“Ho ritrovato serenità ed amore per la vita e per il mondo”
La testimonianza di Lisetta, 60 anni:
Non ho rimpianti in ordine a questa mancata maternità, sono in un periodo, nonostante tutto quello che, specie nella mia vita familiare, è accaduto, in un periodo di grande serenità e di amore ritrovato per la vita e per il mondo. Le prime ragioni in ordine al desiderio di non avere figli sono legate sicuramente a fatti di grande egoismo personale. Primo: non stravolgere il mio fisico. Secondo: non stravolgere la mia vita dove la libertà è essenziale: la libertà di relazione, la libertà di amicizie, la libertà d’amore, e un figlio mi sembrava esattamente il contrario di questo. Nella mia vita mi son sentita di avere 25 anni, fino a che ne ho compiuti 48 e quindi questo sicuramente poi ha reso molto più facile arrivare a continuare con la dimensione che potevo avere a 16/18 anni che era questo ferreo rifiuto fisico della maternità. Non apprezzavo niente della maternità, niente, né la trasformazione personale nel senso del proprio … il seno, la pancia, la grandezza, e neppure c’era l’idea di un benessere che mi sarebbe potuto derivare da un figlio. Senz’ altro il problema di un confronto con un altro essere umano mi ha sempre molto spaventato. L’ho sempre sentito come estremamente impegnativo specie per la dipendenza che avrebbe avuto da me. A me non piace la dipendenza degli altri da me, mi piace la mia indipendenza e mi piace l’indipendenza altrui. Credo che questo a un figlio non glielo puoi chiedere, forse non glielo puoi chiedere mai.
Diciamo che oltre a questa affermazione che ho fatto prima in ordine al – come dire – mantenere una certa magrezza che poi si è dissolta in altro modo e non per la maternità, ma per il gusto, i piaceri della vita, e oltre alla paura della dipendenza di qualcuno da me, ci sono state ragioni diciamo di carattere anche femministe, cioè storicamente ho fatto parte di quel movimento, mi ritengo ancora oggi una femminista nel senso che credo che fossero valori assolutamente validi quelli che abbiamo proiettato nella nostra vita e nella vita altrui, e sicuramente non c’è stata dal punto di vista della mia famiglia una dimensione tale da farmi cambiare questa impostazione. Non so se è venuta prima la mia – come dire – struttura fisico – mentale, oppure se questa si è formata dentro la mia famiglia. Però certamente eravamo una famiglia molto numerosa: 5 figli in 6 anni, io gemella, quindi mai sola in realtà. Penso che ci fosse molta tensione, sebbene avessimo spazio a sufficienza e una buona dimensione come dire di libertà. Avevamo il giardino, una casa molto grande, però ho sempre sentito la costrizione, ma più che altro era la costrizione delle relazioni. Una costrizione di relazione tra me e i miei fratelli e le mie sorelle, e una costrizione di relazione anche familiare. Forse eravamo troppi per poter stare anche allegri, e anche felici. Sicuramente ho avuto anche una vita privilegiata, ma ero una ragazzina ansiosa, andavo molto bene a scuola, mi affaticavo parecchio, e forse questo era estremamente impegnativo. Il contesto familiare era un contesto comunque anche quello di tensioni e di impegno. In questo senso forse la mia smania di libertà mi ha portato poi a rompere con gli impegni, a trovare magari un impegno sociale, un impegno esterno più che invece un impegno di costruzione rispetto a me stessa. Dopo una lunga pausa ci son tornata e per fortuna ho ritrovato la possibilità di ricollegarmi a ciò che avevo lasciato, un lavoro che mi appassiona, perché sto nel sociale nel senso che mi occupo di “inquilini a-morosi” che sono quelli che cercano di non pagare l’affitto nelle case popolari con i quali, credo, di avere sempre stabilito un rispettosissimo rapporto di interesse perché loro risolvessero i loro problemi e noi, come istituzione, riuscissimo ad avere i risultati che ci toccava raggiungere per poter costruire ancora altre case e poter garantire alloggio a chi non ce l’aveva.
Quindi diciamo un ‘ottica di collaborazione e di gratificazione costante nella quale mi sono sicuramente realizzata. Diciamo che io sono abituata a relazioni tra adulti e a relazioni di libertà, senz’altro. La mia paura è di annoiare un bambino, non so come dire. Forse è la cosa più pesante. Quando vedi quelle situazioni nelle quali ragazzini cominciano a non voler frequentare i genitori, in cui si vergognano di uscire con la madre, di stare vicino al padre, quello veramente per me era così angosciante. Pensavo perché sarebbe dovuto essere diverso per me, era una prova abbastanza insopportabile. Cioè non ero già predisposta, questo fatto sicuramente non mi attraeva per niente, e poi pensavo appunto in realtà di essere molto autoritaria e di riproporre – avendone sofferto – un modello di famiglia che non mi aveva aiutato in termini di serenità, e in termini di amorevolezza. Quindi perché avrei dovuto fare davvero diversamente? Può darsi che mi fossi trovata in condizioni tali da riprodurre il peggio della mia famiglia. Questa è la sfida che ho sempre avuto con mia madre, la quale dice ancora oggi “L’unica cosa che mi dispiace è non averti vista con un figlio. Alle prese con un figlio” perché sono stata una figlia molto ribelle, e lo sono ancora adesso che parteggio visibilmente per i miei nipoti e la faccio disperare perché ne difendo il diritto a rientrare tardi, difendo il diritto ad avere la loro vita autonoma e lei continua a dire: “Sì che ti avrei voluto vedere! Che cosa avresti fatto non lo so”. Neanche io lo so.