“Elettra sei più importante del tuo utero”
La testimonianza di Elettra Lorini:
Io non ho figli. In una certa stagione della mia vita questo è stato un problema, intorno ai 40 anni, sentivo che il figlio era un modo di completare un’identità di donna che mi era stata trasmessa, più o meno in quel periodo sono sorti anche problemi legati al mio utero fibromatoso e quindi è stato un elemento in più che mi ha portato a riflettere, a riflettere e a vivere la condizione del non espletare completamente la funzione per cui ci dicono essere state costruite, pensate, create.
E’ stato un passaggio cruciale che mi ha portato a capire che l’Elettra aveva una sua identità, una sua capacità di stare al mondo e di essere nel mondo e per il mondo indipendentemente dal suo utero e dal prodotto del suo utero. In particolare ricordo, con molta chiarezza, allora facevo la sindacalista, un momento in cui avevo delle emorragie molto forti, ero in una condizione proprio di stanchezza continua.
Ci fu un micro conflitto con una donna, nato proprio dalla mia stanchezza e dalla mia incapacità di gestire e di governare una situazione di difficoltà che c’era, che mi fece pensare a come io rischiavo di perdere me stessa, di diventare una persona sgradevole, dura, non accogliente, non materna, mi viene da dire, se rimanevo centrata su questo dato del mio utero che doveva essere tolto. E io mi dissi : “L’Elettra è più importante del suo utero”.
Ho fatto l’intervento, ho avuto l’isterectomia ed è stato forse il momento, lo sto ripensando ora, il momento cardine della mia modalità di essere in questa mia relazione con il mio corpo e la mia presenza nel mondo. So che in un certo periodo è stato un problema vero e so che dietro la mia scelta non scelta, perché non so se è stata una scelta o un condizionamento, di non aver figli, perché avevo fatto altre scelte di presenza, di impegno, di militanza che escludevano anche questo dato, in una certa fase è stato indubbiamente un passaggio e un elemento doloroso, e che mi sembrava essere un elemento castrante rispetto alla mia identità.
Quello è stato l’inizio di un anno faticoso, difficile, accompagnata anche da una donna ginecologa che mi ha fatto capire meglio tutta una serie di passaggi, però al di là dell’accompagnamento con lei, sicuramente è stata una messa a fuoco mia che mi è servita molto, anche dopo. E quindi ora sono una donna senza figli che però si sente di avere tanti figli, fisici e non fisici, so che questo è dato, so che sono una creativa, so che amo fare le cose per gli altri, che ho fatto il Sindaco nel mio paese, alimentata da uno spirito che non era lo spirito dell’egoismo, e del fare una cosa per me, o di un interesse finalizzato a degli obiettivi di parzialità, ma anzi era proprio un modo gioioso e faticoso di esprimere il mio amore per una terra dalla quale sono nata e nella quale avevo desiderio di lasciare traccia di me.
Io non sono riuscita a portare a fondo il mio progetto di presenza e di segno rispetto a questa realtà che amo, e vedo che le pianticelle che stavano nascendo dai semi che avevo gettato, non son state capite, apprezzate, diventate altro, ho avuto un momento di rabbia e di dolore. E ora invece sento un po’ come per i figli, queste frecce lanciate dall’arco che poi ad un certo punto devono fare la loro storia. Io ci sono stata, ci sono stata per 5 anni manifestando una dimensione di me che aveva a che fare con la dimensione femminile della maternità rispetto ad un territorio. Poi il territorio va da un’altra parte. È la sua. Io lo guardo, l’accompagno, ci sono vicino, mi piace starci ancora. Però forse è proprio questo figliolo che diventa grande e va da una parte, dove la mamma non avrebbe voluto.
Vorrei parlare anche dell’importanza dell’essere zia e non madre. Ho avuto uno zio che è stata una figura maschile di grande riferimento per me, zio scapolo a sua volta, che è stato una figura molto diversa e molto importante. Mi verrebbe da dire più laica rispetto a quella cardine della genitorialità. E anch’io per i miei nipoti sono stata e sono una zia non di quelle che si vedono per Natale, Capodanno e durante le feste. Non a caso questa mia casa è stata condivisa in momenti di grande apertura, di grande gioiosità, e anche rispetto alle vicende molto dure e molto dolorose, proprio con i miei nipoti. Allora i miei nipotini in Francia non hanno la possibilità di sentirsi raccontare le storie di famiglia, così come me le sono sentite raccontare io, e così come io le ho in parte trasmesse ai miei nipoti. Che non sono le storie di famiglia. Non a caso ho parlato di “mitologia familiare” e non di storia di famiglia, ma proprio quelle storie che ti consentono di avere delle figure mitiche di riferimento, che poi son quelle a cui ti agganci, a cui ti richiami in momenti non facili della tua esistenza, ti accompagnano e stanno dietro di te. Quindi da questo punto di vista indubbiamente l’elemento del durare c’è, e quindi questo elemento di senso, mi verrebbe da dire una cosa grossa, proprio il senso dell’esistenza: perché io sono passata, cosa in questo transito ho raccolto per me e ho seminato per gli altri. Tra l’altro mi piace molto e i piaceva ai tempi in cui ero Sindaca, pensare proprio che seminavo con i semi del mio raccolto, grazie all’aver avuto tante esperienze, tanti incontri e oggi so che è un continuo divenire il raccogliere, seminare, il seme raccolto.
Il seme che se lo tieni lì va a male, deperisce, non ha più la sua capacità germinativa e se invece circola riesce ad alimentare, a produrre degli elementi di grande ricchezza per gli altri. E quindi questa io mi sento oggi, una che fa i conti con la maternità non vissuta, però non li fa in una maniera acrimoniosa o rancorosa o “Ah, se avessi avuto un figlio, sarei stata una madre perfetta” oppure “Io di figli non ne voglio sapere, figlioli, frignoli, ucci ucci, chi li fa, se li trastulli” eccetera eccetera.
Dico che è una dimensione importante, dico che è importante sentirsi per gli altri e per il mondo e non soltanto sentirsi per se stessi, ma che c’è un’interazione continua, costante e forte in tutto questo. Io sento col passare del tempo, e ora che non c’è più, molto forte il rapporto con la mia mamma, e sento, e mi vedo in alcuni momenti avere dei tic, dei sorrisi, dei gesti che erano suoi e che non erano i miei. E quindi sento la madre che è in me e quindi sento anche molto forte, e dico sento, quindi proprio sul piano della fisicità corporea, che adesso io sono lei, anche se io sono diversissima da lei, che ho avuto dei grandi conflitti con lei, che ho preso le distanze, sento che mi sono riconciliata, e ora in una certa misura lei è dentro di me. E un pochino mi dispiace non avere qualcuno che si porta l’Elettra dentro, e se la porterà accanto, è così bello anche accompagnare. Questo elemento di accompagnamento proprio rispetto a tanti e a tante che continua ancora oggi. E quindi questo non avere l’elemento della linearità, per cui tu sei uscito da me e quindi… ma uno sguardo un po’ più laterale che a volte ti consente di scoprire anche delle cose in più, sia per quelli o quelle che tu accompagni, sia per te stessa che li stai accompagnando in quel momento. In questa dimensione c’è molta più di compenetrazione che nella relazione diretta tra madre e figlio, da una parte c’è un incommensurabile altro, e lo dico incommensurabile perché io non sono in grado di misurarlo e di conoscerlo, però so quale altro incommensurabile c’è in una dimensione che è di accompagnamento.