Del papa, d’amore, di relazioni – una riflessione di Martina Bruno
L’altro giorno scorrendo i reels dei miei social mi sono soffermata su di uno molto breve, ma che ha catturato la mia attenzione sia per via del suo contenuto sia per l’ironia con cui lo esprimeva.
Il video raffigurava la scena di un tenero procione, in posizione quasi seduta, che guardava la tv sul letto vicino a chi lo stava riprendendo.
La didascalia del video riportava una simpatica frase che, a grandi linee, esprimeva un concetto del tipo “meglio un procione da compagnia che un* compagn*”.
La scena era molto carina, il procione sembrava essere davvero entusiasta di condividere quei momenti con l’umano che lo riprendeva e, in fondo, io non potevo che trovarmi del tutto d’accordo conoscendo l’amore che un animale è in grado di dare.
Il lato negativo è stato il momento subito successivo, in cui la mia mente si è disconnessa dal presente ed è tornata indietro a qualche settimana fa, quando le orribili affermazioni di un uomo che si dimentica del valore delle proprie parole (se non per tutti sicuramente per molti) hanno invaso il web ed i social.
Fare una differenza, sminuire una creatura ed il tipo di amore che è in grado di offrire rispetto a quello di un’altra, come rimproverare chi sceglie che tipo di amore coltivare e da chi riceverlo, sono i contenuti di un discorso che, da quello che si definisce ministro di Dio ─ che parlerebbe a nome di colui che ha creato tutto ciò che compone questo mondo, comprese le creature diverse dall’uomo ─, risuonano parecchio inopportune e fuori luogo.
Ancora di più se pensiamo che queste sono state pronunciate da un papa che ha scelto di chiamarsi Francesco, il Santo emblema dell’amore verso tutte le creature divine.
L’attuale papa rappresenta una chiesa dove l’autodeterminazione sembra essere il peccato più grave che un essere umano possa commettere, e di conseguenza anche poter scegliere chi e come amare è qualcosa che viene visto con immenso disprezzo (e paura).
Ma di cosa ci sorprendiamo? Parliamo di un culto che nel tempo ha condannato le relazioni omosessuali, il divorzio come libera scelta di uscire da un’unione che non funziona più, e perfino la convivenza sotto lo stesso tetto senza essere sposati (rigorosamente in chiesa). Tutti questi gesti, infatti, possono essere considerati biglietti preferenziali per l’accesso all’Inferno.
Poi, va sottolineato che nel caso degli ultimi due punti, con l’avvento della modernità e col diffondersi di forme di relazioni che prevedono il vivere insieme senza il matrimonio religioso e il separarsi piuttosto che vivere infelici il resto della propria vita, per non perdere popolarità hanno un po’ rivisto queste posizioni.
Adesso infatti anche i divorziati possono prendere l’eucarestia e i “conviventi” possono decidere di sposarsi anche in un secondo momento (o non farlo mai). Alla faccia della coerenza.
Quindi non mi stupisce affatto che si sia arrivati perfino a discriminare l’amore per i propri animali.
La Chiesa si basa sul concetto di “sacrificio” (che l’autodeterminazione sconfiggerebbe) verso Dio e verso l’altro anche a costo di rinunciare al nostro spazio, al nostro benessere per prestarci totalmente alla “causa” divina (contemporaneamente però anche ai vantaggi del clero).
Non lo dico a caso essendo stata fervente cattolica, ancora in possesso di una mia spiritualità, per diversi anni.
La Chiesa ha sempre voluto abbattere il concetto di individuo per creare una massa uniforme pronta a sottomettersi a qualsiasi circostanza avversa della vita, e ad accogliere la sofferenza come un “gioco” dai livelli sempre più complessi da superare per arrivare sempre più vicino alla “benedizione eterna”.
In questo modo per secoli (ed in parte anche oggi) ha potuto esercitare ogni tipo di prevaricazione, manipolazione e privazione, allo scopo di arricchirsi ed ottenere sempre più potere su un popolo che addirittura ringrazia per le proprie frustrazioni.
Anche la genitorialità ─ e la maternità ancora di più ─ sono sacrifici a cui non si può, non si deve rinunciare.
Forse è il sacrificio più grande soprattutto da parte delle donne, che vi mettono completamente a disposizione perfino il proprio corpo.
La genitorialità ─ o meglio la maternità ─ era ed è ancora oggi la forma di sacrificio più esaltata dalla Chiesa.
La maternità è l’espressione maggiore della malata accettazione della “sofferenza”, della “difficoltà” come tassa da pagare per il premio finale del Paradiso insieme all’esercizio di un ferrato controllo sulle donne.
La sottomissione femminile è sempre stata una degli obiettivi principali della Chiesa: descritte come inferiori e obbedienti al volere maschile, le donne sono state oggetto del più intenso odio non da parte di Dio, ma dell’Istituzione che si nascondeva dietro il suo nome.
Torno al punto principale della mia riflessione: il rapporto tra uomini e animali che tanto infastidisce il papa.
Quando parliamo di animali spesso tendiamo ad usare la formula “da compagnia” per indicare quello o quelli che si sceglie di accogliere in casa.
Quando parliamo di persone utilizziamo invece l’espressione “che ci faccia compagnia”.
Quando usiamo quest’ultima frase ci riferiamo a qualcuno che compie l’azione di starci accanto e a cui si riconosce lo stato di individuo, animale o umano che sia.
Quando invece utilizziamo “da compagnia” stiamo indicando una funzione, non si contempla l’individuo, che si considera semplicemente per il vantaggio che ci apporta al pari di un oggetto.
Le parole e le eventuali preposizioni che le legano, quindi, sono importanti, e vanno usate nel modo appropriato.
Gli animali sicuramente ci valutano anche per la funzione che assolviamo nel nutrirli, ma non siamo solo questo.
Loro non possiedono la ragione (che non ha a che fare con il concetto di intelligenza), ma vivono basandosi sul proprio istinto.
Questo rende i loro sentimenti, il loro affetto inevitabilmente sinceri perché privi di ogni forma di ragionamento che possa condurre ad un proprio vantaggio nel senso peggiore del termine.
Noi diventiamo parte del loro branco, e dimostreranno questo attaccamento e senso di appartenenza nella forma più congeniale alla loro specie ed alla loro personalità.
Le relazioni umane, al contrario, risentono inevitabilmente della razionalità che appartiene all’uomo e che solo in casi veramente estremi (spesso frutto di problematiche emotive della persona) lascia totalmente spazio all’istinto, con risultati quasi sempre disastrosi.
La razionalità è una conquista umana, sia chiaro, e ci serve per comprendere meglio noi stessi e cosa è meglio per noi, anche nell’ambito delle relazioni che intratteniamo. Ma diventa un grosso problema quando è influenzata da un contesto individualista (in modo malsano) e consumistico che inneggia alla superficialità ed alla totale mancanza di empatia verso gli altri.
Troppo spesso si finisce infatti per sostituire completamente quella sana dose di istintiva emotività che deve esserci e che ci permette di provare e sviluppare sentimenti autentici, intensi, basati sulla reciproca considerazione e rispetto.
Nel mondo di oggi le relazioni interpersonali sono troppo spesso razionalizzate, analizzate e valutate come un semplice mezzo adibito al mero soddisfacimento egoistico dei propri bisogni.
Non smetterò mai di ripeterlo, ma basta guardarsi intorno per osservare come sia sufficiente scaricare un’app per sfogliare (letteralmente) un catalogo di persone disponibili nelle vicinanze e selezionare quella che preferiamo sperando di essere a nostra volta la loro scelta da quello stesso catalogo.
Siamo la generazione dei profili pieni di foto in coppia sorridenti e felici ma che spesso costituiscono la facciata di relazioni insoddisfacenti e immature che si frantumano al primo futile problema.
Ma ci vuole poco per svuotare la bacheca Instagram e cancellare i video su TikTok dove mostravamo orgogliosi a tutti la nostra meravigliosa storia d’amore, appena finita, per fare subito posto a quelli dedicati alla nuova anima gemella, diventata subito la persona della nostra vita.
Che sia perché non può portarti fuori il sabato perché lavora o perché non ti va di passare il weekend a fare escursioni, o ancora perché vuole andare al sushi ma tu preferisci la pizza, si riesce a mettere in discussione una relazione per motivazioni del genere.
Siamo la generazione che sfrutta l’altr* finendo per farsi sfruttare.
Non sono così pessimista da pensare che il mondo funzioni totalmente così, esistono persone che si tengono strette quella sana dose di emotività insieme a quella giusta di razionalità, lo credo davvero, ma è anche certo che costituiscono una piccola parte dell’umanità che ci circonda.
Gli animali non possono sostituire le interazioni umane, loro stessi hanno bisogno di interazioni con la loro specie oltre che con noi, ma quando ti prendi cura di loro sono in grado di darti tutto il potenziale di affetto e amore che possiedono e lo fanno spontaneamente senza alcun fine.
L’essere umano risente troppo dei valori dominanti del tempo in cui vive, finendo spesso a offrire un amore razionalmente condizionato dall’egoismo e dalla più totale mancanza di considerazione per l’altro, che appena non soddisfa le aspettative viene scartato come un qualsiasi oggetto difettoso e subito sostituito.
Non ci “guardiamo” più e per questo non esistiamo più.
Non ci consideriamo più reciprocamente per quell’unicità che tutti possediamo e che ci rende meravigliosamente diversi.
Ci riduciamo a essere prodotti tutti uguali o quasi, valutati in base alle specifiche esigenze a cui far fronte, posizionati sullo scaffale del reparto “relazioni sociali”.
L’amore che ci offrono gli animali non può sostituire quello umano, ma è di certo un tipo di amore che tutti noi dovremmo conoscere nella vita e, allo stesso tempo, l’unico che oggi possiamo scegliere con estrema sicurezza, a differenza di quello umano che sempre più spesso è difficile trovare in una forma sana ed equilibrata, privo di superficialità e oggettificazione dell’altro.
Nella vita è sicuramente meglio avere un animaletto che ci faccia compagnia piuttosto che essere DA compagnia a qualcun* altr*.
A papa Francesco chiederei quindi di riflettere sull’insensatezza delle proprie parole a fronte di una verità evidente.
Gli chiederei di rivalutare le sue posizioni, ma soprattutto di non imporre in nome di Dio parole e pensieri che provengono solo da una Chiesa dove il divino ha lasciato ormai il posto all’umano da troppo tempo…
A tutti gli altri miei simili auguro di cuore di provare l’amore incondizionato di un animale, senza però sostituirlo a quello umano (quando sano) nella forma che risuona maggiormente con loro.
Che sia di un figlio, di un partner, di un amic* auguro loro di non farsi condizionare da alcuna convenzione sociale o opinione altrui, ma che possano fare una scelta libera e consapevole.
Auguro a tutti noi la forza e la capacità di riconoscerlo questo amore sano, tra tutte le sue scadenti imitazioni che ci circondano e tentano di confonderci, ma alle quali dobbiamo imparare a rinunciare.
Martina Bruno, moderatrice del gruppo chiuso di Lunàdigas