.
Sie hat mir so oft gesagt, was für eine gute Mutter ich bin und dann auf einmal Zack, dreht sich das Blatt um 180 Grad und sie intrigiert im Endeffekt und es gibt halt Möglichkeiten, das weiß ich, weil ich jetzt hier in Berlin bin und weil ich auch mit meiner kleinen Tochter in eine Maßnahme reingehen musste, es gibt hier in Berlin Möglichkeiten, dass Kinder und Eltern wieder zusammengebracht werden, auch wenn schlimme Sachen passieren.
Oder nicht schlimme Sachen, die von außen einfach so schlimm wahrgenommen werden, dass da Zweifel aufkommen, so… Und das wusste ich halt vorher nicht, in dem in der Situation, aber jetzt weiß ich es und deshalb, na ja, bin ich dann meiner Mutter ehrlich gesagt auch nicht grün, ich bin jetzt nicht so, ich habe keine Wut und keinen Hass und keine negativen Gefühle ihr gegenüber, aber, ganz rational betrachtet, denke ich einfach, dass es da Möglichkeiten gegeben hätten, eine gute Lösung zu finden und… Ich glaub meine Tochter, die ist jetzt 11, die große, die braucht mich immer noch und ich bin glaub ich auch eine sehr gute Mutter so… »
BRIGITTA: «Ich gebe Lena Recht, dass letztendlich wirklich dieser Akt, dieser letztendliche Entscheidung, ein Kind zu bekommen, ein sehr egoistischer Akt ist. Das ist tatsächlich so, weil… Man sich ja in dem Moment vor allem diese Freude vorstellt. Also was man sich nicht vorstellt, ist, was es tatsächlich dann heißt, im Alltag ein Kind zu haben, und das ist dann wieder nochmal eine andere Sache.
Aber der aktuell solcher ist egoistisch, aber ich finde auch, dass er kulturell sehr wohlbedingt ist. Also in meinem Fall kann ich sagen, dieses Selbstverständnis, eine Frau zu werden, die Mutter wird, ich weiß nicht, ob ich die gehabt hätte, wenn ich in Deutschland geboren worden wäre. Also in Rumänien war das eher normal, dass du Mutter wirst. Einerseits… auf der anderen Seite hat, die hat … also das Land und die Politik es mir damals in den in den frühen Achtzigern überhaupt nicht die kleinste Perspektive gegeben, überhaupt ein Kind zu bekommen, ganz zu schweigen alleinerziehend.
Und meine Eltern hatten wirklich auch so eine miese Beziehung, dass ich wirklich keinen Vater für meine Kinder wollte, das warte ich ziemlich ziemlich klar und also deshalb… Also einerseits diese Geschichte, also sehr wohl kulturell bedingt, mein Wunsch, mein Kinderwunsch, mein ganz klarer, auf der anderen Seite die Unmöglichkeit.
in der Gesellschaft dort ein Kind zu bekommen und dann hier natürlich mich wirklich extra, wie ich schon sagte, nach Berlin zu begeben, wo dieses Eldorado für alleinerziehende Frauen und wo es natürlich auch ja, also die Kultur hat mir das ermöglicht, eben alleinerziehend zu sein, die Gesellschaft hat es mir ermöglicht. Und dann war das auch natürlich so ein ganz klares Bedürfnis, jetzt diese Abtreibung noch irgendwie verarbeiten zu können, weil ich hatte immer dieses “Brief an ein nie geborenes Kind” von Oriana Fallaci gelesen und wieder gelesen und hab dann, als ich dann an mein Kind bekommen habe, dann auch Briefe an dieses geborene Kind geschrieben oder so, weil ich musste das natürlich schon verarbeiten. Und aber ja, ich würde sagen, die Kulturen und die Gesellschaft, die sind schon sehr beeinflussend bezüglich dieser Frage sind Rumänien eher eine Schande oder nicht? Uncool ist, keine Mutter zu sein, also als in Deutschland, in Deutschland ist es relativ normal. Also ich habe wirklich sehr, sehr viele Freundinnen, auch die keine Mütter sind.
Persönlich mache ich da überhaupt nicht, dass es fühlt sich ja, es gibt nur eine kleine Sache, über die ich mit denen nicht reden würde, einen kleinen Satz, dass ich sage, du weißt ja, wie es ist, Mutter zu sein, das würde ich nie sagen, genau also weil ich weiß, sie haben diese Erfahrung von dieser unglaublichen Liebe, von dieser wirklich bedingungslosen Liebe nicht gemacht, aber ich finde sie deshalb, die kümmern sich um Kinder, die sind sozial engagiert, die sind Flüchtlingshilfe usw usw, aber tatsächlich, habe ich das Gefühl, dass man bei uns, also in meiner Kultur in Rumänien, wird schon gesagt: Ach, und.. die Arme hat keine Kinder und das passiert in Deutschland tatsächlich nicht.»
LENA: «Ich möchte meine Kinder, glaube ich, beide so aufs Leben vorbereiten dürfen, dass sie selber entscheiden können, was sie wollen? Ich kann da jetzt gar nicht ganz allgemein sagen, dass es so oder so ist. Da habe ich jetzt gar nicht so einen Blick, mein Leben ist auch selber so schön knotig irgendwie, dass ich das gar nicht so genau. Also ich hab da nicht so einen richtigen Einblick, aber wie gesagt, ich würde schon meine Kinder darauf vorbereiten wollen, dass sie einfach dann, wenn es soweit ist, wenn sie soweit sind, wenn sie auch geschlechtsreif werden und so, dass sie da einfach anfangen können, sich Gedanken zu machen und das geht gar nicht darum, dass immer alles planbar ist. Aber es geht darum, dass man die eigene Erfüllung als Frau vielleicht einfach auch über ganz viele Wege finden kann, so… »
ANNE: «Ich finde Brigittas Perspektive da fast am wertvollsten, weil du eben ja so eine beobachtende Perspektive hast auf Deutschland. Für mich ist die Frage relativ schwer, ob in Deutschland Frauen immer noch sehr viel Druck, Schmach, was auch immer erfahren, dass sie keine Kinder bekommen, es ist definitive in den Medien, also es gab in den Medien immer wieder diesen Diskurs der Karrierefrau, die egoistisch wäre, weil sie keine Kinder will.
Ich persönlich lebe, aber schon wirklich jetzt auch viele Jahre in so einer… man sagt so schön, in so einer kleinen Seifenblase in meiner Bubble in Berlin, die einfach auch so alternativ aufgestellt ist, dass das letzte wäre, eine Frau überhaupt zu fragen, ob sie ein Kind will, genau so wenig wie ich ein Mann danach frage. Also das ist von mir persönlich auch schon sehr weit weg, das geht mich nicht an, also es ist einfach für mich kein Thema, dass ich eine Freundin oder eine bekannte Frage, “Na, und, wann möchtest du mal Kinder haben”, also das hat sich schon bei mir wirklich auch komplett ausradiert.»
BRIGITTA: «Ich wollte nach Italien auswandern seiner Zeit, weil ich mir nicht vorstellen konnte, dass mein Kind in dieser deutschen “kinderfeindlichen” Gesellschaft aufwächst. Weil… ich war fasziniert, ich kann mir … die, die Spielplätze waren so wunderschön, ich konnte mir gar nicht vorstellen, dass man einen Spielplatz so schön machen kann, und dann wurde ich aber beschimpft, wenn mein Kind etwas gemacht hat, und das war so ein Widerspruch, hat nicht lange gedauert, bis ich dann gemerkt habe, was da wirklich dahinter steckt, wo ich am Anfang total entsetzt war, dass jeder Hund wertvoller ist als mein Kind. Und das hab ich mittlerweile natürlich alles verstanden und stelle überhaupt nicht mehr die Frage oder so. Aber ich hatte damals vor, deshalb hab ich auch meinen Sohn Andrea genannt, weil ich nach Italien wollte, weil das nicht das sozialistische Rumänien war, aber ein ähnliches Eldorado für Kinder Eldorado warum…weil Kinder dort sehr beliebt sind.»
ANNE: «Also ab dem Zeitpunkt wo ich dann mit meinem dritten Kind schwanger war, wo sozusagen das Thema Mutterschaft bei mir ganz massiv auch wieder Raum so in meinem Leben eingenommen hat, hatte ich damals die Idee, so einen Verein zu gründen Rabenmütterverein, der sich in erster Linie um Mütter kümmern sollte, biologische Mütter kümmern sollte, die nicht ihre Kinder großziehen, weil ich festgestellt habe, dass dieses Tabu, das ich gebrochen habe, meine Kinder nicht aufzuziehen.
Die Stigmata, die Frauen erfahren, die Kinder gebären dann aber nicht den Rest ihres Lebens wirklich an ihrer Seite haben, extrem hoch ist also, man hat mit ganz, ganz vielen Vorteilen zu kämpfen, von Drogenabhängigkeit, psychisch krank, gewalttätig, es ist so das Allerschlimmste, es immer irgendwo mit dabei, selbst wenn eine Erkrankung irgendwo stattfindet, ist es ja, wie du auch schon gesagt hast, Lena, was ich auch total toll finde, dass du das mit erwähnst, dass das überhaupt. Das Recht da auch da ist, immer wieder Kontakt zu seinem Kind mit aufzubauen.
Ich hab ungefähr ein Jahr dran gearbeitet. Ich hab versucht über verschiedene Medien Frauen zu finden, bin aber da auch nicht wirklich weiter gekommen. Also ich hab festgestellt, dass es für Frauen, die ohne ihre Kinder leben noch so ein großes Tabu ist, dass sie nicht politisch daran arbeiten möchten. Ich hab tolle Frauen kennengelernt, die über Blog, also ich würde sagen, feministische Arbeit und gerade feministische Mutterschaftsarbeit sehr viel im Internet, ist eine sehr starke online Aktivismus geworden, also da findet man viel. Da habe ich tolle Frauen kennengelernt, die wunderbar damit umgehen mit dem Thema, dass ihre Eltern ihre Kinder nicht bei ihnen sind.
Ich habe aber auch in der Zeit feststellen müssen, wie schwierig es ist, ein Aktivismus für Mütter wirklich auf die Beine zu stellen, weil unsere Probleme, obwohl es um Elternschaft geht, so unterschiedlich sind.
Da sind Eltern, die Transidentiäten sind, Eltern, die psychische Krankheiten haben, Alleinerziehende, prekäre Lebensweisen, Rassismuserfahrung.
Körperlich kognitiv eingeschränkte Menschen, die Eltern werden möchten oder sind und damit zu kämpfen haben. Und ich hab festgestellt, wie schwierig es wirklich ist, ein Thema das so wichtig ist und auch politisch in Deutschland so wichtig ist, dass es wirklich schwierig ist, es voranzubringen.
Ich persönlich bin jetzt natürlich mit meinem kleinen Kind, das gerade zweieinhalb Jahre erst alt auch komplett in diesem alleinziehenden Fokus, das ist gerade meine Lebensrealität, das ist das, was am meisten einnimmt, die Probleme, die das mit sich bringt, deswegen auch noch mal Brigitta, vielen Dank an dich, dass du das Deutschland als Erzieher, alleinerziehend Eldorado genannt hast.
Das hat mich sehr glücklich gemacht, weil das auch mein Fokus wieder auf meine Lebensrealität, so ein kleines bisschen berührt und auch etwas verändert, glaube ich die Aussage. So Vaterschaft ist halt auch ein Thema, mit dem ich mich auch, ich würde schon sagen, viel beschäftigt habe, da in meiner Situation der Vater ja derjenige war, der die Kinder mit Hilfe seiner Familie großgezogen hat. Ich habe immer versucht. Mal die ersten Jahre ganz, ganz fest daran zu glauben, Männer machen das, können das genauso wie Frauen, das ist einfach, das ist Empathie, das ist Liebe, das ist Vertrauen in einer Beziehung, das muss doch möglich sein, dass das einfach wirklich gleichberechtigt funktioniert.
Ich hab nach Literatur gesucht, Ich hab nach Vorbildern gesucht und ich bin leider auch wirklich an den Punkt gekommen, dass auch in Deutschland, wo sich sehr viel tut, in der Väter Bewegung, wo Väter wirklich neues Verständnis auch entwickeln die einfach ihre Kinder von klein auf viel mehr betreuen wollen, dass es absolut noch nicht ausgewogen ist. Das… Ich hab, Leider Gottes, wirklich die Erfahrung machen müssen, dass Männer sich schon selbst hypen und wir die besten Väter erklären, wenn sie dann Sonntags mit dem Kind auf dem Spielplatz gehen und ein paar Monate Elternzeit machen. Und ich würde sagen, in Deutschland geht die Debatte ganz viele
um die Fürsorgearbeit, also was unter dem Begriff Care Bewegung auch stattfindet, wirklich die Frage danach, dass Frau keine Lust mehr hat, die Arzttermine, den Haushalt, die Versorgung zu machen und ich würde sagen,
der deutsche Vater hat so eine Onkelhaltung.»
BRIGITTA: «Väter geht auch ohne, das war ja mein großes Motto, Ich war ganz fest überzeugt, dass es keine Väter bedarf. Und dann habe ich aber so ganz kleine Zweifel bekommen. Mitten in diese Zweifel hinein wurde ich schwanger, der Vater war der Vater des Kindes, der Zeuge, der war einfach 7 Jahre jünger als ich, es kam überhaupt nicht in Frage.
Ich war die erste Frau mit der er überhaupt Sex hatte, das war so ein Volltreffer und deshalb habe ich natürlich dann mein Kind ohne Vater bekommen. Deshalb habe ich mich tatsächlich aus dieser ganzen Geschichte, dieses Leiden darunter, dass es so ungerecht abläuft und dass sie sich auf so viel Lorbeeren einheim sind, was sie dann eigentlich gar nicht haben, das habe ich dann, diesen Preis habe ich nicht gezahlt, aber, ich habe den Preis gezahlt, dass ich konsequenterweise 18 Jahre meines Lebens in Männer-wg gewohnt habe, damit mein Kind männliche Vorbilder hat, ich habe geguckt, als ein männlicher Erzieher, ich habe geguckt, dass er männliche Lehrer hat.
Und ich habe schon, ich denke schon, dass man das wirklich braucht, dieses Männerbild auch.
Also jetzt ganz unabhängig davon, was für ein Glück man hat und wie dieser Vater die Rolle annimmt oder ausübt.
Ich glaube, dass das sehr wichtig ist, und es ist übrigens auch eine der fast 2 wichtigsten Sachen, die ich dadurch, dass ich Mutter geworden bin, erlernt habe, das eine ist wirklich die Erfahrung dieser bedingungslosen Liebe, das Frage ich euch, man kann ja wirklich von dieser bedingungslosen Liebe reden, die man vorher so nicht gekannt hat. Und das zweite ist, dass ich dadurch, dass ich einen Jungen erzogen hab, hat sich mein Männerbild ein bisschen verbessert und ich bin von, ich glaube, ich war früher in einer Männerhasserin und das hat sich wunderbar relativiert, weil wenn du ein männliches Kind erziehst oder so, dann verstehst du das andere Geschlecht auch und so.. und an der Stelle würde ich sagen, ja, ich glaube es ist nicht schlecht, es ist schon auch wichtig, dass Männer mit bei der Erziehung sind.»
LENA: «Für mich ist das ein eher problematisches Thema, da ich beide meine Töchter ohne Vater erstmal bekommen habe, ich glaube ich bin früher auch immer schon so ein bisschen amazonenmäßig unterwegs gewesen und hab deshalb irgendwie auch gedacht, das ist nicht so wichtig. Das sehe ich mittlerweile auch ganz anders.
Also ich weiß auf jeden Fall, dass meine kleine Tochter ihren Vater unheimlich vermisst und natürlich auch ihre Oma und alle anderen Familienangehörigkeiten, die sich aus der Verantwortung gestohlen haben.
Also ich glaub, Väter sind total wichtig, ich hab jetzt keine Lösung für das Problem. Ich kann einfach nur versuchen ihr eine gute Mutter zu sein und das ist halt auch was wo ich immer wieder dran bin, dass ich immer wieder denke, das ist verbesserungswürdig, was ich da leiste, also weil sie einfach auch ein ganz wundervolles Kind ist, was immer alles lieb mitmacht, da muss man doch nie böse werden, oder? Ja, keine Ahnung, aber Väter halte ich auch für sehr wichtig eigentlich. Aber ich habe keineund das geht auch ohne.»
ANNE: «Ich glaube, ganz spannend daran ist halt einfach auch, dass die Mütter dann ganz stark wirklich danach suchen, was ist das Beste für das Kind und man halt wirklich irgendwie immer wieder merkt okay entweder das Kind braucht Identifikationsfiguren oder man muss dem Kind erklären, dass es Familienangehörige gibt, die nicht mit einem Leben, das sind Dinge, die beschäftigen uns, mit denen wissen wir uns auseinandersetzen.
Gleichzeitig ist es aber auch so, dass eben ganz oft sich Männlichkeiten eben auch komplett rausnehmen, während wir diese Konflikte, die Fragen, also das ist ja was, was einen wirklich auch ganz lange immer wieder auf ganz vielen verschiedenen Ebenen immer wieder beschäftigt, und das ist eben auch so der, der der Unterschied, den ich kennengelernt habe, dass eben, wenn Väter kindererziehende auch sehr schnell mal die Tür zu machen und die Mutter irgendwie vor der Tür draußen lassen und sagen, so, das war keine gute Mutter, die ist jetzt weg, die war nicht gut und fertig, während Frauen versuchen, in den schlimmsten Situationen irgendwie noch für das Kind zu ermöglichen, dass es einen guten Zugang hat, und das sind auch so Unterschiede, die ich dann immer wieder sehe,
dass Frauen da oft viel mehr bereit sind, einen Weg zu nehmen.
So, da ist auch so die Frage sind es braucht das Kind Vater braucht das Kind Mutter oder braucht das Kind wirklich bindungspersonen Identifikation, role Models und das ist so das was ich für mich gelernt habe, dass ich das Gefühl hab, dass das ist das Wichtigste.
Ich hab auch viel mit Leuten zu tun, die eben Regenbogenfamilien transidentitäten. Das sind ganz oft familienkonstellationen, wo überhaupt mehrheitlich vielleicht nicht mal ein biologischer Elternteil mit dabei ist. Aber so eine Liebe ist und so ein miteinander ist, dass das für die Kinder vollkommen klar ist, das ist meine Familie und das ist das, was ich ganz spannend finde.»
LENA: «Weil ich selber so tabulos in meinem Kopf bin, so selber, so tabulos denke, dass ich
tatsächlich mich überhaupt gar nicht mit auseinandersetze.»
ANNE: «Ich würde sagen, ein Tabu ist definitiv scheitern, wenn etwas in Deutschland absolut nicht OK ist, es ist einfacher mal zu scheitern und zu sagen, so, ich bin jetzt, ich habe ein Burnout mit Alkoholmissbrauch hinter mir, das sind so Dinge, darüber reden wir nicht, wir … also dieses… als ich getrunken habe, was alle mitbekommen habe, war okay, aber als man das in Angriff nimmt, dass es dann plötzlich nicht mehr okay ist, das wird dann scheitern betitelt, und das ist was, was man am besten sehr leise hält, gewisse Tabus eben sind seine Kinder nicht großzuziehen ein Tabu in Deutschland ist definitiv immer noch Sexsarbeit und Kinder haben, obwohl das ein Thema ist, das eigentlich schon immer ganz nah zusammengehört.
Viele Frauen haben die Erwerbstätigkeit der Prostitution, wenn sie Kinder haben um ihre Kinder zu finanzieren weltweit, aber auch das ist ein mega großes Tabu, also es sind schon noch Tabus da, aber ich bin halt eben auch in einem Umfeld wo wir diese Tabus nur brechen, also wo ich eben, ich sag immer so roundet bin bei Leuten die damit offener umgehen. Und das finde ich auch ganz wichtig.
Ich glaube, was das Spannende ist bei diesen Tabus ist halt auch so diese… …also was Frau halt darin halt auch immer tragen muss, was wie sie funktionieren muss.
Also wenn wir wieder zu diesem nicht scheitern dürfen, zurückgehen, das ist auch so, dass ich so das Gefühl hab, Gewalt zu Hause ist auch noch ein ganz großes Thema, was gerne verschwiegen wird. Gewalt der Frauen haben enorm viele Gewalterfahrungen. Und gerade wenn das ins ins Häusliche kommt, dann das private Umfeld kommt, ist die Frau daran selbst schuld. Warum hat sie sich nicht getrennt? Also also dieses ich hab so das Gefühl das eine ist so dieses Tabu, das löst sich bei uns, aber gleichzeitig wird das immer noch so auf das Individuum gestemmt, obwohl wir, bei ganz vielen Themen so lange schon wissen, dass es einfach politische Themen sind, aber so bei Frauenthemen und eben auch bei Mutterschaftsthemen ist es ganz schnell so ein individuelles Problem und das ist so, dieses stemmen müssen irgendwie… Das ist vielleicht auch noch unter, das stemmen müssen.
Was ich so schwierig finde, ich hatte. Ich hatte da heut eine sehr lustige Begegnung mit einem Nachbarn, der bei uns im Kiez wohnt, kurz ein Kaffee getrunken, der mir abschreiben wollte, dass ich eine typische Hartz 4 Empfängerin bin.
Ich arbeite immer sehr viel, ich war auch schon selbstständig, ich viel ehrenamtlich gemacht, politisch aktiv, aber ich bin moistens und immer wieder Hartz IV empfängerin, ich lebe auf diesem Niveau, ich bin, wenn man so will prekär, ich bin arm, ich würde das für mich aber nicht sagen, dass ich keine Karriere mache oder dass ich faul bin, aber das wurde mir auch komplett abgeschrieben so… du bist nicht der typische Hartz IV Empfängerin wo ich meine: Doch bin ich!»
LENA: «Es zeigt sich dann auch wieder der möglicherweise positivee Einfluss meiner Herkunft, meine Mutter ist eine durchaus sehr erfolgreiche Frau. Hat immer gutes Geld auch verdient und deshalb ist es also auch wenn ich selber auch Hartz IV Empfängerin bin, ist es für mich nicht Thema. Also ich weiß nicht wie lange noch und ich weiß nicht wie es weitergeht. Ich habe angefangen nochmal zu studieren, das kann ich in Teilzeit wirklich
auch sehr gut machen.»
BRIGITTA: «Karriere machen geht ganz oft damit einher, ein bisschen Rabenmutter zu sein. Und das war für mich manchmal so ein bisschen schwierig. Also ich hab tatsächlich mein Kind mit den in den Hörsaal genommen und da haben die Leute ein bisschen komisch geguckt und ich hab wirklich, ich war alleinerziehend und hab kein Urlaubssemester gemacht und hab mein Psychologiediplom gemacht und dann halt natürlich ganz oft das Gefühl, nicht nur das Gefühl gehabt, mein Kind hatte extrem viele Babysitter und er hat ja auch mittlerweile 2 Väter, also seinen soziale Vater und seinen biologischen, und ich habe schon geguckt, dass er gut versorgt ist.
Aber ich habe ihn oft abgegeben, auch da hatte ich schon manchmal das Gefühl, dass.. oder ich persönlich eigentlich nicht, ich hätte es nicht gesellschaftlich, ich persönlich hab mir manchmal gedacht. Hm, ist es eigentlich gut, dass ich Karriere… ich weiß nicht ob ich Karriere gemacht habe, ich hab jetzt mein eigenes Radio,ich hab einen zweiten Beruf, aber ja, einige sagen, ich hab Karriere gemacht, aber wie auch immer, ich hab mich immer gefragt: Hab ich sie auf Kosten meines Sohnes gemacht? Und ergibt mir jetzt das Feedback? Nee, das waren die coolsten Zeiten, wo du eine Rabenmutter warst. Da warst du abends die coolste Mutter und… ja, das hab ich gelernt.»
ANNE: «Die zweite Frage, was mein Nachbar mir dann gestellt hat wäre so, du bist ja nicht hilfebedürftig, du kannst ja arbeiten. Auch da steht ein 2 Jahre altes Kind. Wie soll ich denn arbeiten können, sag ich, es ist gerade eine Phase, wo er nur krank ist.
Wir hatten allein den kompletten Oktober zu Hause, wo das Kind nur krankgeschrieben war, also ich muss immer lachen darüber, wie also was in Deutschland immer noch für ein Bild herrscht von Hartz IV, wie viele Frauen oder Mütter spezifisch sich unwohl fühlen zu sagen, dass sie Hartz IV haben, dass es immer noch so ein Stigma ist.
Was ich persönlich gar nicht so sehe. Ich habe für meinen Teil mir ganz fest, dieses mal das ich schwanger war
mit meinem Kleinen, ganz fest gesagt, ich werde weniger arbeiten, weil diese Zerrissenheit, die du gerade auch beschrieben hast, wenn man eben Karriere macht beziehungsweise sein Studium nachgeht, seinen Interessen nachgeht und das gleichzeitig vereinen muss mit dem Kind man ist manchmal doch sehr zerrissen obwohl es dem Kind oft gar nicht schadet, hat man immer das Gefühl, man hat entweder zu wenig gearbeitet oder zu wenig Zeit mit dem Kind oder dann leidet der Haushalt wieder.
Man hat dann irgendwie immer so das Gefühl, man hat nichts richtig gemacht und ich hab mir dieses Mal vorgenommen, dass ich da nicht so sehr reinrutsche, dass ich wirklich langsam mache, die Zeit annehme, die das Kind krank ist. Dann ist das immer für mich jetzt eine schöne Hauszeit, wo ich weniger arbeite und meine Termine neu organisieren muss. Und das ist auch irgendwas…
Karriere machen, also… für mich kommt es eh nicht in Frage, selbst wenn ich jetzt noch mal ein einigermaßen guten Job hätte, die Rente ist schon vorbei mit 3 Kindern hab ich da keine Absicherung mehr, das heißt im Rentenalter bin ich je wieder auf Hartz 4 Level. Also kann ich mich da eher auch relativ gut einrichten. Also ich hab für mich vorgenommen, dann ist es so… prekäres leben,aber schön machen.»
BRIGITTA: «Ich würde meinen Kinderwunsch schon mit der biologischen Uhr in Zusammenhang bringen. Also die hat so fürchterlich laut getickt, dass ich wirklich, wirklich auf der Suche war nach guten Genen. Also ich hab mich wirklich so ein bisschen umgeguckt, na wo ist jetzt der nächste mit guten Genen oder so, weil das war…
Ich war nur 24, aber viel an der rumänischen Mutter war das relativ spät… »
ANNE: «Ich würde sagen, dass das Konstrukt, das sagt schon was, wenn ich so anfange, das Konstrukt biologische Uhr, etwas Soziales ist, was geschaffen wird. Dadurch, dass wir eben diesen Mythos haben von der bedingungslosen Liebe, ist eben auch immer so… Die Frage danach: “werde ich es bereuen, wenn ich keine Kinder bekomme” das ist ja auch das, was Frauen dann auch ganz oft gefragt werden, wie sich dagegen entscheiden, das wirst du noch bereuen im Alter, wenn du dann alleine bist.
Da kann ich nur immer sagen, ich kenne so viele Mütter, die im Alter alleine sind, Kinder kriegen ist kein Garant dafür, dass das im Alter auch wirklich funktioniert, ich muss aber auch gestehen,dass ab dem Alter von so…damals 34, 35… ich wirklich eine biologische Uhr gespürt habe und zwar wenn ich meine fruchtbaren Tage hatte, ich war so geil mann, ich konnte, ich bin wirklich feiern gegangen und hab wirklich auf die Tanzfläche nach getanzt und das war so… ich hatte wirklich das Gefühl so irgendwo zu kratzen… zu sagen “Oh. jetzt aber…” und da war ich so erschrocken darüber, dass die biologische Uhr anscheinend doch auch was körperliches ist, weil der Begriff für mich was ein soziales Konstrukt ist, dass du den Frauen so erklärt wird und einfach so ein Mythos ist, der sich einfach irgendwo hält. Und ja, aber das fand ich dann ganz lustig, als mein Körper dann plötzlich so Sexualpartner gesucht hat. Ja, in der Zeit, wo meine Kinder meine ersten beiden Kinder nicht mehr bei mir gelebt haben, habe ich auch so ein bisschen. Ja, den den Wunsch verspürt, irgendwie was zu schaffen, was zu kreieren, Karriere zu machen, wie wir schon hatten, das hab ich sehr oft mit Frauen diese Gespräche geführt, dass es ihnen ähnlich geht, dass wenn die Kinder nicht mehr bei einem sind, dass man sich nicht mehr traut, eine neue Familie zu gründen, weil wie würde das erste Kind, die ersten Kinder, das aufnehmen, wenn da jetzt plötzlich eine neue Familie ist, die funktioniert…
Gleichzeitig hat man das Gefühl man hat was loslassen, also muss man das irgendwie kompensieren und was ist schöner als zu sagen ich hab was geschaffen und das ist eben sozusagen so so ein Prozess, den einfach wirklich
viele Frauen einfach durchmachen, die keine Kinder, also ihre eigenen Kinder nicht aufziehen und bei mir war es eben so, dass ich, nach vielem hin und her, ich muss doch erstmal mein Abitur nachholen, das habe ich auf dem zweiten Bildungsweg erst gemacht.
Ich hatte dann in Berlin die Möglichkeit, in den Queerfeministischen Sexshop zu gründen und ich habe ganz tolle Sachen in Berlin gemacht. Ich war türsteherin, ich war Sexshopbesitzerin. Ich habe irgendwie so sehr, sehr stark so einen männlichen Part irgendwie in unserer Kultur dann so eingenommen und mir da Platz verschaffen und habe natürlich auch Thema Sexualität und Mutterschaft. Ja, es ist irgendwie auch ein Tabu. Was auch eigentlich mega lustig ist, wenn man es genau betrachtet, Menstruation, Sexualität… ein Thema ist, wo wir immer noch relative verschwiegen sind, obwohl es ja eigentlich so mit Mutterschaft zusammengehört.
Ja, und so hat man eben, na ja, man hat, man hat was geschafft, man hat was gemacht, das hat einem so ein bisschen Erleichterung verschaffen. Diese Aufgabe nicht nachzugehen, seine eigenen Kinder großzuziehen
und dann natürlich kann man mit Arbeit, auch wenn man viel arbeitet, kann man natürlich auch ein bisschen seine Probleme auf die Seite schieben, das ist ja auch ein ganz, ganz guter Faktor, das hilft auch gut und mir hat es auf alle Fälle auch sehr, sehr stark geholfen, dass ich jetzt nach, ich glaube, wir sind jetzt ungefähr 14 Jahre, was ich von meinen Kindern getrennt bin, von meinen älteren beiden, dass ich sage, dass ich glücklich bin, wie es mit mir geht, also ich bin sehr glücklich, wie mein Leben verlaufen ist.
Ich gucke darauf zurück, und ich bin auch stolz auf mich und das ist was, was auch ein ganz… das ist, glaube ich, auch ein Tabu, dass es mir gut geht ohne meine beiden Kinder.»
LENA: «Ich weiß jetzt, was das Tabu in meinem Leben ist. Und zwar soll ich schon, also. Nee, ganz klarer Fall. Einfach noch ein Kind zu bekommen, nachdem mein erstes Kind zu seiner Großmutter gegangen ist. Das ist das, das ist völlig tabuisiert.
Also ich glaube, dass also… in meinem Freundeskreis habe ich das große Glück, wirklich mit verständnisvollen Menschen irgendwie zu tun zu haben und allen auch meine Geschichte wirklich erzählen zu können und präsentieren oder analysieren zu können, aber ich glaube, das ist schon ein ganz großes Ding, dass ich gesagt habe, ich habe mich bewusst dafür entschieden, dieses zweite Kind zu bekommen, ich bin bewusst glücklich mit diesem zweiten Kind, also, glücklicher denn je, möchte ich fast meinen, auch ohne Mann und Pipapo.
Es ist wirklich total traumhaft und das kommt natürlich manchmal auch ein Kratz so an mir und sagt so, ja, wie ist denn das eigentlich mit einer großen Tochter? Wie geht es der denn jetzt eigentlich?
Also das hab ich in mir drin, dieses Gefühl von Tabu auf eine Art, aber es ist nicht wirklich stark ausgeprägt, weil ich zu meiner Entscheidung stehe und weil ich auch immer sage und sagen würde, die Türen stehen offen, du kannst jederzeit auch zu mir zurückkommen, wenn du das willst und wenn die das zulassen und dann müssen wir später noch mal verhandeln, was da überhaupt irgendwie Phase ist oder Phase gewesen ist. Aber ja, da sitzt auf jeden Fall was, was unbearbeitetes auch innerhalb der Gesellschaft. So also, und es ist ja auch schwer zu begreifen und schwer zu erklären. Also warum?
Ich sag, bei mir lag es einfach daran, dass ich nicht zu meiner Mutter wollte. Natürlich hätte ich die Möglichkeit gehabt, nach Nordrhein-Westfalen, das habe ich auch in der Einleitungsrunde nicht gesagt, ich komme aus dem Münsterland, es ist auch sehr schön da, und da wollte ich halt nicht wieder zurück, weil meine Mutter da eben auch war, meine Mutter ist eine sehr erfolgreiche Frau und ich kann mit ihr nicht, und sie war da mit meiner Tochter und ich habe dann gesagt, Mama, nein, tut mir leid, Tochter, und dann bin ich wieder schwanger geworden.»
BRIGITTA: «In dem Land, wo ich aufgewachsen bin und meine Jugend verbracht hab in Rumänien, der war das einfach so häufig dieser Schwangerschaftsabbruch, dass der sozial völlig akzeptiert war. Ich glaub, sonst hätte ich das auch psychisch nicht so gut verkraftet. Ich hätte dann auch in Berlin einen, also in Deutschland, und da hatte er eine ganz andere Qualität, da hatte ich wirklich viel mehr Gewissensbisse.
In Rumänien war der Schwangerschaftsabbruch so ein bisschen gegen das Regime zu rebellieren, ja, ihr gebt uns halt außer Kondome gar nichts und auch diese Kondome haben auch noch Löcher oder sind so schlecht gearbeitet und dann hatte diese so grässlich, so ein Schwangerschaftsabbruch ist vor allem so, wie ich ihn halt gemacht habe von Medizinstudenten auf Küchentischen, also ganz übel.
Das hatte so was rebellisches an sich und das hat, glaube ich, die Psyche dann besser verkraftet. Wie gesagt, als ich es dann mal hier in Deutschland gemacht habe, wo es rein theoretisch möglich gewesen wäre, noch ein Kind in die Welt zu setzen und wo ich im Prinzip, als einzigen Faktor so was ähnliches hatte was du genannt hast dieses mir zu überlegen: Oh dann haben wir doch mein Kind, eine Stiefgeschwister und das will ich nicht, ich will ihm das nicht zumuten und so was alles und da hab ich aber also unter dem Abbruch hab ich viel mehr psychisch gelitten also das war so weil es auch niemand verstanden hat, weil ich weiß auch der Vater damals, der potenzielle Vater nicht verstanden hat, weil ich doch so ne tolle Mutter war wenn ich es alleine so toll schaffe hier rum trau ich mich, dass dann nicht plötzlich zu zweit zu machen usw.
Naja und entsprechend habe ich dann auch so ein bisschen mehr darunter gelitten und ja, musste auch echt wirklich, also auch in Mindertherapie daran arbeiten, damit ich diese verarbeite, diese Schwangerschaftsabbrüche.
Ich hatte immer Angst es meinem Sohn zu sagen mit den Abbrüchen, weil ich nicht wusste wie wird er damit regieren. Mutter war da also weil wir leise, verständnisvoller, das hat von einer Psychologin erzogen als Kind, er ist immer verliebt, immer verständnisvoll, mein Sohn ist der beste Frauenversteher, den ich kenne, aber er war auch da verständnisvoll und hat gesagt: Alles klar, Mama, ich bin gerne ein Einzelkind, hast du cool gemacht?
Genauso wie er mir auch gesagt hat, auch mit den Vätern oder so. Zwischen uns gibt es nämlich so einen kleinen Witz, ich sag immer: Ich leg das Geld beiseite, damit ich dir eine Therapie bezahlen kann, weil du ja vaterlos aufgewachsen bist und er so lass stecken, es war super, keine Verlorenheit und es war alles gut.»
ANNE: «Also ich hab 2 Abtreibungen in meinem Leben, also bin sehr fruchtbar, ich hab ein Fehlgeburt 3 spontangeburten und zwar Abtreibungen und für mich waren die Abtreibungen immer was ganz Spirituelles, es war für mich immer so dieser Kontext von Leben und Tod, den ich als Frau beherberge, also fast schon so ne ich hatte wirklich immer die also ich hab immer mit Medikamenten abgetrieben, wodurch ich, so zu sagen, auch nicht unter Narkose war, damit ich es Miterleben konnte, die Wehen und den Abgang und für mich war das immer ganz stark.
Es hat mich immer ganz stark darin, mich hat’s einfach bestärkt, Frau zu sein, ich bin lebend, ich verwehre, also ich gebe leben und ich verwehre leben, und das gehört für mich zusammen und für mich hat es auch nie die Frage gehabt, so der Wert des Lebens, wir haben ja auch in Berlin immer die Demonstration der Marsch für das Leben, sowas, was ist denn Leben ist meine Eizelle, die Ausblutet, kein Leben hat es nur dann einen Wert, wenn es vereint ist oder was ist mit dem Kind das frustiert?
So, wo setzen wir denn an und sagen irgendwie, das Leben hat Wert und das nicht und deswegen war für mich eben ein Leben zu verwehren, ganz klar zu sagen, ich möchte auch wirklich sagen, ich töte dieses Leben, das war für mich immer n Teil dessen, dass ich Frau bin.
Und auch eben, wie gesagt, die Komplexität, eben meine Mutterrolle auszufüllen, sie nicht auszufüllen.
Auch in dem Kontext von Liebe geben und nicht geben, obwohl ich nicht sagen möchte, dass ich meinen Kindern keine Liebe gegeben habe.
Ich würde auch eher sagen, ich bin sehr stark rausgedrängt worden über viel Intrigen auch… ist es dennoch so, dass diese Kinder diese Liebe nicht erfahren haben, wie mein jetziges Kind erfährt. Und das ist eine Komplexität, die mich irgendwie irgendwie bereichert. Also für mich ist das ganz ganz…
Die Faszination leben eben, dass Tod und Leben und diese Komplexität, das gehört so zusammen, dass ich das einfach immer als was sehr Positives erfahren hab. Aber sind ja sehr unterschiedlich.
Ne die Wahrnehmungen die wir haben, wenn es darum geht, aber ich glaube, dass eben auch die die Fehlgeburt, ich hatte bei mir auch ein ganz starker Auslöser war, da war ich ja selbst noch ein Kind mit 15, wo ich das erste tote Kind in meinem Arm hatte, das ist was, das mich sehr geprägt.»
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