“Essere donna non significa generare figli”
La testimonianza di Anna Rita Purgante, 23 anni:
Sin da piccola, con una mia amica, mi piaceva riflettere sul mondo che mi circondava piuttosto che fermarmi alle cose superficiali di tutti i giorni, e non so cosa ci abbia fatto dire a 14 anni “non voglio avere MAI un bambino!”. Oggi però la mia scelta ha un perché, per così dire, scientifico: intanto non sono antropocentrica, non riesco a considerare vita solo l’essere umano, e a dir la verità tra le tante specie che popolano la terra è quella che mi piace di meno – per usare un eufemismo – e quella la cui esistenza a volte mi sembra un paradosso. Non so se avete mai sentito parlare del movimento per l’estinzione umana volontaria o della teoria filosofica dell’anti-natalismo. Beh, per estinzione volontaria non si parla né di suicidio né di omicidio – sono cose che aborro, anche se il suicidio lo reputo più una scelta personale, ma non voglio uscire fuori tema.
Un buon modo per estinguerci (accadrà, se non sapremo sfruttare la tecnologia per sopravvivere altrove, nello spazio, perché il sole diventerà una nana bianca) è quello di non generare più prole del necessario, quando non generarla affatto. Un mondo giusto valorizzerebbe chi non vuole avere figli ed invece istituiscono il fertility day. Insomma non voglio figli perché siamo 7 miliardi, e direi che basta così.
La mia famiglia non è d’accordo, ma non si impiccia più di tanto, tranne mia cognata che crede che essere donna significhi generare figli.
Di partner “seri” – in realtà non so fino a che punto l’essere umano sia una specie monogama – ne ho avuto solo uno, quello attuale, con cui sto da un anno e mezzo. Lui la pensa esattamente come me, cioè non vuole figli, anche se le sue motivazioni sono diverse – viene da una famiglia che sa cosa sono i problemi economici (come la mia, solo che io ho 2 fratelli) e lui ne ha 5, tra fratelli e sorelle. Magari lo vorrebbe anche un figlio, ma non prima di essere certo di potergli garantire un futuro.
Io lavoro da 3 mesi con Garanzia Giovani. E per chi sa di cosa parlo, basterebbe solo nominarlo, ma siccome voglio essere chiara mi spiego: lavoro in un bar, con un tirocinio di 6 mesi che mi dovrebbe garantire 450€ al mese. Lavoro dal 10 novembre ed ho visto solo 300€ perché il bar sgancia 150 € al mese e la regione dovrebbe dare ogni 2 mesi 600 €. Finirò questo maggio e spero che per maggio 2018 avranno finito di pagarmi, ma ne dubito.
Nonostante ciò cercano di sfruttarmi in tutti i modi, e io ancora non imparo a fare i caffè perché non me li fanno fare.
Questo è anche un motivo per cui non voglio figli – il laboratorio politico Jacob della mia città ha ideato lo slogan anti – fertility day “la mia gravidanza dura molto più del mio contratto”.
Non sarò discriminata sul posto di lavoro perché non voglio figli, ma è il lavoro che discrimina me perché non mi permette di averne, neanche se li volessi.
Quindi di eredità non c’è bisogno che ne parli. Quale eredità? Ahah , ma a parte gli scherzi, da ereditare da me ci sono un mucchio di libri, che non è poco. Spero di lasciarli al mio nipotino, altrimenti non saprei a chi altro lasciarli. Tutto questo per me è un argomento che non potrebbe mai imbarazzarmi perché per me è elementare, quasi biologico, non fare figli, non mettere al mondo altri esseri umani.
“Secondo la mia concezione della vita, ho scelto di non portare al mondo figli.
Un bambino è gettato nella brutalità cosmica senza esitazione” diceva Peter Wessel Zapffe. Di commenti negativi ne ho sentiti un bel po’, e provengono tutti da gente che crede che far figli sia lo scopo principale della vita. Beh, quella gente ha capito poco, e consiglio loro di leggere saggi di Asimov fino a diventare sterile. Sono sicura della mia scelta e sono altrettanto spaventata da quello che mi è capitato. Poco tempo fa ho scoperto di essere incinta. E’ stato un trauma. Mi sono sentita a pezzi, ma ho subito pensato al da farsi: volevo prendere la pillola abortiva. Così ho girato i 3 consultori della mia città e ho ricevuto risposte contraddittorie. Scopro che devo fare 75 km per poterla prendere e che l’assunzione di queste pillole avviene in due giorni, senza ricovero. Vado, prendo le prime pillole e per ora di pranzo mi mandano via. Torno nella mia città, il giorno dopo inizio a sanguinare. Chiamo e chiedo perché. Mi dicono che se è come una normale mestruazione va bene, ma decido di andare comunque al pronto soccorso, dove, dopo aver aspettato una vita, TROVO L’OBIETTORE che inizia a trattarmi male, a minacciare di farmi il raschiamento, a dire che c’è il battito e che mi ricovera per minacce di aborto. Mi dice proprio QUELLO CHE CERCAVO DI FARE! Mi ricovera, perdo molto sangue, ma il giorno dopo mi fanno uscire e riesco a prendere la seconda pillola abortiva. E diciamo che poi tutto va per il meglio. Ma mi chiedo se sia possibile nel 2017 essere trattati così perché non si vogliono figli, perché gli incidenti capitano e porre rimedio può essere tanto semplice quanto difficile. Mi chiedo come sia possibile che esista una pillola che provoca l’aborto, ma “per motivi politici” non è possibile prenderla in alcune città, come mi è stato detto. Mi chiedo se tutto questo un giorno cambierà e le cosiddette “childfree” non saranno più viste come aliene e verranno aiutate, quando gli incidenti le metteranno davanti ad una scelta di vita come l’aborto.
Chiudo la mia testimonianza con un “fuori gli obiettori dagli ospedali! “.
Ciao Rita, ho 20 anni e condivido appieno sia i problemi legati a ginecologi obiettori e non-obiettori, sia ciò che hai scritto riguardo all’estinzione umana volontaria. Queste cose, in Italia soprattutto, sembrano inammissibile fantascienza. Sono contenta che abbiamo più o meno la stessa età e idee molto simili, un abbraccio.