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Il contributo dei partecipanti dell’Università della Terza Età dopo la proiezione del film “Lunàdigas ovvero delle donne senza figli”, fatto di storie personali e riflessioni linguistiche sulla terminologia utilizzata nella lingua sarda per indicare le donne senza figli.

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Ecco la trascrizione completa del video:

TESTIMONE 1:  «Vorrei esprimere un mio pensiero sul filmato e su quello, secondo me, che è venuto a mancare, esempio: una coppia… non solo le donne, ma dico una coppia o delle coppie che hanno fatto la scelta di non avere figli. Mi è sembrato che questo andasse inserito nel contesto per capire se la scelta di non avere figli insieme l’ha deciso la coppia.
Io lo dico perché due cari amici, che l’età adesso anche per loro è avanzata, non hanno mai avuto figli – nessuno di noi, ci mancherebbe altro, per l’amicizia eccetera, ha chiesto; “Non ne abbiamo voluti” o comunque: “Non ne sono arrivati”, non hanno voluto prendere, per esempio con le norme vigenti – e loro ci hanno sempre detto, per l’amicizia: “Non ne abbiamo fatto un problema e come marito e moglie abbiamo condiviso questa scelta. Vogliamo bene ai bambini e abbiamo nipoti”.
Però questo è dal vivo, cioè parlo di un fatto realmente accaduto, di persone che ancora oggi sono… la mia osservazione era dettata da questo: cioè, se io voglio argomentare di coppie che hanno scelto di non avere figli è diverso dal concetto generale che contrasta la denatalità.
Perché poi è di questo che si tratta. Da una parte c’è da capire che ci sono scelte di quello che abbiamo visto nel filmato, dall’altra però c’è l’aspetto diverso.
È vero che la donna è nata per, deve avere per forza figli? No, non c’è scritto da nessuna parte.
La filosofia non ha questo concetto: “devi per forza avere figli”, ma per manifestare questo, per manifestare il fatto della maternità, ne fa una scelta personale, l’uno e anche la scelta personale, eventualmente del compagno.
Ecco questo mi pare di dirlo con molta… con un pensiero anzi, positivo, mi pare che mancava questo, voglio capire però l’altro.
Chiudo però perché non voglio fare… chiudo dicendo questo: la stampa di oggi e quella di ieri riportava: “se hai o vuoi dei figli licenziati”, possiamo noi combinare il diritto di madre con il diritto al lavoro? La scelta di non avere figli è un dilemma perché non è la mia fantasia ma è un dato della stampa di ieri e la stampa di oggi. Ecco questo probabilmente…
La chiudo con la domanda che ho fatto a voi, ieri, e questa di nuovo, la faccio con ragioni di fatto eccetera. Bellissimo tutto quello che abbiamo visto e ripongo la domanda: il raggiungimento delle finalità di questa bellissima iniziativa dove porta? Chiedo scusa e vi ringrazio.»

TESTIMONE 2: «Non son brava a fare queste interviste… una signora ha detto: “Io non ho figli, non piaccio ai bambini e i bambini non piacciono a me”. Come fanno a non piacerle i bambini, i bambini sono un amore.
È una felicità avere un figlio, se non lo può avere è triste. Però ognuno ha le sue idee, può scegliere ma non può dire: “Non mi piacciono i bambini e i bambini non piacciono a me!” perché questo… perché, per esempio, io che ne ho tre li adoro, ho avuto una bella famiglia, quindi sono una persona fortunata però so che c’è gente che fortunata non è con i figli; per esempio sono qui, a sapere queste belle cose, perché i miei figli sono venuti per il compleanno e mi hanno iscritta all’Università, perché volevano che la mamma provasse pure questo.»

TESTIMONE 3: «È un po’ particolare che parli un uomo ma l’argomento può essere trattato anche da un uomo. Si dice che se gli uomini partorissero non ci sarebbero più figli: secondo me il problema è lì. A voi donne che siete le uniche depositarie di questo grande mistero – perché è un mistero dare una vita – voi che siete depositarie, scegliete voi.
Ecco perché è bello il fatto che ci sia la scelta, cosa che magari una volta era legata a queste opinioni pubbliche della gente – mi ricordo in paese: “eeeh scherziamo…”, per non parlare poi… – e quindi questo fatto che la donna non abbia figli, come si dice, sono fattacci suoi e può scegliere.
Penso che la cosa più bella sia quella che può scegliere.
Quindi se si radunano le donne che hanno scelto di non avere figli penso che sia una cosa bellissima, come qualsiasi altra scelta.
La società di adesso poi è portata addirittura a capire tutti quei condizionamenti che avevamo noi dovuti alla Chiesa – io lo dico sempre, perché è lei che ci ha condizionato, a tal punto che non eravamo più in grado… ad esempio, quando si leggono le battaglie che stanno facendo gli omosessuali: chiedono al Papa, addirittura, cosa ne pensa degli omosessuali e la Sede fa una concessione però molto molto relativa. Perché una volta, ad esempio, l’omosessualità era considerata una malattia, addirittura. Quindi figurarsi se una donna che decide di non avere figli deve avere dei condizionamenti. Assolutamente, quindi ben vengano queste associazioni, secondo me; ripeto io parlo come uomo, io ho avuto figli, però ho una figlia che non vuole fare figli e non ha nessun pentimento.
Perché lei dice che tutte queste situazioni, anche il lavoro, han voglia di dire che il lavoro… no, il lavoro dal punto di vista economico è ben logico che è il primo problema. E poi ci sono tutti gli altri. La professione, mia figlia ha dedicato tutta la sua vita allo sport e lo sport la condizionava perché quando faceva agonismo, maratone e così, il corpo della donna non permette di essere incinta. Però aveva le colleghe che andavano a fare l’esame per avvocato con tanto di pancia che non finiva più e non era una cosa, diciamo, bella, non era una cosa bella.»
NICOLETTA: «Posso farle una domanda?»
TESTIMONE 3: «Anche due.»
NICOLETTA: «Vorrei chiedere a questo signore di spostarci sul personale e di raccontarci sinceramente come ha accolto questa libera scelta della sua figlia.»
TESTIMONE 3: «Ma, logicamente io mi sono trovato in una situazione un po’ particolare perché sono rimasto vedovo e quindi non avevo l’appoggio della moglie. Sicuramente la moglie non era d’accordo perché la moglie era orientata ancora alle vecchie tradizioni, per cui mi ricordo che vagamente ha saputo che la figlia prendeva la pillola… era rimasta mia moglie. “Lo sai che…” – per dire che non era d’accordo; io personalmente sono al concetto di prima, che ognuno sceglie quello che vuole.
A me diventare nonno mi sarebbe piaciuto ma non l’ha prescritto il medico per cui… e vedo che a mano a mano che si va avanti con l’età forse è meglio essere più tranquilli; anche se secondo me rientra tutto nell’egoismo. Perché parlando con mia figlia, con mio genero anche, dice: “no, no i figli, io non voglio rotture di scatole, io qua, io là”. Come dicono a Roma: i figli son belli, però quelli degli altri; a Roma dicono anche: chi li fa se li trastulli. Questo fatto di tante mamme moderne che però scaricano tutto ai nonni, anche la figura del nonno eccome se si è rivalutata. Perché poi queste nuove generazioni non è che siano poi così tagliate per fare le madri, anche fare la madre è un incarico molto molto, ma molto duro per cui, se possono esautorarsi si vede spesso: “Ma dove vai?”, “Vado da mia madre a portargli il bambino”. Insomma, noi non lo abbiamo fatto. Noi li abbiamo fatti i figli però ce li siamo trastullati. E speriamo di averli tirati su bene, però insomma… questa è la realtà. Cioè la società di oggi è in difficoltà. Quindi voi, secondo me, non è che scoprite l’acqua calda, però la situazione è tale che… io vedo che la società non è molto propensa a fare figli, ecco perché bisognerà aiutare chi viene dall’estero perché hanno detto che sono quelli che dovranno darci una mano perché la denatalità, ormai ci siamo dentro.
La Sardegna che era una terra dove c’era sto matriarcato, invece è la prima regione in Italia che ha denatalità. Io sono trentino e su a Bolzano, nell’Alto Adige, hanno risolto questo problema e l’hanno risolto con le famose Tagesmutter che sono quelle donne, una specie di asilo. Perché poi c’è quest’altro problema: avere un figlio e non avere nessuno, ecco perché si fa sempre il caso del nonno, “Vado dal nonno, gli porto il figlio”, e questi nonni si trovano con responsabilità perché, addirittura a insegnare… dice: “Gli do io la lezione, per insegnare…”, invece no: “guarda che la matematica è tutta cambiata”. E quindi il nonno è una figura col computer, che il nipote dice: “Dai nonno abbi pazienza, si fa così, così e così”,
“Ascolta non ho capito bene!”
“Nonno ma non capisci niente!”
Questo detto dal nipotino così; voglio dire, in Alto Adige la Tagesmutter è una specie di asilo perché, ripeto, i bambini non sanno dove portarli se non hai pareti, se non hai dei nonni, dove li porti? Io donna, che posso anche lavorare, e quindi economicamente, grazie a dio, mi posso salvare, però ho il bambino, e dove lo porto il bambino? All’ asilo nido no, perché bisogna avere… tutti questi problemi li hanno risolti con le Tagesmutter che sono delle signore che fanno le mamme e danno un contributo per aiutare queste famigliole, per cui si crea questo bellissimo rapporto tra i bambini che hanno più mamme… scusate se sono un po’ chiacchierone, io sono fatto così.»

TESTIMONE 4: «Io parlo per dovere di cronaca e di generazione perché ho ventisei anni, credo di essere nel fior fiore della generazione. Mi è piaciuto tantissimo. Soprattutto perché io sono molto fiera di alcune parole che abbiamo in Sardegna che secondo me rendono molto più di perifrasi in questo caso “non fare la madre, non voler fare la madre”.
Vorrei dire che la nostra generazione, è vero, siamo una generazione, come dice mia mamma, un po’ depressa perché vediamo tutto questo mondo che ci sta crollando addosso e il fatto che la società e tutto ciò che sta succedendo ha riportato alcune rivoluzioni, come per esempio il femminismo, e anche varie lotte, come diceva anche la… i diritti per la comunità LGBT, tutte le comunità delle persone non abili, insomma… abbiamo tante lotte che stanno cercando di venire fuori tutte insieme. Come donna, come ragazza mi è piaciuto l’intervento che è stato registrato: “Mia madre non mi ha mai detto cosa dovessi fare, e questo mi ha lasciato una certa angoscia”. Secondo me questo ce l’abbiamo in tanti perché è vero che lamentarsi di avere un obbligo sociale, di essere madre, eccetera è una bella valigia da portarsi addosso ma il non avere, cioè avere solo la tua decisione, ti porta a un senso di responsabilità. Perché la denatalità, è vero, succede, può essere anche il fatto che incominciamo a prendere anticoncezionali veramente dai 13 anni.
Quello di cui io sono più preoccupata è la conoscenza della sessualità perché sappiamo che i figli vengono… a parte per chi li vuole in vitro, vengono all’interno di un rapporto sessuale e purtroppo, oltre al fatto del voler avere un figlio, purtroppo capita. E questo capitare, secondo me, è capitato tanto spesso che poi sia stato accolto bene che i figli sono stati cresciuti da chiunque ci fosse, potesse essere il nonno o il vicino di casa, però la consapevolezza del voler una famiglia, del volere un figlio e del perché, deriva tutto anche dall’essere consapevoli di chi siamo.
Secondo me molti della mia generazione, prima di mettere al mondo dei figli si chiedono anche: “Cosa possiamo dare a questi bambini? Possono dargli davvero qualche cosa? Cosa dobbiamo davvero noi risolvere tutti i drammi di cui siamo portatori?”
Quindi, secondo me le ragazze con questa necessità di autodeterminazione spesso si arrabbiano tanto e magari non si ascoltano quindi il fatto di continuare questo progetto e chiedere a noi, dai venti ai trenta, anche trentacinque : “Tu ci hai mai pensato, veramente, perché non vuoi figli? Lo fai perché tu pensi che il mondo non possa accoglierli o perché tu non te la senti?”
Perché secondo me è una domanda che adesso è difficile.»
NICOLETTA: «Tu ci hai pensato veramente perché non vuoi avere figli?»
TESTIMONE 4: «No, io non penso di non volere figli. Ogni volta dico: “Se al momento mi è permesso, biologicamente parlando, perché no?”. Tutte quelle che dicono: “Non voglio far figli perché non li voglio far vivere in questo mondo”, mi rattrista perché non penso che il mondo sia brutto. Però penso che bisogna lavorare tanto su di noi, sulla donna, sulla sessualità sul fatto di conoscersi come persone, di poter essere in relazione funzionale con l’altro, chiunque esso sia perché quello, poi crea anche, secondo me, un figlio che sta bene, perché responsabilizziamo anche genitori e chi sta intorno; quindi è giusto anche lavorare su questo, prima di avere figli.»

TESTIMONE 5: «Il problema principale di avere figli o non avere secondo me, come dice la signorina: “Dove li piazzo, dove li metto?”
Perché a me è capitato: io mi sono sposata a ventitré anni, a ventiquattro avevo già due figli, quindi me li sono… ho avuto anche l’aiuto di mia madre però perché con il mio introito e quello di mio marito, metterli all’asilo tutti e due non sarebbe stato possibile. Per cui me li sono tenuti a casa. E così come me tante altre persone, si lavora per il bene comune della famiglia però ci sono certe istituzioni che non ti danno niente. Cioè, il bambino sta male e devi stare a casa tu. Soprattutto una che lavora indipendente, cosa fa? Deve chiudere il negozio per stare con il bambino. Non c’è una figura, a parte la nonna, che poi molte volte anche la nonna deve andare a fare le cose sue, non sei aiutato dalle istituzioni, a prescindere da tante altre cose. La società la creiamo noi. Se tu hai un figlio e lo educhi e lo fai grande lo fai maturare, la società sarà bella. Io li ho cresciuti all’aria aperta, libera. Ora come ora i genitori hanno paura dei figli. Secondo me si è spezzato un anello della catena. Noi che siamo cresciuti con il rispetto per i genitori, per i vicini di casa, per il nonno, per la persona anziana adesso – non parliamo di quello che ti dicono i ragazzi quando siamo sul bus – per cui, è chiaro che una signorina, una ragazza ci pensa bene prima di mettere al mondo un figlio per mandarlo così allo sbaraglio. Ci sono tanti piccoli problemi che messi insieme sono enormi.»
NICOLETTA: «Scusi una domanda personale. Lei a ventitré anni ha scelto di avere i suoi figli?»
TESTIMONE 5: «Scusi, io a ventitré anni non sapevo neanche come nascevano i figli, l’ho saputo perché lavoravo in un negozio che vendeva roba da neonati, per cui venivano le signore incinta, mia madre non mi ha mai detto niente. Anche questo è stato un problema. Perché arrivata a ventitré anni mi sono trovata incinta: “Ma quando nasce?”
“Boh, che ne so?”
Vai dal medico, allora incominci a toglierti il prosciutto dagli occhi e ti fai le tue esperienze. Alla seconda figlia ho detto: “Beh, prendiamo la pillola!”. Era la prima che usciva ma non me ne importava niente. Questo per dire: i genitori non ti hanno mai detto niente.
Andava così: “Sono incinta!”,”Eee belli, grande, festa”. E poi?
La notte mi alzavo io, non si alzava neanche mio marito – tra parentesi, quindi io lavoravo e poi… vabbè a prescindere da questo, ci sono state altre cose, per cui… i miei figli, per esempio, non hanno figli. Non perché non li hanno voluti, ma perché non sono arrivati. Sarei stata felicissima di essere nonna, di portar a trastullare i bambini, però non ci sono, me ne faccio una ragione. Vedo che purtroppo, ora come ora, bambini nella nostra strada non ce ne sono più. L’età media è cinquanta, cinquantacinque anni.»

TESTIMONE 6: «A prescindere da tutto è andato perfettamente, però io vi devo raccontare un fatto successo alla mia fidanzata. Eravamo fidanzati nel ’62, nel ‘63, troviamo posto e lavoriamo tutti e due nella stessa azienda. Bene, alla mia fidanzata hanno fatto firmare una lettera con la quale dichiarava che se, nel caso ci fossimo sposati, avendo figli, avrebbe dovuto lasciare il posto.
Ecco, questo già da allora, dal ’63, ci siamo sposati nel ’65; ha creato una certa difficoltà, insomma, situazione un po’ anomala.
Nonostante ciò, siamo andati avanti, abbiamo avuto due figli, e così via. Dopo di che è successo che per cause dovute a salute non abbiamo potuto avere più figli, altrimenti ne avrei avuti altri perché a me piacevano molto. Oggi che mi trovo solo ho necessità di una compagnia.
Oltre ai figli, ho questi nipoti e se non avessi avuto figli, con chi sarei rimasto ora che sono solo?
Non ho più fratelli, sorelle, genitori, con chi sarei rimasto?
Ecco perché vengo qui e trovo una famiglia. Ho trovato una famiglia qua dentro.»

TESTIMONE 7: «Figli non ne ho avuti ma non ci ho neanche mai pensato ad avere figli, ecco, una cosa che… perché lavorando, facendo un lavoro autonomo, non avrei potuto seguirli perché conosco colleghe che dopo aver avuto i figli hanno dovuto abbandonare il lavoro e dopo un paio d’anni hanno ripreso. È normale per chi ha un lavoro indipendente è molto difficile. Però non sento la necessità di avere un figlio oggi, no.»
NICOLETTA: «Perdonami, dalla tua suocera, dalla tua madre è stata ben accolta questa tua scelta?»
TESTIMONE 7: «Sì, sì non ho avuto problemi. Per noi è normale, ecco. Per la mia famiglia era normale. Invece in famiglia tutti hanno avuto figli, con grande sacrificio, altri familiari che hanno lavoro indipendente… hanno avuto difficoltà, ecco, c’erano i nonni che seguivano i bambini… anche quello era normale a casa nostra, ecco.
Adesso ho nipoti, andiamo molto d’accordo, però li sento come fratelli, neanche nipoti; fratelli li sento, fratelli e sorelle.»

TESTIMONE 8: «Sono cresciuto con un problema di casata: quando ero piccolo sapevo che ero l’unico Ardau maschio quindi mi ponevo il problema di dover fare figli per il cognome. Non siamo nobili, è soltanto un cognome poco diffuso in Sardegna però, all’interno di convenzioni, mi ponevo questo problema; poi piano piano è arrivato internet, sono arrivate tutta una serie di possibilità che mi hanno fatto capire, sapere che c’erano anche altri Ardau uomini che potevano portare avanti il cognome. Non che fosse un problema fondamentale però mi ponevo questo problema. Forse dentro, proprio, una convenzione sociale, quella di dover andare avanti e procreare quindi avere dei figli. Poi i figli non sono arrivati. Non è stata una mia scelta, non sono arrivati ma per diversi contesti e momenti della vita e alla fine, insomma, me ne sono fatto una ragione.
Non so poi cosa sarebbe successo se fossi diventato padre, ma io la penso così: non avere soldi, avere la possibilità di crescere figli, un problema alla volta insomma. Una volta che il bambino nasce ci si pone il problema come crescerlo nel migliore dei modi; se noi dovessimo pensare a tutte le sfaccettature che la vita ci pone davanti non faremmo un passo in avanti, su tutto: non cambieremmo lavoro, non compreremmo casa, non faremmo nulla di nulla, quindi secondo me a volte non bisogna pensare molto. Però questi temi secondo me sono più grandi di noi, nel senso che noi che cosa possiamo fare per vincere l’assenza di natalità, il calo demografico, o fare in modo che le donne e gli uomini possano avere figli? Insomma, sono cose anche più grandi di noi. A me interessa, più che altro, una cosa: che tutti siano ascoltati e riconosciuti. Perché quei termini che sono stati detti prima: tuvura, zitella, burda, erano termini offensivi. Cioè, davano un’etichetta brutta, un giudizio di merito negativo a chi magari non poteva o non voleva avere figli; cioè, al di là del problema della natalità che non è in capo a noi, a me interessa che le persone che non vogliono – perché chi non può, un film – chi invece non vuole abbia ascolto, sia incluso nei ragionamenti, nella società, che non sia emarginato. Giro completamente il ragionamento: noi abbiamo fatto, hanno fatto le battaglie per poter permettere di avere figli a persone che in termini biologici non potevano averne: referendum, persone che fanno viaggi della speranza per avere un figlio in Spagna; abbiamo fatto di tutto per poter dare a tutti la possibilità di avere un figlio, mi preoccupa che nella nostra società non si da’ invece la possibilità di ascolto a chi figli non ne vuole avere. Senza giudizi di merito. Perché, insomma, puntare il dito come fa Dio, come fa Zeus, nell’universo, secondo me non ci compete, ma la società deve essere, secondo me, plurale e deve dare la possibilità a tutti di avere un riconoscimento o di non avere delle difficoltà anche di relazione, perché quando veramente si fa la domanda: “hai figli?” e uno risponde con delle battute perché devi fare delle battute per non entrare in discussioni che, a volte, possono essere imbarazzanti, vuol dire che siamo una società arretrata. Una società arretrata che deve fare dei passi in avanti con molta tolleranza, con molta pazienza, quindi, al di là di certi argomenti che non sono in capo a noi – denatalità si, denatalità no – mi interessa o almeno vorrei che tutti avessero ascolto perché tutti hanno il diritto di poter esercitare quella libertà.
Guardate che esercitare la libertà è una cosa complicata. Poter scegliere è una cosa che non compete, non viene data a tutti, perché certe persone non possono scegliere, cioè, non sono persone libere. Io vorrei che ognuno di noi fosse libero di scegliere, è una questione di modernità.
Quello che noi possiamo fare, anche con questi ragionamenti, secondo me è importante e serve a farci progredire. Figli o non figli, perché prima di tutto siamo persone.»
[vocìo: “Giusto”] TESTIMONE 8: «Sul gatto? Quando chiedono: “Ma tu hai figli?”, rispondo: “No, ho un gatto!”. Nel senso che poi alla fine è una stortura, è una battuta anche per smorzare la domanda che, a volte, è anche… non dico inopportuna, però a volte è pericolosa. Ad esempio io per lavoro raramente chiedo alle persone: sei sposata, fidanzata, hai figli, non hai figli, perché le risposte sono le più varie e rischia, chi fa la domanda, di farle anche delle figure un po’ così, ed è una mancanza di rispetto; però la risposta: “ho un gatto” viene proprio da una condizione forse di non inclusione, quindi, ritorna, i ragionamenti sono di dare albergo e voce a tutti.»

TESTIMONE 9: «Diciamo che faccio parte di questo bellissimo gruppo. All’inizio per scelta perché non volevo figli, perché volevo essere figlia di un papà bellissimo e quindi mi sentivo figlia.
Poi, forse l’incontro con delle persone con cui sinceramente non avevo trovato… come dire, la persona giusta per essere padre dei miei figli e quindi non ho mai intrapreso quel passaggio di sposarmi, di creare una famiglia.
Quando poi avrei voluto…tic toc tic toc… l’orologio biologico ha detto: “ciao”. Però io ritengo che tutte le mie scelte, sia quella di non aver avuto figli all’inizio perché volevo studiare, perché volevo essere figlia eccetera, siano state giuste; nessuno mi ha impedito, nessuno mi ha detto: “ti devi fidanzare, ti devi sposare perché hai una certa età”.
Dopo, evidentemente condivido il pensiero che doveva andare così. Sono molto zia, ho tanti figliocci, quindi io adoro i bambini. Quando c’è una festa in famiglia, un matrimonio, vedi una nuvoletta di bimbi: io sono là in mezzo.
Però è una scelta. Una scelta che va rispettata naturalmente perché per esempio mia sorella ha un figlio, sopporta solo lui perché è il figlio ma non la vedrai mai giocare con altri bambini, perché sono scelte, lei però ha desiderato tantissimo questo bambino, è arrivato però…
Quindi credo che la maternità in una donna sia una cosa molto ampia, nel senso che possiamo essere mamme anche se non lo siamo biologicamente. Quindi avere tanti bimbi che magari…
Ho fatto per tanti anni anche la catechista, ho avuto tantissimi bimbi a cui facevo ripetizioni, quindi ho tanti bimbi che adesso sono… l’ultimo che ho visto, due metri che mi fa: “ciao Ale”, io ho detto: “chi è questo?”, “Non ti ricordi? Mi facevi ripetizione di italiano”. Quindi, insomma, ho vissuto così la mia maternità. Anche se non sono mamma.»

TESTIMONE 10: «Allora intanto devo dire che ho preso coscienza di tutte queste sfumature di pensiero delle donne che non hanno figli, per scelta o per casi della vita, soltanto dopo che ho sentito voi perché sinceramente la mia vita era fatta di rapporti tradizionali: padri, madri figli, figli dei figli e così via. Personalmente, quando mi sono sposata, avevo fatto – forse una scelta solo mia – di aspettare qualche anno prima di avere figli perché il mio ex marito era uno sportivo quindi erano più i giorni che passava fuori casa… stavo pensando la difficoltà di avere un figlio con una presenza del compagno così scarsa, chiamiamola così. Poi, tra una cosa e un’altra è passato un anno, invece sono rimasta incinta e allora ho avuto mio figlio. Personalmente sono stata contenta, anche se poi con la sua nascita sono peggiorate le situazioni tra me e mio marito e quindi insomma… comunque sia la mia attenzione al figliolo era scontata, per me era una cosa naturale che io mi dedicassi a lui. Piano piano probabilmente dedicarmi molto al figliolo mi ha fatto trascurare il marito, dopo di che, quando il bambino aveva tre, quattro anni, ci siamo separati e sono rimasta così.
Non ho mai pensato: “ahimè, c’è il figlio”- che chiaramente è un legame indissolubile anche con l’ex marito perché è comunque il padre di mio figlio – cosa che tutt’ora, che ha quaranta e fischia anni, sta gestendo positivamente perché così come frequenta la mamma sta frequentando ed è vicino anche al padre; quindi dal punto di vista educativo… ora, non so, mio figlio non mi ha presentato nessuna compagna, nessuna amicizia, quindi non so che vuol fare della vita. L’esempio che ha avuto è stato un po’ negativo perché ha visto una famiglia separata, dopo divorziata, quindi è cresciuto con molta autonomia, facendosi le sue esperienze però non mi ha passato informazioni sul suo sentire, sul suo pensiero, anche per quanto riguarda la situazione dei genitori, non si è mai sbilanciato. Quindi io non ho sentito pesare questa presenza del figlio; ora è grande, un uomo quindi ci rapportiamo da adulti, anche se lui lavora fuori a Treviso.
Però, non so, parlando delle mie esperienze personali, quelle che interessano la vostra ottica, dopo diversi anni ho avuto un rapporto sentimentale con un altro uomo – dopo che eravamo già separati abbondantemente – però anche qui, era un uomo sposato, aveva la famiglia sempre davanti a sé – soprattutto le figlie, logico che fosse così – e niente… una bruttissima esperienza. Sono rimasta incinta e ho dovuto abortire.
Una scelta; ho lasciato anche quell’uomo, è stata un’esperienza traumatizzante per me ma non trovavo altra via d’uscita perché non c’era assolutamente in me la volontà di imbarcarmi in una tensione, mettermi in mezzo alla famiglia sua, cose varie; quindi negativo, ho chiuso tutto.
Poi mi sono dedicata un po’… mi sono riscritta all’Università però poi avevo bisogno di lavorare quindi… sono entrata in CGIL, sono stata Amministratore Delegato del CAF della Sardegna.
La mia vita è stata riempita moltissimo non ho pensato a nient’altro che al lavoro e a mio figlio, ovviamente, che però faceva la sua vita. A tutt’oggi sono felicemente pensionata.»
NICOLETTA: «Quando hai detto: “Lunàdigas mi ha fatto vedere un mondo a cui non avevo mai pensato”, come mai, non avevi…?»
TESTIMONE 10: «Perché non c’erano… forse una zia che non ha avuto figli, però nel mio parco parenti e amicizie erano tutti canonizzati con moglie, marito, moglie e figli e quindi non ho mai preso contatto; io ero una nipote, quindi questa zia era distante dalla mia possibilità, non mi è mai venuto in mente di chiederle: “come mai non avete avuto figli tu e tuo marito?”, non mi è mai venuto. E anche dopo non ho mai preso visione di persone che avevano fatto questa scelta oppure si son trovate, per casi della vita, a dover rinunciare ad avere figli.
Ecco perché. Ascoltando voi ho detto che avete aperto una voragine che io non conoscevo.
Tantissime donne, ho visto, hanno preso molto consapevolmente questa decisione, altre si sono trovate coinvolte in altri casi della vita, si sono trovate ad avere una certa età, dice: “io non ho bisogno dei figli” – così io ho recepito da alcune interviste – e poi personalmente, non ti posso dire: “ho un’amica che è in questa condizione.»
NICOLETTA: «Ma per esempio quella zia, perché tu non hai mai chiesto le sue motivazioni?»
TESTIMONE 10: «Perché quando io frequentavo quella zia – era una cugina di mia madre – ero ragazza, giovanotta quindi non avevo il problema, non lo vedevo nemmeno, “è senza figli”, quindi… mentre l’altra zia, la sorella di questa, aveva Francesca, insomma… ho conosciuto i figli dell’altra zia. Di questa zia non mi sono mai posta il problema. Perché forse non avevo visto la difficoltà, oppure non avevo individuato in questo non avere figli un caso strano rispetto al mio tram tram quotidiano. Anche mia madre la frequentava normalmente senza porsi problema di nessun tipo, anzi erano molto affezionati – non aveva avuto sorelle mia madre e quindi queste zie erano, per lei, l’alternativa.»
NICOLETTA: «Non c’era giudizio nella famiglia verso questa zia? Era normale?»
TESTIMONE 10: «Assolutamente, era accettata e veniva amata con affezione da parte di mia madre come anche l’altra zia che aveva figli per cui noi non siamo cresciute con…
Mia madre non ha mediato un atteggiamento negativo nei confronti di questa zia, assolutamente.
Anzi era molto affezionata: “senza figli? mah, se non ha figli…” , come se fosse una cosa normale. Forse mia madre culturalmente aveva un approccio un pochino superiore a quello di mio padre, dal punto di vista culturale: anche se veniva da un paese del nuorese aveva combattuto contro l’opacità di quelle condizioni di quelle visioni per cui era emancipata.
Il messaggio che ci dava mia madre era… lei era emancipata e men che meno ci avrebbe educato a disprezzare una persona senza figli. Quindi io, culturalmente, non ce l’ho questa problematica.»
NICOLETTA: «Scusa, un’ultima brevissima cosa: pensi che non esista proprio questo sguardo o che la tua fosse una famiglia particolarmente illuminata per non giudicare questa zia? Cioè, ha senso la ricerca di Lunàdigas, la ricerca di Lunàdigas per te ha un senso…?»
TESTIMONE 10: «Mi avete messo davanti ad uno spicchio di umanità che non conoscevo, nessuno mai mi aveva esposto questi tipi di concetti che sto sentendo, che sono scelte oppure: “ho scelto di non avere figli” oppure: ” non ho avuto figli per i casi della vita”. Nessuno mi aveva mai fatto mettere a fuoco questo atteggiamento per cui io che sono cresciuta come se fosse un aspetto della società, della vita normale, non avere figli… non riuscirei nemmeno a disprezzare una persona che non ha figli. Non fa parte della mia cultura e non l’ho vissuta dal punto di vista familiare. Mio padre era un insegnante, mia madre aveva fatto gli studi a Macomer quindi si era evoluta rispetto al paese; non ci hanno educato a queste chiusure, questo te lo posso garantire, infatti quando ho sentito tutte queste dichiarazioni ho pensato che è una realtà che non conoscevo.»

TESTIMONE 5: «Dopo le due figlie che sono nate a tamburo battente, una appresso all’altra, c’è da dire che mio marito era il primogenito, aveva trentuno quando ci siamo sposati, non era più ragazzino; le figlie di mio suocero, le mie cognate avevano figli maschi. Sicché l’unico maschio di mio suocero era mio marito che aveva due figlie femmine, non poteva tramandare il casato. Un bel giorno viene a casa, forse la più piccola aveva tre anni, mi viene a dire, che poi me lo ha detto il pediatra quando ha saputo che ero di nuovo incinta: “signora cosa vuol fare, una squadra di calcio? Le scrivo io le pillole”. E lì l’abbiamo interrotta. Viene a casa mio suocero, veniva a trovarmi da solo anche senza la moglie, guardava le bambine, era felicissimo. Un giorno mi ha detto: “ti devo chiedere una cosa”, “dica babbo” – gli davo del lei perché si usava così -, “devi fare un altro figlio”. “A chi?”
“Tu, tu lo fai adesso, ti regalo un milione”.
Sa che cosa vuol dire nel’68, ’69? Ho detto: “No!”
“Ma ci pensi?”
“Ascolti, io ho fatto ciò che mi è stato seminato, non lo so come andrà a finire, se pure quell’altro sarà femmina; i figli spariscono, la femmina mi rimane, Grazie tante, caro suocero”.
Però lui tornava alla carica. Lui voleva un altro per lasciare il cognome.
Ma che? Cosa significa? Per me non ha significato: un cognome, basta. Non hai i possedimenti, non hai la contea, il ducato, non c’è niente. C’era soltanto un cognome, basta. Io non l’ho fatto. Caso ha voluto che l’ultimo figlio di mio suocero, sempre maschio, ha avuto una figlia femmina quindi, la dinastia si è interrotta lì.»

TESTIMONE 11: «Le donne che non hanno avuto figli in Sardegna le chiamano burdas.»
TESTIMONE 12: «Dicevano che era un tronco vuoto. Quindi un tronco vuoto non fa frutto, è secco, sei come una vigna, una vigna secca che non produce uva. Non ha frutto, quello è il significato, diciamo.»
NICOLETTA: «Che parola? Com’è la parola in sardo?»
TESTIMONE 12: «Tuvuda, tuvura in cagliaritano, io tuvuda. Al mio paese si dice tuvuda. Sei come un tronco secco.»
TESTIMONE 13: «Mi ha colpito molto, io non lo sapevo – tuvura? – io non sono di Cagliari, che vuol dire vuoto, anche se Giuseppe ha detto sterile. Sterile forse è un’estensione immateriale. Vuoto, tuvuro è il contrario di pregno, di pieno, quindi è proprio una… forse non ha neanche una connotazione negativa, perché una donna che ha figli è stata piena in qualche modo, no? Mentre tuvura è…
Mentre burda io non l’ho mai sentita perché è una connotazione assolutamente dispregiativa.
Tu non sei sarda, burda vuol dire bastarda. Vorrei sapere in che zona si dice. E poi volevo proporre di fare uno studio antropologico, chiedere nelle diverse… io stessa lo potrò fare nelle diverse zone della Sardegna come si identifica insomma, il sinonimo di lunàdiga. Va bene?»
NICOLETTA: «Grazie infinite, aspettiamo il suo…»
TESTIMONE 13: «Si, provo a fare, ok, va bene.»

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