Drammaturgo, compositore e scrittore, Moni Ovadia racconta le ragioni, professionali e private, che hanno portato lui e la moglie Elisa a non sentire l’urgenza di avere figli; affronta il ruolo che la religione ha giocato nella definizione della famiglia tradizionale come centro radiante della società.
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Ecco la trascrizione completa del video:
MONI OVADIA: «No, non ho scelto in modo deciso, io ho avuto una consapevolezza molto forte che se uno mette al mondo un figlio se ne deve occupare davvero. Cosa che succede sempre di meno nella nostra società. Che occuparsene significa impegnare tempo, energia, e che col tipo di progetto di vita che avevo io diventava piuttosto complicato.
Per anni e anni ho vissuto una vita molto balorda, e pur avendo avuto compagne, diciamo diverse compagne nella mia vita, anche alcuni rapporti lunghi, però non sentivo che ci fosse un legame, pur essendo ottimi rapporti, un legame tale, perché poi io so che c’è la logica, esiste una logica presso alcuni: sì i figli si fanno non ci si pensa tanto poi…. Ecco, io non ho mai avuto questa logica, non vengo da questa logica, non ho avuto una formazione religiosa per cui i figli diventano una sorta di modus vivendi, ho visto troppi disastri, di genitori normalissimi, combinare autentiche catastrofi con i figli, cioè generando infelici, sbandati, drogati, troppi ne ho visti.
Allora, diciamo che poi ho conosciuto la mia attuale moglie, è stato un grandissimo amore, una grande relazione; considero Elisa, prima che una donna meravigliosa, una persona straordinaria, e a quel punto eravamo nella possibilità di mettere al mondo perlomeno un figlio. Elisa aveva 35 anni quando ci conoscemmo, 35 e mezzo e io 49, 49 e mezzo, e però a quel punto si determinò una cosa abbastanza curiosa. Elisa mi disse: “non ho questa urgenza, non ho questa urgenza di far figli; se tu vuoi, se tu hai l’urgenza allora…” e io a mia volta dissi: “no, io non ho l’urgenza. Io ero pronto con te, nel senso che ti consideravo la donna per quanto, tanto ti abbia aspettata, ti considero la donna con la quale io costruisco la vita, il progetto di vita. Non è solo una relazione interindividuale è molto di più che questo. Per questo te l’ho detto e te l’ho proposto subito”. Ma vedendo che lei non aveva questa urgenza e questa convinzione, e che… se tu non vuoi, ammesso di potertelo permettere, fare crescere i figli con la tata, significa che devi fare molti sacrifici. Soprattutto siccome il mio lavoro mi portava via 200, 250 giorni l’anno, la persona doveva dire: “sono io che devo stare a casa”.
Allora Elisa non aveva questa urgenza perché lei ha le sue ferite emozionali, di crescita, pur avendo avuto una famiglia normale, come si dice, ma queste sono cose di Elisa, sì, no… lei aveva una ragione forte. Non… nient’affatto come si dice superficialmente egoistica perché lei è una persona di una totale generosità, si prende cura di tutti.
Per esempio Elisa aveva con suo padre, un uomo straordinario, un grande artista, un pittore, secondo me davvero geniale e grande direttore della fotografia… vedere Elisa con suo padre è una delle cose più commoventi, di tenerezza umana che abbia visto. Ma altrove c’erano delle ferite. Questa è la vita di Elisa dovrebbe parlarne lei, ma ho capito che non c’era questa pulsione e poi col fatto appunto che io ero impegnato in una vita… certo ho delle amiche e colleghe che fanno questo lavoro, ancora una volta non faccio nomi, di fronte alle quali io veramente mi inchino, perché hanno cresciuto figli facendo questo mestiere di teatranti con inenarrabili sacrifici, cioè viaggiare 10 ore di notte per farsi trovare nel letto del figlio, e hanno cresciuto figli davvero magnifici. Strano no? Famiglie normali magari hanno cresciuto figli disgraziati, e loro con queste vite turbolente eccetera hanno cresciuto figli magnifici, delicati, forti, umanamente stupendi. Il punto è quanto affetto si dà, il resto sono solo chiacchiere.
Sappiamo tutti che la voce del sangue non esiste, è una delle più grandi stronzate che sia mai stata inventata: cioè la voce che crea i legami, è la voce dell’affetto, del rispetto, dell’accoglienza del figlio come creatura amata, ma anche nella sua alterità, nella sua dignità. Va beh, comunque insomma… Questo alla fine, queste motivazioni ci hanno portati a non avere figli e nessuno dei due ha grandi rimpianti.
Io amo moltissimo i bambini, non so se sarei stato un buon padre, ma sicuramente sarei stato un padre molto affettuoso. I bambini mi adorano, io adoro i bambini, sto bene con loro e ecco adesso lo ridico, se lei mi permette, ho avuto io dei legami molto forti, non consanguinei, con una mia nipote acquisita, figlia della sorella della mia prima moglie, con la quale mantengo tuttora rapporti vivissimi e Marzia l’ho tenuta in braccio quando aveva tre ore, ho avuto un periodo breve di coabitazione, ma Marzia… ci sono stati dei momenti che i suoi genitori hanno avuto dei piccoli problemi come tutte le coppie, veniva a stare da me. E io ho un forte legame con lo studio delle lingue straniere, anche faccio… la molteplicità delle lingue per me è anche una tavolozza artistica, ma studio sempre una nuova lingua, lei è rimasta molto molto impressionata, infatti ha fatto l’interprete. Nella vita ha fatto, ha tentato anche la via musicale, era anche dotata ma poi ha scelto quello e adesso vive a Parigi, ha un marito incantevole, un geologo napoletano di una simpatia travolgente, che io adoro, Marzia in questo dice: “Lo amo alla follia perché mi fa ridere”…E ci vediamo pochissimo, abbiamo un legame fortissimo e abbiamo avuto un legame davvero straordinario, per cui lei ha avuto, ricevuto da me diciamo questa influenza o comunque questo dono, questo scambio no? Poi in particolare lei, ma anche l’altra nipote Raffaela, la portavo all’asilo per certi periodi, mi chiamava… era pestifera Raffaela, era vivace, stupenda, era bellissima, era come camminare con un elefante rosa vicino… rimanevano tutti… aveva questi occhi, ed era una meravigliosa teppista, mi chiamava “mammo”! E insomma però ho sempre avuto una relazione molto forte con i bambini, ce l’ho tuttora.
Ho delle amiche che ho conosciuto da piccine piccine: Costanza che è palermitana, appena arrivo a Palermo lei mi manda dei messaggi super passionali, noi giochiamo un po’ come di essere amanti. Ha cominciato a lavorare con me, aveva sei anni, Costanza, poi ha rilavorato con me che ne aveva dieci, e poi da allora son passati degli anni, l’ho rivista, impegnata in politica, piena di vivacità… adesso l’ho rivista recentemente, e abbiamo proprio… quell’esperienza è stata, si è stabilito un legame. E Bibi la figlia di due miei amici palermitani che mi vogliono un bene dell’anima e lei appena arrivo, arrivano i messaggi, le feste, ci dobbiamo vedere. Ho sempre avuto una comunicazione forte, intensa, facile, per questo credo sarei stato un padre molto affettuoso, molto indulgente, forse troppo indulgente, però sicuramente appassionato per trasmettere, per condividere, per… ho sempre detto anche alle mie amiche giovani giovanissime, quando volete venire in teatro, venite e dite “sono la nipote di Moni, dite che siete mia nipote”.
È naturale per me guardare con una grandissima tenerezza e attenzione coloro che sono nell’età dei miei figli, alcuni potrebbero essere mie nipoti, potrei essere il loro nonno: è una dimensione davvero veramente meravigliosa. Però ecco non vivo questa mancanza come un vulnus, una…come posso dire un handicap, una menomazione, no, no… perché così, le cose sono andate in questo modo, c’è stato un farsi delle cose che ha portato a questo. Del resto ho riflettuto, a volte i padri famosi sono piuttosto ingombranti. Ha avuto anche da lamentarsene il mio fratello maggiore, scherzosamente, se ne è lamentato; anche mio cugino che era quello che aveva fatto successo economico. Una volta mi ha detto con aria malinconica: “Mi credevo chissà chi, sono solo il cugino di Moni Ovadia!”
Naturalmente questo è anche un modo affettuoso di riconoscermi un cammino, che il mio è stato tardivo, perché ho avuto successo, la mia vita è svoltata a 48 anni. Di mio fratello non faccio a tempo a dire il cognome che… Credo che avere un figlio, soprattutto un figlio maschio, essendo il padre la figura… forse avrei potuto essere faticoso, non necessariamente, però sentirsi continuamente sollecitare. Comunque al di là di queste considerazioni, non è stato per questo… è stato per quello che ho spiegato.
Io non ho mai avuto, e mi son sempre reso conto che di fronte a un figlio che non ha chiesto di venire al mondo, ma che è stato messo al mondo, noi oramai siamo una generazione, cioè, siam passati da quella…per esempio la generazione dei miei genitori era convinta che averti messo al mondo fosse qualcosa che li legittimava ad un diritto di proprietà. In milanese c’era un modo di dire assolutamente terrificante, ma anche gagliardo, “io ti ho fatto, io ti disfo” e allora questa era una concezione che aveva una certa generazione. Invece i figli non chiedono di essere messi al mondo, allora noi abbiamo degli obblighi nei loro confronti. Perché? perché la loro vita è stata decisa da noi, e non da loro, allora dobbiamo essere talmente straordinari da fare sì che ad un certo momento loro dicano “sì, è stata decisa da te ma adesso la vita è mia, me l’hai trasmessa e mi hai donato l’autonomia, la capacità di vivere” e non è facile. È un’impresa rara e infatti noi vediamo… alla famiglia, e per via appunto delle religioni che hanno fatto della famiglia il centro radiante nel loro senso, vale per l’ebraismo, vale per il cristianesimo, vale per l’islam e per le altre, ha preteso un’autolegittimazione ad essere giusta in quanto tale. Non è assolutamente così. Non è assolutamente così. Adesso per esempio in tutte queste deliranti aggressioni all’idea delle famiglie omosessuali, come responsabili… le vedono come nefaste, nefande, o in quanto tali pericolose… tanto bisogna dire che gli omosessuali fino a prova contraria, nascono in famiglie eterosessuali, quindi questa è una totale idiozia. E io sono convinto che due padri e due madri possano determinare una famiglia affettivamente, sentimentalmente, educativamente parlando molto migliore della cosiddetta famiglia naturale, che naturale non è, questa è… Che diciamo un certo mondo rivendichi come una grande idea quella della famiglia monogamica, fino a qui se parliamo culturalmente, e dal punto di vista istituzionale, può essere, ma che sia naturale… l’omosessualità è stata naturale da sempre, e la poligamia è stata naturale da sempre, persino l’incesto è stato naturale in un lungo periodo della storia dell’umanità. Quindi bisognerebbe abbandonare questo terreno molto molto pericoloso e molto foriero di visioni di impianto eugenetico o comunque di non…una presunta naturalità, per cui chi non si conforma a quella naturalità è già in qualche modo una depravazione del naturale. Cosa assolutamente falsa, così come la famiglia che non è legata dal matrimonio, ma che è legata dalla convivenza, insomma tutte queste cose mostrano che l’umanità è molto più complessa e molto più ricca di quanto non la si voglia far passare magari per pura ragione di potere e di dominio sulle anime e sui corpi volute da chierici, ma peggio ancora, quelli che non sono chierici ma fanno le veci, i politici-chierici per intenderci, di ogni religione.
Ma io credo che le Scritture siano largamente equivocate. Io ho un po’ più di frequentazione con la Scrittura ebraica, tutti questi, non so, tutti questi pilastri granitici… intanto io sono convinto di una cosa, io sono agnostico, ma sono convinto che la religione è affare di uomini. Al Padre eterno non interessa tanto. C’è un bellissimo brano di Isaia che non cesso di rileggere, l’ho messo nel mio prossimo spettacolo, che dice attraverso la bocca di Isaia, il Profeta che gli dà la voce, dice agli Ebrei: “I vostri incensi, sacrifici no non ne posso più, mi fanno schifo, mi fanno venire il voltastomaco. Le vostre preghiere io non le guardo, i vostri sabati, i vostri noviluni, non sopporto delitto e solennità”. E dice ciò che gli interessa: praticate il bene, cioè rifuggite il male, praticate il bene. Che cos’è il bene? Ricercate la giustizia, combattete a fianco dell’oppresso, perorate la causa della vedova e delle donne, cioè la giustizia sociale. Questo interessa al buon dio, ammesso che lui esista, cosa della quale io fortemente dubito. Ma la religione è un problema di uomini, e che cosa dovrebbe essere la religione? Io amo molto le cose religiose, se fanno il loro mestiere, celebrazione e santificazione, non andare a ficcare il naso negli affari della gente, o dio ti punisce se fai questo o fai quell’altro. Figuriamoci il buon dio dà la più solenne proibizione ad Adamo ed Eva nel cosiddetto Paradiso, dice “non mangiate di quel frutto in questo arco di tempo”, ma quando quelli decisero di mangiarlo si guarda bene dall’impedirglielo. Cioè come dire: “voi siete liberi… pagherete le conseguenze”, le conseguenze le conosciamo no? Arrivano i due cretini, perché il peccato siccome … un grande maestro, col quale ho studiato, diceva: “Troppo cretini pensare di acquisire la conoscenza mangiando un frutto”, la conoscenza è un processo, un travaglio, è un misurarsi, infatti vengono mandati nel mondo per conoscere, con i prezzi che si pagano. Allora io non credo che ci sia un giudizio definitivo, perché la sterilità di una donna, certo laddove i figli e la famiglia sono centrali sono il senso perché il progetto passa attraverso la costruzione della famiglia e della società fondata sulla famiglia, perché l’ebraismo è il primo che fonda la socialità proprio nell’episodio del cosiddetto sacrificio di Isacco, che non si chiama sacrificio di Isacco in ebraico è “aqedah di Isacco” che vuol dire “legatura di Isacco” cioè è la rappresentazione di questo sacrificio che non avverrà, e che cosa succede; Abramo dichiara al mondo, con la complicità, è un’alleanza fra generazioni, il figlio non appartiene al padre, il figlio appartiene alla società, al futuro, e tant’è vero che Isacco si sposerà fuori della tribù. E allora, però, anche la società si fonda su un’alleanza fra generazioni, e l’alleanza più forte, primaria, viene nella famiglia. E infatti laddove la famiglia è una famiglia chiusa, occlusa, la società è chiusa e occlusa.
Allora l’ebraismo ha nel Talmud la sua grande altra parte della Bibbia, si chiama la Torah orale, la Torah shebbikhtav quella scritta, la Torah shebé’alpé quella che sta sulla bocca.
Il Talmud e pure l’interpretazione dei grandi maestri mostrano che tutto l’insegnamento è contraddittorio e naviga sempre sulla centralità etica dell’integrità dell’essere umano. Faccio un esempio: il mamzer il cosiddetto “bastardo”, cioè quello che è un matrimonio misto, viene detto di lui che non può entrare in sinagoga. Però poco più in là nel Talmud si legge che un mamzer, un bastardo, può essere il più grande dei re. E cos’è il re non entra in sinagoga? Quindi è tutto giocato su diversi biblisti, diversi talmudisti, sulle contraddizioni, perché deve crescere il pensiero attraverso le contraddizioni e anche attraverso interpretazioni scabrose che però devono attivare l’interpretazione più alta. Quindi l’ebraismo è molto molto intrigante, ed è di una complessità e di una vastità inimmaginabili.
Allora ecco che, una volta confrontandomi con un rabbino ortodosso il quale ha avuto 17 figli con la stessa moglie, attenzione le donne possono prendere gli anticoncezionali nell’ebraismo, gli uomini no ma le donne sì, cioè lei l’ha scelto di fare tutti quei figli. È stata una scelta.
Ebbene io consideravo una volta un po’ amaramente, dice sai anche in yiddish si dice che un uomo senza figli non è un uomo compiuto, è un “mezzo uomo”, eh dice “ma tu con i bei discorsi che fai”, mi dice lui, “quanti figli hai, quanti ti ascoltano e traggono da te quello che è il primo compito di un padre, perché non credo che sia mettere uno spermatozoo il compito di un padre, serve a formare, educare”. Ed era un ortodosso.
Come dire, uno può essere figlio, può essere padre se si assume la responsabilità di essere padre con i giovani che incontro. Io faccio incontri nelle scuole, nell’università, e dopo anni ricevo ancora mail delle persone che rimangono impressionate dall’esser stati accolti. I confronti, non mi stanco mai non mi fermo mai fin che c’è un solo giovane… ci sono molti modi di essere padre e madre.
Nel mondo cristiano diciamo l’esempio è quello delle monache, le monache le chiamiamo “madre” o “sorella” anche se non lo sono. Vogliamo dire che Madre Teresa di Calcutta è stata una donna sterile? Chi se lo sente di dirlo? Quindi mi sembra che questa sia alla fine dei conti la solita questione del potere intimidatorio e di usare degli argomenti solo a scopo di legare una visione occlusa per favorire il potere che gestisce l’ideologia. Laddove questo non c’è allora padri e madri sono concetti molto più nobili, molto più alti. Del resto ci sono padri e madri naturali, e lo dico in modo un po’ forte, che fanno letteralmente schifo, che non sono stati padri neanche dei propri figli che hanno avuto vicino, indegni di portare questo nome e questo titolo. E allora solo perché hanno prestato una condizione esistenziale o meccanica, cioè un utero che ha tenuto nove mesi una creatura, ma non ha capito niente del significato della gravidanza, o un padre che ha appunto prestato uno spermatozoo, questo significa essere padri e madri? No, è ben altro. Naturalmente alcuni attribuiscono alla generazione, stricto sensu, un surplus, un valore aggiunto. Io non credo che sia così. È solo un’opinione. Io non credo che sia così.
La paternità, la maternità sono costruite nei sentimenti, nelle emozioni, nei gesti, soprattutto nella trasmissione di sapere e di etica. Lì si costruisce, si costruiscono paternità e maternità.
Ci sono molti modi di esprimere la paternità e la maternità. Due miei amici, che io considero forse fra le più grandi figure di padre e madre che abbia conosciuto, hanno adottato tre bambini bielorussi. Sono stati degli eroi. Quale genitore naturale avrebbe il coraggio di fare altrettanto? Ce ne sono eh, anche naturali che adottano. Ma… che cosa vuol dire? Io credo che non ci sia nessuna ragione per gettare discredito su chi ha fatto scelte diverse da quelle considerate la via giusta. Non ci sono vie giuste in quel senso. Ci sono diverse vie che si possono prendere. Poi c’è una grande cosa che dice, mi sembra che sia il Pirkei Avot questo testo ebraico, le massime dei Padri dove è detto: “non giudicare il tuo prossimo, finché non ti trovi nelle sue condizioni”. E se posso chiosare alla mia maniera, e “quando ti ci trovi ti passa la voglia di giudicare”.»
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