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Silvia, psicologa e attivista dell’associazione “Famiglie Arcobaleno” di Cagliari, racconta del suo profondo desiderio di diventare mamma, realizzatosi tra gioie e difficoltà, quando era ancora lontana, di quasi un anno, l’approvazione della legge sulle Unioni civili che hanno regolamentato, dal 2016, i diritti e i doveri delle coppie di fatto, eterosessuali e LGBT.

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Ecco la trascrizione completa del video:

SILVIA: « Io sono Silvia. Ho quarantadue anni. Sto insieme a Fabiana da ormai più di dieci anni, abbiamo tre figlie femmine: una figlia adolescente, una figlia di sei anni e una figlia di appena un anno. Siamo una delle tante famiglie omogenitoriali che vivono in Sardegna, in Italia. Facciamo parte dell’associazione “Famiglie Arcobaleno”, un’associazione che ormai racchiude un migliaio di persone gay e lesbiche che hanno realizzato un progetto di genitorialità all’interno della coppia o che desiderano diventare genitori.
Inizio a raccontarvi qualcosa di me. Torno un po’ indietro nel tempo, mi piace tornare indietro di vent’anni.
Quando avevo vent’anni, stavo ancora crescendo, mi stavo formando come donna, e una cosa avevo ben chiara: avevo ben chiaro il fatto che io volessi diventare madre. Non avevo ben chiaro come perché allora avevo un fidanzato, ma mi sentivo molto stretta in questa relazione e quando mi immaginavo in una famiglia tradizionale, non riuscivo più a vedermi, però sapevo che sarei voluta diventare madre. Questa era una certezza, non sapevo come.
Finita la mia relazione sentimentale, ho iniziato così a guardarmi intorno. Ho capito che forse non mi sarei più innamorata di un uomo, ma che mi sarei innamorata di una donna e continuavo a pensare che comunque la maternità avrebbe fatto parte della mia vita e che avrei trovato il modo di farlo. Anzi, ripensandoci adesso mi fa sorridere anche quanto fossi ottimista allora!
Vent’anni fa non si parlava, come adesso, di riuscire a fare figli con le tecniche di procreazione assistita, almeno, non se ne parlava così tanto come se ne parla adesso. Eppure, io ero fiduciosa, sapevo che avrei trovato il modo.
Poi ho incontrato nel mio percorso una donna che aveva già una bambina. Ci siamo innamorate. Una cosa che ci ha unite da subito è stato proprio questo desiderio di maternità perché spesso nelle altre donne, soprattutto nelle altre donne lesbiche, non trovavo questo desiderio che avevo io di famiglia e di maternità. Quindi questo ci ha legate molto e con tante difficoltà abbiamo scelto di costruire una famiglia insieme.
All’inizio non pensavamo di avere altre figlie, perché le difficoltà sono state tante, devo dire. Lei usciva da un matrimonio, quindi una situazione complicata.
Io mi sono presa cura di questa bambina, assumendo un po’ il ruolo di altro genitore. Cioè questa bambina aveva due genitori, però io me ne sono presa cura. Però c’era qualcosa dentro di me che mi rendeva un po’ triste. Ricordo sempre – questo poi lo racconta la mia compagna – che un giorno, tornavo da un viaggio di lavoro fuori, fuori dall’aeroporto c’era il bambino di una mia collega che le è corso incontro e io uscivo da lì e ho detto: “Quanto mi piacerebbe che mi corresse incontro qualcuno, mio figlio o mia figlia!”, perché questa bambina che c’era, sì io me ne prendevo cura come se fosse mia figlia, ma in realtà era una situazione diversa; e quindi così la mia compagna, che in quel momento veramente non pensava di investire in una scelta del genere, un giorno mi manda una mail e mi dice: “senti, ho mandato una mail a una clinica in Spagna, a Madrid. Siccome ne abbiamo sempre parlato soltanto in linea molto teorica, ma insomma non per farlo il giorno dopo, del tuo desiderio di avere un figlio, devo dire la verità: adesso non è proprio il mio desiderio, però sento che c’è qualcosa che ti manca. E quindi ho mandato [la mail]. Prendiamo le informazioni e vediamo.” Da lì siamo partite subito. Ho fatto due tentativi, sono rimasta incinta di una bellissima bambina che si chiama Sara che adesso ha sei anni. Io e la mia compagna siamo andate a convivere insieme. Abbiamo fatto coming-out ovunque, nelle famiglie di origine, a lavoro, tra gli amici. Quando è nata Sara è stato un miracolo, un’emozione bellissima. È stato bello vedere come fosse veramente il frutto del nostro amore. Sara non era mia, era nostra, era veramente un miracolo in quel momento.
Passato del tempo, la mia compagna che, appunto dicevo, non aveva desiderio di maternità a un certo punto ha detto: “Che ci fermiamo a questo? È stato bello, ma andiamo avanti!”.
Abbiamo iniziato a frequentare le famiglie arcobaleno, era pieno di bambini e bambine, e mi ha detto: “Ma sai che piacerebbe adesso a me portare avanti una gravidanza di un figlio o di una figlia nostra!”.
Allora di nuovo siamo partite per Madrid, abbiamo fatto qualche tentativo in più perché poi l’età era avanzata ed un anno fa è nata Viola, la nostra terza figlia. E quindi siamo una famiglia al femminile, questo piace molto dirlo alle nostre figlie. Siamo tutte donne. Siamo una famiglia un po’ strana perché siamo una famiglia comunque fuori dal comune. Siamo una famiglia in cui veramente si respira tanto amore e serenità e penso che quello che fa la differenza tra la nostra famiglia e tante altre è che veramente non è stato un caso. Io adesso lo racconto così, ma è stato veramente un percorso faticoso da tutti i punti di vista, in alcuni momenti stressante e difficile. Abbiamo investito tantissime energie economiche, fisiche e psichiche. Abbiamo cercato e voluto questa famiglia. Abbiamo lottato davanti alle difficoltà con le unghie e con i denti. Adesso ancora ci guardiamo e ci sembra un miracolo. Adesso siamo nella fase in cui siamo molto contente e siamo molto stanche, perché tre ragazze, bambine di tre età diverse vanno gestite.
Ci guardiamo anche intorno e guardiamo anche un po’ le scelte che hanno fatto tante altre donne, scelte simili alle nostre, scelte diverse dalle nostre. Quello che ci diciamo sempre è che, nonostante speriamo che il mondo cambi, perché ancora ci sono tanti problemi in questo mondo in cui viviamo, però ci sembra che stiamo andando in una direzione in cui veramente le donne possono sempre un po’ di più decidere quello che vogliono per loro e quindi decidere, come noi, di mettere su una famiglia un po’ strana con sole donne e senza uomini, senza papà e anche decidere invece di non fare una famiglia o di creare famiglie con amiche ad esempio, con altre persone costruendo legami che sono nuovi. »
NICOLETTA: « Senti, qualcuno potrebbe dire: ma con tutte le creature che ci sono, per voi sarebbe stato differente adottare un figlio? »
SILVIA: « Per me sì, devo dire la verità ed anche per la mia compagna, per diversi motivi. Uno: io avevo proprio desiderio di portare avanti la gravidanza che è un’altra cosa, perché adottare un bambino significa essere pronta ad accogliere un bambino che è già stato generato, per generarlo di nuovo; io avevo proprio desiderio di vivere la trasformazione del corpo, mi ha sempre incuriosito molto, avevo proprio voglia e desiderio di sentirlo dentro. Questo è il primo motivo.
Il secondo motivo per cui tante volte discutiamo di questo: diciamo “quanto sarebbe bello se anche in Italia i gay, le lesbiche ed i single potessero adottare”, però poi ci diciamo “io non mi sarei sentita di adottare”, perché il mondo sta cambiando, ma comunque è ancora un mondo difficile e quindi mettere insieme il fatto che un bambino è nato, viene cresciuto in una coppia di due lesbiche già adottato, stiamo mettendo diversità su diversità che non ci saremmo sentite di gestire. Questa è la verità. Cioè avremmo trovato più difficile questo percorso. »
NICOLETTA: « Senti Silvia, tu prima dicevi di essere stata anche molto ottimista quando avevi vent’anni. Perché c’era bisogno di ottimismo? »
SILVIA: « Perché quando io avevo vent’anni non si parlava di omogenitorialità, per esempio. Io ricordo, forse da più grande, che avevo visto un documentario su Sky: la storia di due donne che erano partite all’estero, ma non si sapeva niente… E quindi ancora era nuovo come modo di far famiglia. Quindi c’era potenzialmente la paura di essere molto più discriminate, perché tutto quello che non si conosce fa paura in una società come la nostra poi le discriminazioni sono dietro l’angolo. Però io mi sentivo forte. E mi ricordo che quando ne parlavo con amici o a casa, mi dicevano: “Eh, ma pensa questo povero bambino, questa povera bambina, che cosa gli racconti senza un papà”.
E io all’inizio dicevo: “Sì, ma ai bambini per crescere serve un po’ di amore e le cure giuste, qual è il problema? Cioè se nasce da un progetto d’amore, non vedo il problema. Io sono sicura che saprò crescere un figlio, come tante persone. Insomma la perfezione non esiste, però mi sento di poterlo fare e di potergli di garantire una bella vita insomma. »
NICOLETTA: « Le testimoni di Lunàdigas, quelle che suppergiù hanno la nostra età, hanno discusso molto proprio la “famiglia”, quest’idea di voler comunque fare riferimento a questo tipo di struttura sociale. Come interloquisci con questo argomento? »
SILVIA: « Questa è una domanda difficile. Diciamo che anch’io, vent’anni fa mettevo molto in discussione l’idea di famiglia, tanto è vero che, al tempo avevo un fidanzato, gli dicevo: “Io famiglia con te non la faccio perché non mi ci rinchiudo in ruoli stabiliti, prescritti, non mi ci vedo”. E scherzando gli dicevo: “Quando troveremo il lavoro ognuno a casa sua” e mi ricordo che lui si offendeva. E poi invece è stato curioso come, quando mi sono innamorata invece di una donna, sentivo proprio il bisogno di creare una famiglia. Però quello che per me era rassicurante era che era tutta da inventare, perché è vero che la chiamiamo “famiglia”, anche io la chiamavo “famiglia”, però era da inventare: nel senso che era da inventare come costruirci i ruoli, chi fa cosa, così come, quando sono nate le nostre bambine, è stato tutto una scoperta, è stato tutto da inventare, è stato tutto da costruire. Quindi io penso che ci sia questo dilemma interessante nelle famiglie come la mia. Da una parte, sì, si cerca di riproporre la famiglia e questo termine torna – vediamo anche tutto il dibattito che c’è stato sulla step-child adoption, ma questo soprattutto poi per una questione di tutela dei bambini e quindi che qualcuno dice: “Volete il matrimonio? Quindi volete, come dire, scimmiottare la famiglia tradizionale che tanto le femministe hanno criticato?”, in realtà non è questo, il discorso è che vogliamo tutela per i bambini ed è un’altra cosa.
D’altra parte però… l’altra parte del dilemma è quello che proprio comunque costruiamo delle famiglie diverse in cui tutto è da costruire e da inventare in cui soprattutto i ruoli di genere vengono completamente scardinati perché non essendoci un uomo e una donna, chi fa cosa va rinegoziato quotidianamente. Il che è sicuramente più faticoso perché non c’è niente di prescrittivo e prescritto; quindi, è estremamente più faticoso e discutiamo e litighiamo… “Chi fa cosa… tu fai il bucato… tu stai facendo di meno… come i bambini… perché io preparo sempre lo zaino e non tu?”. Però alla fine, secondo me, ti garantisce di essere veramente più quello che vuoi essere; nel senso che alla fine il frutto della negoziazione è dato da quello che tu veramente vuoi, combinato insieme a quello che l’altra vuole. Molto più faticoso ma, tra virgolette, un mondo molto più – io dico sempre – libertario e più egualitario nel quale il frutto della rinegoziazione è quello che dicevo, cioè io in casa mi sono assunta il ruolo che mi sono voluta assumere, così come la mia compagna. Su certe cose ci veniamo incontro come dappertutto, però non rispondiamo certamente a copioni. Quindi la mia risposta è che forse nel costruire questa famiglia, cerchiamo di decostruire tutto quello che poi è  stata la famiglia tradizionale e proporre un nuovo modo di fare famiglia. »
NICOLETTA: « La chiameresti “famiglia” se non ci fossero le tre bambine? »
SILVIA: « Bella domanda. Adesso sì, la chiamerei famiglia perché, appunto confrontandomi soprattutto con l’ambiente LGBT, con tante persone che non hanno figli e che hanno scelto di fare una vita insieme, io le chiamo famiglie perché, secondo me, la famiglia è fatta da due persone che hanno un progetto di vita in comune che può comprendere i figli o no. »
NICOLETTA: « Non senti l’esigenza di trovare un altro termine? »
SILVIA: «In questo momento non la sento, forse se domani approvassero la legge, forse dopo aver avuto accesso al matrimonio egualitario, allora inizierei a dire “mi sta stretto… troviamo altri modi, altre formule”. Probabilmente sì. »
MARILISA:« Diverse da “famiglia” e “matrimonio”? »
SILVIA: « Sì, diverse da “famiglia” e “matrimonio”, non solo in termini di etichette linguistiche, ma ovviamente anche di istituzioni e di tutto quello che questo comporta. Sì, però in questo momento no, forse perché In questo momento è l’unico modo che vediamo per poter garantire dei diritti ai nostri figli e alle nostre figlie, per cui siamo molto in ansia perché, paradossalmente, adesso se io dovessi venire a mancare una delle nostre figlie, quella che ho portato in pancia io, un giudice potrebbe decidere di affidarla a uno sconosciuto o ad una sconosciuta, di darla in adozione. È assurdo. Questo ci porta ad appiattirci su modelli più tradizionali. Questo sì. »
NICOLETTA: « Anche le mamme che più amano i loro figli, più felici, che li hanno più desiderati che abbiamo incontrato ci hanno, così, mostrato la parte in luce e la parte in ombra di questa relazione, non sarà che voi siete un po’ costrette a raccontarla come una cosa solo bella? »
SILVIA: « Allora un po’ sì ma un po’anche no, perché… per quello che vi dicevo prima: per noi è stato quasi un miracolo. Quindi sicuramente gli aspetti più positivi non li raccontiamo solo, ma li abbiamo sentiti, poi ci sono anche gli aspetti negativi: in questo periodo, vi dicevo, la quotidianità della difficoltà di gestire tre bambine, sì. In questo periodo io e la mia compagna non facciamo altro che dire: “ma quando cresce la piccolina e ci facciamo un bel week-end fuori da sole?”. Vogliamo ritrovare la coppia. Certo, perché i figli danno tante gioie ma insomma sono un impegno che spesso ti costringe, questo sicuramente sì. Però se dovessi mettere sulla bilancia, nonostante questo periodo sia particolarmente faticoso, gli aspetti positivi che sono senz’ altro di più. Senz’altro. Come se tu pensassi una cosa e di non poterla fare, perché comunque la società ti ha detto che tu, in quanto lesbica, sei sterile, non puoi avere figli, poi invece scopri che non è proprio così e allora poi ci provi, poi ci riesci e quindi gioisci il triplo, penso. Non so.
Magari se avessi fatto lo stesso percorso con un uomo, sentirei più gli aspetti negativi. Non so.
Io e anche la mia compagna un po’ scappiamo da tutto questo loop in cui ci sono le mamme che parlano solo di figli e pannolini, sì: anche perché siamo due donne che lavoriamo entrambe, abbiamo investito molto nel lavoro, siamo due donne attivamente impegnate politicamente nell’associazione, siamo due donne che hanno tantissime attività, abbiamo degli interessi, la mia compagna corre… non ci troviamo. Per esempio fuori dalla scuola socializziamo fino a un certo punto, socializziamo perché lo dobbiamo fare, però poi scappiamo. Alle feste di compleanno noi siamo tra le poche che lasciamo le bambine ed andiamo. Ne approfittiamo per fare altro. Scappiamo un po’, devo dire la verità. »
NICOLETTA: « Lo dovete fare perché volete essere riconosciute? »
SILVIA: « Noi ci stiamo perché abbiamo bisogno di essere riconosciute, però non riusciamo a starci troppo perché ci stringe questo contesto, non ci troviamo e quindi fuggiamo. Però anzi ci sforziamo di esserci un minimo, perché vogliamo che le altre mamme ci conoscano, perché vedano insomma… »
MARILISA: « …che non c’è niente di strano! »
SILVIA: « Non c’è niente di strano. Siamo mamme come tutte le altre! »
NICOLETTA: « Secondo te ha qualche cosa a che vedere il nostro affermare oggi “vogliamo essere riconosciute come donne nella nostra completezza anche se siamo “lunàdigas” e la vostra posizione di rivendicazione del riconoscimento? »
SILVIA: « Sì, io penso che le famiglie come la mia, le famiglie omogenitoriali, e le donne lunàdigas… penso che ci accomuni il fatto che abbiamo entrambe dei desideri di libertà e che vogliamo realizzare questi desideri di libertà a testa alta, senza doverci in qualche modo vergognare del fatto che questi desideri non corrispondano a quello che il contesto si aspetta da noi, in quanto da una parte donne e dall’altra parte donne lesbiche. Perché dalle donne lesbiche ci si aspetta che non costruiscano legami stabili e non abbiano desiderio di genitorialità e dalle donne eterosessuali ci si aspetta invece che vogliano fare le madri a tutti i costi. Questo penso che ci accomuna. Quindi donne lesbiche che decidono di costruire famiglie omogenitoriali e donne che decidono di non avere figli, donne lunàdigas: [ci accomuna] il fatto che facciamo delle scelte controcorrente e che non vengono capite da tutti e da tutte. »
NICOLETTA: « Nella vostra famiglia se si parla di eredità, è un tema tra voi? Come lo risolvete? Come ne parlate? »
SILVIA: « Ne parliamo eccome perché nella nostra famiglia si pone il problema di poter lasciare la nostra eredità in maniera più o meno equa alle nostre figlie. Ne parliamo purtroppo per ora. Quando è nata la nostra seconda figlia, abbiamo… allora no, all’inizio quando avevamo solo due figlie abbiamo comprato casa insieme, e abbiamo fatto testamento incrociato, pensando così di equilibrare un po’ le cose tra le nostre figlie. Poi è nata la terza e quindi aspettavamo che ci approvassero la legge e nel frattempo stiamo discutendo su che cosa fare. Abbiamo preso informazioni per fare un deposito, soprattutto per la più piccola, perché la più piccola sarebbe la più penalizzata. Si pone il problema sì, di come far sì che le nostre figlie abbiano un’eredità equa perché poi tutto è complicato ed anche noi abbiamo difficoltà a capire. Speravamo nella legge, anche per risolverci questo tipo di problemi.
Parlando di eredità ci diciamo sempre che noi confidiamo che, comunque vadano le cose, le nostre figlie riescano a trovare un accordo, a mettersi d’accordo. Poi mio fratello, che è avvocato, mi dice: “Non confidate mai!”. Sì, ma noi le stiamo crescendo nell’amore, poi loro si vogliono tanto bene. Quando è nata Sara, la nostra seconda figlia, la più grande aveva tantissimo desiderio di avere una sorella o un fratello e quindi – come dire – è stata accolta nel migliore dei modi, proprio nell’aspettare… Anche lei pensava non sarebbe arrivata, i genitori erano separati, quindi lei non lo metteva in conto, e quando è arrivata anche per lei è stato un miracolo. Lo raccontava, era fierissima e hanno costruito un bellissimo rapporto fino a quando non è nata la più piccolina, per cui adesso questa relazione tra queste tre sorelle, tra queste tre donne è complicata.
Nei confronti della piccolina sono due mammine. Sia l’adolescente che quella di sei anni fanno da mammine alla più piccolina: “E’ bellissima… è bravissima… è cucciola” e iniziano a litigare tra loro. Sono gelose l’una dell’altra. Però poi, quando stanno lontane più di un giorno: “Mi sei mancata, ti voglio bene!”. Baci e abbracci e dopo dieci minuti stanno litigando, esattamente come fanno le sorelle e i fratelli in tutte le famiglie. Noi diciamo: “Noi vorremmo crescervi in modo che voi un domani possiate in qualche modo prendere quello che è nostro e mettervi d’accordo”. Facciamo questi discorsi a casa, sì. »
NICOLETTA: « Mi chiedo se un’altra cosa che ti senti in comune con le donne che non hanno avuto figli, come un po’ dicevamo prima “non avete voglia di inventare un nuovo nome per dire famiglia, visto che le vostre potrebbero uscire da quel filone che abbiano in testa tutte”, le donne senza figli hanno faticato a trovare “lunàdigas” come termine per definirsi, e ne comprendiamo anche il valore di avere dei termini che ci descrivono. Tu capisci questa ricerca? Ti trovi una mancanza di parole nella vita quotidiana? Mamma e mamma. Non lo so che cosa possa essere. Ma avete bisogno di nuove parole? »
SILVIA: « Abbiamo bisogno di nuove parole tanto è vero che quando, per esempio, è nata l’Associazione arcobaleno, ancora le nostre famiglie non si chiamavano e quindi raccontavano da poco delle vecchie socie, che si sono messe attorno a un tavolo e si sono chieste “ Dai, e noi come ci chiamiamo?” e poi però hanno scelto di tenere il termine “famiglia” di affiancare al termine famiglia “omogenitoriale” perché prima si diceva famiglia gay e lesbica che non vuol dire niente, perché gay e lesbica è l’orientamento sessuale, non è la famiglia, ma non c’era un termine e poi dopo, andando avanti nel tempo, si è ripreso il simbolismo del movimento LGBT, quello dell’arcobaleno, ed ecco qua le famiglie Arcobaleno.
Ci siamo come associazione interrogate sul nome. Però il termine “famiglia” è rimasto partendo dall’idea che non esista un unico tipo di famiglia, ma ne esistono tante: noi siamo le famiglie arcobaleno. Non siamo la famiglia. Quindi la declinazione al plurale aggiungendo poi degli altri termini accanto piuttosto che trasformando completamente. Adesso ho un dilemma che mi viene e ve lo dico così: non so quanto ci sia qua desiderio di omologazione o semplicemente – come dire – una paura e quindi una rassicurazione nel tenere questo termine, anche voi potevate scegliere di utilizzare il termine famiglia e un’altra parola accanto invece … »
NICOLETTA: « Noi di famiglie non ne facciamo, però certo potevamo continuare a dire donne senza figli. »
SILVIA: « Intendo famiglia perché a me viene in mente che, per esempio, una donna che ha il suo progetto di vita da sola col suo cane, è una famiglia, non so. Per me “famiglia” è esteso. Nel senso che la presenza o meno di figli non fa famiglia, un compagno o una compagna non fa famiglia: una persona adulta che ha un progetto di vita da sola, è famiglia per me. Però è curioso perché la nostra bambina di un anno la prima parola che ha imparato a dire è stata “papà” e noi abbiamo riso tantissimo. La figlia media rideva da impazzire diceva: “Viola ripeti mamma” e lei che stava imparando a dire “papà!”… Rideva tantissimo e la piccolina lo diceva ancora di più perché la sorella rideva, e la rinforzava in questo. Curioso, papà! Invece l’altro giorno c’era a casa una coppia di amici, due papà, e gli raccontavamo questa cosa, loro hanno due gemelli dell’età della nostra piccolina e dicevano: “invece i nostri, la prima parola era mamma”… curioso… si rideva su questo. “papà no, qua papà niente, non ce ne sono papà. Due mamme, ma papà niente”. »
MARILISA: « Dì tu Silvia se c’è qualche cosa che… »
SILVIA: « Voi mi avete aperto interrogativi adesso, su cui rifletterò! »
NICOLETTA: « E’ una caratteristica di Lunàdigas, questa. »
SILVIA: « Perché poi io… ho tutto un percorso, nel senso che quando ero ragazzina inizio a frequentare collettivi femministi, gruppi di donne… anche se insomma io ho quarantadue anni, quindi insomma… però comunque ancora ricordo i primi anni dell’università con delle donne un po’ alternative, quindi movimenti femministi: “Io non mi sposerò mai!”… contro il matrimonio e poi… curioso alle volte, quando poi si parla anche tra amici e amiche di vecchia data, loro scherzando mi prendono in giro e dicono: “Alla fine dicevi tanto, hai fatto tutto questo percorso, ti sei scelta un’aria di devianza, perché hai deciso di metter su una famiglia strana; però poi in quest’area di devianza, invece sei molto tradizionalista, alla fine in tutto questo, avete scelto di fare tre figlie e alle 9 siete tutte a letto perché siete stremate!” »
MARILISA: « Se ci fosse la possibilità del matrimonio lo fareste, naturalmente nell’ ottica che dicevi. »
SILVIA: « Sì, ma veramente non nell’ottica del matrimonio romantico, assolutamente no. Anzi se approveranno le unioni civili che abbiamo tanto combattuto, andremo a fare anche quello subito, immediatamente, ma senza grandi festeggiamenti. Senza grandi festeggiamenti perché devo dire per noi simbolicamente non ha grande valore devo dire, anche con la mia compagna ci siamo trovate in questo. Non è per tutte le coppie omosessuali così, alcune proprio lo vogliono celebrare. Per noi no, non c’è questo perché non c’è stato questo desiderio neanche prima, dicevo “non mi sposerò mai, questa istituzione non mi piace”. La mia compagna si è sposata perché si è trovata in circostanza particolari, ma anche lei non ha un bel ricordo del matrimonio. Quindi no, però andremo immediatamente a farlo, ma per dormire sonni più tranquilli, è la verità. Per questioni di tutele subito, quale sia anche la porcata più porcata che approveranno… noi senza festeggiare, andremo, però, questo sì, per tutela delle nostre bambine, perché è troppo importante. »
NICOLETTA: « Comunque tu sei d’accordo che una donna lesbica madre è più facilmente accettata rispetto a una donna lesbica? »
SILVIA: Sì, assolutamente sì. Infatti quando tutti ci dicono: “Voi che fate coming-out ovunque, è difficile?”, io dico “Sì, ovviamente è difficile” perché all’inizio è difficile – ormai abbiamo fatto l’abitudine, come per tutte le cose quando fai l’abitudine costa meno fatica – , però all’inizio è stato effettivamente difficile, però il fatto che sia madre, in qualche modo, fa dimenticare alla persona che sei lesbica, non so come dire… e quindi c’è una accettazione incondizionata. »
MARILISA: « Più un lasciapassare. »
SILVIA: « Secondo me, sì. Perché le persone si centrano su questo e siccome essere madre è accettato nel contesto sociale, ci si concentra su quello. Secondo me è molto più facile fare coming-out da mamma lesbica. Lo vedo sul lavoro, tanti amici gay e lesbiche, quando si è genitori lo fai un po’ perché obbligato ma un po’ perché sai che viene più accettato; invece, se non sei genitore hai più difficoltà perché lì c’è meno accettazione e poi veramente le persone… secondo me si dimenticano alla fine. »
MARILI SA: « La cosa che emerge è soprattutto la maternità. »
SILVIA: « Sì, soprattutto per le mamme, per i papà gay è un po’ diverso. Però per le madri lesbiche, sì, io penso ci sia più accettazione sociale. Per una mamma lesbica piuttosto che per una lesbica punto. Una donna lesbica punto. Penso di sì. »

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