Claudia Mazzilli legge Lia Migale
Lia Migale esplora nuove ecologie familiari nel suo romanzo A occidente del futuro (La Lepre edizioni, 2022)
“Entrò subito in argomento, quasi maleducatamente, come non avesse nient’altro da dire. Come se il discorso avesse già avuto il suo preambolo.
«Mi rendo conto che non possiamo evitare questo incontro, che dobbiamo parlarci, ma mi è anche molto difficile capire qual è la cosa giusta da dire. Sono padre da poco tempo e ancora da meno incontro mia figlia. Forse tu vuoi chiedermi qualcosa?».
Arianna era disturbata dal suo sentirsi in imbarazzo, come fosse colpevole di qualcosa, al limite di non trovare niente di eccezionale da dire, e così anche per sciogliere quell’imbarazzo gli chiese «hai altri figli? Sei sposato?».
«No. Non ho figli, forse lo sai che non li volevo, e sì, sono stato sposato e separato, poi ho convissuto a lungo con una compagna e poi ho deciso che era meglio vivere da solo. Lo confesso: ho un brutto carattere. Una volta tua madre me lo disse e io me la presi molto, ma in realtà è vero. Ho un pessimo carattere. Ho da sempre saputo che non potevo essere un padre, che avevo bisogno di tutta l’attenzione e che quindi non potevo accettare di avere un o una rivale in casa».” (p. 200)
In un romanzo delicato e insieme audace, Lia Migale esplora il tema della genitorialità collegandolo alla questione cruciale del nostro tempo (la crisi ecologica) e ambientando questa storia tra il presente e un futuro lievemente distopico, un futuro così prossimo che quasi accade mentre leggiamo e che a fine lettura è già tramontato, ad occidente, sotto un cielo di un ocra malato – tra alluvioni bibliche e lunghe fasi di siccità, vere e proprie glaciazioni alternate a estati sempre più arroventate, disoccupazione irrimediabile e bande rabbiose di uomini lince o ragazze gatto o uomini lupo, crisi economica e mercati stagnanti in cui all’euro si sostituiscono monete parallele locali su piccolissima scala.
Lia Migale è capace di vestire la pelle e l’anima di ogni personaggio (la figlia, il padre, la madre, l’amica più cara della madre), alternando il racconto in terza persona a quello in prima persona, aiutandoci a scivolare, con naturalezza e con meraviglia, nell’intimo di ciascun punto di vista.
C’è la passione politica della madre, che con le azioni simboliche del Movimento di Liberazione dai Vasi da fiore spera di mobilitare le coscienze sui cambiamenti climatici e che ancora vuole credere in una Sinistra mentre nel 2018 vincono i sovranismi e i populismi post-ideologici. C’è una figlia che guarda al mondo con un linguaggio fresco e diretto, che è quello dei suoi coetanei adolescenti, un linguaggio che evolve in complessità senza perdere in spontaneità man mano che la ragazzina passa dalle scuole medie al liceo e poi all’università.
Questa madre single, Eva, crea intorno a sua figlia Arianna qualcosa che assomiglia a una famiglia di elezione. Sono le persone che, pur non convivendo, abitualmente frequentano la loro casa: affetti fondamentali e insostituibili, ma che ancora non possono essere nominati, se non con timidezza e per analogia con le uniche relazioni riconosciute dalla nozione monolitica di famiglia biologica: “Sono diventate come due sorelle. Inseparabili” (p. 122). “Sì, forse, ma forse anche no e in questo caso voglio dirti che per me sei come il figlio che non ho avuto” (p. 127). Frasi come queste punteggiano tutto il romanzo.
La malattia, l’agonia, la morte complicano questi legami indicibili, in cui la cura e l’assistenza non sono supportate dal diritto e dalla burocrazia patriarcali, finendo col generare forme acrobatiche di supporto e aiuto. Ma (ce lo ha ricordato Michela Murgia con la sua famiglia queer) la malattia, l’agonia, la morte non coprono di buio ma danno luce e potenza a queste relazioni, e nessun nome può sfavillare più di quello di Diamante, l’amica che Eva ha assistito fino alla fine dei suoi giorni.
“Si capisce il dolore di una moglie o di un marito che restano vedovi, si capisce il dolore di una madre che perde un figlio, anche quello dell’amante che resta solo. Ma nessuno accetta, oltre un moderato limite, il dolore per l’amica morta.” (p. 127)
Arianna non ha mai conosciuto suo padre, perché sua madre Eva non ha confessato all’ex compagno di essere incinta quando si è chiuso il loro rapporto. Ma le coincidenze romanzesche, niente affatto inverosimili, porteranno padre e figlia a conoscersi. E a riconoscersi. Ad accettare la sfida di un legame che, adesso, scelgono liberamente e consapevolmente, invece che subirlo per destino biologico. Ed è questo il paradosso: la relazione padre-figlia, in quanto relazione accolta responsabilmente da una figlia ormai adulta e da un padre trasformato da molte esperienze, finisce per assomigliare agli altri affetti tenaci e fortissimi che attraversano il romanzo, non costruiti sull’ovvietà del legame di sangue ma sulla libertà, sul dialogo, sulla ricerca dell’altro.
“Era indiscutibile, ora sentiva quel legame e non perché lei fosse in parte fatta della sua materia ma perché capiva che con questa figlia ci poteva essere un legame del tutto differente da ciò che finora aveva provato.” (p. 244)
La Terra rivendica a sé tutte le ragioni del dolore e ogni forma di saggezza e conoscenza, come intuiscono i giovanissimi di questo romanzo. La Terra crea nuove possibilità e disegna nuove ecologie familiari, nuovi esperimenti di parentele, quelle che forse salveranno noi e il pianeta.
Claudia Mazzilli