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Nacyb, coordinatrice e attivista dell’associazione Rayhana di Jendouba, in Tunisia, racconta l’esperienza vissuta sulla propria pelle prima di donna suo malgrado senza figli, e poi di madre, finalmente riconosciuta a livello sociale. La testimonianza fornisce uno ritratto della società tunisina in merito ai diritti riproduttivi e alla visione della donna.

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Ecco la trascrizione completa del video:

NACYB: «Mi chiamo Nacyb Allouchi, sono una donna di Jendouba. Sono nata a Ain Draham, una zona alla frontiera della Tunisia con l’Algeria e ora abito a Jendouba.
Sono un’attivista nella società civile. Vorrei affrontare il tema del film “Lunàdigas” dal punto di vista della società, ma a partire da me e dalla mia esperienza per toccare cose che io ho vissuto nella società come una donna che per cinque anni dopo il matrimonio non ha avuto figli.
Voglio essere sincera con voi, per me quella non è stata una scelta, ma avevo dei problemi. Per me è stato come vedere lo specchio della società di come vede la donna senza figli.
A partire dai vicini, le donne che arrivano all’associazione ogni volta che entrano dicono: “ancora non hai un bebé”. “Non hai ancora un bambino, non hai nulla nel ventre”. “Cosa succede?”
Come se questa cosa non fosse normale, come se la donna che non ha un bebé fosse una donna mancante, che non è una donna!
È un aspetto che ho vissuto nella vita, anche le vicine che avevano dei bambini non mi parlavano granché. Se giocavo un po’ con i loro bambini o li salutavo, ricevevo pietà, oppure loro portavano via i bambini come se io li volessi prendere o avessi una malattia.
Ho vissuto delle cose veramente brutte e in quel momento ho deciso di avere delle cose positive nella mia vita e di dimenticare lo sguardo della società perché qui è troppo conservatrice e vede la donna che non ha figli come una donna extraterrestre, quindi la tratta male, tutti i giorni, la ferisce attraverso le parole, i gesti. Anche la famiglia, che è una piccola società anche durante l’Aïd, la nostra festa nazionale.
Ci sono donne che quando ti incontrano, mentre fanno spese per l’Aïd per i bambin, dicono: “Tu non hai bambini, non compri nulla per l’Aïd, non farai dei dolci.” Come se la tua vita fosse.. STOP! Tu non hai una vita. Non ci sono bambini, quindi non c’è vita. Tu non procedi, tu resti là in un angolo e stop.
In quel momento ho detto no! Devo avere delle cose di cui occuparmi se no io resto in questo circolo da cui non esco.
Ho avuto dei problemi psicologici per questa situazione e ho cercato di uscire di lì e di fare delle attività nella mia associazione di donne, l’associazione Rayhana.
Dunque ho scelto di viaggiare, di vedere il mondo, di vedere altre donne, di avere altre esperienze, di altri mondi che non trovo nel mondo dove sono, nel mio quartiere, nella mia famiglia, qui a Jendouba e anche in tutta la Tunisia, perché è la stessa cultura condivisa da tutti.

La cosa per me interessante è questo passaggio nella mia vita: sono stata cinque anni senza figli, ora ho un figlio.
Quel passaggio mi ha mostrato davvero la differenza di come la società ti tratta, come le persone ti vedono, come la vicina per 5 anni non mi ha quasi parlato, a volte mi salutava solo da lontano.
Ora che ho un bebé sono tutti sempre a casa mia, tutti vengono per vedere il bambino, farlo giocare. Come dire che per loro un bambino è la vita.
La comunicazione con la donna per loro è attraverso quel bambino, come dire “adesso sei una donna completa”.
Come se adesso mi potessero considerare una con una casa e una famiglia, prima no.
Prima non eravamo una famiglia, ma solo una coppia in una vita in cui non eravamo come gli altri.
Ora che c’è il bambino noi siamo una coppia completa, abbiamo una vita, il diritto di parlare con tutti, andare ai compleanni dei bambini, abbiamo il diritto di entrare all’asilo. Abbiamo tutti i diritti avendo questo bambino.
È un passaporto, un visto per ogni cosa. È veramente qualcosa che ferisce molto.
Se un giorno una sceglie di non avere figli, o ha qualcosa che glielo impedisce.
è veramente il disastro.
Io ho vissuto cinque anni di molestie e ogni giorno aumentavano. Non è qualcosa che poi passa, va avanti all’infinito. È una situazione molto grave in questa società.

Verso mio marito la società si è comportata diversamente, perché queste cose non sono legate all’uomo, ma alla donna.
Ossia, tutto il mondo pensa che il marito, l’uomo sia una persona completa: in ogni momento può avere figli con la donna x o y, non è un suo problema, il problema è la donna.
Gli uomini, i vicini, la famiglia, nessuno relaziona questo discorso al marito.
Il marito è completo, tutto va bene. La donna è il problema.
È la donna che non ha i figli, che ha problemi, è la donna che non è fertile, non il marito.

Le persone, la società, non mi riconoscono come la presidente di un’associazione, come una donna attiva, che fa delle cose nella propria vita,
che cambia o che cerca di far cambiare una società, che cerca di fare cose attraverso l’associazione per far cambiare la mentalità e la cultura che sono acquisite nella società. Vedono sempre la donna nella sua vita privata e questo non è solo per le donne senza figli, vale anche per le donne non sposate.
Purtroppo la società non vede la donna nella sua carriera professionale o in ciò che fa nella società.
Una donna come presidente, che fa delle attività, che è attiva nella società civile, che cerca di cambiare e far cambiare la società, che tratta tematiche veramente tabù, mettendole in luce e esplicitandole, e ne fa parlare nella società, tra donne, ma anche con gli uomini per comunicarle e condividerle con gli altri… Purtroppo qui la società vede la donna come la fertilità, come donna nella famiglia, che si sposa e poi avrà dei figli, vede queste tappe.
È per questo che qui all’associazione Rayhana noi abbiamo scelto di lavorare molto sulla voce, sul corpo, sull’espressione artistica della donna, perché possa trovare un luogo dove esprimersi attraverso il corpo, con lo sport, sia attraverso l’espressione corporea che attraverso la pittura, sia che canti sia che parli in pubblico attraverso “radio Rayhana”, che comunichi i propri problemi, che prenda posto in uno spazio collettivo per mettere l’accento sul genere, sui problemi delle donne.
Abbiamo scelto di avere qui un punto focale.
A Jendouba è Casa Rayhana dove si fanno varie cose e trattiamo diversi argomenti, dove invitiamo le donne rurali per condividere con noi, per migliorare a poco a poco la propria situazione economica ricavando risorse, anche se modeste, valorizzando i loro lavori domestici quotidiani che possono trasformare in valore economico, aiutandole a cambiare le loro vite, a prendere decisioni nelle loro famiglie.
Dunque attraverso l’associazione Rayhana cerchiamo di fare molte cose, affrontiamo molte sfide che escono dalle nostre vite personali e le condividiamo in una logica comunitaria.

Nella nostra società, nella nostra cultura
ci sono una serie di tabù che permangono da molto tempo e che cerchiamo di abbattere, come per esempio l’omosessualità e molte altre cose.
Ma il fatto di permettere di scegliere e soprattutto di scegliere di non avere un figlio è veramente, secondo la mia esperienza, come diciamo sempre, è un’etichetta che resta attaccata alla donna come qualcosa di veramente visibile.
Une donna che gira con una famiglia senza bambini è visibile a tutti.
Forse sugli altri tabù c’è qualcosa che si può vedere e altre volte no. Ma non avere un figlio accanto a te… in alcuni spazi della società questo si vede, è sempre là.

Perché io metto il velo è molto chiaro. Sì, posso risponderti.
Io metto il velo per una scelta mia come donna di portarlo, non è qualcosa di imposto dalla società o da mio marito. Un giorno io, come musulmana, ho scelto di prendere il velo e metterlo.
Forse arriverà un giorno in cui farò un’altra scelta nella mia vita ma in un certo momento ho sentito il bisogno di fare questo gesto, di mettere il velo.
È una scelta che ho fatto in un momento per me molto delicato, in cui mio padre si è ammalato di cancro e io sono stata ogni giorno al suo fianco.
Ho sentito che la vita in quel momento lì finiva e ho deciso di mettere il velo.
Non so perché: è una scelta che ho fatto al momento. E quando mio padre è deceduto ho continuato a tenerlo. Anche le mie sorelle hanno scelto di mettere il velo.
Forse se lo vediamo come qualcosa che nella nostra religione è…
C’è gente che dice che bisogna metterlo, altre correnti di pensiero dicono di no, non è obbligatorio. Ma tra una cosa e l’altra non c’è qualcosa di chiaro, sono tutte cose interpretate.
È una cosa un po’ delicata, fino ad ora io non ho trovato una risposta e a volte mi dico che… d’estate a volte per strada cammino senza velo, e a volte metto il velo. Chissà, forse è una turba della mia psiche, non so…
È qualcosa che è legato a me, può darsi che io continui con il velo o un giorno decida di no, ma è qualcosa che per il momento non ho deciso di cambiare.
A volte mi chiedo perché lo metto?
Sono una donna libera, mi vesto come le altre: perché metto il velo?
A volte mi dico no… Sono in un conflitto tra me e me, da anni sono in una fase, ci vogliono anni per cambiare.
Come la società, il mio interiore cambia, ma poco a poco perché io avevo veramente molto…
Anche quando faccio dei cambiamenti nella mia vita, io cambio me stessa e gli altri.
Per prendere delle decisioni anche io sono una donna, figlia di una cultura patriarcale.
Non cambio in fretta, il giorno che rompo degli stereotipi nella società sarà qualcosa di veramente grande, perderò delle cose, delle persone, ne guadagnerò delle altre.
Dunque il giorno che farò la ribelle, la rivoluzione dentro di me, sarà il momento giusto, sarà quello il momento. Sarà così.

Oggi Rayhana ospita il film Lunàdigas, lo vedremo alle 14 a casa Rayhana con un gruppo di donne, e dopo il film faremo un dibattito su questa tematica.
Abbiamo scelto di farlo perché è una scelta per noi di Rayhana, presa fin dall’inizio, insieme ad altre scelte fatte.
La libertà delle donne, la libertà della voce delle donne, la libertà di scelta delle donne, sulla propria sessualità, la propria vita, di decidere cosa ognuna di noi fa col proprio corpo, dalla sala sport in avanti, per lavorare davvero su questo.
Inoltre il film fa emergere veramente posizioni e opinioni di queste donne che sono per noi uno strumento per disincastrare delle cose, mettere sul tavolo dei tabù che dobbiamo discutere, perché esistono nella nostra società. Dunque è una decisione che come donne dobbiamo prendere, non è un rischio per noi.»

 

Français

NACYB: «Je m’appelle Nacyb Allouchi, je suis une femme de Jendouba, une femme Jendoubienne. Je suis nées à Aïn Draham, c’est une zone dans les frontières de Jendouba et de Tunis.
Maintenant j’habite ici à Jendouba et je suis une activiste dans la société civile.
Donc je veux aborder le thème du film “Lunàdigas” du point de vue la société,
mais je veux parler de moi-même, de mon expérience pour vraiment toucher des choses que je l’ai vécu à travers la société comme une femme que j’ai restée après le mariage 5 ans sans avoir des enfants.
Vraiment ça a été pas un choix pour moi, pour être sincère avec vous, mais j’avais des problèmes. C’est un miroir de la société comment elle voit la femme qui est sans enfants, vraiment à partir des voisins, des femmes qui arrivent à l’association, chaque fois qu’elles entrent: “Jusqu’à maintenant, tu n’as pas un bébé”. “Tu n’as pas un enfant jusqu’à maintenant, Tu n’a rien dans le ventre”.
“Qu’est-ce qu’il passe”? Comme si cette chose c’est pas normal, comme si la femme qui n’a pas un bébé, c’est une femme…elle est manquante ou qui manque quelque chose, qui est une femme, qui n’est pas une femme.
C’est une autre espèce, une autre chose qui qui vit dans la vie.
Même les voisines et tout ça qui ont des enfants, elles ne parlent pas beaucoup.
Lorsque je prends leurs enfants pour jouer un peu, ou je les salue ils trouvent ou pitié, ou bien ils prennent ses enfants pour eux, comme si moi je veux les prendre ou que j’ai une maladie, que je veux les passer des choses qui sont pas bien. Ils ont peur.
Donc j’ai choisi de vraiment avoir des choses positives dans ma vie, d’oublier la société parce que la société ici, elle est vraiment trop conservatrice, elle voit vraiment la femme qui n’a pas un enfant comme si une femme qui est extraterrestre.
Donc elle la traite tout les moments, tous les jours, elle essai vraiment de la blesser par des mots, par des choses, même la famille.
Même la famille, c’est pas juste la société; même la famille que c’est une petite société, même dans l’Aïd ou bien dans nos fêtes nationales, quand on les fait, il y a des femmes qui achètent l’Aïd pour les les enfants et tout ça.
Elles te voient: “Ah toi tu n’as pas des enfants, tu n’achète pas l’Aïd tu ne fais pas les pâtisseries”. Comme si ta vie c’est STOP, t’as pas de vie.
Il n’y a pas des enfants, donc il n’y a pas de vie.
Tu n’avances pas, tu restes là dans un coin et stop.
Å ce moment-là je dis non, je dois avoir des choses vraiment qui m’occupent sinon je reste dans cette cercle qui je veux pas sortir et ça a vraiment…
Parce que j’ai eu des problèmes psychologiques dans ce coté là.
J’ai essayé de sortir de là et d’avoir des activités et des choses dans mon association, de l’association de femmes, l’association Rayhana. Donc, j’ai choisi de voyager, de voir le monde, de voir d’autres femmes, d’avoir d’autres expériences, d’avoir d’autres mondes que je ne les trouve pas dans le monde ou je suis, dans mon quartier, ou bien dans ma famille, ou ici à Jendoube ou bien à toute la Tunisie parce que c’est la même culture, c’est partagée partout.

La chose qui est pour moi très intéressante c’est ce passage dans ma vie: j’avais 5 ans sans enfants et maintenant j’ai un enfant.
Ce passage-là te montre vraiment la différence entre comment la société elle vraiment te traite, comment les gens ils te voient, comment la voisine ne me parle pas beaucoup pour 5 ans, parfois elle me salue de loin et elle passe.
Après le 5 ans lorsque j’avais un bébé, tout le monde ils sont là à la maison,
tout le monde il vient pour me dire: “Il est là le petit, je peux le le prendre pour jouer un peu”? C’est à dire pour eux, un bébé est égale une vie.
La communication avec la femme pour eux c’est à travers ce ce petit là, c’est à travers ce bébé là, comme si maintenant tu es une femme complète et et ça y est. Maintenant on peut te considérer comme tu as une maison, une famille. Avant non.
Avant moi j’avais pas une famille, nous sommes juste un couple, comme ça, dans une vie. Comme si nous sommes pas comme les autres.
Donc maintenant, lorsque le bébé est venu, nous sommes un couple complet, on a une vie, on a le droit de parler avec tout le monde, on a le droit d’aller à l’anniversaire des enfants, on a le droit d’entrer dans la garderie des enfants. On a tout les droits, maintenant avec cet enfant là on peut passer, c’est un passeport pour nous, c’est une visa pour nous pour tous les choses. Vraiment…
C’est vraiment quelque chose qui blesse beaucoup, parce que si un jour on choisit de rester sans enfants ou on a quelque chose qu’on empêche, c’est vraiment le désastre.
Moi je vis 5 ans de d’harcèlement. Comme si… Chaque jour qu’il passe, chaque jour cette chose augmente. Ce n’est pas quelque chose qui est limitée où il finit dans un certain temps. Non, c’est à l’infini.
Donc, c’est vraiment très grave dans la société.

Par rapport à mon mari, c’est un peu… les choses dans la société changent, parce que avec un homme, ces choses là, c’est pas des choses qui sont liées à l’homme, elles sont liées à la femme.
C’est à dire tout le monde voit que le mari, un ou bien l’homme c’est une personne qui est complète donc à tous moments il peut avoir des bébés avec la femme X ou la femme Y, c’est pas un problème. Le problème, c’est la femme.
C’est à dire que les les hommes ou bien la famille ou bien les voisins ou bien tout ça, ils ne font pas ce discours avec le mari.
Le mari n’a rien, il est complet, il est totalement… Tout va bie,.
Le problème c’est la femme, la femme qui n’a pas des enfants, la femme c’est elle qui a des problèmes. C’est la femme qui n’est pas fertile, c’est pas le mari.

Et les gens, ou bien la société, ils ne me connaissait pas avant comme la présidente d’une association, ou bien comme une femme active, ou bien comme une femme qui fait des choses dans sa vie, ou bien qui change et qui fait changer une société, qui essaie de faire des choses à travers l’association pour faire changer des notions, des mentalité, des culture et tout ça, qui sont déjà acquises dans la société.
Toujours ils voient la femme dans sa vie privée. Et ce n’est pas juste les femmes sans enfants, mais celles qui ne sont pas mariés.
Malheureusement, la société ne voit pas la femme dans son carrière professionnelle, ou qu’est-ce qu’elle fait dans la société.
Une femme comme présidente, qu’elle fait des activités, ou qu’elle une femme active dans la société civile, qu’elle essaie vraiment de changer et faire changer la société, qu’elle traite des thématiques vraiment tabou, les mettre vraiment dans la lumière, et les faire sortir explicitées.
Parler avec toute la société, soit les hommes, soit les femmes, tout le monde
de les faire partager, de le communiquer aux autres.
Malheureusement, la société ici elle voit la femme comme une vraiment… la femme c’est la fertilité. C’est une femme qui a des droits dans la famille, une femme que elle se marie, après le mariage, elle aura des enfants, elle voit ses étapes-là.
C’est pour cela nous ici à Rayhana, on a choisi vraiment de travailler beaucoup sur la voix de la femme, sur le corps de la femme, sur le l’expression artistique de la femme, pour qu’elle vraiment trouve un endroit où elle peut s’exprimer, soit à travers le sport et avec vraiment son corps, ses expressions corporelles, soit à travers la peinture à travers les chansons, qu’elle chante, qu’elle parle au public à travers le radio Radio Rayhana, qu’elle communique vraiment ses problèmes, qu’elle se met dans un endroit collectif pour vraiment mettre l’accent sur le genre, sur les problème des femmes.
On a choisi vraiment d’avoir ici un point focal à Jendouba, dans Rayhana, où elle sort plusieurs axes où on traite plusieurs choses, où on invite les femmes rurales vraiment, et on l’attire pour être ici avec nous, pour qu’elles vraiment améliorent leur situation économique petit à petit, à travers des petites revenus, de valoriser leur travail domestique qu’elles font tous les jours mais que peut être elles peuvent les échanger pour un valeur économique que leurs aides vraiment à changer leur vie, vraiment à avoir prise la décision dans leur famille.
Donc, à travers l’association et à travers Rayhana on essaie de faire beaucoup de choses, on a beaucoup de défis qui sortent de notre vie personnelle et vraiment on les partage à un écart communautaires.

Dans notre société, dans notre culture, il y a une chaîne de tabous qui est là déjà depuis longtemps, qu’on essaie de l’abattre. Comme par exemple le mot homosexualité et plusieurs d’autres choses. Mais le fait de faire choisir quelque chose et surtout de choisir de ne pas avoir un enfant, c’est vraiment, selon mon expérience, comme on dit toujours, c’est un étiquette ou c’est quelque chose qui reste tout le temps attaché à la femme comme quelque chose qui est vraiment visuel.
Une femme qui tourne avec une famille sans enfants, ça se voit, tout le monde le voit. Peut être les autres tabous des choses on peut les connaître et il y a des choses qu’on peut pas. Mais vraiment de pas avoir un enfant à côté de toi dans certains places ou bien dans la société ça se voit, c’est quelque chose qui est toujours là.

Pourquoi je mets le voile? C’est très clair. Je peux te répondre, moi, je mets le voile, c’est un choix de moi, comme une femme de le porter, c’est pas quelque chose qui est imposé par la société ou bien de mon mari.
C’est quelque chose que un jour au moins, comme une musulmane j’ai choisit de prendre le voile et de le mettre. Peut être il arrive un jour que je fais un autre choix dans ma vie, mais il y a un certain moment j’ai senti que moi j’avais besoin de faire ça. J’avais besoin de mettre le voile.
C’est un choix, moi que j’ai fait dans une période vraiment, qui était trop délicate, où mon père était malade avec une maladie cancéreuse, et j’étais toujours à côté de lui.
Et j’ai senti que la vie, ça y est dans ce moment-là, la vie c’est fermée. J’ai décidé de mettre le voile, je ne sais pas pourquoi.
C’est un choix que je le fais maintenant. Et même quand mon père est décédé aussi, je continue à faire ça. Mes sœurs ont aussi mis le voile, elles ont choisi de faire ça.
Peut être on le voit comme quelque chose qui… parce que dans notre religion
c’est quelque chose… Il y a des gens qui disent c’est quelque chose qu’on doit le mettre. Il y a d’autres qui disent non. C’est pas obligatoire, mais entre ça et ça, il n’y a pas une chose qui est très claire, et toutes les choses sont des choses interprétées.
Je sais vraiment, c’est quelque chose qui est un peu délicate. Jusqu’à ce moment-là je trouve pas une réponse et même à chaque fois je dis moi… Dans l’été, parfois dans les rues je marche sans voile. Parfois j’oublie le voile.
Et peut être c’est une perturbation dans ma psychologie, je ne sais pas. C’est quelque chose qui est attaché à moi même. Un jour peut être je continue avec le voile, peut être non. Mais c’est quelque chose qui pour le moment j’e n’ai pas pensé à changer, je n’ai pas pensé à avoir. Parfois je dis pourquoi je le mets?
Je m’habille comme les autres, je suis une femme libre, pourquoi je mets le voile? Parfois je dis non. Peut être…
Je suis dans une bataille, j’y suis dans moi même. Il y a des années que je suis dans une période entre ça et ça, ça prend beaucoup de temps pour changer. Comme la société. C’est mon interne aussi, il change, mais petit à petit parce que moi j’avais vraiment beaucoup… Même lorsque je fais des moments de changement dans ma vie, je change moi et je change les autres. Et pour prendre des décisions parfois dans ma vie, moi aussi je suis une femme de cette culture.
Je suis une femme d’une culture patriarcale, je me change pas trop vite. Je prends du temps parce que le jour où je casse des stéréotypes, ça serait quelque chose dans la société vraiment un peu grand et je vais perdre des choses, je vais perdre des personnes et je vais gagner des autres.
Il vaut bien que le jour que je fais la rebelle ou la révolution en moi même ça sera vraiment le bon moment que je le fais. Ça sera le moment. C’est ça.

Aujourd’hui Rayhana accueille le film “Lunàdigas”, et on va le voir à 14h00 à Dar Rayhana avec un groupe de femmes et après le film on va faire un débat sur ces thématiques là.
On a pris ce choix parce que c’est un choix, nous, comme Rayhana, on l’assume depuis le début avec plusieurs choix qu’on a fait. La liberté des femmes, la liberté de voix des femmes, la liberté de choix par rapport aux femmes dans leur vie ou bien de leur sexualité, de leur vie, de décider qu’est-ce qu’elles veulent faire avec leur corps.
Ça sort de la salle de sport avant et pour vraiment travailler sur ça. En plus le film il sort vraiment avec des positions et des opinions de ces femmes là.
C’est un outil pour nous pour vraiment déclencher des choses et mettre sur table des choses taboues qu’on doit vraiment les discuter parce qu’il existe dans notre société.
Donc, c’est une décision comme des femmes on doit vraiment la prendre.
C’est pas un risque pour nous.»

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