Paola, dentista e insegnante di Yoga, racconta le ragioni che l’hanno portata a non avere figli: la separazione dei genitori, la differenza d’età con i fratelli, l’assenza di un partner, l’impegno nel lavoro. Paola riflette sulla condizione di maternità spirituale, di crescita e scoperta personale che l’individuo è chiamato a intraprendere indipendentemente dalla maternità biologica.
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Ecco la trascrizione completa del video:
«Sono del ’64, ho quarantotto anni tra un po’, ancora no. Non ho figli, non sono sposata, per lo meno qui. Non penso di averne, anche per i limiti naturali della cosa.
Ho sempre ritenuto forse per cultura, non necessariamente per mia invenzione, che per avere un figlio è bene che ci sia una figura maschile e femminile. Per lo meno la nostra società è basata su questo. E siccome io non sono riuscita a trovare un legame affettivo che potesse garantire per me una certa continuità, necessaria per un figlio, non ho mai affrontato la cosa al momento, e quindi poi piano piano la realtà è andata così.
Però penso che le pulsioni che si sentono a venticinque anni, insomma nel momento massimo dell’età fertile diciamo, le ho sentite chiaramente e avrei voluto. Però forse perché mi sono nati dei fratelli in quel frangente, e quindi ho vissuto indirettamente la maternità perché avevo dei bambini in casa da giovanissima – uno è nato quando io avevo ventidue [anni] e l’altra quando ne avevo ventisei – , per cui li ho sentiti come figli alla fine. Solo che, chiaramente, non potendo incidere più di tanto sull’educazione di questi figli, ho vissuto diciamo la parte più brutta della maternità, nel senso che magari c’erano le difficoltà di un bambino che piange, fa le bizze eccetera, senza però poter interferire più di tanto nel modo di educarlo, ecco.
Così mi è passata un po’ la poesia, e poi penso anche che tanti fanno i figli come soluzione di crescita individuale a scapito dei figli stessi. E questo io l’ho vissuto sulla pelle, perché i miei si sono separati. Hanno aspettato che io avessi diciott’anni anni per separarsi, però litigavano da quando li conosco, per cui in qualche modo secondo me ha influenzato questo rapporto tra di loro, anche nelle mie decisioni. Sono sempre stata timorosa nei confronti di un rapporto con un uomo perché l’esperienza familiare non è che mi ha aiutato, ecco.
La mia mamma addirittura mi diceva il contrario: “Fa’ quello che vuoi ma stai attenta perché si rimane incinta”. Questo è stato il dogma della mia adolescenza, insomma, facendomelo apparire come un limite, non come una cosa bella da affrontare, no? “Perché poi dopo ti leghi, devi stare attenta, scegliere con accuratezza, eccetera eccetera…”. E il babbo invece diceva: “A casa mia i figli li faccio io, quando vai fuori di casa fai quello che vuoi”.
Chiaramente avendo fatto l’Università e cominciando a studiare, a lavorare in età più grande, nel periodo proprio della massima pulsione fisica questa cosa è stata molto limitante.
Poi dopo c’è stato anche il problema che cominciavi a lavorare e quindi ti dovevi fare strada, ti dovevi impegnare notevolmente sul lavoro perché chiaramente si sa che, insomma, un libero professionista femmina ha dei limiti, viene posto di fronte a esami maggiori da superare, per lo meno nella mia realtà di paese ecco. Per cui mi sono dedicata al lavoro, notevolmente.
Dopo, intorno ai trent’anni è capitata una persona con cui stavo molto bene, però anche lì non ci siamo trovati nel tempo, perché quando lui voleva fare un figlio io ancora non ero pronta, quando avevo deciso io lui ci aveva ripensato, per cui, insomma, la storia è andata un po’ così.
Oggi non lo so perché non mi interessa, ne sto totalmente al di fuori. Mentre invece quando magari ero giovane, in qualche modo ne sono stata condizionata perché tipo, quando i miei si sono separati, perché sono stati la prima coppia – appena è passata la legge sul divorzio, praticamente loro si sono adoperati per affrontare questa situazione – nel paese erano i primi che si separavano e poi erano anche personaggi in vista, perché mio padre era il medico, la mia mamma era la preside della scuola, e quindi ci sono stati un po’ di problemi – il prete faceva passare in brutta luce la mia mamma – ci sono stati vari problemi, in paese era diventato uno scoop insomma. E noi, io per lo meno, io ne ho subito le conseguenze. Mio fratello era più piccolo e forse, essendo maschio, ne ha risentito meno. O forse anche perché lui ha un carattere che tende a evitare i dolori, mentre invece io di solito se li sento cerco di indagare, e va a finire che magari li perpetuo.
Sì, per esempio nel lavoro i pazienti a volte mi chiedono: “ma.. lei c’ha figli?” e io gli dico di “no” e loro si dispiacciono, dicono: “ah, peccato”, come se fosse un trauma o una grande perdita. Non lo so. Cioè mi compiangono, ecco.
Acquisisci quello che un figlio ti può dare diciamo, tra virgolette, “gratuitamente”. Se non ce l’hai lo puoi ottenere lo stesso però indagando molto di più su te stesso, su te stessa. Voglio dire che affettivamente un figlio ti apre il cuore, mentre se non ce l’hai devi imparare a tue spese ad aprirlo. Cioè solo su di te. E questo secondo me è importante perché prima di tutto è una cosa che se riesci a farla non te la toglie nessuno, perché è solo tua, cioè è una crescita personale raggiunta da sola insomma. E poi se anche fai degli errori non coinvolgi altre persone, mentre invece se lo fai a spese di un figlio magari a volte lo puoi anche traumatizzare, come tanti figli che conosco vengono traumatizzati. Vedo che comunque tutti un po’ quello che hanno subito lo rifanno ai figli, anche se quando lo subiscono si rendono conto che è un danno, però alla fine non sanno comportarsi diversamente, alla fine perpetuano gli errori dei genitori che hanno precedentemente condannato. A me è capitato di vedere spesso questa cosa e quindi, siccome mi rendevo conto che io ero abbastanza traumatizzata volevo prima pulire tutto, prima di affrontare una cosa così grande, di prendersi la responsabilità di non fare male a un essere che si affaccia sulla Terra, che dipende tutto da te, e che quindi è facilmente vulnerabile, ecco.
Si può manifestare anche senza il figlio insomma perché lo si può trasmettere prima di tutto ad altre persone che in quel momento hanno bisogno di questo aspetto, e magari la madre naturale in quel momento non riesce a darglielo perché presa da altri problemi, personali o del momento. E quindi a me è capitato di trovare delle figliocce ad esempio – di solito tutte femmine, però. Tipo c’è la Selene, la figlia di un mio amico. E lei quando i suoi genitori si stavano separando era piccola, aveva dodici anni, mi rendevo conto che la trattavano con molta indifferenza perché erano presi dai loro problemi di coppia, e quindi non si rendevano conto del male che le stavano facendo. Io avendola subìta questa cosa ho un occhio particolarmente attento, e quindi in qualche modo ho cercato di aiutarla insomma, e penso che anche lei abbia sentito questa cosa perché siamo ancora in ottimi rapporti, anche se vive a Londra da sette anni ci sentiamo spesso. Sono un po’ una madre acquisita ecco.
Mi viene da pensare più ai fiori recisi ecco, che abbelliscono la tavola anche se poi dopo non daranno il frutto, capito? È una cosa che è più spirituale diciamo, nel senso che non c’è bisogno della materia per avere questa soddisfazione. E quindi ti dedichi più magari alla parte appunto… siccome non si deve essere attaccati a niente perché comunque questo mondo lo si dovrà lasciare, quindi la materia ci lega, se ti senti coinvolto, proprio anche fisicamente – perché insomma il parto, il figlio lo devi accudire, dargli da mangiare, farlo crescere eccetera – ti forgia tutta la persona partendo dal basso. Però probabilmente si può riuscire ad avere lo stesso aspetto di donare, di amore incondizionato eccetera, senza la necessità del vincolo della materia, perché comunque la materia finirà. Cioè questo vincolo madre-figlio o genitore-figlio deve comunque finire, perché altrimenti non è più un atto d’amore ma un sequestro, che spesso i genitori fanno nei confronti dei figli, no? ché hanno paura di lasciarlo andare; non lo vogliono far crescere perché in qualche modo diventa linfa vitale da succhiare più che da dare, capito? E allora chi riesce a donare senza bisogno di avere in cambio questa cosa materiale di soddisfazione immensa che penso ti possa riuscire a dare un figlio – perché vedo che mi dà soddisfazione una piccola cosa che faccio, figurati un essere umano a cui doni la vita, dev’essere una cosa fantastica – però penso che non sia obbligatorio per l’evoluzione individuale, e quindi chi anzi sceglie di non averlo secondo me addirittura cerca di evolvere la razza umana a livello spirituale senza bisogno appunto di passare dall’animalità, ecco.
Riuscire ad avere un istinto materno senza il limite della materia penso che sia il non plus ultra. Cioè riuscire a considerare tutti figli, tutte le persone che incontri dei figli, e quindi disporsi a cuore aperto e cercare di dare il meglio, il massimo a quella persona anche se la vedrai solo in quell’occasione, ad esempio, senza bisogno dell’attaccamento, di avere in cambio qualcosa necessariamente. Invece spesso i genitori possono diventare anche soffocanti e quindi bloccare lo sviluppo del figlio perché si attaccano in maniera spropositata. Ed è giusto che ci sia questo attaccamento nel periodo in cui il bambino non è autosufficiente, ma poi bisogna cercare di dargli modo di diventarlo il prima possibile, autosufficiente perché dev’essere un uomo nel mondo e non una tua propaggine, che puoi dominare e indirizzare nella vita. Non puoi vivere la vita del figlio, cosa che invece spesso i genitori purtroppo fanno, scivolano in questo errore.
Le storie familiari appunto verranno acquisite dai nipoti perché bene o male le vivono tramite i loro genitori e anche io in qualche modo do un contributo alla famiglia. E poi non è necessariamente tutto da salvare, insomma, anche se non rimane niente va bene uguale, quello che serve lì per lì poi si vedrà. »
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