skip to Main Content

Sybilla, donna austriaca di cinquantadue anni, ripercorre le tappe della sua vita che le hanno permesso di affermare la sua scelta di non genitorialità. In nessuno dei numerosi luoghi in cui ha vissuto, ritiene esista uno spazio libero per esprimere il proprio posizionamento politico intorno ai diritti riproduttivi. Oggi Sybilla vive in Ecuador.

Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!

Ecco la trascrizione completa del video:

SYBILLA: «Mi chiamo Sybilla, ho venti… magari!… ho cinquantadue anni, sono nata in Austria e vivo qui in Ecuador da quasi cinque anni. Ieri ho visto il film “Lunàdigas”, mi è piaciuto molto e mi ha messo veramente di buon umore perché vedo e sento anche nella mia vita che per le donne senza figli, come sono io (e l’ho scelto in tenera età), non c’è uno spazio in cui esprimersi, e sentiamo che non sono guardate con rispetto, di buon occhio le donne senza figli. Ed è per questo che penso che questo film, che spero si trasmetta in tutto il mondo, possa donare a tutte le donne, e soprattutto alle giovani donne, questa possibilità di scegliere e di sentirsi bene con… come si dice? Con quella scelta. Anche io da quando mi ricordo, fin da piccolissima, sì, avevo le bambole e tutto il resto, ma non ho mai sentito questo sentimento materno, né da piccola, né da adolescente e nemmeno come donna. Era qualcosa che non sentivo e fortunatamente ho avuto una madre che non si aspettava da me che la facessi diventare nonna. Anche perché volevo viaggiare in tutto il mondo e vedo che è davvero difficile con i figli, è stata anche una scelta pratica, diciamo, a livello emotivo. E anche vedere la vita reale, e vedere le donne che hanno avuto figli senza sceglierlo molto consapevolmente e poi vederle rimanere incastrate in quella vita, come madre, con tutte le limitazioni, la mancanza di libertà e tutto il resto. Non volevo questo, volevo la libertà.
Io sono nata a Vienna, in Austria, e sono cresciuta in Austria e ho avuto l’opportunità di fare amicizia con donne di molte culture diverse e così ho visto che… è stato forse più facile per me, provenendo da un paese europeo, fare questa scelta. Perché ci sono culture che hanno più limitazioni nel ruolo che una donna può avere nella vita. E allora ho capito che è stato molto più facile per me fare questa scelta, perché ha avuto molta meno pressione da parte della società perché la nostra società è un po’ più aperta. Invece, ad esempio, ho vissuto sette anni in Giappone e lì ho conosciuto molte donne che sono diventate madri senza rendersene conto in un certo senso, perché fin dalla tenera età imparano che un giorno diventeranno madri. Quindi mai nella vita si chiedono se c’è una… se possono scegliere o meno. E poi, tengono il bambino e così… Ma ciò ha molte conseguenze per la donna, e poi quando i figli crescono e vanno via da casa le donne rimangono in un certo senso senza direzione perché questo è il loro unico ruolo consentito dalla società. E si prova molto risentimento. “E adesso? La mia vita cos’è?” Si sentono… scusa forse questo sembra molto estremo, ma si sentono abusate dalle loro società. E per me questo è legittimo, perché in un certo senso lo è, così credo. Ho vissuto alcuni anni anche in Africa, lì c’è una base spirituale diversa, ma ugualmente non c’è un posto per una donna che sceglie liberamente di non essere madre. Cioè, se una donna non può avere figli, riceve compassione dagli altri. Ma se è una scelta consapevole, una scelta che la donna prende liberamente, si erge tipo un muro, un muro come fosse qualcosa di innaturale, e questo lo rende molto difficile. Ad esempio in Kenya, dove ho vissuto, quando una donna ha un figlio, nessuno la chiama più con il suo nome, perché diventa la madre di… e nessuno usa più il suo nome. Ad esempio, io mi chiamo Sybilla, e diciamo se mio figlio si chiama Roberto, io divento la mamma di Roberto. Nessuno mi chiamerebbe più Sybilla, perché sarei la mamma di Roberto. E questo mi sembrava molto inquietante. Una volta ha avuto un partner e lui sapeva molto bene che non volevo figli, e questo è stato un problema nella relazione. La relazione si era conclusa molto consapevolmente perché lui diceva “ora non è un problema perché non voglio ancora i figli, ma se in futuro li vorrò cosa succederà alla nostra relazione”? E molto consapevolmente abbiamo deciso di separarci, quindi ognuno può essere libero di scegliere la vita che vuole. E allora ora sì che è padre, perché è quello che voleva nella sua vita, e questo lo rispetto, perché mi sembra sempre un po’ aggressivo da parte delle donne di rendere un uomo padre senza che lui possa decidere nulla sull’argomento. No, perché come donne abbiamo questo potere di fare di un uomo un padre, senza che dia necessariamente il suo consenso. E non volevo essere una donna così, di presentare un figlio al tuo uomo: “questo è tuo figlio, che tu lo voglia o no”.
In Africa, in verità, non mi sentivo tanto giudicata da parte delle donne, solo sentivo una mancanza di comprensione profonda. Altrove invece mi sono sentita giudicata. Ad esempio, soprattutto qui in Ecuador, dicono che sono egoista, che dobbiamo essere madri per la continuazione della vita, perché se fossero tutte come me finirebbe la vita, a volte anche con modi piuttosto aggressivi, devo dire. E questo mi rende davvero triste perché sì… se come donne non abbiamo questa solidarietà, rispettando che una donna scelga un percorso diverso, allora, che senso ha? Questa è anche una questione di pensiero culturale che ci separa come donne. E questa… cioè, io sono molto forte e cerco… come si dice? Cerco sempre di non prenderla personalmente, ma ovviamente tutti abbiamo dei momenti che fanno un po’ male perché… questo non è che non mi piacciono, ho una figliastra, la amo molto, ma… Non so come dirlo… è qualcosa che… sì, fa molto male più quando viene da una donna che quando arriva dagli uomini, perché si sente la mancanza della sorellanza. E per me la sorellanza include tutte le donne, con figli e senza figli. E poi sì, un po’ fa male. Qualche volta sì, ho sentito che la gente mi dice: “Sì, beh, ma ti pentirai di questa decisione perché resterai da sola nella tua vecchiaia.” Prima di tutto devo dire che mi piace stare da sola, per me essere da sola non è una cosa negativa. E ho anche visto molte volte che l’avere dei figli non è una garanzia per non essere sola in età avanzata, perché a volte i figli si prendono cura dei genitori per un senso del dovere e non di amore. Vorrei che una persona, se ne avrò bisogno, si prendesse cura di me in vecchiaia facendolo volontariamente e non come un dovere, perché sono la madre e perché si deve fare così. Ho visto anche in altre culture che è un obbligo, e per me questo è una mancanza di rispetto. E poi penso anche che possiamo creare altre forme di vita insieme, ad esempio in una comunità che non deve necessariamente essere la famiglia biologica, perché si può scegliere di vivere con altre persone, anche di generazioni diverse che non sono necessariamente accomunate da legami biologici. Mi piace immaginare la mia vecchiaia in una comunità con altre persone donne, uomini, di varie generazioni che non sia la mia famiglia biologica. Sono molto felice che esista un nome ora, un termine, per non definirci con una negazione: donne senza figli. E mi rende molto felice che ora abbiamo una parola che non ci definisce con una negazione, come mancanti. Non ho capito nel film esattamente da dove viene la parola, ma mi piace. E poi anche… non so se questo sia rilevante dal punto di vista linguistico ma contiene la parola luna e perciò trovo la parola molto bella.
Voglio dire qualcosa sulla mia esperienza di rimanere incinta. All’età di ventisei anni rimasi incinta, gravidanza indesiderata. La mia esperienza è stata che per me, quello che sentivo era essere davvero in trappola, sequestrata da un essere che si impossessava del mio corpo senza il mio consenso. Forse sembra estremo dirlo così, ma quello era ciò che sentivo, mi sentivo come se… come se io non ci fossi perché c’era un altro essere senza che fosse stato invitato. Logico che sembra molto contraddittorio, perché ovviamente io ho fatto qualcosa, ma non era un invito consapevole. Per questo mi sentivo sequestrata. E quando ho terminato questa gravidanza mi sono sentivo di nuovo libera, nel senso di completa, perché la gravidanza invece di rendermi felice, realizzata e tutto il resto è stata per me il contrario. La liberazione è stata per me abortire. Non mi sono mai sentita in colpa, perché per me nel mio modo di sentire spirituale, un’anima non può essere danneggiata, non la si può uccidere. Quello che ho ucciso io era la forma biologica, e non ho mai provato un senso di colpa, ma mi dispiaceva che c’erano altre persone che volevano farmi sentire in colpa come se avessi ucciso un essere umano quando invece per la mia comprensione spirituale ho ucciso una forma biologica, come un contenitore, che quando nascerà avrà un’anima dentro come la casa. Lo stesso vale per il mio corpo, io non mi identifico con il mio corpo, quella è la casa per la mia anima, ma non sono io, il mio corpo. E ugualmente, non ho sentito un senso di colpa come dire “distruggo la casa di un altro essere, di un’altra anima”. Quindi sono stata tranquilla con questa decisione, ho sentito molte volte che il senso di colpa veniva dall’esterno, ma non me la sono presa. L’aborto per me non è una tragedia, per me la tragedia è mettere al mondo un essere indesiderato. Questa è la tragedia per me. Quindi penso che… davvero è stato anche un gesto di responsabilità non dare alla luce un bambino che non volevo. Per me è stato assumersi la responsabilità. Sì, sicuro, posso dire che per me il dramma è di non farlo, quando non è desiderato.»

Español:

SYBILLA: «Me llamo Sybilla, tengo veinte… magari… cincuenta y dos años, nací en Austria y vivo aquí en Ecuador hace casi cinco años. Ayer vio la película Lunàdigas y me gustó mucho y me viene de mucha alegría de verdad porque veo y siento en mi vida también que las mujeres sin, como soy yo, y lo escogí muy a una edad muy temprana que no hay un espacio donde expresarnos, y nos sentimos que nos vean con respeto, con buenos ojos a las mujeres sin hijos. Y por eso pienso que esta película, espero que se va a transmitir en todo el mundo para dar a todas las mujeres, y sobre todo a las mujeres jóvenes, esta posibilidad de elegir y de sentirse bien con…como se dice? Con esa elección. Yo también desde que me acuerdo, desde muy pequeña, sí que tenía las muñecas e todo eso, pero nunca me sentí esto sentimiento materno, ni de pequeña, ni de adolescente y tampoco como mujer. Fue algo como que no sentí y por eso tuvo la suerte de tener una madre que no se esperaba de mí que de hacer la abuela no. Y también porque quería viajar en todo el mundo y veo que es muy difícil con hijos de verdad, que fue también una elección práctica, digamos, emocionalmente. Y también ver la vida realística, y ver las mujeres que tuvieron hijos sin escoger esto muy conscientemente y después se quedan con la vida como es, como madre, con las limitaciones, la falta de libertad y todo eso. Yo no quería eso, quería la libertad.
Yo nací en Vienna, en Austria y creció en Austria y tuve la oportunidad de hacer amistades con mujeres de muchas culturas distintas y así he visto que… fue tal vez más fácil para mi, viniendo de un país europeo, de hacer esta elección. Porque si hay culturas que son mucho más…digamos… que tengan más limitaciones en el rol que una mujer puede tener en su vida. Y entonces me di cuenta que fue mucho más fácil para mí hacer esta elección, porque tuvo mucho menos presión de la sociedad porque nuestra sociedad ya digamos que está un poquitito más abierta a en vez de por ejemplo vivió siete años en Japón y ahí he conocido muchas mujeres que se convirtieron en madres sin darse cuenta en un cierto sentido porque desde muy temprana edad aprenden que un día van a ser madres. Entonces nunca más en la vida se preguntan si hay una… se pueden elegir o no. Y entonces, se quedan con el bebé y después es así. Pero esto tiene muchas consecuencias para la mujer, y después cuando crecen los hijos y la mujer llega a la edad que se van los hijos se quedan en un sentido sin rumbo porque no tengo otro rol que está permitido de la sociedad. Y entonces se siente mucho resentimiento “¿Ahora qué? Mi vida qué es?” Se sienten… perdón que eso tal vez parece muy extremo, pero se sienten abusadas de sus sociedades. Y para mí eso es legitimo, porque en un cierto sentido lo es, para mí. He vivido algunos años también in Africa, y ahí con una base espiritual distinto, pero lo mismo es que no hay un lugar para una mujer que elige libremente de no ser madre. O sea, si una mujer no puede tener hijos, tiene simpatía de los demás. Mientras una vez que es una elección consciente, libre, que la mujer hace esta elección, hay tipo un muro, un muro que como fuese algo no natural, y eso lo hace muy difícil. Por ejemplo en Kenia, donde vivió, cuando una mujer tiene un hijo, después nadie la llama con su nombre, porque diventa la madre de… el nombre del hijo, y eso en vez de usar su nombre. Por ejemplo yo me llamo Sybilla, y digamos si mi hijo se llama Roberto, yo divento la mamá de Roberto. Nadie me llama Sybilla, porque soy la mamá de Roberto. Y eso me parecía muy disturbante. Una vez sí tuvo una pareja, y él sabía muy bien que yo no quería hijos, y eso fue un problema en la en la relación. La relación la habíamos terminado muy consciente porque él decía ahora no es un problema porque todavía no quiero a los hijos, pero si en futuro quiero un hijo, qué va a pasar con nuestra relación? Y entonces muy conscientemente hemos decidido de separarnos, así que cada uno puede ser libre de escoger la vida que quiere. Y entonces ahora sí es padre, porque eso fue que quería en su vida, y como respeto, porque me parece siempre un poquitito agresiva digamos, de la parte de mujeres de hacer un hombre padre sin que él puede decidir algo sobre sobre el asunto. No, porque tenemos como mujeres esto poder de convertir un hombre en padre, sin que da su consentimiento necesariamente. Y no quería ser una mujer así, de presentar un hijo a tu hombre: “eso es tu hijo,” quieras o no quieras.
En África fue así que de verdad no sentía tan mucho juzgamiento de parte de mujeres, solo que una falta de entendimiento profundo. Mientras en otros lugares sí que me sentía juzgada. Por ejemplo, sobre todo aquí en Ecuador, que soy egoísta, que necesitamos para la continuación de la vida a ser madres, porque se todas hagan como tú se va a terminar la vida y algunas veces con bastante agresión, debo decir. Y eso de verdad me hace triste porque si…si como mujeres no tenemos esta solidaridad de respetar que una mujer escoge un camino distinto, entonces ya estamos… y esto es también una cuestión pienso cultural que nos separa como mujeres. Y eso… O sea, yo soy muy fuerte y no… Como se dice? Quiero siempre de no tomármelo personalmente, pero claro que todos tenemos momentos que sí que duele un poquitito porque… porque no es que no me gustan, tengo una hijastra, la amo mucho, pero eh… No sé cómo decirlo, es algo que… Sí, eso duele profundamente más que vienen de una mujer se que no vienes de hombres, porque es tipo… una se siente un poquitito afuera de la hermandad. Y para mí la hermandad somos todas las mujeres, con hijos, sin hijos. Y entonces sí, un poquitito duele. Algunas veces sí, he escuchado que la gente me dice: “Sí, bueno pero te vas a arrepentir de esta decisión porque vas a quedarte todo solita en tu vejez. Primero debo decir que me gusta estar sola, entonces estar solita para mí no es una cosa negativa. Y también he visto muchas veces que no es una garantía de no estar sola en vejez solo porque uno tiene hijos, porque algunas veces sí, los hijos se cuidan a sus padres de un sentido de obligación y no de amor. Quería una persona de cuidarse de mí en mi vejez se necesito de libre voluntad y no de como un deber, porque soy la mamá y porque se debe hacer así; y he visto en otras culturas que eso es tan una obligación, que es para mí una falta de respeto. Y entonces pienso también que podemos crear otras formas de vida en un conjunto, por ejemplo en una comunidad que no necesariamente debe ser la familia biológica, porque uno puede elegir de vivir con otras personas también de generaciones distintas que no necesariamente son lazos biológicos. Y puedo imaginar mi vejez en una comunidad con otras personas mujeres, hombres, varias generaciones que no sea mi familia biológica. Soy muy feliz que existe un nombre ahora, un término, porque si no nos definimos con un negativo: la mujer sin hijos. Y me hace muy feliz que ahora tenemos una palabra que no nos define con un negativo, con una falta de…, un sin de. Y entonces de verdad no sé exactamente, no entendí en la película exactamente de dónde viene la palabra, pero me gusta. Y también tiene… no sé si eso lingüísticamente es relevante pero contiene la palabra luna y entonces me parece muy linda la palabra.
Quiero decir algo sobre mi experiencia de estar embarazada a la edad de veinte y seis años me quedó embarazada, fue un embarazo no deseado, y mi experiencia fue que para mí, mi sentimiento, me sentía secuestrada de verdad, de un ser que tomo mi cuerpo sin mi consentimiento. Tal vez parece extremo decirlo así, pero eso fue mi sentimiento que me sentía como… como que no yo estaba porque estaba un otro ser sin mi invitación. Lógico que es parece muy contradicción, porque claro que hizo yo algo, pero no fue una invitación consciente entonces me sentía secuestrada. Y cuando terminé esto embarazo me sentía liberada, en el sentido de completa, porque el embarazo en vez de hacerme feliz, realizada, todo eso fue para mí todo el contrario, y la liberación fue terminar esto aborto. Yo nunca me sentía de culpa, porque para mí en entender espiritual, un alma no se puede dañar, no se puede matar. Lo que mató yo fue la forma biológica, y entonces nunca sentí un sentido de culpa, pero sí que lo sentía que había otra personas que querían ponerme la culpa como he matado un ser humano que para mi entender espiritual he matado una forma biológica tipo un contenedor que cuando nace va a tener un alma adentro como la casa. Así lo mismo es como yo no me identifico con mi cuerpo, eso es mi casa para mi alma, pero no soy yo, mi cuerpo. Y en el mismo sentido, no he sentido un sentido de culpa para digamos destruir la casa de un otro ser, de una otra alma. Entonces yo estuve tranquila con esta decisión pero sí sentía muchas veces que el sentido de culpa venía del exterior pero no me la tomó. El aborto para mí no es una tragedia, para mí la tragedia es de traer al mundo un ser no deseado. Eso es la tragedia para mí. Entonces yo pienso que… de verdad fue también mi sentido de responsabilidad de non terminar a dar luz a un niño que no quería. Mucho mucho conscientemente en vez de hacer lo contrario porque eso para mí fue… tomar la responsabilidad. Y entonces sí, puedo decir que para mí el drama es de no hacerlo, cuando no es deseado.»

Vuoi ascoltare e leggere altre testimonianze? Sostieni l’archivio vivo di Lunàdigas!

 

Back To Top