“Quando mia madre mi ha detto: lo scopo della vita non è avere figli, ma essere felici”
Grazie a Leandra per aver condiviso con noi la sua testimonianza, che pubblichiamo integralmente
Sono nata a Napoli, ultima in una famiglia di 3 figli, i miei fratelli maggiori, di 6 e 9 anni più grandi di me, che adoravo come degli dei. Mia mamma mi racconta che a 35 anni quando decise di “provare a fare una femmina” mio padre le diede della matta. Mia mamma era casalinga e mio padre un operaio specializzato. Ma per mio padre non era neanche un problema di soldi, le diceva “ma sei pazza a voler ricominciare con i pannolini, le notti in bianco, io non ti aiuto eh?”
Quando nacqui mio padre, andò a comprare un materassino rosa ed un libro “Dalla parte delle bambine” di Elena Giannini Belotti. Era la fine degli anni 70’, ed anni di militanza spingevano anche gli operai ad interessarsi a certe problematiche. Mio padre era un uomo di grande intelligenza. Non è vero che non aiutò mia madre, anzi si occupò di me con grande affetto, e fu molto paziente con una figlia che era di gran lunga la più rompiscatole e ribelle della famiglia.
Mia madre era affettuosa e severa con me, passavamo molto tempo insieme, ma nonostante il suo affetto, io mi annoiavo mortalmente a casa. I miei fratelli già grandi uscivano e mia mamma era sempre indaffarata fra pulizie di casa, spesa e fornelli. Io cercavo costantemente di distrarla da quelle faccende per me inutili e di convincerla ad uscire di casa. Qualche volta mi lasciavano andare ad un compleanno o più spesso alla parrocchia del quartiere. La chiesa era triste scura e piena di statue polverose, ma almeno lì c’erano altri bambini e si poteva giocare insieme. Di noi spesso e volentieri si occupavano le suore.
Fu in quel periodo che mi venne una specie di vocazione, pensavo: “la suora non ha famiglia né figli, quindi non deve cucinare, né rassettare e neanche andare a lavoro” allora tornai a casa e dissi a mia mamma: “mamma, voglio diventare suora!”. Però poi mi venne il dubbio… “mamma che fanno esattamente le suore?” – “sono in chiesa e pregano”. Una noia mortale. La mia vocazione, sparita.
Una delle conseguenze positive di questa noia era che mi appassionai alla lettura. Mia mamma diceva ai parenti ed amici “non le regalate le bambole, non le piacciono, regalatele dei libri”.
Fu verso la fine della scuola elementare che mi venne la seconda passione, questa volta più duratura. Volevo diventare un’astronoma. I miei genitori la presero sul serio e mi regalarono un libro sui pianeti del sistema solare. Titina, la mia zia chérie invece mi prendeva in giro – “Vuoi diventare un’astronoma? Ma tu sei già una stro…” Si fermava a mezza frase e ridevamo tutte e due come le pazze. La seconda vocazione sparì, quando alle scuole medie realizzai che dovevo passare anni a studiare matematica e fisica prima di diventare un’astronoma. Una noia mortale.
Durante l’adolescenza mia madre era preoccupatissima, forse neanche lei sapeva di cosa, ma aveva intuito che non ero il tipo di adolescente facile.
Di sesso non si parlava praticamente mai a casa. Mio padre, che aveva il dono della sintesi, aveva creato questo slogan-regola di vita: “puoi fare tutto quello che vuoi, basta che non torni a casa con malattie o con qualche guajo” Il guajo in napoletano, come si può ben immaginare, era la gravidanza indesiderata. AIDS e gravidanze indesiderate erano i due flagelli da evitare.
Figuriamoci. Alle scuole superiori, un liceo praticamente femminile di uno dei quartieri più popolari di Napoli, le gravidanze indesiderate mietevano vittime fra le studentesse: “te la ricordi quella alta bionda della 3°C? E’ incinta!”. E poi… Pof! Non le vedevi più. Sparita.
Io, che avevo deciso di rimandare le mie esperienze sessuali a più tardi (non volevo problemi), ero diventata un’esperta di riproduzione sessuale. Ero teoricamente informatissima. Tutte le amiche mi venivano a chiedere consigli: “non mi vengono le mie cose, ma ho fatto il test, è negativo…” – “per essere sicura devi fare l’esame dell’HCG” – “ma non posso andare dal mio medico per la prescrizione, conosce mia mamma” – “allora vai dal ginecologo del consultorio, è gratuito”.
Il consultorio del quartiere era uno dei posti più belli della mia adolescenza. Mi ricordo ancora questa scena, di una delle infermiere nella sala d’attesa che diceva ad alta voce alle donne presenti: “Fino a quando le donne non capiranno che il coito interrotto non è un metodo anticoncezionale sicuro, avremmo sempre gravidanze indesiderate”. Lo disse davanti a tutte, madri sposate con figli a carico, adolescenti, donne in menopausa. Eravamo tutte uguali e le cose si dicevano senza tabù. Mi ricordo ancora che in quel momento mi sentii importante. Ero una donna e non più una bambina. Se penso adesso che si discute di chiuderli, mi viene una tristezza…
La scuola mi piaceva tantissimo per me è stato uno dei periodi più belli della mia vita. Avevamo un rapporto bellissimo con gli insegnanti. Ce n’erano due in particolare che io adoravo: Wanda e Maria. Eh sì, non a caso, due lunadigàs. Ma non le adoravo per questo, non immaginavo, né ero convinta di volerne diventare una. Le adoravo probabilmente perché erano le due sole persone che non ci hanno mai infantilizzato. Ci parlavano da donne, senza la preoccupazione e la presunzione delle madri che sanno già cosa è giusto per te. Ancora oggi sono due care amiche e mi fa piacere incontrarle anche solo per un caffè. Quando mi permetto di dare un’opinione sull’educazione dei figli e mi si risponde che non posso capire perché non ho figli, il mio pensiero va sempre a loro. Sono probabilmente le persone che più mi hanno capito nella mia adolescenza. Probabilmente proprio perché non hanno mai avuto figli.
La vita da lunàdigas non è facile. Io credo che ci sia solo un motivo per voler avere figli: desiderare di avere dei figli. E tantissimi per non volerne avere. Eppure siamo noi l’eccezione.
Io non sapevo di non volerne avere, rimandavo. Dicevo “perché non ne volevo in quel momento”. Adesso lo so e il mio compagno anche lo sa. A quasi 40 anni, qualche mese fa mia mamma mi ha regalato una frase bellissima: “Lo scopo della vita è la felicità e la serenità, lo scopo della vita non è quello di avere figli”.
L’ultimo bastione del mio senso di colpa è finalmente crollato. Adesso non mi manca veramente più nulla per essere felice.
Grazie della tua testimonianza, è praticamente la mia storia, compresa la parte di aver pensato a un certo punto della mia infanzia di voler diventare suora con l’unica motivazione che non sarei stata “obbligata” ad avere figli.
Anche il resto tutto uguale, l’ultima di 3 figli, madre che dopo la mia nascita è rimasta a casa, la noia, l’oratorio, e le continue riflessioni sul non vedermi come madre, prima rimandando il pensiero, poi farlo diventare una consapevolezza.
Ciao Silvia, grazie a te per il commento , fa piacere sapere che non si é sole anche se si ha la consapevolezza di aver fatto le scelte giuste. Un abbraccio. Leandra