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La Mia Storia Di Lunàdiga

La mia storia di lunàdiga

Gaia, 35 anni

La mia storia di lunàdiga non ha un finale. E neanche un inizio: sento che io, lunàdiga, lo sono sempre stata. Lo sarò sempre?

Secondo me in fondo c’è solo una vera ragione per non avere figli: sentirlo. A me è successo proprio così. Quando è venuto il momento di fare un figlio, quando sono cadute tutte le ragioni razionali dietro cui nascondersi, l’età, il compagno, il lavoro, quando ho detto, va beh, facciamolo, mi si è chiuso lo stomaco. Anzi, mi sa che era l’utero. Mi sono messa a piangere con la testa che faceva: no, no, no.

Quando si dice di desiderare dei figli raramente si riceve la stessa domanda che si riceve quando si dice di non volerli: il famoso “perché?” Eppure la risposta è la stessa: perché voglio, perché lo desidero, perché mi sento così, è istintivo.

Circa un anno e mezzo fa ero così ossessionata dalla domanda “dovrei avere un figlio?” che sono andata a parlarne con una psicologa e dare così anche un po’ di tregua a mio marito che mi ascoltava ogni giorno ripetere le stesse cose.

A questa psicologa ho detto tutta la verità. Le ho raccontato che VORREI VOLERE avere un figlio, perché sarebbe tutto più facile. Le ho detto -e so di dire una cosa molto difficile da sentire per tutte quelle persone che desiderano di avere figli ma non possono – che vorrei non poterli avere. Se dico una cosa tanto grave forse riuscirete a capire meglio la pressione su una donna che non ha figli. Nel caso non potessi la decisione sarebbe presa per me dal mio corpo e non ci sarebbe Inquisizione pubblica e privata (vedi fertility day, dipartimento mamme, ma anche il classico “non puoi capire finché non ce l’hai!” “non dire no, dì non ancora!” “che senso ha la nostra vita senza figli” ecc.) sul perché una donna sana di 35 anni non voglia avere un figlio. Una che ha pure un bel lavoro e un bel marito!

Già, il marito. L’unica motivazione, l’unica ragione che ho avuto di immaginare un figlio è Frank, mio marito. Quando sono stata dalla psicologa lei mi ha detto che non le sembra proprio che io abbia il problema di sapere cosa voglio, ma che abbia un problema a confrontarmi con le opinioni degli altri. Dimostrando che abbiamo spesso bisogno di una persona esterna per dirci cose che già sappiamo. È quello che temo: e se mio marito che è la mia famiglia e l’unica famiglia che voglio volesse avere un figlio? Insomma temo di perdere lui. Dopo mille dialoghi tutti uguali (perché lui non ha un’idea certa sulla questione) mi ha detto una cosa che me lo ha fatto amare ancora più ma mi ha fatto anche sentire piccola piccola per queste mie preoccupazioni: “Mi ferisce che tu abbia così poca fiducia nel mio amore per te da pensare che ti lascerei se non vuoi un figlio. Abbiamo detto per sempre, qualunque cosa accada e io non mi tirerò indietro” (aspettate a considerarlo il più grande marito del mondo eh, ha i suoi bravi problemi pure lui).

Certo, poi se vogliamo aggiungere il carico, l’organizzazione della società non mi invoglia. Anche se vivo all’estero da 13 anni, e in alcuni casi in paesi più progrediti dell’Italia, noto che quando fai un figlio il tempo si ferma. C’è un genitore principale, la mamma, e un ausiliario, il papà. La società e il lavoro si aspettano da noi che siamo mamme prima di tutto, anche se all’interno della nostra famiglia ci siamo organizzati diversamente. Io al massimo vorrei fare il papà. Di quelli super all’antica, che sta fuori tutto il giorno e non ha mai cambiato un pannolino. Invece c’è la pressione esterna in aggiunta, quella che ti vede mamma prima che donna e cattiva madre se lavori tanto, fallita se stai a casa, egoista perché “ne vuoi fare solo uno?”, irresponsabile se ne fai più di tre. Insomma è chiaro che ci troviamo di fronte a un problema di sessismo più ampio. Io a questo problema rispondo come rispondo anche negli altri casi di sessismo: è ingiusto, non posso vincere, tanto vale che faccia come voglio, almeno una persona, io, sarà felice.

Le persone a me più vicine non mi hanno mostrato pregiudizi: spesso la realtà è più bella di come ce la rappresentiamo.

Il pregiudizio lo vedo nei media (di cui faccio pure parte e che cerco di cambiare) e nelle conoscenze superficiali. In generale, e questo non vale solo per il pregiudizio verso le donne senza figli, chi è felice della propria vita è felice anche per te, anche se hai fatto o ti sei trovata a vivere scelte diverse. Il giudizio negativo e il pregiudizio sono spesso figli della frustrazione. Ci sono persone che non accettano ciò che esce dalla norma, ne sono spaventati perché a loro non è mai venuto in mente che esistesse un’altra vita e vedono in ogni vita diversa un giudizio sulla loro. Però ho imparato, solo da poco mi sa, una cosa importante: non sono obbligata a frequentarle, leggerle o ascoltarle.

Non si fanno figli per gli altri, per ragioni demografiche, per pagare la pensione o non restare soli da vecchi (o meglio, non si dovrebbe). Tutte queste costruzioni, le condizioni materiali, i sacrifici, il cambiare corpo e vita sono cose che vengono dopo una spinta istintiva. Eppure “non voglio smettere di viaggiare” “voglio dedicarmi alla carriera” sono considerate ragioni più accettabili -perché incasellabili e criticabili- di quella che sarebbe la ragione vera, se si avesse voglia di grattare la pittura di un’immagine che talvolta ci costruiamo e ci costruite addosso: “Perché non voglio”.

C’è chi cerca, con le migliori intenzioni, di giustificarmi. “Certo non potreste fare questa vita in giro per il mondo con dei figli” (negli ultimi 12 mesi siamo stati in giro per America, Africa, Asia e Europa e fino ad aprile scorso vivevamo in Sudafrica). “Non potresti dedicarti al tuo lavoro”. Lo so ma… si può mettere sullo stesso piano un viaggio intorno al mondo e un figlio? Secondo me no, perché ogni esperienza è unica, mica solo essere genitori.

Mia mamma è una nonna professionista di otto nipoti. Chi sono io per negarle la gioia del numero nove e dieci? Ma i miei genitori mi hanno fatta perché vivessi la mia vita, non la loro. Mia mamma, che alla crescita dei suoi figli e dei suoi nipoti si dedica a tempo pieno da più di 45 anni, lo capisce: mi ha fatta lei così, libera di vivere una vita anche diversa dalla sua. Mio papà ultimamente sembra spazientito. Ho mostrato un disegno, un ritratto di famiglia che ho fatto fare per il compleanno di mio marito. Ci siamo io, Frank, una valigia e un orsetto di peluche. Tutto quello di cui abbiamo bisogno. “Mancano i figli!” mi ha detto papà, mentre vedo mia mamma nello schermo della videochiamata che lo fulmina. “Non mancano, non ci sono proprio”, ho risposto. Ma mi ha molto stupita sapere che pensi che mi manca qualcosa perché non abbiamo FIGLI. Io non penso a me come mancante. Non mi manca un figlio come non mi manca un senso.

L’equazione mancanza di figli uguale mancanza di senso non l’ho mai sentita vera. Cosa vuol dire? Che finché non ci riproduciamo siamo mancanti? Vale per tutti o solo per le donne?

È diffusa la falsa idea che solo chi fa figli faccia qualcosa per gli altri. Ad esempio si accusano falsamente -e in maniera sessista, ça va sans dire- le politiche senza figli di non poter avere a cuore il futuro dei propri concittadini.

Come se la motivazione verso l’altro debba essere spinta dal fatto che questo altro appartenga alla nostra discendenza, ai “nostri” figli, biologici o adottivi. Come se ci potessimo voler occupare del futuro solo perché c’è il nostro nome o il nostro DNA dentro. Chi la pensa così rivela il proprio egoismo, non quello delle persone senza figli.

Penso che la mia vita abbia senso per gli altri anche se non ho discendenti, penso che le mie azioni abbiano senso. Io ad esempio lavoro per l’Unione europea: ho la responsabilità e il privilegio di occuparmi ogni giorno di un’idea di futuro democratico e inclusivo. Nel tempo libero ho fondato il progetto femminista le Donne Visibili non solo per me ma per le mie contemporanee e per le donne che verranno, non importa che io le conosca o no. Forse il mio lavoro sarà utile per le mie nipoti, e ne sarei contenta, ma ne sono ugualmente contenta se sarà utile per donne non mi hanno mai incontrata.

La nostra vita e il nostro contributo alla società hanno un senso a prescindere da se e come ci riproduciamo. Sicuramente la mia vita ha senso per me è e non è poco, anche se ho messo quasi trent’anni a capirlo: sapersi prendere cura di se stesse non è scontato e non è da tutte. Già questo basta a dare senso alla vita di ognuna e ognuna.

Forse sono una zia con nipoti un po’ dappertutto, sicuramente sono fatta per essere me,oggi donna lunàdiga.

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