“L’idea di famiglia con figli non c’era nemmeno nell’ immaginario più tenero”
La testimonianza di Mario Gamba, 78 anni:
Cominciamo dalla scena che si vede spesso in giro, per esempio al supermercato o al bar, quando si vede un neonato che strilla come un disperato.
Per me questa è una scena non solo che crea fastidio, come penso a tutti, ma che mi fa immedesimare con grande pietà con quei poveri disgraziati che devono tenere a bada il neonato e dovranno continuare a farlo per tutta la vita come dei guardiani e “crescitori” di quella creatura.
A me questa cosa ha sempre dato una sensazione veramente terribile che mi ha portato a non avere alcun desiderio di trovarmi in situazione del genere.
Già quando ero piccolo, all’epoca abitavo in un paese in provincia di Mantova, ed ero un bambino meno formato ideologicamente, l’idea di dover tirare su una persona, di crescere un bambino con tutti gli impedimenti ed i fastidi che ti poteva dare, oltre all’aggiunta di doverti assumere delle responsabilità che socialmente ti venivano date perché dovevi rispondere alla crescita di una persona che dipendeva da te, mi faceva orrore.
Era una cosa da cui fuggire.
Ecco questa è la verità.
Un’immagine di rapporto amoroso costellata di infanti a me non è mai venuta.
Se dovevo immaginare i miei rapporti con una donna, li ho sempre pensati come rapporti basati sull’erotismo, sull’amicizia e sulla stima, ma mai con un contorno di pargoli a formare una famigliola.
L’idea di famiglia con figli non c’era nemmeno nell’ immaginario più tenero che potessi avere.
L’unica fantasia che in qualche modo mi è capitata nel passato è stata quella di immaginarmi adulto con una figlia femmina – già cresciuta mettiamo 15, 14 anni – e insieme camminavamo e parlavamo. Un rapporto nel quale io assumevo una funzione un pochino maieutica, di guida, di insegnante intellettuale.
Ecco questa è l’unica fantasia che posso registrare nella memoria di tipo paterno.
Un rapporto che non era incestuoso in alcun modo, non legato a fantasie di contatti erotici, ma legato all’immagine di me e di lei che passeggiavamo in campagna dove io ero un maestro di vita in un certo senso, amichevole e molto paritario.
Più avanti nel tempo invece si è radicalizzato, come possiamo chiamarlo, l’odio – inutile girarci attorno- per la famiglia in quanto tale, per il nucleo “famiglia” e il modo di essere della famiglia di cui io avevo da piccolo molto sofferto gli aspetti di costrizione.
Sono tutti aspetti che vengono a galla in un periodo in cui tutto intorno a me diventa molto critico, molto ribelle, molto contestativo fino a quando, come ben noto, intorno al ’68, la critica all’idea di famiglia tradizionale si spinge al punto di pensare alla sua negazione in quanto tale nella società. Si sviluppa infatti l’idea che le persone potessero crescere in una dimensione differente da quella del rapporto stretto con la figura paterna e materna.
Questo per me – con tutto il background della mia insofferenza verso i pargoli e l’idea di dovermeli sobbarcare, di dover essere costretto a perdere tempo, a perdere la libertà – ha aggiunto più elementi con cui affievolire, anzi annullare ogni impulso di paternità.
E in tutta onestà, se dovessi rintracciare qualche cosa che somigli all’istinto paterno per me, non so nemmeno bene cosa sia, io non saprei dove trovarlo.