Cristina Morales in LETTURA FACILE racconta la disabilità con la lingua del corpo
Una recensione di Claudia Mazzilli
Originaria di Granada, poi emigrata a Barcellona, anarchica e femminista, Cristina Morales è una trentasettenne laureata in Diritto e Scienze politiche, ma ha abbandonato le carriere dell’ambito legale e diplomatico per co-fondare la compagnia di danza contemporanea Iniciativa Sexual Femenina; è produttrice del gruppo punk At-asko e autrice di testi narrativi difficilmente inquadrabili, che gli editori talvolta hanno tentato di ammorbidire con tagli ai limiti della censura, coraggiosamente respinti dall’autrice.
In LETTURA FACILE (Guanda Editore 2021, traduzione di Roberta Arrigoni) Cristina Morales racconta la vita di quattro cugine con diversi livelli di disabilità intellettiva, che vivono in un appartamento protetto dai servizi sociali a Barcellona. In un patchwork narrativo in prima persona, prende forma il loro quotidiano, fatto di riunioni e collettivi anarco-femministi, “anti-madamebovaristi” e “bastardisti” (espliciti i riferimenti all’attivista boliviana Maria Galindo e al suo “No se puede Descolonizar sin Despatriarcalizar”). Tra tentativi maldestri di addomesticamento da parte delle istituzioni biancocastrocentriche rappresentate in primis da assistenti sociali ed educatrici, non mancano pagine su pulsioni e atti sessuali non categorizzabili secondo le etichette dell’etero-patriarcato e meticolosamente descritti, okkupazioni abusive di appartamenti, lezioni di danza sociale, conticini sui magri introiti delle protagoniste, appostamenti per recuperare cibo gratis dai bidoni dei rifiuti.
In questo romanzo polifonico spiccano le voci di Natividad e Àngels. Natividad è affetta dalla sindrome dei Pannelli (due sliding doors, due sportelli immaginari che si chiudono sul suo viso isolandola dal mondo che non le piace e impedendole di vedere, di ascoltare e di parlare). Àngels, invece, scrive il suo romanzo su WhatsApp secondo il metodo emancipante della lettura facilitata, che garantisce un’informazione facilmente accessibile e permette ai disabili intellettivi di comprendere concetti anche complessi evitando polisemie, perifrasi, tecnicismi, ipotassi ingarbugliata, ma anche fronzoli tipografici come rientri o capoversi giustificati: tutto ciò che nella lingua è l’equivalente delle barriere architettoniche a livello urbanistico.
Controcanto di questo diario corale sono i verbali di un procedimento giudiziario finalizzato alla sterilizzazione di Marga, una delle quattro “incapaci” affetta da ipersessualità (=ninfomane): il procedimento è denunciato come un’operazione di eugenetica degna del più abietto dei totalitarismi, clownescamente travestito da democrazia. Qui la lingua del padrone, il burocratese (quella che Italo Calvino definiva “l’antilingua”), raggiunge punte auto-caricaturali insuperabili.
Ancora una volta il controllo del corpo delle donne è il coagulante di una narrazione che è poco definire originale e forsennatamente esilarante. Irregolare, straripante e anti-canonica, la scrittura di Cristina Morales ha in sé l’estro onnivoro ed eversivo delle scritture picaresche, la forza di quelle opere (compreso il Don Chisciotte di Cervantes) che tutto fagocitano: realtà, immaginazione, convenzioni linguistiche e inventiva verbale, situazioni commoventi e altre stomachevoli; Cristina Morales restituisce e insieme deforma ogni compagine delle nostre convenzioni sociali in un collage movimentato e folle come quelli delle fanzine anarchiche di Barcellona. E non a caso a metà romanzo si innesta una fanzine vera e propria… Tutto è divorato e tutto è triturato: il consumismo, il moralismo sessuofobico che attraversa anche i collettivi anarchici, le aspirazioni indipendentiste catalane, le operazioni di marketing che si nascondono anche nei progetti di inclusione, l’opportunismo di parenti spesso interessati solo ad intascare il sussidio delle disabili.
Se Cibo-Sesso-Denaro nelle scritture comico-realistiche di ogni tempo inverano la carnevalizzazione della realtà, in Lettura facile la triade Cibo-Sesso-Denaro, declinata nella prospettiva dei femminismi intersezionali (donna, disabile, non eterosessuale…), crea un’opera radicalmente e incontrollabilmente politica, in cui lo sgombero compiuto dalla polizia in assetto da guerriglia, nella sua dismisura di mezzi e poteri, è più pornografico del cunnilingus alternato a qualche scoreggia a cui due delle protagoniste si stanno dedicando, ignare dell’assedio e accorgendosi troppo tardi che l’alloggio abusivo è ormai stato espugnato dalle forze dell’ordine.
Impossibile dire di più. Meglio un piccolo assaggio di questa scrittura torrenziale e pantagruelica:
“Siamo accanitamente antiretoriche perché sappiamo che la retorica è il linguaggio che il potere usa per distinguere il possibile dall’impossibile e per creare quella che i potenti chiamano realtà, e imporcela. Perciò noi bastardiste prendiamo le figure retoriche e le facciamo saltare in aria, ma non dicendo pane al pane e vino al vino (altra figura retorica), bensì prendendoci la briga di documentare come ogni santo giorno, senza eccezioni, una carovana di cammelli passi per la cruna dell’ago, e accumulando ad ogni cambio di stagione boschi di alberi le cui foglie caduche sono verdeggianti banconote da cento euro in primavera, marroncine da cinquecento in estate, giallognole da duecento in autunno e grigiastre da cinque in inverno; e sapendo che ci sono baci infuocati, portiamo sempre con noi garza e pomata. È chiaro, siamo delle artiste, creature vicine ai presocratici, quelli che parlavano la lingua delle sacerdotesse drogate, o creature vicine alle sacerdotesse drogate, o sacerdotesse drogate in carne e ossa, dispregiatrici della filosofia, vale a dire della scrittura, vale a dire della morte (tutto l’opposto delle bovariane, che amano più di ogni altra cosa la seduzione e temono più di ogni altra cosa la morte)” (p. 155).