Valeria Vigano, scrittrice e giornalista, racconta della sua scelta di non diventare madre e della condizione di molte altre donne omosessuali come lei che, grazie alle lotte sociali del Sessantotto, oggi riescono a realizzare il desiderio di maternità. Partendo da esperienze private, Valeria affronta anche i temi della realizzazione personale e della condizione sociale italiana raffrontandola a quella di altri paesi.
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Ecco la trascrizione completa del video:
VALERIA VIGANO’: «Io sono Valeria Viganò, faccio la scrittrice, sono anche giornalista da molti anni. Dunque, il mio non desiderio di avere figli deriva dalla mia storia personale ovviamente. La mia storia personale nasce quando ero ragazza e, all’età dei primi amori, delle prime relazioni, mi sono accorta che il cuore palpitava per le ragazze e non per i ragazzi. Questo ha fatto sì che – stiamo parlando degli anni Settanta – ovviamente fosse implicito non avere figli in una relazione che era tra due donne. Adesso ovviamente è tutto cambiato, è diversissimo, è possibile per due donne avere figli, anche per due uomini – c’è l’inseminazione artificiale, ci sono varie tecniche. Devo dire che al di là però di questa condizione di allora in anni in cui appunto non si poteva neanche immaginare di poter avere un figlio da due donne, tuttavia si univa a questo dato di fatto, alla realtà della mia vita, si univa anche proprio il desiderio di non avere figli, che secondo me prescinde dagli orientamenti sessuali. Io non pensavo di fare figli, non ci ho mai pensato; non ho mai avuto il richiamo proprio naturale, ormonale, mentre invece ad esempio altre donne che amano le donne hanno sentito in maniera prepotente, in quegli anni ma anche in questi anni. Allora una donna che voleva avere dei figli e viveva delle relazioni omosessuali chiaramente doveva sposarsi o stare con un uomo. Oggi questa cosa si può anche evitare.
Io non ho mai avuto il desiderio di avere figli però certamente mi sarebbe piaciuto che la persona che io amavo li volesse. Sarei stata molto volentieri parte di qualcosa, con un ruolo un po’ atipico, però mi sarebbe piaciuto. Mi è successo di avere relazioni con donne che avevano già dei figli evidentemente da precedenti relazioni o da matrimoni e il mio rapporto con questi figli era buonissimo, si ricreava un nucleo familiare, però il richiamo vero io non l’ho mai sentito, della maternità. Tra l’altro sarebbe stato anche difficile per questioni di conformazione corporea, quindi, come dire, è come se la natura mi avesse assecondato; sarebbe stato per me difficile avere figli e nello stesso tempo però non c’è stato questo richiamo quindi non sono entrata in quel tunnel molto spaventoso che è il desiderio di fare dei figli e non poterli fare. Questa è la mia storia. Ora che ho quasi sessant’anni non rimpiango di non averli fatti, sono contenta così. Naturalmente non fare dei figli vuol dire avere meno da una parte e avere di più dall’altra nel senso che c’è una libertà enorme, e quindi la mia vita è stata viaggiare, godere di una libertà massima, essere padrona della mia vita; naturalmente non ho avuto l’amore più grande diciamo, però ho ovviato in qualche modo perché ho come quasi adottato – è proprio quasi una adozione, addirittura avevo pensato di farlo veramente – di fare da figura protettiva a una ragazza più giovane di me che non aveva più i genitori, che era una persona molto fragile. E quindi ancora adesso, ormai sono anni che io rappresento un po’ questa figura, però molto atipica. Nel senso che non è una madre vera, non sono una madre vera, non potrei neanche esserlo, però c’è la possibilità di dare protezione, aiuto, ascolto, fare sacrifici, imparare ad essere pazienti per un’altra persona quando le si vuole bene, ed è un bene assolutamente materno da una parte e filiale dall’altra. È un sentimento molto forte che, credo, mi porterò per tutta la vita.
Certamente un altro elemento che ha influenzato il fatto di non volere dei figli o di non sentirne la necessità era l’estrema indipendenza che io associavo alla mia vita. Io sono figlia unica, i miei genitori sono stati, come tutti i genitori, bravi e cattivi nello stesso tempo; certamente ci sono dei nuclei familiari che non sono un grande esempio, diciamo che il mio non era un grande esempio. Però avendo fin da piccola elaborato questo fortissimo bisogno di libertà, di indipendenza, di non dover dipendere e di poter fare, di non pormi limiti… io sono nata nel ‘55, allora le bambine erano molto limitate, il genere femminile era pieno di vincoli: “non fare questo”, “non fare quell’altro”, “questo non puoi farlo”, “questo lo fanno i maschi”, e io non ne volevo avere. Non ne volevo avere. E forse questa non voglia di vincolo è stato inglobato anche il non avere il vincolo massimo che è un figlio. Io ho avuto amiche che hanno avuto figli molto presto e la loro vita è cambiata in maniera radicale. Molte persone della mia vita, anzi quasi tutte, hanno fatto dei figli, hanno avuto compagni o matrimoni, e io ho visto quanto la loro vita cambiava, tanto.
Noi siamo una famiglia molto esigua, cioè non abbiamo tante parentele, io stessa non ne ho più. Io ho avuto due zie su tre che non hanno avuto figli: una sposata, e non ne poteva avere; l’altra con una storia molto più drammatica e anche lei non ne ha avuti. Quindi erano donne più indipendenti e anche questo era un modello per me da seguire: era possibile, negli anni Cinquanta, negli anni Sessanta, negli anni Settanta, essere donne e non essere madri. Erano persone che stimavo molto, che amavo molto; non ho mai sentito una sorta di reprimenda da parte dell’esterno per il fatto che loro non avevano figli. Mia zia sposata certamente soffriva di più, l’altra meno.
La Rivoluzione femminista degli anni Settanta è stata un vero snodo, uno snodo che poi è durato, è durato molti anni, è durata la pratica, è durata la teoria; il ruolo femminile è stato completamente capovolto: per la prima volta si pensava alle donne come esseri singoli con un proprio corpo, con un libero arbitrio rispetto al loro corpo, e questo è stato un cambiamento epocale. A Milano come a Roma, nelle grandi città soprattutto, le donne hanno preso coscienza di loro stesse, è evidente. Quindi anche il rapporto con la maternità è cambiato molto: non era l’unica strada possibile, ce ne erano delle altre.
Se io penso agli anni che mi aspettano, che sono inscindibili dagli anni che ho passato, è un continuum che non si è mai interrotto, credo che, pur non avendo fatto figli, però ho cercato di creare qualcosa: ho cercato di farlo attraverso la letteratura, attraverso i miei libri, tutte le volte che dovevo, avendo scelto questo mestiere, creare qualcosa. Però non credo che si possa davvero definire un libro come un figlio: è qualcosa che fai intensamente, con cui hai un rapporto molto stretto proprio come un figlio perché ce l’hai sempre presente, che poi però se ne va. Se ne va e senza neanche un dolore così grande: quando i figli se ne vanno di casa – adesso non lo fanno più – ma quando lo facevano per una madre era una separazione dolorosa, li perdevano. La creazione artistica non è una perdita nel momento in cui va agli altri, quindi non si può considerare davvero così. Certamente quello che io ho… mentre prima ero, quando ero più giovane paradossalmente, preoccupata perché dicevo: “ma io, tutte le mie cose, dove andranno a finire, cosa succederà… cenere!”, invece no. Penso che le mie cose andranno alle persone per me care, ne ho molte nella mia vita; diversificherò, e loro si porteranno questo testamento. Però ho sufficiente amore per queste persone da essere felicissima di lasciare tutto, non ho una brama di trattenere, però sicuramente io so che loro ne faranno un ottimo uso, tutto quello che lascerò di concreto, ma anche di etico, di morale, è una trasmissione ecco. Non trasmettere necessariamente me, però trasmettere delle idee che sono le stesse che mi hanno spinto a fare questo lavoro e a interpretarlo in un certo modo. Uno scrittore ha una responsabilità, dice delle cose, viene ascoltato, può influenzare gli altri quindi c’è una responsabilità perché può allargare o restringere anche il pensiero altrui, aprire orizzonti o chiuderli. E siccome mi reputo una persona molto etica, spero di riuscire, di essere riuscita già a trasmettere, e che continuerò a farlo anche quando non ci sarò più visto che ho scritto libri, delle cose, articoli, ho avuto una vita intensissima, e chi vorrà trovarle le troverà anche lì, non necessariamente nell’aspetto materiale dell’esistenza. Però certo c’è un pensiero; ecco il filo del pensiero mi piacerebbe che continuasse e andasse avanti in altri; che quello che io ho fatto, scritto, detto nella mia vita lavorativa e affettiva avesse un valore e quindi questo valore venisse portato avanti, fosse d’aiuto per chi lo vuole.
Io ho una scuola di scrittura che ormai ha più di vent’anni di esistenza ed è molto curioso perché quando, soprattutto in America, erano nate le prime scuole di creative writing io dicevo: “no, non si può insegnare la scrittura, assolutamente non valgono niente”, poi avendo elaborato un mio sistema personale molto legato a quello che gli allievi scrivono e anche a quello che sono, lavorando sui loro testi, su di loro, parlando – è molto seminariale come scuola, non è preconfezionata – quindi ogni volta si arricchisce dei contenuti che portano anche loro, e su quello noi lavoriamo insieme; e devo dire che mi piace moltissimo, mi piace moltissimo. Prima di tutto perché nasce un rapporto affettivo, un rapporto che per mesi è intenso: emergono le cose più personali, nella scrittura non ci si riesce a nascondere; io di loro capisco tanto abbastanza in fretta, è uno svelamento, una cartina al tornasole. E quindi nascono anche proprio dei veri affetti: i miei allievi, anche quelli di vent’anni fa, mi ricordano con affetto, si ricordano il corso, e molti mi hanno detto: “questo corso mi ha cambiato la vita”. Ma proprio perché non è solo un insegnamento così arido ma è una trasmissione di sapere. Anche questo è una forma, se vogliamo, di maternità: è un accogliere chi ha un desiderio profondo, che è quello della scrittura, mettersi in gioco, lavorare con loro, crescere insieme. Io ho fatto anche due anni di scuola di scrittura per un gruppo a San Lorenzo, con il centro di San Lorenzo a persone che erano disabili, fisiche non psichiche, e quando ho finito il corso, i due corsi, io ero arricchita come loro perché è un po’ quello che dovrebbe succedere anche tra un figlio o una figlia e tra una madre o un padre, cioè una trasmissione di sapere ma reciproco. Invece spesso non avviene, spesso chi ha dei figli non si rende conto della responsabilità che questo comporta, talvolta vengono schiacciati dalle difficoltà obiettivamente della realtà che ci circonda.
Io non ho mai considerato la famiglia come il nucleo fondante della nostra società, nel senso di uomo, donna, figli. I nuclei affettivi sono qualcosa di molto più profondo; i nuclei affettivi possono essere dei nuclei familiari tradizionali, certamente; possono essere anche molto altro, possono essere… appunto poi la vita mette davanti davanti a un sacco di situazioni stranissime: possono essere dei figli acquisiti, possono essere persone che magari non vivono insieme. La famiglia tradizionale è, mi si passi la parola, una bufala, perché non esiste in sé, non è che di per sé ha un valore visto che poi vediamo, anche adesso, quello che accade nella famiglia tradizionale: la famiglia tradizionale che è quella con i ruoli più vincolanti, produce un attrito tra i componenti che è terrificante, con conseguenze molto ma molto gravi. Io credo che una famiglia non debba essere famiglia e continuare a esser famiglia se ci sono dei dissidi profondi: separatevi. Però accettate la separazione, accettate di ricreare degli altri nuclei, accettate di fare altri figli oppure di non farne più: è la bontà di quello che si crea, non è solo il fatto di crearla secondo dei canoni, secondo una tradizione che è ampiamente superata. Non stiamo parlando della famiglia dell’Ottocento, oggi siamo in un mondo completamente diverso, c’è una comunicazione totale; non è più il luogo dove rifugiarsi ma il luogo dove condividere, il luogo dove confrontarsi, e questo cambia molto. Anche perché il ruolo dei figli prima era una autorità assoluta da parte del genitore, soprattutto del padre, adesso quest’autorità non esiste, non esiste proprio, quindi ci devono essere delle altre forme di trasmissione morale, di insegnamento.
Il passaggio tra un’epoca in cui non era neanche pensabile che una donna da sola avesse un figlio e portasse avanti un figlio – era una cosa vergognosa non avere un marito – e le famose madri single che portano avanti figli da sole, ce ne sono tantissime – è cominciato questo passo e poi il successivo è stato: “ma in fin dei conti, se noi possiamo avere e crescere un figlio e non necessariamente avere una figura maschile – c’era Bollea che era un grandissimo neuropsichiatra che diceva che in realtà la figura maschile, la figura paterna per un figlio non è come come la figura materna, può essere benissimo sostituita da una qualsiasi altra figura come un maestro, un allenatore, cioè un uomo che si è sempre occupato di infanzia, di bambini, di adolescenti – quindi si è capito che si poteva, perché no, avere un figlio da sole quindi o con l’aiuto di un amico che si prestava a una donazione oppure con l’inseminazione artificiale. Diciamo che è stata una svolta epocale. Epocale. Direi ben accolta, tant’è vero che c’è stata una corsa a fare figli. Naturalmente all’estero, parliamo di Olanda, parliamo di Londra e di vari altri posti; certamente qui in Italia la situazione è veramente primitiva. Tra l’altro per due donne che stanno insieme una delle due ovviamente fa il figlio, ma è capitato anche che l’altra desse diciamo il contenitore e l’altra la materia prima, è capitato che una avesse un figlio e poi l’avesse l’altra. È chiaro che è un evento naturale, è un evento naturale perché la maternità, nel momento in cui la si desidera, per una donna è possibile; diverso è ovviamente per due uomini perché a quel punto hanno bisogno di una donna per avere dei figli e quindi cambia abbastanza. Però non è detto che due donne debbano avere un figlio… insomma, la scelta di avere un figlio o no è una scelta individuale, è una scelta pensata, è una scelta certamente anche condivisa, soprattutto accade nelle relazioni lunghe che hanno una solidità, una stabilità tra due donne. Però ci sono anche un sacco di donne che figli non ne fanno; tra l’altro fare un figlio con inseminazione artificiale è qualcosa di abbastanza complesso, non è una cosa semplice, si va incontro a un lungo periodo di cure, non cure, medicine, non medicine, esami… diventa quasi una cosa molto medica ecco, molto medicalizzata. Però francamente adesso che è possibile, io ovviamente non potrei più farne, però credo che anche se fosse stato possibile non l’avrei fatto.
Io credo che finalmente aprire gli occhi e focalizzare l’attenzione sulle donne che non hanno figli, e hanno scelto di non averne, che non ne hanno voluti o non ne hanno potuti… insomma è un numero vastissimo. Ci sono persone, donne, che non hanno avuto o voluto figli perché proprio non volevano rinunciare a qualcosa di sé, che sembra paradossale perché un figlio viene considerato un arricchimento, ma c’è anche una vita ricca senza avere un figlio; quindi mi sembra importantissimo capire cosa sta succedendo in Italia, cosa sta succedendo alle donne e mi sembra importantissimo capire quante donne in Italia non hanno figli, quante donne escono da una realizzazione, e immagino che oggi come oggi non siano più considerate, come un tempo, delle reiette, perché una donna che non faceva figli era una reietta nei riguardi della sua famiglia, nei riguardi degli ambienti di lavoro… era come una “donna mancata”, ecco. Non lo è, una “donna mancata”, è una donna che non ha avuto figli. È estremamente più semplice, no? Certamente è “mancata” fin quando il luogo comune, il pensiero comune andava in una direzione conservativa, è evidente. È più comodo arginare una donna in un ruolo, attraverso la maternità – che dovrebbe essere un aspetto meraviglioso dell’esistenza, invece la maternità è stata anche un giogo, anche nel Novecento: non stiamo parlando di secoli fa, stiamo parlando di non tanto tempo fa; si doveva passare dalla maternità per essere complete, se no si era a metà. Che è una visione bizzarra, no? Perché noi siamo degli individui. Un uomo non è considerato una metà vuota se non fa un figlio, un uomo può benissimo non fare un figlio anzi, è “ganzo”. Una donna che non fa figli, che non fa crescere una struttura familiare è una donna incompleta, non ha fatto quello che doveva fare. Io credo che adesso le cose siano cambiate però fare il punto su questa scelta di non avere figli o comunque sulle vite di donne che non hanno avuto figli ma che hanno fatto tantissime altre cose sia enormemente importante perché non è un destino obbligato, è un destino scelto, e la scelta dovrebbe essere alla base di una società civile, di una società in cui donne e uomini contano uguale. E tu devi essere considerato – considerata in questo caso – per quello che vali, per quello che sei, per la tua integrità, per i tuoi valori, no? Non perché sei una cosa o sei un’altra, perché rientri in un ruolo e non rientri in un altro. Il valore di una persona è indipendente da questo, il valore è valore in sé. Se poi decide di comporre una famiglia, fare dei figli eccetera, benissimo, però chi non lo fa e non l’ha voluto fare ha gli stessi identici diritti e la stessa dignità umana di chi invece è all’interno di una struttura consolidata, di una struttura che è la tradizione, soprattutto nel nostro Paese. All’estero la situazione è diversissima: nei Paesi nordici, che io amo molto e che visito spesso, siamo in un altro pianeta. L’Islanda, che è una piccola isoletta su cui io ho scritto un libro tra l’altro, in giro donne e uomini quasi non si riconoscono nella vita pratica. Hanno dei figli? Non c’è il minimo problema che se ne occupi il padre o se ne occupi la madre. Ci sono uomini che non hanno figli? Benissimo. Ci sono donne che non hanno figli? Benissimo. Non c’è un imperativo a procreare, ed è la cosa migliore perché procreare non è qualcosa che ti viene imposto perché se no non sei una persona grande, matura, intera, sviluppata eccetera. E questo fa una grandissima differenza, fa una grandissima differenza. Noi oggi in Italia purtroppo nel 2014 siamo ancora legati a certi schemi, a certe richieste per le donne, e se una non si uniforma è comunque strano. A me quando dicono: “lei ha figli? E i suoi figli?”, io dico: “no, non ho figli”… “mh”. C’è quel piccolo… no? e allora a me viene spontaneo dire: “ma perché è un problema?”, e a quel punto la risposta è: “no, no, no, non è un problema”, perché forse è la determinazione con cui rispondo, che è anche semplice. Non è un problema.»
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