Per l’aborto e oltre l’aborto: per una sessualità e una società liberate
Per l’aborto e oltre l’aborto: per una sessualità e una società liberate.
Rileggendo bell hooks, Il femminismo è per tutti, Tamu edizioni 2021 (traduzione di Maria Nadotti)
“La scomparsa di un movimento politico femminista di massa, radicale e organizzato, insieme al contrattacco antifemminista da parte di un organizzato fronte politico di destra che si affida a interpretazioni fondamentaliste della religione, ha riportato l’aborto all’ordine del giorno politico. Il diritto di scegliere delle donne è oggi chiamato in causa.
Purtroppo la piattaforma antiabortista ha preso ferocemente di mira gli aborti finanziati dallo stato, poco costosi e, ove necessario, gratuiti. Di conseguenza le donne di ogni razza dotate di un privilegio di classe continuano ad avere accesso ad aborti sicuri – continuano ad avere il diritto di scegliere – mentre le donne svantaggiate sul piano materiale soffrono (…). Se torniamo a un mondo in cui gli aborti sono accessibili solo alle donne che hanno un sacco di soldi, rischiamo di tornare a una politica pubblica che mirerà a rendere illegale l’aborto. Sta già avvenendo in molti stati conservatori.
(…) Il diritto delle donne di scegliere se abortire o no è solo un aspetto della libertà riproduttiva. In base all’età e alle circostanze della vita di una donna l’aspetto dei diritti riproduttivi che più conta varierà. Per una donna di venti o trent’anni sessualmente attiva che considera non sicura la pillola contraccettiva e alla quale potrebbe capitare di doversi misurare con una gravidanza indesiderata e il diritto di abortire in modo legale, sicuro ed economico, può darsi che la questione riproduttiva più rilevante sia l’aborto. Quando però è in menopausa e i medici la esortano a sottoporsi a un’isterectomia, può darsi che questa diventi la questione riproduttiva più rilevante.
(…) Se noi donne non abbiamo il diritto di decidere che cosa succede al nostro corpo, rischiamo di rinunciare ai nostri diritti in ogni altra sfera della nostra vita. Nel rinnovato movimento femminista la questione complessiva dei diritti riproduttivi avrà la precedenza su ogni altro singolo problema. Ciò non significa che la spinta a ottenere aborti sicuri, legali ed economici non continuerà ad essere centrale, semplicemente non sarà l’unica questione che si pone al centro. Se l’educazione sessuale, la prevenzione sanitaria e un facile accesso ai contraccettivi venissero offerti a tutte le donne, saremmo in meno ad avere gravidanze indesiderate. Di conseguenza, il bisogno di aborti diminuirebbe.
(…) Il movimento anti-scelta è fondamentalmente antifemminista. Se è possibile che a livello individuale le donne scelgano di non abortire mai, l’impegno nei confronti della politica femminista significa che sono comunque pro-scelta, che sostengono il diritto delle donne che hanno bisogno di abortire di scegliere se farlo o no” (pp. 71-73).
Poche pagine prima bell hooks è ancora più esplicita: “le donne bianche dotate di privilegio di classe si identificavano più intimamente con lo strazio di una gravidanza indesiderata. E hanno messo in primo piano la questione dell’aborto” (p. 68). Salvo poi non rinunciare del tutto agli aborti illegali. “Spesso le donne dotate di un privilegio di classe si vergognavano troppo di una gravidanza indesiderata per servirsi del proprio accesso più diretto a trattamenti sanitari affidabili” (p. 67).
Con ineguagliabile e lungimirante lucidità, in queste pagine di Il femminismo è per tutti, bell hooks indovina che la libertà riproduttiva per le donne non è stata conquistata una volta per tutte con le battaglie degli anni ’60 e ’70. E lo intuisce a partire dalla battaglia per l’aborto sicuro, legale, gratuito, interpretata come una conquista importante ma parziale, che dovrebbe inserirsi in una critica più ampia e contro-egemonica al sistema medico patriarcale capitalista. C’erano altre questioni riproduttive che avrebbero meritato maggiore attenzione: l’educazione sessuale di base, l’assistenza prenatale, la prevenzione sanitaria, la sterilizzazione forzata, le isterectomie e/o i cesarei indesiderati, i tabù legati all’uso dei contraccettivi da parte delle donne, spesso considerate “facili” dagli uomini, invece che prudenti.
Il nucleo essenziale di questi pensieri di bell hooks risale a Feminism is for Everybody del 2000, eppure le riflessioni su citate sembrano commentare alla perfezione la sentenza sull’aborto della Corte Suprema degli Stati Uniti del 24 giugno 2022, che ha annullato la storica sentenza Roe Vs Wade del 1973, considerando sbagliato ammettere l’aborto tra i diritti individuali fondamentali. In tal modo un diritto sancito da 50 anni è stato messo alla mercè dei legislatori dei singoli Stati, dei loro orientamenti morali, religiosi, politici o peggio della propaganda: quali che siano le ragioni della sentenza, ampiamente motivate secondo i riti della giurisprudenza patriarcale, attenta ai cavilli formali, essa è segno evidente dell’involuzione dei principi di libertà e uguaglianza delle nostre democrazie. La sentenza rende manifesta una spinta regressiva in atto da tempo, che risospingerà le donne verso le funeste pratiche di aborto clandestino e in un futuro prossimo probabilmente toccherà i diritti civili degli omosessuali e la contraccezione. Lo scandalo non è nell’annullamento di una precedente sentenza, tecnicamente possibile, ma nella ferita che la sentenza incide in una società sempre più divisa sul tema dell’interruzione volontaria della gravidanza: e lo fa senza tenere conto dell’evoluzione della società nell’arco di cinquant’anni e del percorso di emancipazione delle donne. Negando un diritto invece di ribadirlo e tutelarlo con forza e aprendo la strada a nuove divisioni. La sentenza, infatti, è stata accolta dal plauso delle associazioni pro-life (meglio dire anti-scelta o anti-choice) anche in Europa.
bell hooks (1952-2021; il suo vero nome è Gloria Jean Watkins, ma il nome che si è scelta la riconnette matrilinearmente alla nonna e le iniziali minuscole denunciano una lunga storia di inferiorizzazione delle afrodiscendenti) è stata pioniera dell’intersezionalità. Originaria di una piccola città razzialmente segregata del Kentucky, cresciuta opponendosi al patriarcato già in seno alla sua famiglia d’origine (con sei figlie femmine e un figlio maschio) ma educata con ragazze bianche alla Stanford University, bell hooks è stata tra le prime a comprendere come razza, classe e genere si intrecciano e moltiplicano le occasioni di marginalizzazione, colonizzazione, dominio e stigmatizzazione, privando le donne delle loro libertà. Lo ha fatto a partire dall’esperienza tutta empirica dei gruppi di autocoscienza delle donne nere e lesbiche che stavano già lottando contro la fissità dei confini di classe, razza e genere (le donne lesbiche in particolare, non avendo mai immaginato di dipendere da un marito, erano spesso molto più consapevoli sulle questioni di classe, sull’autosufficienza economica e la parità salariale: sono quelle che bell hooks chiama le “femministe radicali” in contrapposizione alle femministe bianche, riformiste e perlopiù eterosessuali). Con i suoi libri, la sua militanza, la sua attività di insegnante, bell hooks ha avvertito le femministe di tutto il mondo dei rischi di una colonizzazione bianca, suprematista, capitalista, in una parola patriarcale, del femminismo. Lo ha fatto non guidata da un desiderio di contrapposizione e divisione tra femministe nere e bianche, ma a partire da una sorellanza autentica e generosa, capace di cogliere criticamente contraddizioni, annacquamenti di stampo liberale, flessioni, inversioni di rotta, derive sessiste o implosioni puramente accademiche (gli women’s studies istituzionalizzati in college e università, cioè, come dice bell hooks pur essendo diventata lei stessa una docente universitaria, in “strutture aziendali conservatrici”, basate sul carrierismo e su un linguaggio settorializzato che de-politicizza il femminismo allontanandolo dalle masse, mentre la demagogia maschilista semina proseliti con un linguaggio semplice e comprensibile per tutti). bell hooks ha colto con acume i fraintendimenti mainstream su scala globale (come quello per cui il femminismo sia anti-uomini), ha indicato qual è la vera giustizia di genere e cosa sono i pari diritti per tutte e tutti, da non confondere con la parità uomo-donna (per poche) all’interno del sistema vigente: un baratto vile, una concessione del capitalismo maschilista e suprematista, che ha preferito la parità per poche donne privilegiate ai pieni diritti civili per i neri e in generale per le minoranze.
La collusione con il potere di classe si è dimostrata per molte donne più importante del femminismo, destabilizzandolo, indebolendolo e ispirando un paternalismo neocoloniale guidato dalle pseudo-femministe privilegiate riformiste, incapaci di tessere rapporti orizzontali con i femminismi nati in tutto il mondo.
Ancora qualche stralcio profetico: “Oggi le donne incontrano così pochi ostacoli nell’espressione del proprio desiderio sessuale che la nostra cultura rischia di seppellire la memoria storica dell’aggressione patriarcale contro i corpi e la sessualità delle donne. Nello spazio creato da quell’amnesia chi vuole rendere illegale l’aborto può ridurre l’intero dibattito alla questione se si sopprime o no una vita, senza mai affrontare gli effetti devastanti che l’abolizione dell’aborto legale avrebbe sulla sessualità femminile” (p. 156).
“Nonostante la rivoluzione sessuale e il movimento femminista, sappiamo che molte donne fanno sesso solo perché i maschi lo vogliono, che i giovani omosessuali, maschi e femmine, non dispongono ancora di un ambiente pubblico o privato accogliente che sostenga il loro orientamento sessuale, che l’iconografia sessista madonna/puttana continua a dominare l’immaginario erotico di uomini e donne, che oggi la pornografia patriarcale permea ogni aspetto dei mass media, che le gravidanze indesiderate sono in aumento, che gli adolescenti hanno spesso rapporti sessuali insoddisfacenti e insicuri, che in molti matrimoni e in molte unioni di lunga durata, omosessuali o eterosessuali, le donne non hanno rapporti sessuali. Tutti questi fatti richiamano l’attenzione sulla necessità di un rinnovato dialogo femminista sulla sessualità (…). La connessione erotica ci sottrae all’alienazione e all’isolamento in seno alla comunità (…). Tali pratiche possono essere le più varie: si può scegliere la promiscuità o il nubilato, si può adottare una specifica identità sessuale o uno specifico orientamento sessuale oppure prediligere un desiderio vagabondo e inesplorato che si accende solo grazie all’interazione e al coinvolgimento con specifici individui con i quali cogliamo la scintilla del riconoscimento erotico, indipendentemente dal loro sesso, dalla loro classe, o perfino dal loro orientamento sessuale” (pp. 161-165).
A partire dagli anni ’90, scrive bell hooks, il tradimento più profondo delle tematiche femministe è stata l’assenza di una protesta femminista di massa contro l’attacco del governo alle madri single e lo smantellamento del sistema di welfare in favore del warfare (le spese militari…: ancora quanta attualità!). Le donne privilegiate, molte delle quali si definiscono femministe, hanno spesso fondato la loro emancipazione sulla colonizzazione dei lavori domestici e di cura, svolti da donne immigrate con scarse tutele salariali e sindacali. D’altro canto, “il ritorno alla famiglia patriarcale dominata dal maschio dove sono gli uomini a mantenere la famiglia è la soluzione offerta alle donne dai politici conservatori che ignorano la realtà della disoccupazione di massa per donne e uomini, il fatto che i posti di lavoro semplicemente non ci sono e che molti uomini non vogliono provvedere al mantenimento di donne e bambini anche se hanno uno stipendio” (p. 105).
E anche quando “le donne lavorano per fare soldi e consumare di più anziché migliorare la nostra qualità della vita a tutti i livelli, (…) più soldi non significano più libertà se le nostre finanze non sono usate per farci stare meglio. Riesaminare il senso del lavoro è un compito importante per il futuro movimento femminista” (p. 108).
Gli eventi più recenti, compreso il conflitto russo-ucraino, danno ragione a bell hooks. E svelano la flagrante attualità di questo suo libro, che resta un manifesto per i femminismi futuri. Soprattutto confermano che “senza maschi come alleati nella lotta il movimento femminista non progredirà” (p. 47) e che “abbiamo bisogno di studi femministi basati sulla comunità” e non solo di accademia (p. 63), affinché i modelli della mutualità e dell’eguaglianza possano sostituire l’elitarismo di classe, le politiche migratorie conservatrici e la servitù a contratto, i vecchi paradigmi di dominio e sessismo introiettati sia dagli uomini sia dalle donne (e che vigono ovunque, negli spazi pubblici della geopolitica e dell’economia e nello spazio privato del letto coniugale e della casa, ispirando coercizione, violenza e censure nelle relazioni tra partner oppure nei confronti dei bambini e delle bambine da parte dei genitori di entrambi i sessi…).
“Allora saremo maggiormente in grado di immaginare un mondo in cui le risorse sono condivise e le possibilità di crescita personale abbondano per tutte e tutti, indipendentemente dalla loro classe” (p. 93).
Femminismo vuol dire più diritti, più possibilità di scegliere per tutte e per tutti. Quei diritti che oggi vediamo calpestati o cancellati da una giurisprudenza e da una medicina entrambe patriarcali.
Per approfondire:
bell hooks, Elogio del margine – Scrivere al buio, Tamu Edizioni 2020, traduzione di Maria Nadotti.
bell hooks, Insegnare a trasgredire. L’educazione come pratica della libertà, Meltemi 2020, traduzione di Feminoska.
Claudia Mazzilli