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La cantautrice Susy Bellucci racconta della sua vita artistica dedicata alla musica per l’infanzia e affronta il tema della mancata maternità e dei condizionamenti sociali e familiari legati ad essa.

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Ecco la trascrizione completa del video:

« Dunque il mio mestiere è soprattutto un interesse che ho cominciato a frequentare quando ero abbastanza giovane, anzi sono passati diversi anni: è la musica e soprattutto la vocalità. In questi anni è capitato che ho scritto tante canzoni ed eseguito tante musiche di vario tipo perché la sfida della voce è sempre stata, per me, l’interesse primario. E niente, mi è piaciuto percorrere tanti stili musicali con la voce, con le vocalità diverse e poi, soprattutto all’interno di questo percorso musicale, da un certo punto in poi si è imposto questo interesse per la musica per l’infanzia. Perché? Intanto perché la musica per l’infanzia è vergognosamente trascurata in Italia. Credo in Italia soprattutto, nel senso che viene sempre un po’ considerata una musica minore, una musica da eseguire con pochi soldi. Insomma io poi che conosco, diciamo… approfondendo quest’interesse, mi sono resa conto invece che esiste una letteratura musicale sia classica che pop che di vari generi molto importante, insomma. In Italia, specialmente nel contemporaneo, specialmente da un certo punto in poi, non s’è più prodotto niente di veramente importante, veramente di qualità nella musica per l’infanzia. Allora mi sono avventurata in questo sentiero e devo dire con grande gratificazione perché ho avuto intanto la collaborazione di amici musicisti di grande talento, veramente è stato un piacere creare queste cose, e poi anche per la risposta che ho avuto sia a livello dell’audience dei fruitori, che in questo caso sono i bambini, ma anche a livello didattico, a livello… insomma a vari livelli. Diciamo questo è stato forse l’aspetto più gratificante: lavorare per i bambini.
Sì, io viaggio abbastanza su e giù per l’Italia; io vivo in Toscana però specialmente con Roma ho un rapporto preferenziale, una specie di doppio binario che mi porta in su e in giù, perché insomma fin da quando ho cominciato a interessarmi di cose di spettacolo, musica eccetera, mi capita spesso di venire a Roma. Però anche in altri posti, per esempio viaggio molto anche in Puglia dove ho amici. L’Italia è sicuramente un mio percorso di viaggio, soprattutto; poi qualche volta anche all’estero, ma insomma.

Beh, io ho cominciato subito male da piccola perché pochi anni dopo la mia nascita mi sono ammalata. La malattia ha caratterizzato tutta l’infanzia costringendomi a letto per lo più, o comunque rinchiusa in casa e lontana da tutte le cose che fanno normalmente i bambini: quindi spazi all’aperto, convivialità, giochi in comune, niente di tutto questo. Isolata, in casa, chiusa con questa brutta malattia, per altro ho vissuto anche momenti drammatici eccetera. Poi sono fortunosamente scampata a questa malattia, pur con tutte le conseguenze che fisicamente mi aveva lasciato, a cominciare da una funzionalità renale decisamente difettosa. Quindi cosa è successo? Che crescendo mi è stato sconsigliato di avere figli, sconsigliato perché sarebbe stato pericoloso sia per me che per il bambino. Questa cosa devo dire che non è stata per me – questa cosa alla quale per altro mi sono attenuta – non è stata per me un dramma, non è stata una forzatura grave. Probabilmente se avessi avuto la possibilità di avere figli senza pericoli, con leggerezza, chissà; come spesso succede, uno fa figli. Ma io non potevo farlo, e non ho sentito questa costrizione come un dramma nella mia vita. Assolutamente non l’ho sentito.
Durante il mio percorso ospedaliero mi è capitato invece di conoscere tante donne che vivevano questa limitazione come un dramma esistenziale, un dramma imprescindibile per cui si sono sottoposte a gravidanze a rischio, oppure insomma… del resto, voglio dire, adesso fortunatamente queste malattie si guariscono con il trapianto e quindi anche fare il trapianto nell’ottica di poter finalmente avere un figlio eccetera eccetera: insomma veramente come se la loro esistenza, l’esistenza di una donna non avesse significato se non ci fosse l’esistenza di un figlio, la possibilità procreare.
Io non ho sentito questo dramma, ribadisco, però mi sono resa conto che anche socialmente, non solo individualmente, ma anche socialmente, questa è una cosa che viene mal giudicata. Una donna che non procrea è una donna senza significato, che non ha un’utilità sociale e che non ha una motivazione per vivere. Questa cosa, del resto, mi è stata detta in primis da mio padre, che invece di consolarmi di questo percorso difficile è stato il peggior giudice. Ma insomma anche confronti con amiche che avevano figli eccetera, non mi sono stati risparmiati commenti abbastanza dolorosi. Fortunatamente io non me la sono tanto presa, perché dentro di me io non sentivo che questa cosa per me fosse un trauma, ecco, questo non l’ho sentito; probabilmente, ribadisco, se non avessi avuto il problema dei reni, forse un figlio l’avrei anche fatto, non lo so, non lo posso dire. Però questo problema è stato comunque determinante.
Per i casi strani poi, la vita che naturalmente percorre vie imperscrutabili, mi ha portato a fare l’autrice- esecutrice di canzoni per l’infanzia, ma del tutto in maniera – non voglio dire casuale, perché niente è casuale, ma insomma imprevedibile. Quindi, un po’ per le conoscenze e le amicizie che ho avuto con musicisti più giovani di me che sono poi alla fine diventati dei figli elettivi, e un po’ per il mio pubblico che negli anni è diventato molto folto – voglio dire, il mio referente come pubblico sono i bambini – sono diventati, anche loro, dei miei possibili figli. Sicuramente loro me lo fanno sentire perché addirittura a volte, nella città in cui vivo, mi fermano e mi fanno capire che quello che gli ho dato è una sorta di eredità.
L’eredità di questa infanzia è stata senza dubbio questa mia attitudine al fiabesco e all’immaginario, perché, naturalmente, il mio spazio non potendo essere fisico è diventato “immaginale”. E quindi è sempre rimasto vivo in me questo. Intanto è stato di un’importanza fondamentale per la mia sopravvivenza, è stato uno spazio salvifico. Tra l’altro io ricordo ancora che un medico – che poi è quello che mi ha guarito, tra l’altro – consigliò alla mia mamma di comprare una bellissima edizione, che era uscita in quel tempo, delle fiabe dei Grimm e per me queste fiabe dei Grimm sono rimaste proprio… cioè la via d’uscita, la via di salvezza. Fra l’altro c’è una bellissima fiaba dei Grimm che si chiama “L’acqua della vita”, e da lì insomma così, anche se soltanto a livello immaginario, fantastico, un bambino capisce che esiste l’acqua della vita. Quindi una possibilità di uscire, di andare in un “oltre” dove tutto è possibile.
Naturalmente la conseguenza di questa malattia è stata che i miei reni, molto sofferenti, non erano proprio adatti a sopportare, a sostenere una gravidanza. Questa cosa io l’ho presa per buona e non mi sono mai fatta molti problemi in questo senso, poi insomma mi sono dedicata a tante cose; diversamente, invece nel mio percorso ho incontrato tante donne per le quali non procreare diventava una sofferenza. Cioè procreare a tutti i costi, come se fosse una perdita di significato nella vita non avere figli. E quindi ho visto gente che ha partorito a rischio della propria vita, oppure gente che come prima cosa, dopo il trapianto dei reni, ha voluto subito avere un figlio. Insomma la mia impressione, la mia testimonianza è che veramente per le donne, per moltissime donne, esiste questa priorità, senza la quale la vita veramente non ha… non ha senso, comunque è di un’infelicità. Per me non è stato così.

Beh, diciamo che i giudizi verso le donne che non hanno figli purtroppo sono spesso… cioè mi sono dovuta rendere conto del fatto che esiste effettivamente una severità di giudizio verso le donne che non hanno figli. E il primo giudice, terrificante in questo senso, è stato mio padre. Era uno di quegli uomini, quasi dell’Ottocento, che non erano molto teneri con le donne, poi avevano delle idee molto ben precise, insomma, su cosa doveva essere una donna e una volta mi disse appunto che per lui una donna che non aveva figli era una donna che non aveva motivo di esistere. Questo insomma detto da un padre… a parte che non mi ha mai detto niente di più carino di questo per cui la cosa non mi ha stupito, ahimè, ma mi sono resa conto poi via via di questa realtà alla quale non avevo affatto pensato e cioè una donna che non ha figli viene mal giudicata socialmente. Mi sono chiesta perché io ignorassi questa cosa, forse perché tutto sommato questa identità così femminile di donna che procrea, che allatta, cioè che ha veramente uno scopo, un motivo di vivere per questo, io forse non l’ho mai sentita.

Ci sono stati altri momenti in cui insomma ho dovuto fare un po’ i conti con questa realtà. Per esempio, mi è venuto in mente una volta una mia amica che aveva una figlia e che, secondo me, educava in maniera terribile. Ora diciamo che c’è un po’ questo problema, è un problema che capita spesso per chi non ha figli, cioè quello di avere amiche o amici e rapportarsi socialmente con famiglie e genitori che – io naturalmente non giudico perché non ho avuto figli – ma che spesso hanno veramente un modo di trattare, educare questi figli, abbastanza allucinante. Ma io non mi sono mai permessa di esprimere giudizi, però delle volte mi può essere venuto spontaneo di esprimere un’opinione oppure dare un consiglio. Ecco, questo dalle mamme è sempre stato vissuto in maniera proprio oppositiva, anche con cose spiacevoli. Una mia amica una volta, non mi ricordo di cosa si parlava, si parlava della sua figlia, io dissi qualcosa e lei mi disse, papale papale: “Te stai zitta che non c’hai figli”. Che dire? Io non me ne feci assolutamente un carico di questa espressione, però pensai che non era stata tanto carina perché prima di tutto sapendo che io all’epoca ero ancora in una fase che potevo procreare e non lo facevo per via dei reni, ma non è non che non ero in grado di farlo, e quindi insomma mi trattenevo; lei sapeva che avevo avuto questa malattia, e quindi poteva insomma risparmiarsela una frase del genere. Però c’è effettivamente questo aspetto, questo aspetto giudicante e rifiutante.

In realtà io non mi so non mi so spiegare, non mi so dire esattamente se avrei avuto figli. Ma probabilmente sì, ma non per quest’esigenza di procreare a tutti i costi. Io poi faccio parte di una generazione che ha creduto anche in cose – poi naturalmente, non si sono avverate – ma tipo, non so, uscire dal cerchio della famiglia, creare delle comunità, una socialità diversa. Era molto utopistico, irreale però insomma in un progetto di vita più comune e non strettamente legato alla famiglia, ci poteva anche stare che i figli fossero magari un’esperienza comune e non strettamente legata a questa identità familiare, che diventa il progetto di ciascuno. Cioè da questa progettualità della famiglia, e quindi dei figli, e quindi dei nipoti come motivazione dell’esistenza mi sono resa conto che poi neanche la mia generazione è uscita. Tant’è vero che io mi ritrovo adesso ad avere delle amiche che non posso mai vedere perché prima hanno fatto le mamme, poi hanno fatto le nonne e tutto il senso della loro esistenza, e tutto il piacere della loro esistenza, l’hanno preso da queste cose. Io devo dire che un po’ perché anche all’epoca si parlava dei problemi della sovrappopolazione – ora invece in Italia si parla dei problemi della crescita zero per cui non si capisce più bene – però io non sentivo che sarei mancata al mio compito se non avessi avuto figli, che avrei potuto nuocere socialmente. E quindi non so se anche, se avessi potuto avere figli, se l’avrei fatto, non lo so. Certo è che quando ce l’hai così come cosa che puoi fare con leggerezza probabilmente lo fai anche. Ma quello che continuo a pensare è che la mia idea di maternità non sarebbe stata di progettualità chiusa, anche perché ho sempre avuto un senso estremamente rispettoso nei confronti della creatura che uno mette al mondo come di, non che sei la mia proprietà, sei una persona che io metto al mondo senza che me l’ha chiesto e quindi hai diritto alla tua libertà, hai diritto alla tua vita, e non devi gravarti della mia, come senso della mia progettualità. Ecco questo, credo che comunque sarei riuscita a mantenere questa cosa, questa idea perché l’ho sempre avuta.

Io nelle mie esperienze matrimoniali… ho avuto un matrimonio finito con un divorzio, poi ho avuto un compagno con il quale sto da tanti anni e che fra l’altro è un musicista molto bravo e quindi in questo senso ci siamo molto divertiti a usare le nostre capacità. E non è mancato anche in questi rapporti l’avere un figlio. Nel mio matrimonio il mio ex marito non mi ha mai chiesto di avere figli e non ne ha mai poi avuti nemmeno nella sua seconda vita, insomma, matrimoniale. Il mio attuale compagno aveva già una figlia e quindi… poi ci siamo trovati che eravamo già un po’ agée, si potrebbe dire. Per cui alla fine in questi rapporti abbastanza lunghi non è mai venuto fuori questo… né questa richiesta, né questa mancanza. E poi, ribadisco, abbiamo avuto delle vite talmente rivolte anche verso gli altri, sia verso le nostre passioni che verso gli altri, che non c’è stato modo. Non so se poi questo in qualche modo si risentirà nella vecchiaia più avanzata. Ma ribadisco, la mia idea non sarebbe mai comunque stata quella di avere un figlio per fargli poi, per averlo come bastone della vecchiaia. Ecco quindi, non so.

Sia io che Giulio, il mio compagno, abbiamo accumulato tantissime cose a livello di ricordi musicali, abbiamo una casa strapiena di dischi, di spartiti, di dvd, poi lui dipinge anche, quindi anche di quadri, di tutto un po’. Mi sono molto spesso chiesta che fine faranno queste cose, perché io e lui sappiamo che ci sono tante cose preziose. Mentre invece sono sicura che i nostri eredi, diciamo consanguinei, non lo saprebbero. Ho anche pensato, e mi piacerebbe anche farlo però non è così semplice, di lasciare la mia casa e tutto il suo contenuto istituendo una fondazione per la musica per l’infanzia. Perché ribadisco, io sono un po’ indignata per come viene trattato questo argomento. Cioè intanto a priori come proprio vien trattata la musica, in generale. Perché in Italia, che è un Paese che va noto nel mondo… cioè in Italia se voi chiedete, non so, ad un abitante di un paesino americano, manco non sa dove sta l’Italia, però se gli parli di Puccini, di Verdi o di Michelangelo… l’Italia è il Paese dell’Arte e della Musica che sono purtroppo invece così trascurate; specialmente la musica, che è una materia formativa, che in tutti i Paesi viene considerata tale, proprio in Italia…E mi sono trovata delle volte con inglesi, americani, tedeschi dove ciascuno impara a scuola a leggere uno spartito, a suonare uno strumento, e quindi immediatamente ha questo esperanto a portata di mano perché dovunque vada, entra in comunicazione con l’abitante che parla un’altra lingua, ma quella lingua è comune a tutti. In Italia questo non c’è, nessuno sa leggere; magari ti cantano “O’ sole mio”, però nessuno sa che cosa sia una nota. E poi questo fatto che non venga considerata una materia formativa è veramente vergognoso, veramente. Quindi a maggior ragione mi sarebbe piaciuto… piaciuta l’idea di fare una Fondazione per una scuola, magari fin dalla più tenera infanzia, proprio specificatamente di musica. Qual è il problema? É che ci sono talmente tante problematiche burocratiche – insomma io tutte le volte che mi sono interessata di fare qualcosa in questo senso, non voglio dire strettamente legato ad un’eredità per creare una Fondazione – qualsiasi cosa diventa di una difficoltà per cui uno alla fine dice “ci rinuncio perché sarà quel che sarà”, con un certo fatalismo e dispiace anche, perché queste cose poi finiranno in qualche rigattiere che le rivenderà a due euro e nessuno saprà utilizzare queste cose che invece sono degli strumenti, per chi li sa utilizzare, importanti e preziosi. »

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