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NONHOFIGLI. Giulia – Un Racconto Di Serena Castro Stera

NONHOFIGLI. Giulia – un racconto di Serena Castro Stera

Non ho figli.
E mi piacerebbe non subire ancora e sempre quella sorta di sospensione quasi impercettibile nella considerazione altrui, quel tempo diciamo, di un mezzo respiro, corrispondente ad un punto interrogativo.
Non ha figli. Per scelta? Per uno smacco della natura? Perché?
S’inciampa sempre casualmente in quell’interrogativo che mi opprime da quando la prima mestruazione mi ha resa fisiologicamente in grado di procreare. Sì perché fin d’allora io non avevo figli. Era una sorta di predestinazione la mia. Non mi sono mai identificata come procreatrice, non ho mai sorriso intenerita di fronte al fratellino di qualche amica. La mia indifferenza alla prima infanzia è da sempre un dato definitivo.
Ho battuto subito altre vie e la mia realizzazione in quanto essere umano ha mai preso in considerazione la maternità. Semmai l’ho stimata un intralcio, la caduta in una serie di condizioni capestro che avrebbe tolto autonomia e lucidità al mio pensiero e mi avrebbe limitato per sempre.
Non ho crepe in questa certezza e non per questo sono una donna fredda o poco incline agli affetti. Ho sentimenti forti e profondi verso le persone. Amo un uomo. Ne ho amati altri.
Amo mia madre e quando è morta mi ha lacerato un dolore quasi animale. Amo mio padre pure se è un uomo d’intransigenza incurabile e divenuta in vecchiaia quasi patologica. Un padre duro, a volte ingiusto, ma presente e con risposte certe. Amo i miei amici: non tantissimi, ma sinceri e duraturi.
Tuttavia non ho figli pur conoscendo e credo a fondo, il significato della parola AMORE.
Non è il rispetto sociale che mi manca: sono una studiosa, scrivono di me sui giornali e io scrivo di altri e la stima che mi portano è basata sull’intelligenza. Piace l’acutezza delle mie osservazioni, fa gioco alla causa l’intuito tutto femminile che guida certi giudizi e la capacità di riconoscere le sfumature. I colleghi uomini accettano di buon grado il mio successo.
Sono una bella donna per di più, socievole, solare, dicono.
Eppure mi guardano strano, come quando su di un incarnato omogeneo e luminoso, appare un brufolo e si è attratti magneticamente dall’imperfezione più che dalla circostante piacevolezza. Si danno ragione di me solo supponendo problemi medici oppure psicologici.

Se non d’indole: non ho figli devo essere egoista per definizione, nascondo qualche stranezza, qualche paranoia…
Così dal momento della fatidica scoperta ecco che lo sguardo su di me, si vincola impercettibilmente e sono messa in una categoria molto vicina ai senza-dio. Resto un interrogativo, mai un assertivo, mai.

Si tratti di scelta o sfortuna, rappresento in ogni modo una sorta d’avaria, una svista di programmazione nell’archetipo-donna. Le omosessuali godono di maggior chiarezza di definizione, accettate come difformi e non in-formi. La loro scelta è tutta umana, la mia pare non lo sia. Difficile convincere che si tratta d’inclinazione naturale.

Questo stato di distinzione appena di superficie che sembra non importare a nessuno ma che fa sorgere sempre lo stesso piccolo interrogativo, è diventato un peso negli anni.
All’inizio la prendevo con ironia. Mi divertivo a guardare come la gente dissimulava la curiosità, faticando a non chiederti come mai e sforzandosi di trattenere quella forma di sottile delusione che scappava così naturale.

Soprattutto alle donne.
Come rinunciare a parlare di gravidanza, doglie e parto più o meno lungo o meravigliosamente coinvolgente? Come trovare un argomento che crei uguale intimità avviando un rapporto oltre il convenzionale? Come rinunciare a trattare della nostra unica fonte di potere indiscussa, l’onnipotenza della creazione?
Ad una certa età tra donne non si parla che di una forma d’amore: si parla di figli. O sei della partita o sei fuori.
Il dibattito non è per forza banale, è anche profondo, con problematiche serie, implicazioni filosofiche e tu puoi dire la tua.
Ma è teoria.
Da loro, dalle madri, ti separerà sempre la pratica e in capitolo avrai una voce del tutto marginale.
All’inizio, dico, era interessante, in ogni modo istruttivo. Poi ho iniziato ad annoiarmi. Possibile, mi chiedevo, che queste donne così intelligenti, istruite, con bagagli di conoscenze notevoli, si appagassero di quell’unico, argomento? Si, certo, è un tema che ne comprende tanti, medici, etici, pedagogici… Ma il fulcro intorno a cui girava tutto è lui: il figlio.
E io non ho figli.

Così, dalla disponibilità c’è voluto poco per passare al disagio e da lì alla scelta di coltivare molte amicizie maschili o di donne anziane non impastoiate nella maternità.
Nemmeno in questi consessi sono stata del tutto al sicuro. Gli uomini mi hanno guardata come una merce rara, spesso come un’interessante possibile compagna solo in virtù di minori complicazioni. In ogni modo conseguivo interesse per sottrazione, non per valore aggiunto e mi sarebbe bastato un valore paritetico in verità.

Con le donne più anziane è andata meglio anche se sono incappata inesorabilmente nel fattore “nipoti” e la noia è ricomparsa implacabile. Un cerchio che si chiude.
Io non ho figli.
Avrei potuto averne, ma probabilmente non era scritto nel mio DNA, non quello fisico, bensì quello… antropologico.

Non sento di avere un guasto. Mi sento distinta, si, una variazione sul tema, diciamo. Nondimeno non ho remore. Nella mia vita conosco il significato del dare e avere amore e so che l’amore ha molte forme. Non tutti vogliono sperimentarle tutte. Non tutti conservano l’istinto di riprodursi come obiettivo primario.
La mia non-maternità è semplicemente una “mutazione” antropologica che in me non crea necessariamente disagio o rimpianto.
Saremo pronti un giorno ad accettarla nella categoria della normalità?
Il “gioco” è in mano alle nuove generazioni, ai figli degli altri.
Non ho controllo su questo.
Io non ho figli.

Serena Castro Stera

*Serena Castro Stera è nata a St Charles (USA), è sposata, ha tre figli e lavora dal 2001 presso l’Università degli Studi di Trieste dove risiede. Ha pubblicato tre libri di racconti Dell’amore e di una pietra (Bononia University Press, 2011), Erano solo tre ciliegi (Terra d’ulivi, Lecce 2014), Ladri d’ulivi e altre storie (Terra d’ulivi, Lecce 2015) e i romanzi Una (Armando Curcio Editore, Roma 2017), Nemesi d’aprile con la co-autrice Angela Aurora Luzzi (Robin Edizioni, 2018), Un luogo da cui partire (Robin Edizioni 2019),Diverse forme di vita (Robin edizioni, 2020) . Dal 2005 in poi con i suoi racconti ha vinto svariati concorsi. Oltre ai premi, vi sono alcune pubblicazioni su riviste letterarie (Erba d’Arno, Interpretare, Misure Critiche) e molte sono state le segnalazioni.
Il racconto NONHOFIGLI i ha partecipato anni fa al Concorso di Scrittura della Consulta Femminile di Trieste ricevendo una segnalazione. È pubblicato sull’antologia del concorso edita da Ibiskos.
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