Michela Sale Musio interpreta il monologo impossibile dedicato a Wilhelmina Shakespeare.
La raccolta scritta Monologhi impossibili, raduna le voci, le parole e le idee di tante donne (e uomini) reali e immaginarie, accomunate dalla scelta di non aver avuto figli.
Un bel gruppo di lunàdigas ante litteram.
I Monologhi impossibili, attraverso un viaggio nel Tempo, danno voce sia a reali personaggi storici vissuti in altre epoche quali eroine, dive del cinema, artiste, poetesse, mistiche, banditesse e altre, sia a figure del Mito e dei fumetti, e ancora alle donne e agli uomini della letteratura antica e moderna.
Donne (e uomini) forti e risolute, celebri e non solo, che siano state anche involontariamente un riferimento per la scelta di essere Lunàdigas.
Il titolo Monologhi impossibili si riferisce esplicitamente alla famosa serie radiofonica degli anni Settanta intitolata Le interviste impossibili e da quella prende spunto per far parlare, in forma scritta, donne di tutte le epoche. Frida Kahlo, Dora Maar, Vittoria Colonna, Jane Austen, Barbie, Marilyn Monroe, Dorothy Parker, Maria Callas, Camille Claudel, Rosa Luxemburg, Lucy Van Pelt, Dafne, Hélène Kuragina, Jean D’Arc, Coco Chanel, Francesca Alinovi e molte altre meravigliose donne lunàdigas, tali ancor prima che questa definizione fosse stata inventata.
Il libro Monologhi impossibili rappresenta il contributo che l’autore Carlo A. Borghi ha voluto offrire al progetto Lunàdigas – che lo comprende – per sottolineare quanto la scelta di non esser madri sia stata elaborata e ragionata in modo profondo da tutte le persone che l’hanno abbracciata.
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Ecco la trascrizione completa del video:
WILHELMINA SHAKERSPEARE: «Tutti credono che io sia un William e, invece, guarda un po’: io sono una William. Una Guglielma, anzi, una Guglielmina. E non ho mai fatto figli. È proprio per questo che i primi quattordici di tutti i miei sonetti sono dedicati alle circostanze e alle necessità della procreazione, della maternità e della paternità. Questa è la realtà. Tutto il resto è teatro, al chiuso o all’aperto. Tutto il resto è finzione.
Essere o non essere: non è quello il problema.
Essere e non essere. E sottolineo “e”: questo è il dilemma mie care.
Essere madre e non esserlo allo stesso tempo. Non essere madre, ed esserlo comunque.
Essere Apollo e insieme Dafne, o Diana. Oppure l’ingordo Febo e l’intatta Minerva.
Essere poetessa e poeta, nello spazio di un sonetto.
Essere venuti al mondo per poi non mettere al mondo nessuno, interrompendo così la staffetta generazionale. Essere Guglielmo e Guglielmina al tempo stesso.
Essere attore e attrice nella stessa scena, a teatro e nel privato.
Non è stato difficile: è venuto da sé. Ma poi, da tutta questa sovrapposizione, non è venuto nulla.
Io sono. Io non sono ma recito.
Penso a Oscar Wilde quando scriveva: “la vita è tutta un palcoscenico ma le parti sono malamente distribuite”. Non resta che andare avanti. Bando alle differenze.
Chiamatemi Guglielmina Shakespeare, Willelmina o, se preferite, Bill.
Uscire allo scoperto o no? Questo è il problema.
Ora vado a prendere uno spritz con Giulietta, a Verona: vino bianco e Campari con fioritura di sambuco.
Giulietta – lunàdiga anche lei – beve volentieri e poi danza per me: lei sprizza energia e avrebbe sprizzato figli se avesse avuto il tempo e il modo. C’è sempre un buon motivo per fare un figlio e uno, altrettanto buono, per non farlo. Ogni volta che ci vediamo, Giulietta mi dice: meglio prosecco o vino bianco fermo nello spritz?
This is the problem. The real problem.»
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