skip to Main Content

Momi, 42 anni, racconta l’esperienza dolorosa della sua gravidanza extrauterina che ha determinato la ridefinizione di sé come donna, dei rapporti intra ed extra familiari e ha potenziato il suo impegno verso l’adozione per persone single.

Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!

Ecco la trascrizione completa del video:

MOMI: «Sono Monica, ho 42 anni.
Al momento non ho figli. Le mie ragioni per il momento sono biologiche, ovvero, io avrei voluto una grande famiglia ma purtroppo, a causa di una brutta situazione che è successa, ovvero una gravidanza extrauterina che mi ha devastata, non posso più averne.
Quindi devo comunque vivere col pensiero che, nonostante sono donna perché ancora sono in età fertile e non ho nessun sintomo di pre-menopausa, non potrò avere figli.
Devo quindi considerare tutta la mia vita da un altro punto di vista; un cambiamento completamente stravolgente perché sono venuta su con l’idea che avrei avuto una famiglia, figli, un uomo accanto.
Invece quando sono rimasta incinta è scappato via.
Purtroppo mi sono dovuta vivere da sola, con la famiglia e con amici che mi hanno supportato, una grande tragedia dalla quale però sono uscita, per fortuna, viva, perché potevo anche morire perché non era stata subito diagnosticata. Quindi è stato un grande dolore, sia fisico che psicologico, che mi ha completamente stravolta; questo è stato molto forte.
L’idea di non poterne più avere a volte è devastante, a volte è qualcosa che cerco di pensare come mai mi sia successo e cerco di capire come posso utilizzare questa forza che mi sento comunque dentro, che potrebbe essere spostata su qualcos’altro.
Non è detto che non avere figli non sia anche un modo per invece creare qualcosa di diverso. C’è un poter comunque far nascere qualcosa. Io mi sono dedicata in particolare all’adozione per i single.
È un tema che sento moltissimo, l’ho sempre sentito: ho tre cugini che sono stati adottati – in realtà sono biscugini, dei cugini di mio padre. Loro hanno adottato tre bambini che ormai hanno quasi tutti la mia età, quindi ormai tre persone adulte, fantastiche. E quindi per me era molto normale avere adozioni in famiglia perché è una cosa che abbiamo sempre vissuto con grande spontaneità. Allora ho concentrato molto su questo tema la mia non-gravidanza, che vorrei – diciamo – arrivare a partorire qualcosa di più lì.

Quando aspettavo il mio luogo non c’era, ero per fortuna a casa dei miei genitori che mi aiutavano, però in quel momento c’era una tale confusione nella mia testa che mi sono sentita devastata anche da quel punto di vista. Era completamente un: “dove andrò? cosa mi succederà?”, e una paura immensa del futuro perché non ero supportata… non c’era un progetto. Perché tu puoi essere madre single ma avere il tuo progetto personale, quando invece ti arriva un’onda che ti devasta come uno tsunami e il progetto non c’è devi farti un progetto tuo mentre stai avendo un grosso dolore, e non sai come reagire e come costruire il progetto, come organizzarlo. Non è facile. Non è facile.
Avrei avuto una grande opportunità di essere supportata dai genitori di lui, che per fortuna mi adoravano, quindi sapevo che avrei avuto grande supporto. Però sarebbe stato il progetto di qualcun altro poi alla fine, non il mio, quindi avrei dovuto accettare un altro non-luogo che mi avrebbe ospitato per un periodo – spero – ma poi avrei dovuto trovare la mia strada. E magari da sola è più facile che con due gemelli, sarebbe stato un po’ più difficile trovare uno spazio. Non è facile.

Essendo figlia unica di figli unici dentro di me ho sempre desiderato anche la famiglia per tramandare un sacco di cose della mia famiglia; io comunque ho conosciuto i miei bisnonni e quindi mi dispiace non poter parlare a qualcuno che ha i miei stessi geni, di noi. Questo albero genealogico che viene potato, stroncato di netto.
E poi sono piena di cose, sono piena di cose belle tipo appunto macchine fotografiche del bisnonno, poi anche del mio babbo, della mia mamma, perché è una famiglia che nella fotografia c’è da molte generazioni, dal trisavolo, quindi dall’inizio.
E allora ogni tanto questo mi infastidisce e ogni tanto, invece, penso: “le darò ai figli dei miei amici dicendo questo a te, questo …”. Quindi ci sono dei momenti in cui ascolto ciò che a loro piace per decidere. Penso che magari queste casse, queste scatole dove ho tutte le cose prima o poi invece che scritto ‘tazzine’, ‘libri’, ci sarà scritto ‘Giada’, ‘Stella’, ‘Silvio’ e altri nomi per spargere poi in giro ciò che ho. Altre volte penso: “vendo tutto e quando sarò anziana, se sono sola, rimango in hotel così fanno tutto gli altri, io sto tranquilla in un hotel senza aver bisogno per forza di una casa dove stare”. A volte può essere anche confortevole un posto diverso, puoi viaggiare, a quel punto ti muovi, sempre avendo l’opportunità di poterlo fare, la cosa più bella è avere sempre le gambe e la forza di muoversi.
Oppure arriva un uomo che magari ha già dei figli e quindi la situazione cambia totalmente perché a quel punto hai una famiglia allargata e l’ottica è diversa; ma penso che comunque qualcosa darò in giro. Perché è bello dare.

Compianto, no; soprattutto perché vengo da una famiglia dove la compassione, nel senso proprio: “ah poverina!” non esiste, anzi immediatamente cercano di farti cambiare il dolore in una forza.
Prendi forza da questa cosa e cambia, cioè cerca di trasportarla in qualcos’altro. Trasformalo!
Quindi anche i miei amici sono stati bravissimi, soprattutto la mia migliore amica che, quando è successo, stava per partorire. Dopo due mesi ha partorito e per me è stata una tragedia e io non sono riuscita a toccare sua figlia tipo per mesi, fino a che un giorno lei – fantastica – l’ha lasciata lì vicino a me, ha detto: “io vado a fare il biberon”, è andata in cucina, questa ha iniziato a piangere a dei livelli mostruosi e io mi sono trovata, dopo dieci minuti che la lasciavo piangere lì, ho detto: “vabbè, la prenderò in collo”, e lei era lì che aspettava questo momento, mi ha dato il biberon e detto: “hai visto che ce l’hai fatta?”. E poi mi ha chiesto di diventare la sua madrina quindi io sono legatissima a questa bambina e diciamo che mi fanno fare molto la zia ecco, e quindi ho trasformato in una situazione di grande zia, molto presente, molto materna anche.
Ma compassione no, nessuno, anzi tutti intorno a me sempre a dire: “Forza! Avanti!”. Cioè può essere un’occasione per fare qualcos’altro.

Io penso che sia donne che uomini single possono adottare un figlio. Prima di tutto perché sicuramente le donne hanno maggior forza per portare avanti una maternità di questo genere perché comunque sono più abituate, sono mamme, sono lavoratrici, sono organizzatrici d’indole. Quindi abbiamo sempre più piani dove poter vivere e trovo che sia molto più naturale per noi fare una cosa del genere.
Parto sempre da questo assunto: quante donne sono rimaste vedove dopo le guerre mondiali e hanno tirato su da sole, senza risposarsi, i figli? non erano madri single?
Perché non ci dovrebbe essere qualcuno oggi che ha questa possibilità adottando? perché poi anch’io potevo essere una madre single perché mi ha lasciata appena ha saputo che cosa stava succedendo, quindi sarei stata una madre single, cosa avrebbe cambiato? Solo che avevo un uomo che aveva fatto un atto naturale? E poi?
Alla fine la trovo una cosa molto naturale avere un figlio e aiutare qualcuno a crescere, perché molto spesso si pensa che i single vogliano adottare perché è un atto di egoismo, cioè che devono essere uguali agli altri, oppure “mi manca qualcosa” o… Io trovo che prima di tutto è naturale avere un istinto di tramandare, di aiutare qualcuno a crescere e di dare; perché comunque dai amore incondizionatamente, senza chiedere altro; perché no?
Perché una legge deve decidere che io single non posso adottare? Non posso fare determinate cose? Non posso… perché che cosa c’ho di meno?
Poi lo stato di single è uno stato che non è detto che sia per sempre.
C’è chi sceglie di vivere da solo e chi per un periodo della sua vita è da solo perché non ha trovato ancora una persona giusta accanto, che non è facile da trovare. E quindi, qual è il problema?
Non è che se sono single sono una cattiva persona che non ha delle regole o non ha dei principi. Questo è lo sbaglio. Io ho le mie regole, i miei principi, come tutti gli altri. Sono cresciuta dalle suore, non faccio del male – penso – a nessuno; perché no? Non vedo il problema, come non vedo il problema, assolutamente, dell’adozione in coppie omosessuali.
Non esistono i problemi, ce li facciamo, sono problemi creati da una struttura sociale che è un po’… mi permetto di dire, è una testa veramente medioevale, e siamo invece nel Duemila e dobbiamo andare oltre.

Allora la cosa che ho provato io, fisicamente, quando aspettavo e che mi ha veramente sconvolta è il mio corpo che ha iniziato a utilizzarsi, ovvero ho detto: “sono fatta per questo, oddio!”. Cioè è stato come se, per la prima volta, si fosse veramente messo in moto e io in quel momento ho pensato: “voglio essere incinta tutta la vita!”, perché se si sta così bene… e avevo anche una [gravidanza] extra uterina quindi ero veramente messa male, però la situazione fisica è veramente quella di stare bene. È una sensazione… fisicamente finalmente il corpo che funziona, come se fosse in on.
Però no, non penso che per tutte sia così.
Io penso che in generale la donna sia più portata perché siamo noi che facciamo i figli biologicamente e li accudiamo normalmente, però ci sono tante donne che non hanno questa necessità, ma non è che non siano donne, è qualcosa di diverso.
Conosco anche molti uomini che hanno bisogno di essere padri e che si sentono molto padri, anche perché finalmente adesso è un po’ più facile dirlo, è un po’ più facile lasciarsi andare; è qualcosa che insomma fa piacere anche. Ne conosco tanti. Soprattutto quando sono separati gli viene proprio fuori quasi una ‘mammite’, diventano esageratamente padri.

Allora, mia madre mi ha fatta molto giovane, aveva 22, 23 anni e però era ancora molto figlia. Figlia di una madre molto forte, molto impegnativa, a volte debordante, e quindi è rimasta sempre un po’ figlia. Mia mamma ha con me un rapporto poco di madre e un po’ più di sorella maggiore e questo spesso non è stato molto facile per me perché io avevo bisogno di una presenza un pochino più forte, invece a volte sono io quella che fa un po’ da mamma.
Mio padre faceva l’attore quando sono nata quindi era sempre in giro e ci siamo visti poco – e anche lui, entrambi figli di separati, quindi ai tempi situazioni poco semplici – e anche lui, comunque, con una forte dose infantile all’interno. Quindi io ho due genitori poco genitori e spesso quando vogliono fare i genitori, siccome non sono abituata, iniziano i contrasti.
Mio padre quando sono stata operata e quindi ho perso questa possibilità, diciamo, lui da quel momento non si è più ripreso: stava bene e ha iniziato a invecchiare, a stare male.
Mia madre ogni tanto, invece, diventa aggressiva. E ha uno strano rapporto, è come se da un certo punto di vista l’avessi delusa e dall’altra invece si è fatta l’idea di non essere mai nonna, di non avere determinate cose che le amiche hanno e ha iniziato a odiare i bambini piccoli. Cioè li guarda e non sa cosa dirgli. Mi dice anche: “meglio così perché io non saprei da che parte prenderli, da che parte rigirarli”.
Quindi sono un po’ bivalenti, ci sono dei momenti in cui sento che il supporto è maggiore di quello di cui avrei bisogno e dei momenti invece in cui arrivano devastanti nei miei confronti come se fosse colpa mia.
Non è facile, è una situazione molto difficile perché poi basta poco che si innescano continue problematiche. E poi rimani figlia. Anche questo è un problema, cioè quando sei madre l’atteggiamento dei genitori è “sì, sei figlia, però sei anche madre” e quindi è come se tu fossi più matura.
Così io invece sono una contro due, e sempre figlia perché non mi vedono madre, quindi io sono sempre figlia e tendono a soggiogare continuamente, questo è il problema.
Ancora lo sto affrontando perché ci sono cose che stanno venendo fuori da poco, è venuto fuori a Natale, quindi qualche mese fa. Mio padre ha tirato fuori un po’, quindi dopo sei anni. Lento, e un po’ a volte uno stillicidio. Io ci sto lavorando perché comunque queste cose al momento in cui succedono tutti cercano di superarle, ma in realtà se le hai superate si vede dopo tanto tempo, non subito, perché subito c’è la forza e la reazione, dopo tanto tempo c’è quello che è veramente rimasto e vedi come gli altri hanno lavorato su questo problema. Io sono andata dallo psicologo per riuscire a trovare un equilibrio per tutto perché non solo ho dovuto superare fisicamente, ma ho dovuto superare tutto il resto che non è stato assolutamente facile. E quindi io comunque ero sola, e quando stai aspettando un figlio senti che invece hai bisogno dell’altra persona; non c’era quindi ho dovuto fare di qua e di là da sola. Poi ho cercato di ritrovare un equilibrio dentro di me.
Loro no, loro non ci hanno lavorato, questo è il problema.

Io sono stata… la mia indole sarebbe avere un posto dove poter tornare, dove tenere tutto però intanto io frullo in giro per il mondo; per un periodo era così. Dove ci troviamo è la casa dove sono cresciuta per molti anni e dove prima c’erano tutte le mie cose. Poi ho deciso di spostarmi da un’altra parte e tutte le scatole che vedete sono così da nove anni.
Io non ho fatto altro che andare in su e in giù lasciando tutte le scatole qua, cioè quasi tutta la mia vita tranne un po’ di vestiti che ho a casa dei miei genitori… insomma valigie varie. Però qua dentro c’è quasi tutta la mia vita; mancano dei mobili che sono sparsi per il resto della casa ma tutti i miei piatti, le tazzine, i libri, le macchine fotografiche del mio bisnonno che è stato uno dei primi fotografi al mondo, quindi ho un sacco di cose a cui tengo e che, purtroppo, a volte non mi ricordo dove le ho messe, non posso neanche riaprire tutte le scatole. Perché… io dico sempre che siccome sono di una famiglia mitteleuropea che si è ritrovata in Italia e ha deciso di essere italiana, e in realtà sono la prima italiana vera dopo diverse generazioni, ho dentro di me le grandi migrazioni.
Non è qui il mio posto, non lo so dov’è, io sento che non è qui; sono andata in giro a cercare dove fosse, ancora non so dov’è.
Per questo lo scatolone mi rappresenta, perché sono così tanti anni che ho tutte le cose in scatola e sto cercando di capire dove devo stare. Però non è che questo implica un’agitazione fortissima che non mi porta a fare delle cose, no, è proprio che io vado nei posti e devo sentirmici.
Non c’è la cuccia, quel senso di “ecco, sono qua!” ancora non l’ho trovato e quindi preferisco avere le cose nelle scatole in modo tale che così quando lo trovo vado via velocemente, è già tutto pronto! A quel punto non me lo devo far sfuggire il posto.
In realtà le case delle mie amiche o comunque dei miei amici che hanno figli… è cambiata molto l’idea della concezione della casa adesso.
Prima, mi ricordo quando ero bambina, le case erano tutte di un certo tipo: tutte molto curate, il salotto, quello e quell’altro. Io ho tutti amiche i cui figli dipingono sulle pareti dei salotti, fanno di tutto. Cercano di essere precise ma lasciano molto liberi i bambini di esprimersi, quindi poi alla fine ci sono delle belle case però molto distrutte. Da un certo punto di vista sì, da altri in questo, sono un po’… chi non ha figli magari è un po’ più rigido.
Io sarei per un: “No, quello non lo fai, quell’altro non lo fai!”. Sono molto rigida nell’educazione. Il pensiero per me è: un bambino sì, lasciamolo libero di esprimersi, però non mi distruggere la casa.»

Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!

Back To Top