La testimonianza di M.
La testimonianza di M. (they/them), generosamente affidata alla community di Lunàdigas, è un esempio di come la prospettiva sociale dell’ineluttabilità del destino di genitore, per ogni soggetto AFAB (Assigned Female At Birth, femmina assegnata alla nascita), possa avere un impatto anche concreto sulla salute.
In occasione della somministrazione di un vaccino, il medico dell’ambulatorio si accorse che non avevo mai ricevuto il vaccino quadrivalente per le malattie esantematiche. Propose quindi a mia madre, che mi accompagnava in quanto minorenne, la somministrazione anche di quello. Espressi le mie perplessità: avevo già contratto la parotite e la varicella, e per quel che ne sapevo allora, né il morbillo né la rosolia erano malattie particolarmente pericolose.
Il medico disse “Sono pericolose in gravidanza, potrebbero danneggiare gravemente il feto”. Feci presente che non pensavo avrei mai avuto figli. Lui insistette dicendo ero troppo giovane, di non dire sciocchezze, che avrei cambiato idea. “Forza dunque, non vorrai mica che poi al bambino succeda qualcosa?”.
Avevo quattordici anni circa, non era la prima volta che la mia posizione sulla possibilità o meno di avere figli veniva non solo invalidata ma anche infantilizzata e derisa. Non dico che le prospettive che a quattordici anni abbiamo sulla vita siano necessariamente immutabili, ma questa cosa non è mai successa quando esprimevo le mie aspirazioni su un ipotetico futuro all’Università. Nessuno in quel caso ridicolizzava le mie parole, nessuno diceva che avrei potuto cambiare idea sul corso di laurea, o sul decidere di laurearmi in generale. Questo veniva preso semplicemente per quello che era: le parole di un individuo giovane che inizia a progettare (per quanto sia possibile farlo) i suoi prossimi passi nella vita. Senza delegittimare. Senza deridere. Non ho mai avuto il piacere di vedere la stessa serenità nell’accogliere la mia decisione sull’idea di avere figli.
Mi rifiutai categoricamente di sottopormi alla vaccinazione.
Tornai a casa con un senso di rabbia e di umiliazione profonda. Umiliazione perché la sanità pubblica non mi stava offrendo il suo supporto a garanzia della mia salute, ma solo a tutela del mio futuro ed inevitabile ruolo di gestante: non ero nulla di più del mio utero e della sua (presunta!) efficacia!
Mi sottoposi alla vaccinazione solo qualche anno dopo, quando una dottoressa mi disse che il vaccino tutelava ME contro un eventuale decorso maligno delle infezioni… e avrebbe anche tutelato un eventuale feto SE avessi auto una gravidanza.
Ad anni di distanza ho riflettuto sulla gravità del fatto che una persona sia stata esposta al potenziale contagio di malattie che potrebbero anche avere conseguenze gravi, semplicemente a causa dell’inadeguatezza delle informazioni fornite dal personale sanitario riguardo al trattamento (non mi furono date indicazioni sull’effettiva pericolosità del morbillo o della rosolia, a prescindere dalla gravidanza, o dell’importanza di contenere i contagi a tutela di tutta la comunità).
Per molto tempo non ho capito perché un episodio della mia vita, all’apparenza di poco peso, continuasse a riaffiorare nella mia mente, portando con se una sensazione di rabbia intensa che non è mai diminuita nel corso degli anni. Ora so che è stata l’incurante violenza psicologica di chi quel giorno ha voluto rimettermi al mio posto dicendo: ci prenderemo cura di te perché hai un utero e lo userai.
Sono una persona non-binaria, la disforia (sociale e fisica) ha accompagnato tutta la mia vita: questo è uno degli episodi che mi ha spinto a cercare di evitare il più possibile il contatto con il personale sanitario in generale. Anni dopo, ad esempio, la ginecologa che mi ha inserito lo IUD ha tentato insistentemente di convincermi a seguire una terapia ormonale per curare l’ovaio multifollicolare perché avrebbe potuto “causarmi problemi in futuro”. Ho discusso con lei per quasi un’ora per cercare di capire quale tipo di problemi, perché era stranamente vaga su quali questi potessero essere. Alla fine ammise che gli unici problemi che avrebbe potuto portarmi sarebbero stati relativi a difficoltà nel concepimento. Rimasi senza parole: avevo accettato la soluzione della spirale solo dopo il suo (alterato) rifiuto alla legatura delle tube, credevo di aver espresso con chiarezza la mia decisione sul non riprodurmi. Rifiutai.
Oggi ringrazio di aver avuto la lucidità e la prontezza di impuntarmi, di non alzarmi da quella sedia e non prendere in considerazione nessun trattamento finché non mi fossero state date informazioni chiare. Sei anni fa in Italia non circolavano informazioni sul micro-dosing ormonale, pertanto non avevo preso in considerazione l’idea di assumere del testosterone, ma avevo la ragionevole certezza di non voler assumere ormoni femminili.
Questa cosa me la porto dentro da anni. E nonostante siano passati tutti questi anni, non vedo grandi cambiamenti nell’atteggiamento dei medici. In compenso continuo a vedere persone che faticano a trovare personale medico disposto ad ascoltare le esigenze di chi ha di fronte, senza sovrascriverne i bisogni.
Il controllo medico sui corpi AFAB non si limita all’aborto, pervade ogni aspetto delle nostre vite e finisce con l’avere ripercussioni persino al di là degli aspetti strettamente legati alla contraccezione e riproduzione.
Sono autistico e non binario, ma per anni prima delle diagnosi e delle perizie ho pensato di essere un animale bizzarro. Immediatamente dopo aver capito queste cose ho pensato solo “ora come faccio a tenere la testa fuori dall’acqua e non annegare?”. Poi ho conosciuto altre persone che mi assomigliavano, alcun* sono più giovani di me, e ho pensato che se qualcuno mi avesse risparmiato anche solo una goccia della confusione, della paura, della rabbia (del dolore?) che ho provato le cose sarebbero andate meglio. Allora ho iniziato a raccontare.
Questo è stato un ricordo di rabbia per così tanto tempo, penso sia ora di lasciarlo andare, di ‘spersonalizzarlo’ e far si che diventi parte di una narrazione corale.
Forse così avrà più senso e smetterà di essere fonte di frustrazione.
M.